Verso il reato di autoriciclaggio. Il percorso a ostacoli dell’Italia che si adegua.

Giovanna Cento 19/09/14
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Salvo clamorose novità dell’ultima ora , l’autoriciclaggio si appresta ad entrare a  pieno titolo nel nostro codice penale come fattispecie autonoma di reato. L’Italia risponde positivamente alle sempre più stringenti esigenze di contrasto alla criminalità economica e organizzata. La necessità è di adeguare la legislazione penale alla crescente aggressività di alcune condotte criminose a carattere “ camaleontico”,  la cui continua mutabilità finisce per battere sul tempo una produzione normativa debole e, spesso, priva di incisività. In questo caso, per utilizzare un’espressione tratta dal linguaggio sociologico, non siamo in presenza di un diritto “ liquido” ma di una categoria di delitti “fluidi”, a fronte di una legislazione irrigidita: la rapidità di evoluzione dei delitti di circolazione e reimpiego di cose o capitali illeciti compromette , sempre più frequentemente, la completa sovrapposizione delle caratteristiche della condotta concreta agli elementi tipizzati della fattispecie.

L’articolo 648-bis, introdotto per la prima volta nel 1978 e riformulato dall’articolo 4 della l.9 agosto 1993 n.338, ha avuto, almeno secondo l’OCSE ed il Fondo Monetario Internazionale, una limitata applicazione sul piano giudiziario.  La mancata produzione dei risultati sperati sarebbe attribuibile, almeno parzialmente , proprio all’inesistenza della fattispecie di autoriciclaggio. Ad oggi, infatti, non è punibile la condotta di riciclaggio posta in essere dall’autore , anche in concorso, del reato presupposto. In sostanza, il soggetto attivo del reato principale deve essere necessariamente diverso dal soggetto attivo del reato-presupposto. Lo ha confermato la Corte di Cassazione, dichiarando che il responsabile  del delitto presupposto non viene colpito dal reato per avere sostituito o trasferito denaro, beni, o altre utilità.

L’obiettivo è di  colmare una “pesante” lacuna ,dando copertura a quella zona grigia, ampiamente sfruttata, che esula dall’ambito di applicazione della fattispecie di riciclaggio.

Sarà penalmente rilevante la condotta di chi, dopo aver commesso un delitto non colposo, sostituisca o trasferisca denaro, beni o altre utilità per finalità imprenditoriali o finanziarie.

Durante i lunghi lavori che hanno accompagnato le fasi di strutturazione della norma,  non è mancata l’emersione di criticità di carattere oggettivo-dogmatico, come fatto presente dal Gruppo di studio sull’auto riciclaggio  costituito con decreto del Ministro della Giustizia l’8 gennaio 2013.

 In effetti, un problema si pone in merito alle “ulteriori operazioni” poste in essere dall’autore del reato presupposto e volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa: infatti, sarebbe agevole interpretarle come una “ naturale prosecuzione” degli stessi reati- presupposto , generando un “mero” post factum senza lasciare spazio ad un autonomo disvalore. Allo stesso modo, non  sarebbe del tutto criticabile , almeno per alcuni, la scelta di concepire le ulteriori operazioni come “parti” della condotta riferita allo stesso reato presupposto, dando luogo ad una non punibilità in ossequio al principio del ne bis in idem sostanziale.

L’impressione è che, nonostante i dubbi, non privi di fondamento, la scelta dell’introduzione di un’ipotesi autonoma di reato sia stata giudicata prioritaria, al fine di rispondere all’esigenza, manifestatasi nella prassi applicativa, di predisporre un sistema repressivo dotato di maggiore compiutezza.

Il tratto che suscita grande interesse, tuttavia, è la previsione di un dolo specifico, costituito dal fine “di procurare a sé o ad altri un ulteriore vantaggio in attività imprenditoriali o finanziarie”.

Sotto il profilo teleologico, si è scelto di attribuire rilevanza all’intenzione di investire in attività economiche o finanziare. Il punto non è di poco conto: la  ratio , infatti, sta nell’abbattere la concorrenza sleale di chi orienta il proprio progetto criminoso verso iniziative i cui fondi illeciti garantirebbero, nella maggior parte dei casi, una maggiore competitività, a discapito degli altri operatori di mercato. Al contrario, non sussisterà la punibilità per i comportamenti diretti a garantire al soggetto agente un personale godimento dei proventi e per le azioni meramente “di ostacolo”, cioè rivolte ad ottenere l’impunità per il delitto.

Infine, è previsto l’allungarsi della lista di circostanze che generano  un aggravamento di pena nell’ipotesi in cui il fatto sia commesso non soltanto nell’esercizio di attività professionale, ma anche nell’esercizio di attività bancaria o finanziaria, nell’esercizio dell’ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore o altro ruolo di rappresentanza dell’imprenditore.

Viene individuata, inoltre, una circostanza attenuante, nel caso in cui il delitto presupposto sia punito con pena detentiva inferiore a 5 anni.

Il comma 5 prevede una misura premiale per colui che fornirà collaborazione all’indagine o riuscirà  a comprovare la fine del “patto criminoso”.

Per concludere, in linea con quanto disposto dall’attuale comma 3 dell’art. 648-bis,  pare confermata l’applicabilità dell’ultimo comma dell’articolo 648 in materia di ricettazione:  la punibilità non sé esclusa se il responsabile del delitto  presupposto non sia imputabile, punibile o qualora venga meno una condizione di procedibilità.

Giovanna Cento

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