Vendita on line di semi di cannabis

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Il Tribunale di Benevento, con la sentenza che si commenta (riportata in calce), fornisce un’interessante ed articolata risposta a quel dilemma che, talora, sorge (e che può addirittura portare – come nel caso concreto – all’instaurazione di un giudizio penale) in punto all’ipotizzazione della sussistenza di un concorso morale di un soggetto nell’altrui illecita attività.
Nel caso concreto, il concorso morale prospettato dall’accusa a carico dell’imputato, si sostanziava in una condotta di presunta istigazione alla coltivazione di piante a fine di produzione di stupefacenti (art, 73 co. 1 ed 1 bis dpr 309/90).
Tale comportamento, in fatto, si sarebbe concretato ed estrinsecato attraverso la vendita on line di semi di cannabis.
Si trattava, dunque, di una vicenda particolarmente articolata e complessa, (quanto meno all’apparenza), posto che essa veniva ad involgere vari profili regolati sia da norme codicistiche, che da norme speciali, pur mantenendo il proprio scorrimento nell’ansa del diritto sostanziale.
Tematica centrale, comunque, era – e non poteva essere diversamente – quella pregiudizialmente attinente all’individuazione della effettiva sussistenza della descritta condotta d’istigazione alla commissione dello specifico reato regolato dall’art. 73 dpr 309/90.
In relazione alla conclusiva soluzione da adottare nel caso che ci occupa, non poteva, dunque, essere estranea e, comunque, disattesa una preventiva verifica della correttezza del nomen iuris, che era stato attribuito al comportamento ascritto all’imputato.
Va, infatti, osservato, metodologicamente, che il dpr 309/90, prevede, all’art. 82, un’ipotesi particolare di “istigazione”, assimilando a tale concetto, anche il fenomeno del “proselitismo” e dell’”induzione”.
Tale previsione legislativa, di natura speciale, ha formato oggetto, nel tempo, di rari interventi giurisprudenziali e, quindi, di valutazioni assai limitate, dal punto di vista quantitativo.
Si deve, però, sottolineare come le argomentazioni usate (sia dai giudici di merito, che di legittimità) a risoluzione del tema in questione siano sempre apparse informate ad una disamina di elevato spessore culturale e giuridico.
Soprattutto, va evidenziato simile apprezzabile profilo in relazione ad una recentissima ed importante pronunzia del Tribunale di Rovereto (*****, 29 Novembre 2007, n. 300) che ha fondato il proprio fulcro decisionale, soffermandosi sulla disamina parallelistica tra la norma ordinaria (l’art. 82 dpr 309/90) ed il precetto costituzionale di cui art. 21 Costituzione, disegnando ed individuando i limiti di operatività entro i quali la repressione dell’istigazione e di fenomeni di proselitismo devono essere accettati.
L’art. 82, dunque, per quanto emerge sia da un’interpretazione costituzionalmente orientata che, soprattutto, da un’esegesi rispettosa sia della volontà del legislatore, che del testo elaborato, costituisce una tipologia di norma che sanziona e punisce l’insieme complessivo di manifestazioni (verbali, scritte, comportamentali), le quali che risultino, sia in pubblico, che nel privato, (e considerate sul piano squisitamente oggettivo), finalizzate :
1.    a fornire consigli o indicazioni su di un costante uso della droga in favore di una o più persone a ciò avvezze,
2.    a concretare una attività di vera e propria persuasione e convincimento all’assunzione di sostanze stupefacenti, verso soggetti che non ne abbiano mai fatto uso,
3.    a incitare ed esortare il destinatario della comunicazione ad accettare come valore positivo e, dunque, a praticare l’utilizzo di stupefacenti.
Questi tre filoni di ipotesi appaiono come le linee guide comportamentali di maggiore spessore che emergono dalla lettura del comma 1 dell’art. 82.
Ultronei a questo steccato legislativo risultano, quindi, tutti quei moti e quelle correnti di pensiero che afferiscano e si soffermino scientificamente sulla tematica della non dannosità (o della limitata dannosità) dell’uso di droghe, nonché tutto l’ampio dibattito, concernente l’estensione dello spettro di non punibilità anche nei confronti di particolari forme di uso terapeutico, che siano prive dell’autorizzazione di cui agli artt. 17, 27 e 28.
Sicchè, si può agevolmente pervenire alla conclusione che le condotte riportate nella rubrica di cui all’art. 82 dpr 309/90, presuppongono una commissione che appare del tutto autonoma e svincolata da qualsivoglia tipo di legame concorsuale con l’ulteriore condotta di colui che, percependo l’illecito messaggio apologetico, faccia uso di sostanze psicotrope.
Ancor più dettagliatamente, si deve osservare come esista una vera e propria frattura temporale e fattuale fra le due condotte (l’istigazione di cui all’art. 82 e la violazione dell’art. 73), si che le stesse, non solo possono essere commesse in tempi e luoghi totalmente differenti fra loro, ma, anche – ed è ciò che maggiormente rileva in proposito – non sono affatto poste in quel rapporto di minimo collegamento vincolistico interpersonale, di carattere sia morale, che materiale, che è il fondamento del concorso regolato dall’art. 110 c.p. .
E’ indirizzo giurisprudenziale costante ed incontroverso, quello che afferma che si verifica concorso nel reato, ogniqualvolta ciascuno dei compartecipi sia consapevole della confluenza della propria condotta con quella altrui, e se tale delineato stato psicologico investa l’evento richiesto per l’esistenza del reato che è, anche, specificamente voluto quale esito della fusione dei singoli comportamenti tenuti.
Or bene, perché si verta nel dominio dell’art. 82 è sufficiente che la condotta determinativa dell’agente (o degli agenti) si estrinsechi ancorchè in maniera generica, ma che appaia potenzialmente idonea a suscitare nei soggetti recettori lo stimolo persusasivo in ordine alla bontà del convincimento all’uso degli stupefacenti.
Che, poi, il soggetto, nei cui confronti è indirizzato il messaggio di induzione o proselitismo, ponga realmente in essere la condotta vagheggiata od esaltata indebitamente, [cioè assuma droga o compia una delle condotte descritte nell’art. 73 dpr 309/90] è circostanza del tutto ininfluente ai fini della configurazione e del perfezionamento del delitto in questione.
Come implicitamente anticipato, l’aspetto che, infatti, rileva a tale scopo, è esclusivamente quello dell’idoneità potenziale della comunicazione a pervenire efficacemente al destinatario ed essere recepita integralmente nella sua sintesi illecita.
Per quanto, invece, attiene al procedimento definito dal Tribunale di Benevento, oggetto della presente nota di commento, si deve notare che, pur nella sua dimostrata insussistenza di merito, la prospettazione giuridica avanzata dalla pubblica accusa e concretatasi attraverso il ricorso all’ipotizzazione della violazione dell’art. 73 co. 1 ed 1 bis dpr 309/90, è apparsa aderente alla ricostruzione dei fatti.
In linea puramente teorica ed in forma meramente apparente, infatti, era plausibile il sostenere che si potesse ravvisare, nella fattispecie, una fusione di comportamenti fattuali illeciti, tutti legati da un minimo comune denominatore.
Questo denominatore sarebbe consistito nella volontà di addivenire, alla fine, al perfezionamento della fattispecie, penalmente sanzionata, della coltivazione non autorizzata di piante di cannabis.
La partecipazione concorsuale dell’imputato (un commerciante che vende abitualmente semi di canapa sia on-line, che nella forma del diretto dettaglio con negozi propri) alla commissione del reato di coltivazione commesso da quattro giovanissimi clienti, veniva, quindi, ravvisata dalla pubblica accusa quale espressione di consapevole apporto concausale, che si era esternata sul piano strettamente morale.
Si trattava di una forma di concorso di persone nel reato piuttosto sui generis, in quanto l’unico apparente momento di contatto fra il commerciante e gli acquirenti (che non si conoscevano personalmente, che vivevano ed operavano a centinaia di chilometri di distanza e non si sono mai entrati in relazione diretta) è consistito nell’esecuzione dell’ordine di spedizione dei semi, ordinati via internet, quindi, nel perfezionamento del contratto di compravendita avvenuto in rete.
Un concorso nel reato definibile (in capo al commerciante) come anomalo, posto che l’unico elemento di configurazione astratta dell’istituto di cui all’art. 110 c.p., sarebbe stato ipotizzato in quello stato di consapevolezza originaria del commerciante inquisito di un uso indebito (degli acquirenti) dei semi venduti, condizione psicologica che si sarebbe tradotta – stando al P.M. – in una palese forma di partecipazione morale all’altrui azione, sotto le vestigia di una condotta puramente istigatoria.
La vendita dei semi in questione sarebbe stata, infatti, un antecedente storico, necessario sul piano eziologico, posto in essere dall’imputato con piena coscienza e volontà di pervenire – in fase successive – sia alla coltivazione, che alla germinazione della pianta, dalla quale trarre, indi, il prodotto tossicologicamente perfetto, cioè rientrante nella tabella delle sostanze stupefacenti.
Questa, dunque, formalmente poteva essere ed, effettivamente, sul piano procedimentale, era la tesi accusatoria.
La stessa, però, si è rivelata inconsistente, per alcuni ordini di motivi.
A.   La prima preliminare ragione, recepita in toto dal giudicante, consiste nella nozione legale di stupefacente.
E’ stato, infatti, dimostrato che i semi sono esclusi dalla nozione legale di ********.
Tale assunto sta a significare che essi non possono venir considerati quali sostanze stupefacenti, giusto il disposto della L. 412 del 1974, art. 1, comma 1, lett. B; della Convenzione unica sugli stupefacenti di New York del 1961 e, da ultimo, della tabella I Decreto Ministero della Salute 11 aprile 2006.
“…Il termine canapa è, infatti, riferibile unicamente alle sommità fiorite o fruttifere della pianta ad esclusione dei semi e delle foglie non accompagnate dalle relative sommità…”.
Afferma, quindi, poi, il giudice monocratico di Benevento, in maniera chiara ed esatta, il principio che “La vendita di semi non è idonea, quindi, a ledere il bene giuridico protetto in linea generale dalla legislazione sugli stupefacenti, non potendo ai predetti essere attribuito il benché minimo effetto drogante”.
Ergo, appare indiscutibile che la vendita di semi concretizza un momento comportamentale antecedente che non si fonde, non può essere confusa, in alcun modo, con la attività di coltivazione.
B.     Dalle considerazioni che precedono deriva, poi, l’osservazione che appare operazione di fondamentale rilievo, quella di esaminare la causale che sottende alla vendita, nonché il comportamento usuale del commerciante-venditore.
Nel caso di specie è stato dimostrato che lo scopo della messa in circolazione dei semi, da parte dell’imputato, è quello del collezionismo.
In pratica l’inquisito non ha mai ceduto a terzi (contro il pagamento di un prezzo) semi, spinto dall’intenzione di favorire il fenomeno della coltivazione.
In proposito, assolutamente decisivo è stato (ed usualmente deve essere ritenuto sotto il profilo strettamente processuale) l’esame della complessiva condotta dell’imputato nell’esercizio quotidiano della propria attività commerciale, operato in modo esaustivo dal giudice.
Poiché quest’ultima viene svolta in parte preponderante via internet, il controllo del sito della società dell’imputato, che è, certamente, lo strumento mercantile per antonomasia, ha potuto certificato l’adozione di misure di prevenzione informativa, atte a dimostrare la insussistenza di un disegno di diffusione e proliferazione dell’uso di stupefacenti.
L’uso di finestre pop up, riportanti messaggi di ammonimento agli utenti, in ordine sia ai divieti legislativi vigenti, sia ai limiti di utilizzazione dei prodotti che si possono acquistare, (corredate poi, dall’invito a desistere dall’uso di droghe) ha, inoltre, certamente assolto alla ulteriore funzione di una corretta informazione e, sul piano processuale, ha permesso di escludere che, nel caso in disamina, sussistesse l’elemento psicologico sia riguardante il concorso nella successiva condotta coltivativa (art. 73), sia – in via residuale – sia riguardante la gradata ipotesi di cui all’art. 82.
Quest’ultima fattispecie, infatti, avrebbe potuto essere richiamata, seppur in via estremamente subordinata, laddove fossero stati ravvisati e rinvenuti messaggi ispirati ad una funzione di esaltazione e sublimazione dell’uso di stupefacenti (come successo in altra situazione V. GUP Firenze 23 Luglio 2007, S.G, in questa rivista)
C.     Altro fattore importante conseguente alle valutazione sin qui sviluppate è quello della totale indipendenza ed autonomia del comportamento dell’acquirente, che, dunque, sfugge a qualsiasi forma di controllo da parte del venditore.
Si tratta di una conclusione assolutamente elementare nella sua logicità, ma, comunque, decisiva.
Una volta, che viene, infatti, escluso che il dante causa (venditore) non sia assolutamente legato, attraverso il denominatore di un comune contesto soggettivo, all’acquirente, appare indubbio che le volontà e le consapevolezze di entrambi sono – se tra loro rapportate – del tutto differenti, libere ed autosufficienti e non si influenzano reciprocamente in alcun modo.
Una volta uscita, quindi, dalla sfera di disponibilità del commerciante, la destinazione che la res (i semi nella fattispecie) subisce, ad opera esclusiva dell’acquirente, non può involgere a ritroso neppure in maniera minima il primo agente.
La scelta di destinare una cosa ad un uso espressamente vietato ex lege, con consequenziale deragliamento della condotta iniziale dal binario di originaria liceità, (che avrebbe dovuto essere percorso) siccome configura un’opzione attribuibile – come nel caso che ci occupa – in via esclusiva all’acquirente, non può dispiegare effetti, per cosi dire, retroattivi.
Non può essere cagionata, così, una forma di estensione della colpevolezza anche nei confronti di persone che non hanno partecipato (né direttamente, né indirettamente) all’iter formativo e costitutivo dell’illecito verificatosi.
Un’applicazione che si ponesse all’opposto di questo principio dell’autonomia delle condotte individuali, dunque, comporterebbe un’indebita ed inammissibile estensione del già discutibile principio di oggettivizzazione della responsabilità penale, sacrificando, così, in toto il profilo personalistico della stessa.
 
 
Rimini, lì 2 Marzo 2008
 
*******************
 
 
 
N.0074/2008 Sent./M
N. 0218/2007 R.G. Tribunale
N. 0745/2006 N.R.
 
TRIBUNALE DI BENEVENTO
RITO MONOCRATICO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
L’anno 2008, il giorno 30 del mese di gennaio
Il Giudice dr. ****************
con l’intervento del P.M. in persona del dr. *********************** Ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
(artt. 544 e segg. 549 c.p.p.)
nella causa penale
CONTRO
C.D., elettivamente domicilioato c/o studio Avv. *******************, Via Flaminia n. 171/b, Rimini
LIBERO – CONTUMACE
Difeso di fiducia dall’Avv. *******************, Via Flaminia n. 171/b, Rimini.
IMPUTAZIONE
del reato p. e p. dall’art. 73 1 bis e 1° comma, D.P.R. 309/90, perché concorreva mediante istigazione all’illecita coltivazione di sostanze stupefacenti da parte dei minori M.F., M.L., L.V. E P.R.; invero, a seguito di perquisizione in una vecchia costruzione utilizzata abusivamente dai predetti minori veniva accertata l’esistenza di una coltivazione di “cannabis indica” posta in essere sulla base di depliants forniti a mezzo posta da C.D. Quale titolare di “******”; ovvero venivano ritrovate due piantine alte circa 10 cm e due bustine che prima contenevano semi di cannabis indica.
Accertato il 7/7/05 in Circello.
CONCLUSIONI:
Il P.M., chiede la condanna al minimo della pena.
Il difensore dell’imputato, chiede sentenza di assoluzione.
MOTIVAZIONE
A seguito di rinvio a giudizio disposto dal G.U.P. Con decreto del 13/02/2007, si è proceduto nei confronti di C.D., chiamato a rispondere del reato a lui ascritto in rubrica.
Aperto il dibattimento in contumacia dell’imputato, all’udienza del 20/06/2007 le parti hanno articolato le rispettive richieste di prova, orali e documentali, tutte ritualmente ammesse; in particolare, oltre atti irripetibili (verbale di sopralluogo e rilievi fotografici, verbali di perquisizione e sequestro della sostanza stupefacente), sono stati acquisiti, su richieste della difesa, la visura camerale della ditta facente capo all’imputato, la home-page del sito internet gestito da quest’ultimo, il verbale di analisi dell’Arpac, la sentenza emessa dal Tribunale per i Minori di Napoli nei confronti di M.L., M.F., L.V. E P.R., nonché i verbali di sommarie informazioni rese dai predetti ai Carabinieri di Colle Sannita.
Esaminati, di seguito, i testi di lista, all’esito dell’istruttoria, dichiarata utilizzabili tutti gli atti legittimamente acquisiti al fascicolo del dibattimento, il P.M. ed il difensore hanno concluso nei termini in epigrafe trascritti.
Il Giudice ha, infine, deciso come da dispositivo del quale ha dato lettura in udienza.
Nel merito, C.D.. va mandato assolto dal reato a lui ascritto per non avere commesso il fatto.
Venendo in concreto ai fatti di causa, va subito evidenziato che le due piantine di cannabis sono state rinvenute, unitamente ad alcuni semi della stessa specie, a seguito di una perquisizione effettuata in una vecchia costruzione utilizzata abusivamente dai minori indicati in premessa.
La predetta circostanza, emersa pacificamente dai rilievi topografici prodotti dal P.M. e dai verbali di sequestro, ha trovato conferma nelle dichiarazioni rese dai testi escussi e nella sentenza emessa dal Tribunale di Napoli che ha proceduto nei confronti dei predetti.
In sostanza, M.L., M.F., L.V. E P. R., hanno acquistato on-line, dal sito internet gestito dall’imputato, alcuni semi di cannabis.
I ragazzi hanno piantato i semi, utilizzando una vecchia costruzione abbandonata, ed hanno ricavato due piantine dell’altezza di circa 10 centimetri (complete, di radici, fusto, foglie ed infiorescenze, come meglio evidenziato nel verbale di analisi redatto dall’Arpac), poi sequestrate dai Carabinieri.
La vendita dei semi, peraltro mai contestata dalla difesa, è stata documentata attraverso la copia dell’involucro del pacco spedito dalla ditta venditrice ed attraverso le pagine riproducenti i prodotti venduti on-line dall’imputato.
Nessun dubbio può, quindi, sorgere in merito alla dinamica dei fatti ed alle qualità e quantità della sostanza stupefacente in sequestro.
In problema va, quindi, affrontato esclusivamente sotto il profilo giuridico.
Un primo aspetto va messo in evidenza.
La contestazione riguarda specificamente non tanto la messa in vendita dei semi di cannabis, quanto piuttosto l’istigazione all’illecita coltivazione posta in essere in concreto dai minori.
Ed infatti, non costituisce condotta penalmente rilevante la vendita dei semi di canapa indiana, seppure effettuata tramite sito internet, in quanto secondo la legislazione internazionale (vedasi in particolare la convenzione unica sugli stupefacenti) il termine canapa è riferibile unicamente alle sommità fiorite o fruttifere della pianta ad esclusione dei semi e delle foglie non accompagnate dalle relative sommità.
La vendita di semi non è idonea, quindi, a ledere il bene giuridico protetto in linea generale dalla legislazione sugli stupefacenti, non potendo ai predetti essere attribuito il benché minimo effetto drogante.
All’imputato viene, quindi, imputato di aver di fatto indotto (di qui la contestazione di istigazione) i minori a coltivare piante di canapa mediante la vendita dei semi idonei a tal fine.
In realtà, nella vicenda che ci occupa, è facile rilevare l’assoluta insussistenza dell’ipotizzato concorso posto in essere nelle forme dell’istigazione (a prescindere dal problema della sussistenza di una mera attività di coltivazione domestica (attraverso la qualeil soggetto si l imita a fra crescere in casa in vasi o nel giardino della propria abitazione un esiguo numero di piante da cui è possibile ricavare un quantitativo di droga modesto e bastevole per esclusivo uso personale), ovvero di vera e propria attività di coltivazione tecnico-agraria, consistita nella semina, nella preparazione del terreno, nel governo delle piante, elementi questi incompatibili con la destinazione ad uso personale del prodotto in quanto idonei ad accrescere effettivamente e significativamente la provvista disponibile di sostanza stupefacente e, quindi, certamente dimostrativi di una destinazione finale, o eventualmente anche parziale, sul mercato).
Il possesso delle piante risulta, infatti, chiaramente ascrivibile, solo ed esclusivamente ai minori e non all’odierno imputato, il quale deve ritenersi del tutto estraneo all’attività di coltivazione.
Rientra, comunque, nell’attività costitutiva del concorso nel reato non solo quella che si concretizza nella partecipazione all’esecuzione materiale del reato stesso, ma anche quella morale che esplicandosi sotto il profilo soggettivo nella consapevole opera di determinazione istigazione o rafforzamento della volontà di un determinato reato nell’autore materiale di esso, ne costituisca, sotto il profilo oggettivo, adeguata concausa efficiente.
Nella vicenda che ci occupa l’imputato, tuttavia, al di fuori della mera vendita effettuata on-line, non ha posto in essere alcuna concreta attività istigativa.
La predetta circostanza si ricava proprio dalla home page del sito internet attraverso la quale è segnalato specificatamente che, pur non potendo i semi di canapa essere considerati come sostanza stupefacente, la coltivazione di piante di cannabis è espressamente vietata dagli artt. 28 e 73 del D.P.R. 309/90 e che i semi potranno essere utilizzati per finalità che non siano in contrasto con la legge.
Vè di più.
Tra i richiami effettuati dal venditore c’è, sia pure implicitamente, l’invito a desistere dal consumo della droga!
Manca, pertanto, qualsiasi forma di concreta istigazione non potendosi la stessa ravvisare puramente e semplicemente nella vendita dei semi in contestazione (dovendosi altrimenti ritenere configurata l’istigazione in tutti i casi di vendita di beni pericolosi e potenzialmente lesivi per la collettività: si pensi, ad esempio, alle armi, ai veleni, ecc.).
La mancanza, quindi, di un qualsiasi elemento idoneo ad integrare gli estremi del concorso di persone del reato, C.D. va mandato assolto dal reato a lui ascritto per non aver commesso il fatto.
P.Q.M.
Letto l’art. 530 c.p.p. Assolve C.D. dal reato a lui ascritto per non aver commesso il fatto. Motivazione in giorni trenta.
Benevento, 30/01/2008.
Il Giudice
Dr. ****************
 
Depositato in cancelleria
Benevento, lì 7 feb 2008
 
 

Zaina Carlo Alberto

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