Un principio risalente alla legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla di contabilità di Stato (art. 3 legge n. 2440/1923), a garanzia del maggior vantaggio per l’Amministrazione e degli stessi diritti di accesso dei privati alla commesse ed ai be

Lazzini Sonia 24/05/07
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Merita di essere segnalato il seguente pensiero espresso dal Consiglio di Stato nella decisione numero 1523 del 4 aprile 2007:
 
< A fronte della chiarezza del dato letterale della norma non possono avere ingresso i criteri interpretativi di carattere sistematico suggeriti dalla ricorrente, che hanno funzione sussidiaria ed ai quali può farsi ricorso solo in presenza di disposizioni di dubbio contenuto onde ricostruire l’effettiva volontà del legislatore. Né, in particolare, il richiamo dell’art. 13, primo comma, all’ importo del contratto può indurre all’applicazione della norma ai soli casi in cui lo strumento negoziale determini spese a carico dell’ ente, trattandosi di elemento del negozio che si riscontra sia nei contratti che comportino esborsi a carico del committente, sia in quelli che introducono un’ entrata.
 
     Tantomeno l’ interpretazione restrittiva dell’ art. 13 della L.P. n. 6/1992 può ricondursi al comma terzo della disposizione medesima nella parte in cui fa rinvio, in quanto compatibili, alle previsioni di cui all’art. 6, comma 14 e seguenti, della L.P. n. 17/1993.
 
     Il disposto di cui innanzi si limita, invero, a ribadire l’ applicazione “altresì” di cui talune regole, dettate anche a livello comunitario, per l’aggiudicazione dei contratti di appalto i forniture servizi, ma che non esclude affatto il valore precettivo della norma anche per in contratti che comportino entrate.
 
Ma anche ad accedere alla tesi della ricorrente la gestione della finanza locale secondo criteri di economicità, efficienza e buon andamento, con limiti al credito esterno ed all’ indebitamento, si realizza non solo attraverso il controllo della spesa, ma anche con la migliore gestione delle risorse dell’ente, nel cui ambito rientra l’utilizzo a fini economici di beni che fanno parte del patrimonio o del demanio e che vengano ceduti in godimento di terzi con ricavo di un corrispettivo ad incremento delle entrate finanziarie.
 
     Si tratta del resto di principio risalente alla legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla di contabilità di Stato (art. 3 legge n. 2440/1923) che, a garanzia del maggior vantaggio per l’Amministrazione e degli stessi diritti di accesso dei privati alla commesse ed ai beni pubblici, assoggetta indistintamente alle regole di selezione del contraente sia i contratti che determinino spesa a carico dell’erario, sia quelli dai quali derivino entrate>
 
Ma vi è di più.
 
< La presenza di connotazioni concessorie nel conferimento del potere di sfruttamento di una cava di proprietà pubblica non sottrae alle regole di concorsualità la scelta del privato, ove a ciò si pervenga attraverso uno strumento contrattuale che regoli le reciprochi posizioni di diritto e di obbligo.
 
     Tale conclusione e del resto avvalorata dai principi già codificati in tema di appalti di lavori pubblici, per il quali, la necessità della gara è prevista anche nei casi di “concessioni di lavori pubblici” (artt. 19, comma secondo, e 20, comma secondo, della legge n. 109/1994).
 
     Il trasferimento al privato di diritti, prerogative e poteri dell’ ente non costituisce quindi un schermo che impedisca l’applicazione delle regole di concorsualità per la scelta del soggetto con cui convenire modalità, termini e corrispettivi per l’assegnazione in uso esclusivo del bene pubblico>
 
A cura di *************
 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
ANNO 2006
 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
 
DECISIONE
 
sul ricorso in appello proposto da *** Marmo S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa ***************, ***************, *******************, con domicilio eletto presso l’ultimo in Roma, via Lima, n. 15;
 
contro
 
– la ditta *** s.r.l., costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti ***************** e ************ò, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via A. Gramsci, n. 36;
 
e nei confronti
 
– dell’ Amministrazione Separata dei Beni di Uso Civico *** Centro, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti ************** di Silandro e ************, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via A. Friggeri, n. 103;
 
– il Comune di ***, non costituitosi in giudizio;
 
per l’annullamento
 
della sentenza del T.R.G.A. Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano, n. 49/2006 del 06.02.2006;
 
     Visto il ricorso con i relativi allegati;
 
     Visti gli atti di costituzione in giudizio della la ditta *** s.r.l. e dell’ Amministrazione Separata dei Beni di Uso Civico *** Centro;
 
     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
 
     Visti gli atti tutti della causa;
 
     Nominato relatore per la pubblica udienza del 6 febbraio 2007 il Consigliere ********************;
 
     Uditi per le parti gli avv.ti ******, ********, Calò e ******;
 
     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
 
FATTO e DIRITTO
 
     1). Con delibera n. 2 del 04.01.2002 il Comitato dell’ Amministrazione Separata dei Beni di Uso Civico *** Centro – a rinnovazione di precedente provvedimento annullato dal T.R.G.A. Bolzano con sentenza n. 379 del 20.12.2001, confermata in appello dal Consiglio di Stato, Sez. VI^, con decisione n. 2992/2003 – stabiliva di prescegliere quale affittuaria della cave marmifere del Comune di *** l’ impresa. *** Marmo S.p.a. e, contestualmente, approvava la bozza del relativo contratto.
 
     Avverso detta decisione insorgeva avanti al T.R.G.A. Bolzano la ditta *** s.r.l. – che con plurime istanze aveva rappresentato il proprio interesse ad assumere la gestione dell’ area di cava – denunziando motivi di violazione di legge ed eccesso di potere in diversi profili.
 
     Con la sentenza di estremi indicati in epigrafe il T.R.G.A. adito accoglieva il ricorso e disponeva l’annullamento dell’atto gravato per motivi di legittimità inerenti:
 
     – alla violazione dell’art. 13 della L.P. 14.02.1992, n. 6, per non essere intervenuta deliberazione a contrattare recante la motivazione delle ragioni della scelta del metodo a trattativa privata per la stipula del contratto;
 
     – all’inapplicabilità dell’art. 11 della L.P. 21.01.1987, n. 2, che consente il ricorso alla trattativa privata nei soli casi di stipula di “contratti di affitto o di locazione sia attivi che passivi”.
 
     All’ accertata illegittimità della fase pubblicistica di individuazione del contraente il T.R.G.A. riconduceva, inoltre, l’inefficacia del contratto di affitto stipulato con al Soc. *** Marmo. IL T.R.G.A. respingeva, infine, la domanda risarcitoria avanzata dalla *** s.r.l.
 
     Avverso detta decisione ha proposto appello la Soc. *** Marmo ed ha confutato con articolati motivi le conclusioni del giudice di primo grado chiedendo l’annullamento e/o riforma della sentenza gravata.
 
     L’ Amministrazione Separata dei Beni di Uso Civico *** Centro ha spiegato intervento a sostegno delle ragioni dell’appellante *** Marmo.
 
     Si è costituita in giudizio la Soc. *** che ha contrastato i motivi di appello e rinnovato le doglianze avverso al delibera n. 2/2002 assorbite al giudice di prime cure.
 
     In sede di note conclusive la Soc. *** Marmo ha insistito nelle proprie tesi difensive.
 
     All’ udienza del 6 febbraio 2007 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
 
     2). L’appello è infondato.
 
     2.1). La Sezione non reputa di potere aderire alla tesi della Soc. *** e dell’ Amministrazione Separata dei Beni di Uso Civico *** Centro con la quale si nega l’applicabilità alla fattispecie di cui è controversia, sotto i profili sia oggettivi che soggetti, dell’ art. 13 della L.P. n. 6/1992, recante disposizioni in materia di finanza locale, ove è stabilito che “la stipulazione dei contratti di importo superiore al limite stabilito nel regolamento di contabilità deve essere preceduta da (apposita ) deliberazione” indicante gli elementi scopo, oggetto del contratto e modalità di scelta del contraente.
 
     2.2). Quanto all’ estensione della valenza precettiva di detta disposizione anche nei confronti dell’ Amministrazione Separata dei Beni di Uso Civico *** Centro nella decisione che si appella è stato fatto correttamente richiamo all’art. 17 del relativo statuto ove è stabilito che “per tutto ciò che non è espressamente previsto nelle precedenti disposizioni valgono per quanto applicabili le disposizioni del T.U.O.C.” (testo unico sull’ ordinamento dei comuni).
 
     Si versa a fronte di una norma in bianco che ad integrazione dello statuto dell’ Amministrazione Separata ed in assenza di specifica regolamentazione ivi contenuta rinvia ad ogni altra disposizione sull’ordinamento degli enti locali nel cui ambito va compresa la L.P. n. 6/1992, che detta puntuali regole sulla gestione finanziaria degli enti locali quanto alla distribuzione ed al corretto utilizzo delle risorse a prevenzione di ogni situazione di indebitamento.
 
     2.3). Con un secondo ordine argomentativo parte istante sostiene che l’intero impianto normativo della L.P. n. 6/1992 è rivolto a regolamentare le procedure e i criteri di ripartizione e di utilizzo dei fondi erogabili dalla Provincia Autonoma ai Comuni. L’ art. 13 delle L.P. predetta sarebbe, quindi, chiamato ad operare solo nei casi in cui la deliberazione a contrattare determini oneri di spesa a carico dell’ ente locale e non nei casi di contratti attivi cui segue un incremento di entrate in vantaggio dell’ Ente.
 
     Osserva la Sezione che, in contrario alla tesi dell’appellante, la disposizione in esame non reca distinzione fra contratti attivi e passivi, così che per i primi resterebbe esclusa l’applicazione delle regole dell’evidenza pubblica.
 
     A fronte della chiarezza del dato letterale della norma non possono avere ingresso i criteri interpretativi di carattere sistematico suggeriti dalla ricorrente, che hanno funzione sussidiaria ed ai quali può farsi ricorso solo in presenza di disposizioni di dubbio contenuto onde ricostruire l’effettiva volontà del legislatore. Né, in particolare, il richiamo dell’art. 13, primo comma, all’ importo del contratto può indurre all’applicazione della norma ai soli casi in cui lo strumento negoziale determini spese a carico dell’ ente, trattandosi di elemento del negozio che si riscontra sia nei contratti che comportino esborsi a carico del committente, sia in quelli che introducono un’ entrata.
 
     Tantomeno l’ interpretazione restrittiva dell’ art. 13 della L.P. n. 6/1992 può ricondursi al comma terzo della disposizione medesima nella parte in cui fa rinvio, in quanto compatibili, alle previsioni di cui all’art. 6, comma 14 e seguenti, della L.P. n. 17/1993.
 
     Il disposto di cui innanzi si limita, invero, a ribadire l’ applicazione “altresì” di cui talune regole, dettate anche a livello comunitario, per l’aggiudicazione dei contratti di appalto i forniture servizi, ma che non esclude affatto il valore precettivo della norma anche per in contratti che comportino entrate.
 
     Ma anche ad accedere alla tesi della ricorrente la gestione della finanza locale secondo criteri di economicità, efficienza e buon andamento, con limiti al credito esterno ed all’ indebitamento, si realizza non solo attraverso il controllo della spesa, ma anche con la migliore gestione delle risorse dell’ente, nel cui ambito rientra l’utilizzo a fini economici di beni che fanno parte del patrimonio o del demanio e che vengano ceduti in godimento di terzi con ricavo di un corrispettivo ad incremento delle entrate finanziarie.
 
     Si tratta del resto di principio risalente alla legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla di contabilità di Stato (art. 3 legge n. 2440/1923) che, a garanzia del maggior vantaggio per l’Amministrazione e degli stessi diritti di accesso dei privati alla commesse ed ai beni pubblici, assoggetta indistintamente alle regole di selezione del contraente sia i contratti che determinino spesa a carico dell’erario, sia quelli dai quali derivino entrate.
 
     3). Con un ulteriore ordine argomentativo parte istante sostiene che la possibilità di assegnare la disponibilità dell’area di cava a trattativa privata trova fondamento nell’art. 11 della L.P. n. 2/1997, che consente il ricorso a detta forma di scelta del contraente per “i contratti di affitto o di locazione sia attivi che passivi”.
 
     Il motivo non va condiviso.
 
     Lo strumento negoziale relativo alle cave marmifere di ***, infatti, non si limita ad assegnare il godimento del bene (area di cava e relativi accessori), ma implica la traslazione in favore del privato contraente di quantitativi di marmo estratto verso corrispettivo a misura.
 
     In disparte ogni considerazione sulla natura concessoria o mento dell’atto che abilita allo sfruttamento del giacimento ciò che rileva è la natura mista del negozio, che in parte assegna il godimento del bene produttivo ed in parte realizza il trasferimento del materiale estratto. Ciò esclude che si versi a fronte di un contratto di solo affitto o locazione per il quale il richiamato art. 11 – con norma che fa eccezione alla regola dell’evidenza pubblica e, quindi, di stretta interpretazione – consente il ricorso alla trattativa privata.
 
     4). La presenza di connotazioni concessorie nel conferimento del potere di sfruttamento di una cava di proprietà pubblica non sottrae alle regole di concorsualità la scelta del privato, ove a ciò si pervenga attraverso uno strumento contrattuale che regoli le reciprochi posizioni di diritto e di obbligo.
 
     Tale conclusione e del resto avvalorata dai principi già codificati in tema di appalti di lavori pubblici, per il quali, la necessità della gara è prevista anche nei casi di “concessioni di lavori pubblici” (artt. 19, comma secondo, e 20, comma secondo, della legge n. 109/1994).
 
     Il trasferimento al privato di diritti, prerogative e poteri dell’ ente non costituisce quindi un schermo che impedisca l’applicazione delle regole di concorsualità per la scelta del soggetto con cui convenire modalità, termini e corrispettivi per l’assegnazione in uso esclusivo del bene pubblico.
 
     5). Con il quarto mezzo la Soc. *** Marmo censura la decisione del T.R.G.A. per aver dichiarato – in violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunziato codificato all’art. 112 c.p.c. – l’ “inefficacia” del contratto di affitto e sfruttamento delle cave marmifere stipulato fra l’Amministrazione Separata dei Beni di Uso Civico *** Centro e la ******à predetta in presenza di una domanda tesa ad ottenere la dichiarazione di “illegittimità”, che è istituto giuridico diverso, attinente ad aspetti patologici dell’atto e che determina le diverse conseguenza della nullità o dell’ annullabilità.
 
     Osserva la Sezione che il primo giudice ha correttamente apprezzato il punto di domanda, teso nel suo contenuto sostanziale ad ottenere l’eliminazione dal mondo giuridico di una fattispecie contrattuale alla quale l’Amministrazione è pervenuta in violazione delle regole di concorrenzialità e di accesso alle pubbliche gare, restando impregiudicata ogni ulteriore qualificazione e ricostruzione degli aspetti giuridici della vicenda secondo la valutazione di merito del tribunale adito.
 
     5.1). Le conclusioni cui è pervenuto il giudice di primo grado meritano conferma.
 
     Esse sono, invero, conformi agli arresti giurisprudenziali della Sezione che, muovendo dal rapporto di consequenzialità necessaria fra la procedura di evidenza pubblica ed il contratto successivamente stipulato, hanno riconosciuto che l’annullamento degli atti amministrativi inerenti alla scelta del contraente ed all’aggiudicazione – comportando in venir meno del presupposto e delle condizioni legali per la conclusione del contratto – si riverberano sullo stesso con effetto caducante e lo pongono in condizione di improduttività di ogni ulteriore effetto vincolante fra le parti (cfr. Cons. St., Sez. VI^, n. 2332 del 05.05.2003). Con la precisazione, in base al principio di tutela dei diritti acquistati in buona fede, che l’inefficacia opera in via sopravvenuta e non incide sugli atti compiuti “medio tempore” in base al contratto già stipulato (cfr. Cons. St., Sez. VI^, n. 2992 del 30.05.2003).
 
     Da siffatto orientamento – che muove dal ripudio della tesi dell’“annullabilità” del contratto non sostenuto da validi presupposti in sede amministrativa, con azione rimessa alla iniziativa della sola P.A. per di più soccombente, in quanto contraria ai principi di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi, nonché dell’ orientamento che riconduce l’invalidità del contratto nella nozione di “nullità”, che però costituisce vizio genetico dell’atto – il collegio non ravvisa di doversi discostare, anche perché conforme al principio di concentrazione della tutela giurisdizionale e di economia dei giudizi nella materia “de qua”, quale si desume dall’art. 6, comma primo, della legge n. 205/2000.
 
     L’appello va quindi respinto.
 
     Sussistono giustificati motivi per compensare fra le parti le spese del giudizio.
 
P.Q.M.
 
     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge l’appello in epigrafe.
 
     Spese compensate.
 
     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
 
     Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale – Sez. VI – nella Camera di Consiglio del 6 febbraio 2007
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA  il…04/04/2007

Lazzini Sonia

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