La pronunzia in commento offre una pluralità di spunti valutativi, involgendo tematiche di natura procedimentale, tra loro intimamente collegate.
La Corte, infatti, si sofferma, preliminarmente ad ogni altra considerazione, sul carattere di inammissibilità del ricorso proposto – valutazione che, già di per sé sola, si paleserebbe come preclusiva di qualsiasi altra forma di delibazione – attesa la rilevata e giudicata improprietà della procedura seguita.
E’, infatti, intuibile – in forza di una lettura meditata della sentenza del S.C. – che i giudici di legittimità hanno ritenuto impropria e contraddittoria la scelta della parte di rinunziare all’opposizione proposta
[1], non coltivando, così, l’impugnazione proposta avverso il decreto penale di condanna (contenente, tra l’altro, disposizioni accessorie che travalicano anche la sanzione personale in senso stretto), precisando che la contestazione afferente alla fondatezza giuridica, nella fattispecie, della adottata confisca, non avrebbe dovuto (e potuto) costituire materia di trattazione separata dal merito della causa.
Ritiene, dunque, il Collegio che non fosse possibile operare – come, invece, è stata operata – una divaricazione processuale fra le ragioni di contestazione di merito dell’accusa (trasfusa nel decreto penale di condanna) ed i motivi di doglianza specifica, in ordine alla decisione di adottare la confisca del bene, che hanno giustificato un’autonoma richiesta di revoca della misura.
E’, dunque, fuor di ogni contestazione, solo sotto il profilo strettamente processuale, l’opinione che il mezzo di impugnazione – un ricorso in Cassazione – finalizzato all’annullamento del provvedimento di confisca del bene, avrebbe dovuto avere ad oggetto il provvedimento con il quale il giudice dichiara la esecuzione del decreto, a seguito di rinunzia all’opposizione e non già la singola ordinanza resa dal G.I.P. in tema di cautela reale.
Il procedimento cautelare ed interinale autonomo, promosso parallelamente, subisce, infatti, la genrale ed originaria preclusione data dall’intervenuto giudicato.
Correlativamente alle considerazioni svolte, la Corte riconosce, poi, che il ricordato effetto preclusivo non opera solamente in due casi estremamente precisi: 1) l’uno concernente l’ipotesi quali alla confisca o alla restituzione non abbia provveduto il giudice della cognizione;
2) l’altro che la richiesta di restituzione provenga da un terzo rimasto estraneo al giudizio di cognizione (Cfr. per la nozione di terzo Cass. Sez. III, 17-03-2009, n. 17865)
[2].
Va, peraltro, osservato, in relazione a quest’ultimo caso, che il terzo rimasto estraneo al processo non è legittimato all’impugnazione della sentenza con cui è stata ordinata la confisca di somme di denaro e può far valere i propri diritti su detta somma per mezzo dell’incidente di esecuzione [Cfr. Cass. Sez. III Sent., 12-12-2008, n. 12117 (rv. 243617), ****** c. ******, in CED Cassazione, 2009, conf. Cass. Sez. I Sent., 09-03-2007, n. 18222 (rv. 237360); Cass. Sez. VI, 31-03-1995, n. 1257 (rv. 202720)]
[3].
E’, dunque, evidente la circostanza che un bene, che sia stato acquisito con le forme del leasing o la cui proprietà appartenga inoppugnabilmente a soggetto diverso dall’imputato, in presenza delle due condizioni sopra indicate, non può sopportare alcun pregiudizio di sorta e non può venire assimilato a beni che risultino di proprietà dell’imputato.
Permane, quindi, questo limite alla confiscabilità del veicolo.
Il profilo di maggiore ed interesse pregnanza dell’ordinanza in esame è, però, costituito dalla valutazione concernente il rapporto fra il decreto penale di condanna e l’applicazione in tale sede procedimentale della confisca.
Per vero, la Corte valuta questo tema, partendo da una prospettiva sostanzialmente differente da quella che chi scrive considera centrale.
L’attenzione dei giudici di legittimità si incentra, infatti, sulla natura (obbligatoria o facoltativa) della confisca – risolvendosi nel senso di escludere la facoltatività (non obbligatorietà) della misura accessoria -.
A parere del sottoscritto, il fulcro della questione deve, invece, essere attenere al quesito: “il decreto penale di condanna deve essere equiparato, in forma e sostanzia, alla sentenza di condanna resa all’esito di un giudizio ed alla sentenza di applicazione pena ex art. 444 c.p.p.?”
Da tale quesito (e dalle conseguenze che da esso derivano) si potrà poi muovere per valutare se effettivamente anche in ipotesi di emissione di decreto penale di condanna si possa applicare la confisca.
Sul piano normativo, va osservato – in relazione alla specifica tematica della violazione del Codice della Strada che è oggetto del processo – che l’art. 186 co. 2 prevede: "Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 2, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato”.
Il testo sopra riportato non riesce a dissipare minimamente i dubbi interpretativi che sorgono, posto che il riferimento esplicito operato attiene a “…sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti…”, senza menzionare in modo preciso altri tipi di provvedimenti che, sul piano giurisdizionale, presentino il carattere e la idoneità a definire un grado od una fase di giudizio.
Va detto, infatti, che il procedimento per decreto (regolato dall’art. 459 e segg. c.p.p.) è detto anche
“processo senza dibattimento” o per dirla con il ******* “
unico accertamento sommario ammesso dal sistema”[4].
Con questa definizione viene, infatti, posta in evidenza la caratteristica precipua dell’istituto, cioè la non necessarietà del giudizio in contraddittorio e la sua ipotetica celebrazione
[5], connotato che si deriva quale conseguenza legata indissolubilmente (e non altrimenti) alla potestatività legata all’esercizio del diritto della parte di proporre opposizione.
Emerge, inoltre, uno spiccato profilo di premialità, collegato agli evidenti fini deflazionistici, che contraddistingue la anticipata formula di definizione propria dell’istituto in oggetto, che è si è reso maggiormente evidente attraverso la novella portata dalla L. 479 del 1999, che ha modificato il co. 5 dell’art. 460 c.p.p. .
Operati, quindi, questi accenni di carattere generale, onde inquadrare sul piano sistematico, il processo per decreto, l’osservazione che maggiormente interessa valorizzare è quella per cui non pare revocabile in dubbio l’assimilabilità del decreto penale di condanna alla sentenza di condanna.
Risulta, dunque, incontroversa l’opinione che, trattandosi di una forma di definizione anticipata del processo penale, nella quale il contraddittorio – come si è detto – non costituisce elemento essenziale e fondamentale, non si può sostenere l’esistenza di una vera e propria equiparazione fra il decreto penale (frutto di una delibazione sommaria del giudice sulla scorta di elementi forniti esclusivamente dall’accusa) e la sentenza di condanna che, comunque, costituisce – invece – risultato, a proiezione esterna, di una delibazione del giudice fondata su elementi contrapposti forniti dalle parti.
Si può, però, affermare che, attesi i caratteri
1) di giurisdizionalità – non si dimentichi, infatti, che è il giudice per le indagini preliminari, ad essere individuato come organo emittente il decreto -,
2) di idoneità a definire una fase del procedimento, ai sensi dell’art. 459 co. 1 c.p.p.,
3) di suscettibilità di assumere valore di irrevocabilità e, quindi, di esecutività, ai sensi del combinato disposto dagli artt. 460 e 650 c.p.p.,
il decreto penale di condanna è assimilabile alla sentenza di condanna.
Tali presupposti sono stati recepiti dalla giurisprudenza (Cfr. ex plurimis Cass. Sez. I, 12-11-1997, n. 6357 , ********,CED Cassazione, 1998
[6] e T.A.R. Liguria Sez. II, 15-04-2002, n. 432 , Soc. Ristochef c. Usl n. 3 Genovese e Asl n. 3 Genovese e altri
[7]) la quale ha, inoltre, posto l’accento sul denominatore comune degli effetti che derivano in ordine all’accertamento della responsabilità penale in capo al singolo raggiunto dal provvedimento.
E’ evidente che gli effetti susseguenti alla irrevocabilità del decreto – a mente dell’art. 648 c.p.p. – risultano, peraltro, sostanzialmente differenti e non confondibili rispetto a quelli previsti dagli artt. 651 e 652 c.p.p., relativamente alle sentenze di condanna passate in giudicato.
Le conclusioni qui esposte, le quali legittimano il riconoscimento dell’ effettiva affermazione di assimilazione del decreto penale di condanna alla sentenza di condanna, non permettono, però, di raggiungere un apprezzabile livello di certezza in ordine alla circostanza che la scelta di definire il procedimento tramite l’emissione di un decreto possa comportare – nel corpo dello stesso – l’adozione della confisca.
L’assimilazione o la sussunzione nella categoria delle sentenze di condanna del decreto penale non pare, infatti, a parere di chi scrive, argomento decisivo e conclusivo, per estendere gli effetti riconosciuti legislativamente alle sentenze in parola.
Permane, infatti, una palese differenza ontologica e giuridica in ordine alla struttura ed alla morfologia dei provvedimenti in parola.
Va, infatti, esaminato e sottolineato, con grande attenzione, che il tenore della norma (il co. 2° dell’art. 186 CdS) risulta lapidario, tutt’altro che oscuro e certamente privo di equivocità, laddove si afferma che “la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 2….”.
Il legislatore, infatti, indica in tale contesto precettivo, con rara precisione, la gamma dei provvedimenti che legittimano il ricorso alla confisca obbligatoria (perchè di obbligatorietà si tratta), non lasciando adito a dubbi.
La valutazione, che poggia sull’esegesi del dato testuale, trova ulteriore sostegno nella considerazione data dal principio ubi lex voluit dixit ubi non voluit non dixit, ripreso e fatto proprio nel nostro ordinamento giuridico dalla previsione dell’art. 12 (Disposizioni sulla legge in generale).
Il co. 1 di questa disposizione recita “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”.
Se, dunque, fosse stata intenzione normativa, quella di ricomprendere nel novero dei provvedimenti, geneticamente idonei a giustificare la confisca, la scelta più elementare (e semplice) sarebbe consistita nell’indicare in tale contesto, expressis verbis anche il decreto penale di condanna, oppure al più usare una dizione del tipo “provvedimenti che risultino assimilabili alle sentenze di condanna”.
I dubbi e le perplessità qui esposte sono state, poi, fatte proprie anche da Cass. Sez. III Sent., 19-03-2009, n. 24659 (rv. 244019)
[8], la quale ha sostenuto che “
La confisca obbligatoria, per il caso di emissione di sentenza di condanna o di patteggiamento, dell’area adibita a discarica abusiva (art. 256, comma terzo, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152), se di proprietà dell’autore o del compartecipe al reato, non può essere disposta con il decreto penale di condanna.
Posizione che si pone in coerente seguito a quella espressa dalla stessa Sezione con la pronunzia 22-05-2008, n. 26548 (rv. 240343), ******, che modificando
[9] radicalmente la precedente giurisprudenza ha della stessa sezione ha sancito che “…
”In tema di gestione dei rifiuti, la confisca obbligatoria dell’area adibita a discarica abusiva non può essere disposta con il decreto penale di condanna, in quanto l’art. 51, comma terzo, D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (oggi sostituito dall’art. 256, comma terzo, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) prevede che detta misura di sicurezza deve essere disposta solo con la sentenza di condanna ovvero con la sentenza di patteggiamento”.
Pur riferendosi ad una situazione differente in tema di reati ambientali, è, dunque, assolutamente apprezzabile l’affermazione e consacrazione del comune principio di diritto, posto che anche in tale contesto il presupposto per la confisca è del tutto analogo a quello descritto nel co. 2 dell’art. 186 CdS.
Recita, infatti, il co. 3 dell’art. 256 cit. “Chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro. Si applica la pena dell’arresto da uno a tre anni e dell’ammenda da euro cinquemiladuecento a euro cinquantaduemila se la discarica è destinata, anche in parte, allo smaltimento di rifiuti pericolosi. Alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, consegue la confisca dell’area sulla quale è realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell’autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi”.
Appare, pertanto, privilegiata ed apprezzata, dal ricordato intervento giurisprudenziale, una apprezzabile esegesi, che si carattrizza per il suo profilo strettamente letterale, escludendo, altresì, che si possa dare corso ad interpretazioni di natura logico-estensiva.
Sul piano pratico, quindi, reputa chi scrive che ci si trovi, senza dubbio, dinanzi ad un serio quanto irreversibile contrasto di orientamenti giurisprudenziali.
E’ questa, situazione che, pertanto, deve imporre un pronto ed energico intervento di regolamentazione da parte delle SS.UU., anche se pare che una lettura ragionevolmente orientata, nel rispetto dei criteri ermeneutici governati dalle preleggi, non sembra potere legittimare in relazione all’applicabilità della confisca valutazioni di carattere estensivo, ricomprendendo la sfera di applicazione di questa misura anche a noveri non previsti dal legislatore.
Unica certezza che allo stato si può nutrire è quella, per i casi espressamente previsti, del carattere obbligatorio della confisca.
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Ubriachezza: sì alla confisca del veicolo
CASSAZIONE PENALE – CIRCOLAZIONE STRADALE
Cass. pen. Sez. IV, (ud. 24-06-2009) 12-08-2009, n. 32957
Fatto – Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione OSSERVA
1) Il 15 luglio 2008 il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Reggio Emilia emetteva decreto penale nei confronti di
G.I. per il reato di cui all’art. 186 C.d.S. (guida in stato di
ebbrezza) disponendo altresì la confisca dell’autoveicolo sequestrato
all’imputata in occasione dell’accertamento del reato avvenuto in (OMISSIS).
Contro il decreto penale di condanna ha proposto opposizione
l’imputata che peraltro ha poi successivamente rinunziato
all’opposizione; il giudice per le indagini preliminari ha
conseguentemente ordinato l’esecuzione del decreto penale.
Con istanza separatamente presentata G.I. ha chiesto la restituzione
dell’autovettura e il Giudice per le indagini preliminari, con
ordinanza 4 dicembre 2008, ha rigettato la richiesta e ha ribadito la
possibilità di disporre la confisca con il decreto penale e la natura
obbligatoria di tale misura di sicurezza per il reato in esame.
2) Contro il provvedimento di diniego della restituzione ha proposto
ricorso G.I. che, con l’unico e articolato motivo di censura, contesta
la possibilità di applicare la confisca del veicolo con il decreto di
condanna e sostiene la natura facoltativa, e non obbligatoria, della
confisca dell’autoveicolo prevista dalla legge nel caso di guida in
stato di ebbrezza.
3) Va preliminarmente rilevato che il ricorso è inammissibile.
Sebbene formalmente proposto contro il provvedimento del giudice per
le indagini preliminari che ha respinto la richiesta di restituzione
del veicolo in realtà il ricorso investe una statuizione contenuta in
un provvedimento (il decreto penale) ormai divenuta definitiva
essendone stata ordinata l’esecuzione e non essendo stata proposta
alcuna impugnazione contro la dichiarazione di esecuzione del medesimo
provvedimento.
Contro il decreto penale di condanna la legge (art. 461 c.p.p.)
prevede esclusivamente, come mezzo di impugnazione, l’opposizione
dell’imputato e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria.
La rinunzia all’opposizione e la dichiarazione di esecuzione del
decreto – dichiarazione non impugnata con il ricorso in cassazione
previsto dall’art. 461 c.p.p., comma 6 – ha come conseguenza la
formazione del giudicato conseguente alla natura sostanziale di
sentenza del decreto penale di condanna; natura confermata sia dalla
sua irrevocabilità nel caso non venga proposta opposizione (art. 648
c.p.p., comma 3) sia dalla possibilità di revisione prevista anche per
questi decreti (art. 629 c.p.p.).
Essendosi formato il giudicato sulla disposta confisca il problema da
esaminare – non preso in considerazione dal giudice per le indagini
preliminari che ha deciso sul merito della richiesta – è costituito
dalla risposta al quesito se, una volta disposta con sentenza
irrevocabile la confisca, il giudice dell’esecuzione possa ordinare la
restituzione delle cose sequestrate al condannato.
La risposta al quesito non può che essere negativa. La competenza
attribuita al giudice dell’esecuzione dall’art. 676 c.p.p., comma 1 in
materia di confisca e restituzione delle cose sequestrate riguarda
infatti esclusivamente i casi nei quali alla confisca o alla
restituzione non abbia provveduto il giudice della cognizione (in
questo senso v. Cass., sez. 1^, 6 dicembre 2007 n. 3952, *******, rv.
238378; sez. 4^, 20 aprile 2000 n. 2552, El Yamini, rv. 216491) a meno
che la richiesta di restituzione provenga da un terzo rimasto estraneo
al giudizio di cognizione (v. Cass., sez. 1^, 16 maggio 2000 n. 3596,
Campione, rv. 216101).
3) Peraltro se anche non dovesse ritenersi formato il giudicato sulla
disposta confisca è da osservare che il motivo che si riferisce alla
asserita non obbligatorietà della confisca dovrebbe comunque essere
ritenuto infondato.
La disposta confisca si fonda sul nuovo testo del D.Lgs. 30 aprile
1992, n. 285, art. 186, comma 2 (codice della strada) modificato dal
D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 4 convertito, con modificazioni,
nella L. 24 luglio 2008, n. 125 (misure urgenti in materia di sicurezza pubblica).
Con questa modifica legislativa sono stati introdotti i seguenti
periodi nell’art. 186 C.d.S., comma 2: "Con la sentenza di condanna
ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti, anche se è
stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre
disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il
reato ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 2, salvo che il veicolo
stesso appartenga a persona estranea al reato." Come è agevole
verificare dal tenore della norma si tratta di confisca obbligatoria:
ciò risulta sia dalla terminologia utilizzata ("è sempre disposta") sia dal richiamo all’art.
240 c.p., comma 2, che prevede, appunto, casi di confisca obbligatoria
(in questo senso deve intendersi il richiamo all’art. 240: v. Cass.,
sez. 4^,
11 febbraio 2009 n. 13831, *********, rv. 242479).
La natura obbligatoria della confisca rende infondato anche il primo
motivo di ricorso perchè l’art. 460 c.p.p., comma 2 prevede
espressamente che con il decreto penale possa essere applicata la
confisca obbligatoria nei casi previsti dall’art. 240 c.p., comma 2;
richiamo da intendersi riferito a tutti i casi di confisca obbligatoria.
4) Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso conseguono le
pronunzie di cui al dispositivo.
Con riferimento a quanto statuito dalla Corte costituzionale nella
sentenza 13 giugno 2000 n. 186 si rileva che non si ravvisano ragioni
per escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità in considerazione della palese violazione delle regole
sul giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione 4^ penale, dichiara
inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2009
[1] La facoltà di rinunziare all’opposizione, in linea teorica appare peraltro, ampiamente legittima come sostenuto da Tribunale Torre Annunziata Sez. I, 23-11-2007, in
www.leggiditalia.it “
E’ ammissibile l’atto formale di rinuncia all’opposizione di un decreto penale nella fase del dibattimento, in quanto l’atto stesso è assimilabile entro il più generale istituto delle impugnazioni ed, anche in virtù del principio di economia dei mezzi processuali, non può essere motivo di regresso alla fase preliminare.
[2] Urbanistica e appalti, 2009, 7, 903
[3] In www.leggiditalia.it
[4] Procedura penale ,UTET, To, 1082
[5] Cfr. per un complessivo quadro dottrinale CHIAVARIO Diritto Processuale Penale, UTET 2005, PG. 386
[6] Il decreto penale di condanna è un provvedimento giurisdizionale assimilabile alla sentenza di condanna, ma che non viene caducato automaticamente con la proposta opposizione, potendo il giudice revocarlo solo nel giudizio conseguente (art. 464 comma 3 c.p.p.). Fino a quando, perciò, il decreto non diventi irrevocabile, perchè inutilmente decorso il tempo per proporre opposizione, o perchè la stessa viene dichiarata inammissibile, il processo non può considerarsi concluso ed il giudice, davanti al quale esso è pendente, può differentemente concludere il giudizio, anche emettendo autonomi provvedimenti incidentali e accessori, come quello della parziale restituzione delle cose sequestrate.
[7] L’art. 11 lett. b), d.lg. n. 358 del 1992, che commina l’esclusione dalla partecipazione alle gare d’appalto dei fornitori nei cui confronti sia stata pronunciata una condanna, con sentenza passata in giudicato, per qualsiasi reato che incida sulla loro moralità pubblica, oltre per delitti finanziari, va interpretato nel senso che è da considerarsi sufficiente anche una condanna inflitta a mezzo di decreto penale, di cui all’art. 460, c.p.p., per il caso di sola sanzione pecuniaria, dal momento che, da un lato, il decreto penale, pur non potendo assumere il valore decisorio di una sentenza, rappresenta comunque una decisione motivata, non equiparabile, ma almeno assimilabile ad una sentenza di condanna, dall’altro, perchè l’eventuale esclusione dall’ambito di operatività dell’art. 11, d.lg. n. 358 del 1992 dei casi di ricorso a decreto penale, considerata l’estensione sempre maggiore delle fattispecie punibili con pena pecuniaria, finirebbe per rendere la predetta disposizione normativa priva di qualsiasi incisività.
[8] Curatela fallimentare del fallimento ****************** s.r.l. c. M.M. In www.leggiditalia.it
[9] In precedenza, infatti, Cass. III Sent., 04-12-2007, n. 4545 (rv. 238852) Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Benevento c. ****** aveva sostenuto che
In tema di gestione dei rifiuti, la confisca obbligatoria del mezzo di trasporto, prevista per il reato di trasporto non autorizzato di rifiuti (artt. 256, comma primo in relazione all’art. 259, comma secondo, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152), deve essere disposta anche nel rito speciale del procedimento per decreto, in quanto tale obbligo sussiste ogni volta che la confisca sia obbligatoria ai sensi dell’art. 240, comma secondo, cod. pen. ovvero ai sensi delle leggi speciali
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