Verità del fatto narrato e verità putativa nell’esercizio del diritto di cronaca

Bozheku Ersi 07/01/10
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La sentenza in commento (la cui massima è in calce) affronta il delicato problema dell’esercizio del diritto di cronaca in rapporto con il delitto di diffamazione a mezzo stampa ([1]).   
Il diritto di cronaca è il diritto di raccontare accadimenti reali per mezzo della stampa in considerazione del loro interesse per la generalità dei consociati ([2]).
Più esattamente, l’oggetto della cronaca è la narrazione obbiettiva di fatti divulgati con l’ausilio degli strumenti di comunicazione di massa, senza finalità scientifiche, ma solo di informazione ([3]).
Dottrina e giurisprudenza pacificamente concordano nel ritenere che si tratti di un diritto pubblico soggettivo, estrinsecazione del diritto alla libera manifestazione del pensiero e di stampa, sancito nell’articolo 21 Cost.
Se, da un lato, il diritto di cronaca è il diritto del singolo di manifestare le proprie idee e convinzioni e, pertanto, garantito ex se, dall’altro, è funzionale alla realizzazione di fini di pubblica utilità ([4]).
Ed invero, riportare notizie di generale interesse, esatte e complete garantisce la collettività di un bagaglio informativo attraverso il quale sviluppare la propria personalità e partecipare attivamente alla vita democratica del paese.
In quest’ottica, il diritto di cronaca non ha solo una connotazione soggettiva, ma diventa un mezzo per raggiungere un ulteriore fine, ossia quello di informare gli altri ([5]). Tale finalità, intrinseca della cronaca, è in grado di rendere non antigiuridici, dunque leciti, comportamenti in astratto riconducibili al tipo legale della diffamazione.
La giurisprudenza è ormai concorde nel ricondurre l’esercizio dell’informazione nell’ambito di cui all’articolo 51 c.p., rendendo non punibili le condotte qualificabili come diffamatorie in base all’articolo 595 c.p.
Tuttavia, poiché anche questo articolo tutela un diritto costituzionalmente garantito, quale è il diritto dell’individuo all’onore ed alla propria reputazione sociale, si pone il problema del bilanciamento di tali diritti.
Una soluzione definitiva, che tenga conto delle diverse esigenze parimenti meritevoli di tutela, rappresenta tutt’oggi questione annosa e controversa sulla quale giurisprudenza e dottrina si sforzano di pervenire ad una comune intesa.
Il diritto di cronaca, del resto, non è un diritto assoluto ed è per questo che diventa importante l’individuazione di limiti entro i quali debba arrestarsi di modo tale da consentire un giusto punto di equilibrio. L’esito di un bilanciamento tra cronaca ed onorabilità, continuamente in tensione, si sposta di volta in volta verso l’una o l’altra esigenza, a seconda della sensibilità culturale in un determinato momento storico-sociale ([6]).
È impossibile, infatti, raggiungere un punto di equilibrio una volta per tutte ([7]), in quanto, per la conflittualità dei valori in gioco, il loro bilanciamento deve essere individuato in relazione alle concrete modalità di esercizio del diritto di cronaca in relazione al caso concreto poiché non sarebbe possibile, proprio per la natura stessa del conflitto, individuare un criterio astratto fondato esclusivamente sulla gerarchia dei valori.
            Dall’evoluzione giurisprudenziale si ricava una maggiore sensibilità nei confronti dell’attività giornalistica piuttosto che al diritto all’onore e alla reputazione. Si è passati, infatti, da pronunce in cui si rinviene un principio di automatica esclusione del diritto di cronaca dinnanzi ad una oggettiva lesione dell’onore ([8]), ancorché fondata sulla verità storica del fatto narrato, a pronunce in cui, nonostante la lesività della notizia, il diritto di cronaca è stato ritenuto prevalente ([9]).
Tuttavia, ciò non significa che il diritto di cronaca debba ritenersi tout court prevalente rispetto al diritto all’onore e alla reputazione.
La Corte di Cassazione, infatti, ha fissato una serie di principi in base ai quali valutare il corretto esercizio del tale diritto, al fine del riconoscimento della sua efficacia scriminante.
 Più esattamente affinché il diritto di cronaca possa essere validamente esercitato occorre: a) l’interesse che i fatti narrati rivestano per l’opinione pubblica, secondo il principio di pertinenza ([10]); b) la correttezza di esposizione di tali fatti, in modo che siano evitate aggressioni all’altrui reputazione, secondo il principio della continenza ([11]); c) la corrispondenza tra i fatti accaduti e i fatti narrati, secondo il principio di verità, secondo cui l’obbligo del giornalista di accertare la verità della notizia e il rigoroso controllo della verità della fonte ([12])
La decisione del Tribunale di Roma in commento affronta una serie di profili di diritto meritevoli di approfondimento. Un primo aspetto riguarda la questione della corrispondenza tra fatto accaduto e fatto narrato, con particolare riguardo ai doveri di accertamento che inesorabilmente incombono sul giornalista. 
La pronuncia si allinea all’ormai consolidato filone giurisprudenziale che pone la verità del fatto come elemento strutturale fondamentale per il corretto esercizio del diritto di cronaca ([13]).      
Stante la natura di causa di giustificazione del diritto di cronaca ([14]), il criterio della verità oggettiva della notizia non può essere sostituito con criteri di “veridicità” e “somiglianza” del fatto narrato, alternativa che, peraltro, determinerebbe il rischio di riservare alla stampa un immunità senza limiti ([15]). 
È stato precisato, infatti, che solo la rappresentazione fedele nel pensiero e nella parola degli avvenimenti, tali quali sono, ha valore scriminante ([16]).
Prescindendo dall’applicabilità della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca sotto il profilo putativo, il principio di verità sotto il profilo oggettivo soffre, tuttavia, di alcune eccezioni.
Innanzitutto, l’organo giudicante deve stabilire preliminarmente se la notizia è idonea a ledere il buon nome e la reputazione del terzo ([17]); inoltre, errori o inesattezze marginali, inidonee a modificare la struttura del fatto narrato, non sono tali da violare il limite delle verità oggettiva ([18]) e, infine, la valutazione dell’esimente del diritto di cronaca deve essere espletata avendo riguardo al momento in cui la notizia viene diffusa e non già al momento in cui il fatto viene accertato ([19]).  
Correttamente, il Tribunale di Roma afferma la responsabilità penale degli articolisti poiché la non veridicità dei fatti affermati esclude che possa riconoscersi l’esimente del diritto di cronaca per la cui ricorrenza è richiesta la verità dei fatti narrati.
Il Tribunale giunge altresì a disconoscere detta esimente anche sotto il profilo putativo ([20]).
La decisione è conforme al prevalente orientamento giurisprudenziale, il quale, seppur non esclude a priori la sussistenza della verità putativa, ne determina le condizioni utilizzando canoni alquanto restrittivi, che impongono al giornalista un dovere rigoroso di verifica delle fonti normative ([21]). 
In altri termini, la giurisprudenza riconosce sotto il profilo putativo l’esimente del diritto di cronaca solo nell’ipotesi in cui il cronista è rimasto vittima di un errore involontario, nonostante abbia posto in essere la massima diligenza professionale, adoperando tutte le necessarie cautele sia in relazione alla notizia che dell’affidabilità della fonte di informazione ([22]).  
La dottrina ha sottolineato come la soluzione adottata dalla giurisprudenza di legittimità finisce inesorabilmente per contrastare con il dato normativo, degradando, di fatto, la fattispecie diffamatoria in fattispecie colposa, ove l’elemento psicologico non viene più radicato nel dolo, bensì nella colpa ([23]), mentre la responsabilità viene a coincidere con la violazione di regole precauzionali ([24]).
Tuttavia, il particolare rigore che anima la giurisprudenza è dovuto dalla necessità di garantire il diritto alla reputazione, dinnanzi ad interpretazioni indulgenti sul limite di verità, che determinerebbe, di fatto, la prevalenza del diritto di cronaca.
Ed invero, laddove la valutazione del comportamento del giornalista venisse disancorata da rigidi parametri volti a garantire al massimo livello quelle cautele indispensabili per la salvaguardia della dignità umana, valori fondamentali quali l’onore e la reputazione finirebbero inesorabilmente per essere surclassati.  
Un intervento legislativo sembra, tuttavia, necessario per risolvere definitivamente la perenne conflittualità che contraddistingue il diritto di cronaca e il diritto all’onore; in attesa, la decisione del Tribunale di Roma appare condivisibile soprattutto se apprezzata nell’ottica di tutela di una delle massime libertà garantite dalla nostra Costituzione.  
 
 
 
 
Dr. Ersi Bozheku
 
 
 
 
TRIBUNALE DI ROMA – IV sezione monocratica – 13 gennaio 2009 – Est. Costantini – imp. Fraioli, Giordano e Mauro
 
 
Diffamazione – Col mezzo stampa – In genere – Veridicità del fatto narrato – Diritto di cronaca – Putatività – Errore – Conseguenze.
(Cod. pen. Art- 59, 595)  

Nel reato di diffamazione a mezzo stampa, la non veridicità dei fatti affermati nell’articolo in questione, relativi alle due persone offese, esclude che possa riconoscersi l’esimente del diritto di cronaca, per la cui ricorrenza è richiesta in primo luogo, come è noto, la verità dei fatti narrati.
Né vi è alcuno spazio per il riconoscimento di detta esimente sotto il profilo putativo, considerato che a tal fine è necessario che l’agente l’abbia esaminato, controllato e verificato in termini di adeguata serietà professionale la notizia in rapporto all’affidabilità della relativa fonte di informazione, e che sia rimasto vittima di un errore involontario, requisiti che non ricorrono nel caso di specie ([25]).
 
                                        Dottorando in Diritto e Procedura Penale
                                           all’Università “SAPIENZA” di Roma


([1]) Il caso affrontato dal Tribunale di Roma presenta aspetti di particolare interesse (trattando di presunti rapporti di collusione tra i massimi esponenti politici di uno stato straniero, l’Albania, e le organizzazioni criminali finalizzate al traffico di sostanze stupefacenti) concernente la pubblicazione di un articolo sull’inserto “il Venerdì” del quotidiano “La Repubblica”, contenente la descrizione di presunti interventi di due noti politici albanesi, parti offese nel processo, per favorire il traffico di cocaina dall’Albania verso l’Italia, nonché per garantire l’impunità di pericolosi trafficanti di sostanza stupefacente. La tesi sostenuta nell’articolo è quella di un pericoloso binomio (organizzazioni criminali/vertici della politica dello stato oltre l’Adriatico) capace di incidere pesantemente negli equilibri internazionali del traffico della cocaina. In sede dibattimentale è stato provato invece che l’articolo è stato frutto di una macchinazione politica per screditare i due personaggi proprio in vista delle elezioni politiche nel paese vicino (dove l’influenza dirimente dei media italiani è indiscussa). 
([2])Cfr. Per una prospettiva generale circa l’orientamento della dottrina in materia di esercizio del diritto di cronaca V. ALBAMONTE, Il diritto di cronaca quale causa di giustificazione dei delitti contro l’onore a mezzo stampa, con particolare riguardo alla putatività, in Cass. pen. Mass. Annot, 1977, p. 578; AMATO, L’esercizio di un diritto legittimo esclude la configurabilità del reato, in Guid. dir. 1998, n. 10, p. 67; ANGELINI, La verità della notizia quale indizio della atipicità della condotta del giornalista rispetto al reato di diffamazione, in Cass. pen. 1993, p. 3137; BONANNO, Diffamazione a mezzo stampa e limiti al diritto di cronaca, in Riv. it. dir. proc. pen., 1985, p. 266; BOVIO, Diritto di cronaca; la Cassazione distingue tra continenza formale e sostanziale, in Guid. Dir., 1996, n. 9, p. 40; CORRIAS LUCENTE, Il diritto penale dei mezzi di comunicazione di massa, Padova, 2000; FERRANTE, Diffamazione commessa col mezzo della stampa ed esercizio putativo del diritto di cronaca, in Giur. mer., 1983, p. 1105; IACOVIELLO, Problemi vecchi e sensibilità nuova della Cassazione in materia di diffamazione a mezzo stampa, in Cass. pen., 1995, p. 2537; LIGUORO, L’eterno conflitto tra diritto di cronaca e tutela reale della reputazione, in dir. & giust., 2003, n. 35, p. 93;  MALAVENDA, Indicati dalla Cassazione i criteri fondamentali per il corretto esercizio del diritto di cronaca, in Guid. dir., 1995, n. 46 p. 89; MANNA, Diritto di cronaca: realtà e prospettive nel delitto di diffamazione a mezzo stampa, in Giur Cost., 1984, I, 770; MUSCO, Stampa (dir. pen.) in Enc. Dir. XLIII, Milano, p. 645; NOTARO, Diffamazione a mezzo stampa e limiti al diritto di cronaca, in dir. proc. pen., 2001, p. 1011 ss.; NUVOLONE, Stampa, in Nuoviss. dig. disc pen., XVIII, 1971, p. 97 ss.;  POLVANI, La diffamazione a mezzo stampa, Padova, 1998; SERANI, Diritto di cronaca e verità putativa, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, p. 1464; TERESI, Diritto di cronaca ed errore scusabile, in Giur. It., 1985, p. 147; VASSALLI, Libertà di stampa e tutela penale dell’onore, in Arch. pen. 1967, p. 15.ss. VERRI – CARDONE Diffamazione a mezzo stampa e risarcimento del danno, Milano 2003.
([3]) POLVANI, op. cit.,  p. 89. 
([4]) VERRI – CARDONE, op. cit., p. 60.
([5]) Trib. Roma, 28.09.1993, Foro it., 1995, I, 1021. 
([6])La questione è stata affrontata, in epoca risalente, anche dalla Corte costituzionale la quale ha osservato che “la previsione costituzionale del diritto di manifestare il proprio pensiero non comporta una tutela incondizionata ed illimitata della corrispondente libertà, giacché questa incontra l’ostacolo derivante dall’esistenza di beni o interessi diversi parimenti garantiti dalla Costituzione, tra i quali è l’onore, comprensivo del decoro e della reputazione, che trova difesa nella previsione degli articoli 594 e 595 c.p., Corte cost. 21.03.1974, n. 86, in Giur. Cost., 1974, p 677.
([7]) App. Roma, 18.03.1993, in Dir. Inf, 1994, p. 939.
([8]) Cass. 04.06.1965, in Foro it., 1966, p. 212.                                                                    
([9]) Cass. 16.1981, in Foro it., 1982, II, p. 313.
([10])Secondo la giurisprudenza, sussiste l’interesse pubblico quando si tratti di avvenimenti interessanti la vita collettiva e le persone che ne sono protagoniste, la conoscenza dei quali è essenziale alla formazione e all’orientamento dell’opinione pubblica, in modo che ognuno possa fare le proprie scelta nel campo religioso, politico della scienza e della cultura (Ex plurimis. Cass. pen., 23.04.1986, in Riv. pen., 1987, p. 602; Cass. pen., 03.05.1985, in Cass. pen., 1987, p. 76.).   
([11]) E’ stato precisato che il criterio secondo cui la valutazione della portata diffamatoria di un articolo deve essere effettuato con riferimento non solo al contenuto letterale dello stesso, ma anche alle modalità complessive con le quali la notizia viene data, sicché decisivo può essere l’esame dei titoli e dei sottotitoli, lo spazio utilizzato per sottolineare maliziosamente alcuni particolari, l’utilizzazione eventuale di fotografie. Cass. pen. 18.09.2000, in Riv. pen. 2001, p. 463; Cass. pen. 25.05.1995, in Cass. pen., 1996, p. 2199. 
([12]) Cass. pen. 16.12.2004 CED 230719; Cass. pen. 19.11.2001, in Riv. pen. 2002, p. 122; Cass. pen. 05.04.2000, in Cass. pen., 2001, p. 1204; Cass. pen. 26.05.2000, in Giust. pen., 2001, II, p. 636; Cass. pen. 05.04.2000, in Giust. pen. 2001, p. 83; Cass. pen. 10.121997, in Cass. pen. 1999, p. 3135 con nota di Angelini; Cass. pen. 29.01.1997, in Cass. pen. 1998, p. 808;   
([13]) La questione è stata per lungo tempo oggetto di confronto tra un orientamento liberale, attento alle esigenze di celerità ed efficienza dell’attività giornalistica, incline ad accettare una verità gradata a veridicità o verosimiglianza (ex plurimis, Cass. 04.06.1965, in Foro it., 1966, 212) e l’opposto orientamento rigoristico, che ancorava il riconoscimento della scriminante del diritto di cronaca alla verità oggettiva del fatto (Cass. 16.04.1981, in Foro. It. 1982, II, 313.).  
([14]) La dottrina ha osservato che, se il diritto di cronaca ha natura di causa di giustificazione, la verità non può che essere intesa in senso rigorosamente oggettivo, mentre i criteri della verosimiglianza o credibilità potranno al più valere per dimostrare la buona fede del giornalista.  
([15]) VASSALLI, Libertà di stampa e tutela penale dell’onore, in Scritti in memoria di A. Giuffrè, Milano, 1967. Contra. MANNA, op. cit., p. 770.
([16]) Nel conflitto tra l’interesse inteso ad assicurare la libera manifestazione del pensiero, in funzione del soddisfacimento delle esigenze di conoscenza e di informazione, che concorrono alla formazione dell’opinione pubblica, e l’interesse inteso alla salvaguardia della reputazione dei terzi, l’ordinamento opta per il sacrificio di quest’ultimo, accordando al primo una tutela privilegiata, ma ciò può dirsi a condizione che l’agente ne assicuri la realizzazione del rispetto della verità oggettiva che si pone come elemento strutturale della esimente dell’esercizio del diritto di cronaca (Cass. SS.UU. 26.03.1983, in Cass. pen. 1983, p. 2928).
([17]) Cass. pen. 24.10.1995, in Cass. pen., 1997, p. 404. La Suprema Corte, analizzando l’elemento oggettivo del reato in questione, ha stabilito che essendo l’associazione alla massoneria, se ed in quanto risponda al dettato costituzionale e legislativo, del tutto libera, l’attribuzione della qualifica di massone non implica di per sé alcun discredito alla persona. 
([18]) Mentre va escluso il requisito della verità ove la notizia contenga inesattezze rilevanti sotto il profilo quantitativo – nel senso di attribuire al destinatario, oltre a fatti realmente commessi, un fatto ulteriore, inesistente – ma soprattutto sotto l’aspetto quantitativo – nel senso di attribuire un fatto, pur analogo ad altri commessi ma in realtà mai perpetrato, e questo solo gravemente confliggente con i principi etico-politici del soggetto al quale viene attribuito in relazione alle specifiche modalità di realizzazione concreta ed ai soggetti nei confronti dei quali sarebbe stato realizzato –, è pur vero che per l’applicabilità dell’esimente dell’esercizio del diritto di cronaca, la verità della notizia pubblicata deve essere valutata rispetto al suo nucleo essenziale, rimanendo irrilevanti eventuali imprecisioni su fatti secondari e non determinanti. Cass. pen. 12.11.1999, in Guid. Dir., 2000, X, p. 88.    
([19]) Sotto questo profilo, è stato precisato, tra l’altro, che le successive discrepanze tra i fatti narrati e quelli accaduti non devono essere frutto di un inadeguato controllo delle notizie operato dal giornalista, bensì frutto di una incolpevole percezione – difettosa od erronea – della realtà. Cass. pen. 22.05.2000, in Cass. pen. 2001, p. 2087.  
([20]) In ipotesi di notizia non vera, la giurisprudenza riconosce al giornalista la possibilità di invocare l’esercizio putativo del diritto di cronaca, ai sensi dell’articolo 59 comma 4 c.p., secondo il quale “se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui” e “se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”. Ciononostante, ancora la sua applicazione ha criteri molto restrittivi.    
([21]) Tale orientamento è stato inaugurato dalla Cass. SS.UU. 30.06.1984, in foro it. 1984, p. 533, con nota di Fiandaca. La decisione parte dal presupposto del rispetto della verità oggettiva della notizia, risultando inaccettabili valori sostitutivi di essa quali “la veridicità” o “la verosimiglianza”. Conseguentemente, è onere del giornalista riferire fatti oggettivamente veri “ponendo ogni più oculata diligenza ed accortezza nella scelta delle fonti informative; esplicando ogni più attento vaglio in ordine all’attendibilità di quelle che, di volta in volta, vengono sottomesse alla sua attenzione; operando ogni più penetrante esame e controllo sulle notizie che, dalle stesse, vengono propalate. Il tutto nel rispetto delle norme di correttezza che disciplinano la professione giornalistica. Cass. pen. 19.05.2004 CED 231002; Cass. pen. 05.04.2000 CED 216120. 
([22]) Cass. pen. 19.05.2004 CED 231002; Cass. pen. 05.04.2000 CED 216120, precisando che per la qualità e la delicatezza degli interessi in gioco non è sufficiente il mero affidamento, riposto in buona fede, nelle fonti di informazione, ma si richiede al giornalista una ulteriore ed accurata attività di controllo, disamina e verifica delle fonti di provenienza della notizia per assicurarsi della sua verità. Solo in caso di esito positivo a tale ulteriore e scrupoloso accertamento potrà valutarsi l’attendibilità della notizia in termini di buona fede.
([23]) CORRIAS LUCENTE, op. .cit., p. 90. L’A. precisa, inoltre, che i limiti individuati dalla giurisprudenza portano ad un’implicita abrogazione dell’articolo 59, comma 4, c.p., non riconoscendo l’efficacia dell’errore generato da colpa, con riferimento a un delitto doloso, quale la diffamazione. Ancorando la responsabilità del cronista alla violazione di regole cauzionali, la giurisprudenza ha di fatto introdotto per la stampa componenti tipiche della teoria del rischio: il giornalista risponde per il rischio assunto nel divulgare la notizia senza diligenti controlli, paradigma tipico delle forme colpose. 
([24]) Parte della dottrina ritiene che la soluzione potrebbe essere raggiunta attraverso la sostituzione del criterio della verità soggettiva a favore del diligente comportamento del giornalista volto all’accertamento della verità. In tal guisa, il comportamento del giornalista sarebbe scriminato, dinanzi a notizie successivamente rilevate false, ove provi di aver sottoposto ad una attenta verifica. BONANNO, op cit., p. 275.
In giurisprudenza continua a prevalere il consolidato orientamento secondo il quale la responsabilità del giornalista, nonostante la non rispondenza tra la notizia riportata e il fatto storico accaduto, sarebbe esclusa solo a seguito di controlli rigorosi in merito alla verità del fatto narrato. Cass. 13 febbraio 2002, in Guida al diritto, 2002, 26, p. 70. Tuttavia, vi è un precedente della Suprema Corte che ha ritenuto non punibile il giornalista chiamato a rispondere di diffamazione a mezzo stampa, il quale, per errore determinato da colpa, aveva riportato in modo errato una notizia offensiva. Nell’occasione la Corte ha applicato il principio secondo cui, ai sensi dell’articolo 59 comma 4 c.p., l’errore colposo sulla causa di giustificazione esclude la colpevolezza quando il reato contestato non è punibile a titolo di colpa. Cass. 08.04.2003, in Riv. it. dir. proc. pen.,2005, p. 471.  
([25]) Massima non ufficiale.

Bozheku Ersi

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