Tribunale riconosce ai nipoti il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale per la morte del nonno

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Gli appartenenti al nucleo parentale diversi dal coniuge e dai figli, in particolare i nonni, i nipoti, i generi e le nuore, hanno diritto di ottenere il ristoro per la perdita del proprio congiunto, anche se con questo non conviventi, purché dimostrino la “effettività e la consistenza della relazione parentale”.

Fatto

A seguito della morte del loro congiunto, gli eredi dello stesso citavano in giudizio l’Azienda Sanitaria marchigiana responsabile, a loro dire, della morte del parente, per sentirsi riconoscere dal Giudice di prima istanza il diritto al risarcimento del danno biologico e da lucida agonia, patito dal loro prossimo congiunto.

In base alla richiesta fatta valere in giudizio da parte attrice, gli attori ritenevano dovesse essere loro riconosciuto in qualità di eredi del defunto, il diritto al risarcimento del danno – sia sotto l’aspetto biologico sia sotto quello della sofferenza d’animo da egli provata – sorto in capo al de cuius quando, ancora in vita, poco prima di morire, il quale aveva percepito che la sua fine era ormai inevitabile.

A sostegno della pretesa appena esposta, parte attrice aveva richiamato una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 11719/21) secondo la quale agli eredi spetta il danno da lucida agonia quando la vittima, anche se muore poco dopo l’arrivo in ospedale, ha percepito l’ineluttabilità della propria fine, al di là di quanto sopravvive.

Accanto alla domanda risarcitoria appena menzionata, parte degli eredi (nipoti, genero e nuora) avevano richiesto al Tribunale di primo grado di riconoscere, altresì, il loro diritto al risarcimento del danno non patrimoniale per la perdita del rapporto parentale con il loro prossimo congiunto.

Gli eredi del de cuius, dunque, citavano in giudizio i medici del servizio sanitario ritenendo la loro condotta causa della morte del congiunto. In particolare, a loro dire, i medici avevano colpevolmente omesso di seguire la profilassi antibiotica prima dell’intervento di impianto del pacemaker a cui era stato sottoposto il de cuius, e non avevano provveduto a rimuovere l’elettrocatetere dopo il secondo intervento (necessario per sostituire nuovamente il pacemaker a causa di un’infezione da stafilococco emolitico), il quale, essendo del vecchio pacemaker contaminato dallo stafilococco, aveva provocato al paziente  gravi problemi setticemici, a seguito dei quali il de cuius aveva perso la vita. Tali mancanze – secondo la tesi di parte attrice – avevano provocato l’infezione, che era stata causa della morte del paziente, ed erano riconducibili alla condotta colpevole dei sanitari.

In particolare, gli eredi avevano specificato che il de cuius, dopo aver subito l’intervento chirurgico di sostituzione del pacemaker, aveva manifestato un sanguinamento da ematoma di tasca sotto-cutanea per sostituzione del pacemaker. A questo punto gli era stato inserito un tubo di drenaggio e somministrati dei farmaci, ma nonostante ciò si era presentata un’infezione da stafilococco emolitico che aveva obbligato i medici a sostituire il pacemaker. Qualche settimana dopo il nuovo intervento il paziente era stato dimesso, nonostante i medici avessero riscontrato un’insufficienza valvolare e versamento pericardico. Due giorni dopo dalle dimissioni il de cuius era stato ricoverato d’urgenza per iperpiressia. A seguito di successivi esami, era stato riscontrato un versamento pericardico e pleurico nonché colecistite acuta con essudazione di liquido pericolecistico e la positività allo pseudomonas aeruginosa e stenotrophomonas maltophilia, era stato quindi nuovamente ricoverato per essere sottoposto a colecistectomia e, il giorno seguente, era stato ricoverato nel reparto di terapia intensiva, dove era morto.

L’Azienda Sanitaria, si costituiva in giudizio respingendo le domande risarcitorie proposte, ritenendo incolpevole l’operato dei suoi medici.

Secondo parte convenuta, infatti, non era ad ella imputabile alcun inadempimento, avendo il personale informato in modo adeguato il paziente dei rischi correlati alla sostituzione del pacemaker, ivi compreso il rischio dell’ematoma della tasca del pacemaker e di infezione, come provato dal modulo sottoscritto dal paziente, ritenendo, altresì, che la profilassi antibiotica e il trattamento medico chirurgico dello stato di sepsi fossero stati correttamente eseguiti.

Parte convenuta aveva, poi, ricordato come all’epoca dei fatti le linee guida non raccomandassero la rimozione degli elettrocateteri nei pazienti che presentavano le condizioni del de cuius e come l’aspettativa prognostica del paziente fosse gravemente inficiata dalla comorbilità, dalla età avanzata e dalle condizioni cliniche cardiache.

La decisione del Giudice di primo grado

Quanto alla responsabilità dei sanitari nella morte del paziente il Giudice ha ripreso integralmente la CTU disposta nell’ambito di un separato giudizio promosso tra le parti e definito con sentenza passata in giudicato. In particolare, nella CTU presa in esame, era stato accertato che la morte del de cuius era stata conseguenza della negligente prestazione dei medici, che in occasione dell’intervento di rimozione del pacemaker avevano omesso di rimuovere i cateteri intracardiaci. Ebbene, secondo il perito, se i medici avessero rimosso i cateteri avrebbero consentito con elevato grado di probabilità di eliminare la fonte di infezione, causa del decesso, aumentando le aspettative di vita del de cuius.

Il Giudice è poi passato ad analizzare la sussistenza dei danni invocati dagli attori e per quanto qui di interesse del danno da perdita del rapporto parentale.

A tale fine, il giudice ha esaminato il legame che esisteva tra il de cuius e gli eredi che avevano richiesto il risarcimento del danno a seguito della morte dello stesso, rilevando che fra questo e i nipoti, nuora e genero esisteva uno stretto legame affettivo. Tale legame affettivo era dimostrato dal fatto che il de cuius si prendeva cura dei nipoti accompagnandoli a scuola e giocando con loro, anche in ragione del fatto che i nuclei familiari dei figli erano ubicati nello stesso stabile in cui anche lui abitava.

In considerazione di tale valutazione, sulla scorta dell’orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, secondo cui il gli appartenenti al nucleo parentale diversi dal coniuge e dai figli, in particolare i nonni, i nipoti, i generi e le nuore, hanno diritto di ottenere il ristoro per la perdita del proprio congiunto, anche se con questo non conviventi, purché dimostrino la “effettività e la consistenza della relazione parentale“, il Tribunale di Ancona ha ritenuto esistente il diritto di parte attrice ad ottenere il risarcimento del danno.

Conseguentemente, il giudice ha accolto, seppur in maniera diversa e minore rispetto a quanto richiesto, la domanda formulata dagli attori, quantificando il risarcimento in considerazione dei parametri espressi dalle c.d. tabelle di Milano nonché dell’età avanzata del de cuius all’epoca del decesso. Tale ultimo dato assume un aspetto rilevante nella quantificazione del danno, poiché, come emerso da una precedente pronuncia, la sofferenza dei superstiti è “tanto maggiore quanto più lunga è l’aspettativa di poter condividere altre stagioni della vita“.

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Avv. Muia’ Pier Paolo

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