Una (fittizia) mediazione fa’ il suo ingresso nel processo tributario

Scarica PDF Stampa

Sebbene sia ancora pendente la spada di Damocle sulla mediazione obbligatoria nelle controversie civili e commerciali, il Legislatore prosegue con l’opera di trasferimento – per fini deflativi – della soluzione delle controversie in favore degli strumenti alternativi alla giurisdizione introducendo l’obbligatorio esperimento di una procedura conciliativa anche con riferimento alle controversie in materia tributaria.

Il comma 9 dell’art. 32 del d. l. 6 luglio 2011, n. 98, recante “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”, introduce l’art. 17-bis al d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 54, prevedendo che «per le controversie di valore non superiore a ventimila euro relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate, chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo».

La procedura di reclamo prevista si presenta quale condizione di ammissibilità del ricorso dinanzi la magistratura tributaria, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio (art. 17-bis, c. 2) e riguarda tutti gli atti emessi dalle Agenzie delle Entrate, di qualsiasi natura e genere, con la sola eccezione del recupero degli aiuti di stato di cui all’art. 47-bis del D. Lgs. n. 546/1992, di valore non superiore a ventimila euro, determinato sulla base dell’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato, ai sensi dell’art. 12, c. 5 D. Lgs. 546/1992.

La procedura ha inizio con la presentazione di un reclamo presentato alla Direzione provinciale o alla Direzione regionale che ha emanato l’atto, con la conseguenza che tali Uffici dovranno dotarsi di appositi uffici e personale diversi ed autonomi – art. 17-bis, c. 5 – da quelli che hanno istruito e prodotto l’atto reclamato,

Il c. 6 dispone che trovino applicazione, in quanto compatibili, le disposizioni ordinariamente previste per il contenzioso tributario in materia di assistenza tecnica (art. 12 D. Lgs. n. 546/1992), contenuto del ricorso (art. 18), atti impugnabili ed oggetto (art. 19), nonché sui termini per la proposizione dello stesso (artt. 20 e 21).

Il reclamo presentato, unitamente alle ragioni opposte dal ricorrente, può altresì contenere una motivata proposta di mediazione, comprensiva della rideterminazione dell’ammontare della pretesa tributaria.

L’Amministrazione ricevente può soltanto accogliere ovvero rigettare il reclamo volto all’annullamento totale o parziale dell’atto, ovvero l’eventuale proposta di mediazione. Nel caso di rigetto del reclamo ovvero della proposta , l’Amministrazione è tenuta a formulare una propria proposta di mediazione «avuto riguardo all’eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione amministrativa» (art. 17, c. 8).

In questo caso troveranno applicazione le medesime previsioni stabilite dall’art. 48 in tema di “conciliazione giudiziale”, in particolare con riferimento al valore di titolo per la riscossione del verbale e connesse modalità di pagamento, nonché le rimodulazioni delle sanzioni applicate in misura del 40% della somma applicabile.

Di conseguenza, i margini per la mediazione appaiono estremamente ristretti in quanto predefiniti dalla normativa vigente, cui si fa riferimento estendendone l’applicabilità all’ambito oggettivo già indicato, vanificando ogni tentativo di confronto e risoluzione in via conciliativa della questione.

Pertanto appare evidente come l’uso del termine “mediazione” per la qualificazione di tale procedura risulti assolutamente inconferente atteso che, in realtà, viene introdotta una sede preventiva ed esterna al giudizio in commissione tributaria per la definizione agevolata di una sorgente controversia creando minime aree di fuga dalle rigide previsioni normative (relativamente alla determinazione delle somme da corrispondere, nonché delle relative sanzioni e modalità di corresponsione).

Tuttavia sorgono numerosi dubbi di opportunità e di funzionalità della procedura in considerazione della circostanza secondo la quale la procedura non è affidata da un organismo, terzo ed imparziale, che la gestisca con professionalità, assegnandola a personale qualificato e adeguatamente formato per aiutare le parti a trovare un accordo. Al contrario, l’intero procedimento viene gestito dalla medesima Amministrazione che ha prodotto l’atto, sia pure costituendo appositi nuclei interni – caratterizzati da indipendenza ed autonomia – esclusivamente deputati alla gestione del flusso di reclami, di modo che l’Amministrazione delle Entrate si qualifichi contemporaneamente decisore e parte del procedimento, cui spetta in ogni caso l’ultima parola nella determinazione di una soluzione mediata della questione.

Manca, infatti, un momento di reale confronto tra le istanze del contribuente e quelle dell’Amministrazione che comunicano in modo asettico attraverso uno scambio di atti sostanzialmente giurisdizionali. Ed invero, nell’ipotesi in cui decorrano 90 giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento del reclamo ovvero senza che sia stata conclusa la mediazione, il reclamo produce i medesimi effetti del ricorso, facendo così decorrere i termini per la costituzione in giudizio del ricorrente (art. 22) e della parte resistente (art. 23). Viceversa, nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate respinga il reclamo in data antecedente, i termini in questione decorrono dal ricevimento del diniego ovvero, nel caso di accoglimento parziale, dalla notificazione dell’atto di accoglimento parziale.

Le stesse posizioni del confronto sono estremamente limitate, in quanto il contribuente può contestare interamente o parzialmente l’atto emesso dall’Agenzia delle Entrate e solo eventualmente proporre una proposta conciliativa cui non seguirà un confronto di posizioni finalizzato alla mediazione, quanto piuttosto l’atto autoritativo dell’Agenzia che ben potrà rifiutare (interamente ovvero parzialmente) il reclamo e la proposta, proponendo una soluzione alternativa che – se non accolta dal contribuente – potrà influire sugli esiti del successivo giudizio.

Ed invero, come già disposto con riferimento alle controversie in materia civile e commerciale, è prevista una specifica sanzione processuale per la parte soccombente, che dovrà corrispondere una somma pari al 50% delle spese di giudizio a titolo di rimborso delle spese sostenute per il procedimento conciliativo (art. 17, c. 10).

Tuttavia, viene anche previsto che – fuori dai casi di soccombenza reciproca – la commissione tributaria disponga la compensazione (totale ovvero parziale) delle spese tra le parti qualora ricorrano «giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, che hanno indotto la parte soccombente a disattendere la proposta di mediazione».

Probabilmente i vantaggi conseguenti l’applicazione di una simile procedura vanno rintracciati nella potenziale celerità nella definizione, atteso che l’Amministrazione ed il contribuente, ricorrendo alla procedura per reclamo, potranno vedere definita la posizione in tempi estremamente brevi, al massimo 90 giorni dalla presentazione del reclamo.

In fine, è opportuno precisare che il procedimento delineato troverà applicazione a decorrere dal 1 aprile 2012. Tuttavia i procedimenti «pendenti alla data del 1° maggio 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio» rientranti nello scaglione per il quale è prevista la procedura di reclamo, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio possono essere definite con il pagamento di una somma determinata ai sensi dell’articolo 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.

Peter Lewis Geti

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento