Una delicata questione: la debenza della tassa di concessione governativa sui “telefonini portatili”

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Le novità introdotte dal D.Lgs. n. 259/03, noto come Codice delle comunicazioni elettroniche, hanno comportato, ad avviso di chi scrive, anche interessanti effetti di carattere tributario, in ordine alla debenza, o meno, della tassa di concessione governativa sui telefonini portatili.

L’atto normativo de quo è stato invocato, in sede contenziosa, sia avverso atti impositivi consacranti la pretesa tributaria anzidetta che avverso il silenzio ( con valenza provvedimentale) serbato dall’Amministrazione secondo quanto prescritto dall’art. 21 del D. Lgs. n. 546/92.  

Il tema, peraltro, ha interessato qualsiasi categoria di contribuente, sia privato che pubblico.

Le istanze di rimborso relative a prestazioni tributarie espletate ma reputate non dovute ( quasi sempre formulate da enti pubblici), entro il termine di cui all’art. 13,  comma secondo, del D. Lgs. n. 641/1972, hanno rappresentato il “presupposto strutturale” per l’esercizio del diritto d’azione innanzi al Giudice tributario.

In particolare, le argomentazioni addotte in sede contenziosa, volte a supportare il ricorso tributario e a superare favorevolmente il vaglio giurisdizionale, si sono fondate, con ampia condivisione da parte di chi scrive, anche sul motivo secondo cui l’art. 21 della tariffa annessa al D.P.R. n. 641/72 è da considerarsi tacitamente abrogato e/o disapplicabile, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo Codice delle Telecomunicazioni elettroniche inserito nel corpus normativo di cui al D. Lgs. n. 259/2003 che, in attuazione delle direttive comunitarie, ha liberalizzato il mercato.

Ciò, in quanto con la predetta novella normativa si sono verificate indubbie innovazioni nell’àmbito del processo di privatizzazione, segnando, così, il passaggio dalla originaria concessione al contratto ( Sul concetto di privatizzazione, si rinvia a F. CARINGELLA, Compendio Di Diritto Amministrativo, Roma, 2010, pagg. 12 e ss.).

Persino in tema di servizi pubblici locali, è stato acutamente osservato che  “ … oggi un largo settore della dottrina ritiene peraltro che non vi sia alcuno spazio, nella materia dei servizi pubblici locali, di un provvedimento concessorio e che si debba invece utilizzare la  figura del contratto di servizio “ ( R. VILLATA, in AA.VV., Diritto Amministrativo, Parte Generale I, Bologna, 2005, pag. 853).

Orbene, l’art. 3 del D. Lgs. n. 259/2003, titolato principi generali, dispone che “ Il Codice garantisce i diritti inderogabili di libertà delle persone nell’uso dei mezzi di comunicazione elettronica, nonché il diritto di iniziativa economica ed il suo esercizio in regime di concorrenza, nel settore delle comunicazioni elettroniche.
La fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica, che è di preminente interesse generale, è libera e ad essa si applicano le disposizioni del Codice “.

Ne consegue che la concessione, intesa quale atto amministrativo  adottato in merito ad un rapporto di natura pubblicistica ( con un’evidente posizione di preminenza dell’Amministrazione rispetto alla posizione giuridico-soggettiva del privato), è stata sostituita dal contratto inteso regolamento o atto di autonomia negoziale, che, presupponendo una posizione di parità tra le parti contraenti, consente alle stesse di valutare il reciproco assetto degli interessi in gioco.

L’intervenuta tacita abrogazione, conforme al dettato normativo di cui all’art. 15 delle “ DISPOSIZIONI SULLA LEGGE IN GENERALE “, si fonda anche sull’evidente incompatibilità tra la disposizione di cui all’art. 21 della tariffa del D.P.R. n. 641/72 e il D.Lgs. n. 259/2003 ( sull’abrogazione tacita per incompatibilità, si rinvia alla risalente  sentenza n. 1423 del 7/03/1979, pronunciata dalla Sprema Corte di Cassazione ; in dottrina si veda PUGLIATTI, voce Abrogazione, Enciclopedia del Diritto, 1958).

L’interessante filone giurisprudenziale, favorevole alla restituzione della tributo versato, si è fondato, a parere di chi scrive, su percorsi argomentativi ed ermeneutici corretti e pienamente conformi alla mutata realtà di diritto.

In particolare, con la sentenza n. 5 del 10/01/2011, la Commissione Tributaria Regionale Veneto, Sezione I, ha statuito che con il D. Lgs. n. 259/2003 “ …. è stata abrogata tacitamente tutta la normativa basata sul presupposto di un rapporto concessionario di tipo pubblicistico, è venuto quindi meno il presupposto per l’applicazione della T.C.G..
Infatti l’abrogazione tacita è regolata da una norma di carattere generale qual è l’art. 15 delle Disposizioni sulla legge in generale che introducono il Codice civile.
….
Nella fattispecie ricorre questa situazione perché il passaggio dal regime pubblicistico a quello privatistico ha costituito una nuova totale regolamentazione della materia ed ha comportato un nuovo assetto normativo.
Come conseguenza tutta la precedente disciplina, che era basata sul presupposto della concessione, risulta abrogata; anche l’art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. n. 641/72 e pure l’art. 3 del D.M. n. 33 del 13/02/1990, che  a sua volta presupponeva il regime della concessione “.

Con un’ulteriore sentenza, n. 4 del 17/01/2011, la Commissione Tributaria Regionale Veneto, Sezione XVI, ha statuito che “ Si deve dunque ribadire che, poiché la tassa di concessione governativa va corrisposta là dove la legge imponga come obbligatoria una concessione o una autorizzazione per l’esercizio di una determinata attività, mentre l’attività di chi detiene  e si serve di un telefono portatile sulla base di un contratto con una società fornitrice di servizi di telefonia mobile non è sottoposta dalla legge ad alcun tipo di provvedimento amministrativo concessorio o autorizzativo, sia pure implicito, non vi è il presupposto per l’applicazione della tassa sulle concessioni governative che quindi non è dovuta”.

I Giudici d’appello osservano, con somma acutezza, che il passaggio dal pubblico al privato della gestione dei servizi telefonici ha fatto venir meno l’ assoggettamento alla tassa di  concessione governativa di un contratto di natura privatistica, dovendosi pertanto qualificare come “ …. Privi di fondamento normativo gli atti dell’Amministrazione che ne hanno preteso il pagamento e che hanno irrogato sanzioni per il mancato pagamento “ ( Per un utile e puntuale approfondimento, V. STROPPA, Tassa sui telefonini, ancora un Ko, in  ItaliaOggi del 28/01/2011, pag. 19; V. STROPPA, Telefonini senza imposta, in ItaliaOggi del 25/01/2011, pag. 21)

L’illegittimità della pretesa tributaria afferente alla tassa di concessione governativa per l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile, è stata  statuita anche dalla Commissione Tributaria Regionale Perugia, Sezione I, con sentenza n. 37 del 15/02/2011.

Con l’anzidetta decisione la Commissione Tributaria Regionale ha rilevato che “ … Il riconoscimento del diritto inderogabile di libertà delle persone nell’uso dei mezzi di comunicazione elettronica, fra cui senz’altro rientrano i telefoni cellulari, è incompatibile con un sistema di concessione della facoltà di utilizzo degli apparecchi o di autorizzazione al loro uso.
Infatti, il nuovo Codice delle comunicazioni, in coerenza con i principi generali che si pone, non prevede in nessun caso licenze e autorizzazioni, in nessuna forma, per il possesso e l’utilizzo di attrezzature idonee ad accedere alle reti di comunicazione, sia da parte di privati che di imprese od enti .
…….. Tornando, dunque, alla questione della sussistenza o meno del presupposto impositivo della tassa di concessione governativa sui telefoni cellulari, deve concludersi che tale presupposto difetti nell’attuale sistema normativo “.

Giova completare il filone giurisprudenziale fin qui descritto, con la sentenza n. 22/02/11, adottata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Nuoro e depositata il 21/03/2011.

Con l’anzidetta decisione è stato statuito che il Codice delle Telecomunicazioni ( D. Lgs. n. 259/2003) contiene una disciplina incompatibile con quella contenuta nel D.P.R. n. 641/72 e segnatamente con l’art. 21 dell’annessa tariffa.

 Ciò, in quanto si liberalizza la fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica con contestuale  tacita abrogazione dell’intero sistema delle concessioni.

Alla luce delle osservazioni che precedono, pertanto, il contribuente che intenda formulare istanza di rimborso relativa alla prestazione indebitamente eseguita, dovrà osservare i prescritti termini decadenziali e giustificare le ragioni di fatto giuridiche sottese alla domanda de qua.

De iure condito, ove ricorrano fondati presupposti, il contribuente potrà ricorrere al Giudice tributario sia contro il provvedimento espresso di rigetto che contro l’eventuale silenzio rifiuto, fictio iuris.

Al riguardo, appare utile evidenziare che, secondo Autorevole Studioso, il contribuente può vantare nei riguardi dell’Ente impositore “ …. tre tipi di crediti: a) crediti per rimborso dell’indebito; b) crediti per rimborso di acconti o altre somme  debitamente versate; c) crediti d’imposta in senso stretto “ ( F. TESAURO, Istituzioni di Diritto Tributario, Parte Generale I, Nona edizione, Torino, 2006, pagg. 297 ss.).

Ad avviso di chi scrive, infine, sarebbe  opportuno un intervento del Legislatore volto a chiarire definitivamente, con norma di interpretazione autentica, l’àmbito e la portata applicativa delle disposizioni suindicate, fermo restando, in ogni caso, che un intervento chiarificatore dell’Amministrazione, attraverso i prescritti documenti di prassi ed in ossequio al principio della collaborazione e della buona fede di cui all’art. 10 dello Statuto dei diritti del Contribuente, ben potrebbe rivelarsi utile ed efficace.

Gennaro Di Gennaro

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