Tre recenti provvedimenti “in pillole” della Corte di Cassazione del mese di settembre 2019 sulle spese legali: l’ordinanza n. 21975 del 3.09.2019 e l’ATP, la sentenza n. 22462 del 9.09.2019 ed il valore della domanda, l’ordinanza n. 23123 del 17.09.2019 e la chiamata in garanzia.

Redazione 13/01/20
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di Elisa Giardini

Sommario

1. Premessa e prime considerazioni di carattere generale.

2. Ordinanza n. 21975/201910: natura dell’ATP rispetto alle spese legali e/o del giudizio e alla liquidazione degli oneri stragiudiziali

3. Sentenza n. 22462/2019: la controversia tra disputatum e decisum rispetto alle spese del giudizio.

4. Ordinanza n. 23123/2019: chiamata in garanzia e spese giudiziali. Il principio di causalità dell’art. 91 c.p.c.

1. Premessa e prime considerazioni di carattere generale.

Il Codice di Rito contiene, al capo IV del titolo III del libro I, rubricato “Delle responsabilità delle parti per le spese e per i danni processuali” la disposizione normativa dell’art. 91, comma 1 c.p.c., relativa alla condanna alle spese ed al principio della soccombenza (victus victori), distinguendo, sotto il profilo definitorio, le spese di giudizio o di lite dagli onorari di difesa[1] in giudizio.

Le prime, che costituiscono i c.d. esborsi ed i costi legati all’attivazione della “macchina giudiziaria”, sono di regola pubbliche e prefissate dalla legge (è, ad es., il caso dei costi per le marche da bollo per la richiesta di copie autentiche, del contributo unificato per l’iscrizione a ruolo, delle anticipazioni forfettarie, dell’imposta di registro dovuta su decreti, sentenze, ordinanze e delle spese per la notifica degli atti giudiziari[2]); i secondi, invece, privati e che possono essere pattuiti, rappresentano i compensi professionali ed i costi che colui che richiede assistenza per promuovere o per resistere ad una azione giudiziale deve sopportare per farsi difendere e assistere in giudizio da un avvocato (oltre a quelli per CTU, CTP, ecc.).

La legge, in questo caso, predetermina i c.d. parametri forensi, cioè l’importo per voci e fasi di attività, entro il quale la nota dell’avvocato deve contenersi, nel caso in cui manchi un accordo scritto col cliente[3], prevendendo oscillazioni da un minimo ad un massimo, in ragione del valore della controversia e di altri indicatori prestabiliti (come la presenza di più avvocati difensori, la particolare complessità del caso, ecc.)[4].

Il D.M. n. 55/2014 conosce anche gli oneri per le prestazioni di natura stragiudiziale che riguardano la fase antecedente il giudizio e che non sono assimilabili alle spese giudiziali, rappresentando però una componente del danno (accessorio) da liquidare[5], “secondo le tariffe forensi” e che restano soggette agli oneri di domanda, allegazione e prova secondo le ordinarie scansioni processuali.

Tralasciando qui l’ampio dibattito sulla soccombenza in giudizio, ovvero le ipotesi di compensazione delle spese[6], di soccombenza reciproca o le ragioni che possono portare il giudice, all’esito della causa, a seguire un riparto di costi e oneri difforme da quello dell’art. 91 c.p.c.[7], con la motivazione esplicita delle “gravi ed eccezionali ragioni” ovvero il dato fattuale che – accertata la soccombenza di una parte – il giudice sia comunque tenuto a liquidare le spese di giudizio insieme agli onorari, in favore dell’altra parte[8], non si può non rilevare come la questione di costi e spese sia sempre di grande interesse e attualità nelle pronunce giudiziali[9] e sia stata più volte affrontata dalla giurisprudenza, ed – in particolare – da tre recenti interventi della Corte di Cassazione, datati tutti al mese di settembre 2019.

[1] Il comma 1 dell’art. 91 c.p.c. prevede – nella sua prima parte – che “il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa”.

[2] Rif. normativo: D.P.R. n. 115 del 30.05.2002, aggiornato con modifiche dal D.lgs. n. 120 del 2.10.2018, dal D.L. n. 113 del 4.10.2018 e dalla L. n. 4 dell’11.01.2018.

[3] Rif. normativo: D.M. n. 55/2014 aggiornato dal D.M. n. 37/2018.

[4] Si ricorda, come anche oltre si dirà, che gli onorari del difensore vanno liquidati in armonia con il principio generale di proporzionalità ed adeguatezza delle competenze di avvocato all’opera professionale effettivamente prestata. Cass. Civ., S.U., n. 19014 dell’11.09.2007, in Ced, Cassazione, 2007.

[5] Cass. Civ., sez. 3, n. 997 del 21.01.2010, in Ced, Cassazione, 2010; Cass. Civ., sez. 6 3, ord. n. 6422 del 13.03.2017, in Ced, Cassazione, 2017 e in particolare Cass. Civ., S.U., n. 16990 del 10.07.2017, in Ced, Cassazione, 2017: “Il rimborso delle spese di assistenza stragiudiziale ha natura di danno emergente, consiste nel costo sostenuto per l’attività svolta da un legale in detta fase pre-contenziosa; l’utilità di tale esborso, ai fini della possibilità di porlo a carico del danneggiante, deve essere valutata ex ante, cioè in vista di quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l’esito futuro del giudizio; da ciò consegue il rilievo che l’attività stragiudiziale anche se svolta da un avvocato, è comunque qualcosa di intrinsecamente diverso rispetto alle spese processuali vere e proprie”. Ma anche Cass. Civ., sez. 1, ord. n. 19613 del 4.08.2017, in Ced, Cassazione, 2017; Cass. Civ., sez. 3, n. 17685 del 2.07.2019, in SmartLex, Il Sole24Ore. In parte contra: Cass. Cass. Civ., sez. 3, n. 14594 del 12.07.2005, in Ced, Cassazione, 2005 per cui: “Le spese legali corrisposte dal cliente al proprio avvocato in relazione ad attività stragiudiziale seguita da attività giudiziale devono formare oggetto di liquidazione con la nota di cui all’art. 75 disp. att. c.p.c. se trovino adeguato compenso nella tariffa per le prestazioni giudiziali, potendo altrimenti formare oggetto di domanda di risarcimento del danno nei confronti dell’altra parte, purché siano necessarie e giustificate, condizioni, queste che si desumono dal potere del giudice di escludere dalla ripetizione le spese ritenute eccessive o superflue, applicabile anche agli effetti della liquidazione del danno in questione”. Risalente, ma anche Cass. Civ., sez. 2, n. 2034 del 1.03.1994, in Ced, Cassazione, 1994.

[6] Art. 92, comma 2 c.p.c. Si leggano Cass. Civ., S.U., n. 20598 e 20599 del 30.07.2008, in Ced, Cassazione, 2008 e poi Cass. Civ., sez. 2, n. 9886 del 27.04.2004, in Ced, Cassazione, 2009.

[7] Nonché i casi in cui la parte può stare in giudizio personalmente e senza l’assistenza di un avvocato.

[8] Ex multis, Trib. Firenze, sez. 2, sent. 20.05.2016, in www.altalex.com.

[9] Anche per il Legislatore: si pensi all’introduzione degli istituti della mediazione obbligatoria e della negoziazione assistita, per ovviare e per limitare i costi della giustizia, strettamente connessi anche a tempi e durata dei processi.

2. Ordinanza n. 21975/2019: natura dell’ATP rispetto alle spese legali e/o del giudizio e alla liquidazione degli oneri stragiudiziali

La prima di queste, in ordine di tempo, è l’ordinanza n. 21975/2019[10] del 3 settembre.

Nella fattispecie la Suprema Corte ha stabilito che “le spese per la consulenza tecnica preventiva disposta exart. 696 bis c.p.c. – cioè anche a fini conciliativi – contrariamente a quanto aveva indicato e chiesto il ricorrente – non hanno natura giudiziale.

Secondo il ragionamento della Corte di Cassazione, “l’ATP preventiva di cui al novellato art. 696 bis c.p.c., per quanto in parte “giurisdizionalizzata”, è pur sempre finalizzata al componimento della lite e, non potendosi intendere come una fase giudiziale, non dà nemmeno luogo a un’autonoma liquidazione delle spese processuali da parte del giudice che l’ha disposta, rientrando esse nel complesso delle spese stragiudiziali sopportate dalla parte prima della lite”[11].

Di conseguenza, le spese richieste in ATP, che attengono tutte alla fase stragiudiziale, sono state valutate, dai Giudici di merito[12] chiamati a conoscere della vicenda, prima, e dalla Corte di Cassazione, poi, per quello che intrinsecamente valgono in funzione al valore della pretesa azionata, senza alcuna illegittima elisione di parte dell’attività professionale espletata, bensì attraverso una valutazione complessiva dell’attività di assistenza antecedente la lite, tenendo conto dello stretto nesso causale e di inscindibilità che può sussistere tra le diverse prestazioni[13].

Tali spese, nel caso esaminato, sono state liquidate una sola volta, senza dare seguito ad una ritenuta non corretta duplicazione dell’attività di studio della fase stragiudiziale, inglobata nell’attività di studio propedeutica al promuovendo (poi promosso) procedimento di ATP, ad avvalorare come non si tratti di una fase autonoma, ma di un complesso di attività tutte stragiudiziali o pre-giudiziali tra loro intimamente connesse e complementari.

Si può concludere, pertanto, e con questo primo intervento, che l’ambito delle spese legali ovvero stragiudiziali ne resta amplificato: infatti l’ATP, pur essendo a pieno titolo un procedimento giurisdizionale (peraltro speciale, inserito nel Codice di Rito tra i procedimenti sommari) viene liquidato – rispetto alle spese – come un danno patrimoniale conseguente all’illecito (un danno emergente exart. 1223 c.c.), piuttosto che come spesa di tipo giudiziale, con tutte le conseguenze rispetto agli oneri di allegazione e di prova, nel rispetto delle preclusioni di legge.

[10] In SmartLex24, Il Sole24Ore.

[11] In questo senso si legga anche Cass. Civ., sez. 6 3, n. 26573 del 22.10.2018, in Ced, Cassazione, 2018: “In tema di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, per effetto del combinato disposto degli artt. 669 septies , comma 2, e art. 669 quaterdecies c.p.c., il giudice può procedere alla liquidazione delle spese processuali (a carico della parte ricorrente) solamente nei casi in cui dichiari la propria incompetenza o l’inammissibilità del ricorso oppure lo rigetti senza procedere all’espletamento del mezzo istruttorio richiesto; tuttavia, il provvedimento di liquidazione emesso nel caso in cui si dia corso alla consulenza preventiva, pur essendo abnorme, non è comunque impugnabile ex art. 111, comma 7, Cost., in quanto privo dei caratteri della definitività e della decisorietà, essendo, peraltro, sindacabile nel caso in cui venga iniziato il relativo giudizio di merito, nonché, se azionato come titolo esecutivo e data la sua natura sommaria, opponibile ex art. 615 c.p.c., come se fosse un titolo esecutivo stragiudiziale, assumendo l’opposizione il valore della querela nullitatis“.

[12] Trattatasi, come detto, nella fattispecie, di un procedimento promosso davanti al Giudice di Pace di Taranto, prima, e appellato al Tribunale di Taranto, proprio sul punto del mancato pagamento, a detta dell’attore, delle spese legali dell’ATP e di quelle stragiudiziali, nella fase antecedente al promuovendo ATP, relativo ad un sinistro stradale che aveva coinvolto una macchina agricola ed una autovettura, nella misura integrale in cui richieste.

[13] Si legga anche Cass. Civ., sez. 3, n. 2275 del 2.02.2006, in La Tribuna, Archivio giuridico della circolazione e dei sinistri stradali, 2007, 2, p. 188: “In tema di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, nella speciale procedura per il risarcimento del danno da circolazione stradale, introdotta con L. n. 990/1969 e s.m.i., il danneggiato ha facoltà, in ragione del suo diritto di difesa, costituzionalmente garantito, di farsi assistere da un legale di fiducia e, in ipotesi di composizione bonaria della vertenza, di farsi riconoscere il rimborso delle relative spese legai; se invece la pretesa risarcitori sfocia in n giudizio nel quale il richiedente si vittorioso, le spese legali sostenute nella fase precedente all’instaurazione del giudizio divengono una componente del danno da liquidare e, come tali devono essere chieste e liquidate sotto forma di spese vive o spese giudiziali”.

3. Sentenza n. 22462/2019: la controversia tra disputatum e decisum rispetto alle spese del giudizio.

Depositata il 9 settembre 2019 è, invece, la sentenza della Corte di Cassazione n. 22462/2019, attinente alle spese e al valore della controversia[14], sentenza che ha risposto al quesito se, “nella liquidazione delle spese di lite, il giudice debba tenere conto del decisum (ossia della sua decisione) o del petitum/disputatum (vale a dire di quanto richiesto nell’atto introduttivo), nel caso in cui la domanda iniziale subisca una riduzione [di valore] per fatti sopravvenuti (come, nella fattispecie, l’adempimento del debitore)”, arrivando a concludere che se la pretesa del creditore è fondata, il giudice deve liquidare le spese con riferimento alla richiesta iniziale, anche se il debitore paga nelle more del giudizio.

Un cenno alla vicenda per inquadrare meglio le specificità del caso: una società agiva in giudizio per ottenere il corrispettivo di una fornitura di merce. Nessuna delle parti si costituiva ed il processo veniva riassunto in tempo.

L’attrice in riassunzione dava atto del pagamento, da parte della convenuta, dell’intero importo capitale “accettato in conto del maggiore avere” ma non degli interessi. Il convenuto si costituiva in giudizio contestando parte del credito vantato. Il Tribunale, in prima istanza, condannava il debitore al pagamento della somma residua e delle spese processuali, che venivano liquidate, però, con riferimento all’importo indicato nell’atto di riassunzione del giudizio e non in relazione alla domanda originariamente proposta e poi ridotta per il tardivo pagamento intervenuto medio tempore. La società promuoveva – sul punto – appello, che veniva respinto. Da cui il ricorso in Cassazione.

Il valore di una controversia, ai fini della liquidazione delle spese, è stato considerato dalla giurisprudenza[15] e dottrina[16] attraverso diversi criteri, applicabili anche in sede di impugnazione: 1) con riguardo al disputatum, ovverosia a quanto chiesto nell’atto introduttivo del giudizio, in ipotesi di accoglimento integrale della domanda attorea (con coincidenza tra disputatum e decisum); 2) con riguardo al decisum, ossia al contenuto effettivo della decisione del giudice (rappresentato dalla somma attribuita e liquidata alla parte vittoriosa), in caso di accoglimento solo parziale della domanda attorea (criterio del disputatum integrato e mitigato dal criterio del decisum); 3) con riguardo al disputatum, nel caso in cui la riduzione della somma richiesta dall’attore dipenda dall’adempimento parziale del convenuto, nel corso del processo, ed ove il giudice riconosce la fondatezza dell’intera pretesa. E ciò, per la necessità di limitare il rimborso delle spese, da parte del soccombente, entro i limiti del valore accertato giudizialmente (decisum[17]), ed evitare che domande eccessive (disputatum) attribuiscano alla causa un valore diverso da quello effettivo[18].

La Corte d’Appello, adita in secondo grado e dunque in sede di gravame, nella fattispecie, non ha applicato i principi di cui sopra, errando nel ricostruire il dato fattuale e circostanziale di partenza del pagamento, avvenuto – secondo la ricostruzione della Corte – non nel corso del giudizio ma dopo la sua cancellazione dal ruolo[19]. Nel caso de quo, però, il pagamento non si era affatto verificato fuori dal giudizio, né vi era stata alcuna cancellazione della causa dal ruolo, poiché il pagamento della somma capitale era stato fatto dal convenuto tra la notificazione dell’atto di citazione e la riassunzione del giudizio[20], quando il procedimento risultava pendente, ma in stato di quiescenza, per la mancata costituzione delle parti[21]. L’attore aveva pertanto titolo per ottenere la rifusione delle spese processuali, anche il relazione alla domanda introduttiva.

La Corte di Cassazione – nel cassare la sentenza – ha, pertanto, così concluso: “Ai fini del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombete, il valore della controversia va fissato, in armonia con il principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell’opera professionale effettivamente prestata, sulla base del criterio del disputatum, ossia di quanto richiesto nell’atto introduttivo del giudizio, tenendo però conto che, in caso di accoglimento solo in parte della domanda, il giudice deve considerare il contenuto effettivo della sua decisione, ossia il criterio del decisum, salvo che la riduzione della somma attribuita non consegua ad un adempimento intervenuto, nel corso del processo, ad opera della parte debitrice, convenuta in giudizio, nel qual caso il giudice, richiestone dalla parte interessata, terrà conto nondimeno del disputatum, ove riconosca fondatezza dell’intera pretesa[22]“.

[14] Problema non secondario, solo che si consideri che dal valore della controversia discendono non solo aspetti processuali relativi all’individuazione del Giudice competente, ma anche quelli relativi al valore delle anticipazioni da corrispondere quali costi del processo e, naturalmente, quello degli onorari e dello scaglione tariffario di riferimento da riconoscere a chi offre assistenza legale.

[15] Cass. Civ., S.U. n. 19014/2007 cit. supra in nota 4, ma anche Cass. Civ., sez. 3, n. 25553 del 30.11.2011, in Il Sole24Ore, Mass. Rep. Lex24 e conf. Cass. Civ., sez. 2, n. 28417 del 7.11.2018 in Ced, Cassazione, 2018.

[16] Ex multis, V. Amendolagine, ll Corriere giuridico, 1, 2017.

[17] Il criterio del decisum si trova espresso anche nell’art. 5 del D.M. 55/2014, recante il “Regolamento per la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense”, laddove si prevede che “nella liquidazione dei compensi a carico del soccombente, il valore della causa è determinato a norma del Codice di procedura civile […] nei giudizi per pagamento somme o liquidazione dei danni, si ha riguardo di norma alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata […]”. Si legga anche Cass. Civ., sez. 3, n. 3903 del 29.02.2016 in Ced, Cassazione, 2016.

[18] In questo senso M. Ferrari, “Spese processuali: come calcolarle se il debitore adempie in corso di causa”, in www.altalex.com.

[19] Il provvedimento di cancellazione non si occupa della liquidazione delle spese ed in sede di riassunzione l’attore non può chiedere la rifusione degli esborsi processuali attinenti alla fase pregressa.

[20] L’atto di riassunzione, da effettuare entro tre mesi dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto – impedisce l’estinzione del giudizio che, in caso di inattività delle parti, rimane nelle more pendente ex art. 125 disp. att. c.p.c.

[21] Art. 171, comma 1, c.p.c. e art. 307, comma 1, c.p.c. L’estinzione si verifica nel caso in cui il giudizio non venga riassunto tempestivamente o quando, una volta riassunto, nessuna delle parti si costituisca, o il giudice ne ordini la cancellazione dal ruolo, nei casi previsti dalla legge.

[22] Cass. Civ., S.U., n. 19014/2007 cit. supra in nota 4.

4. Ordinanza n. 23123/2019: chiamata in garanzia e spese giudiziali. Il principio di causalità dell’art. 91 c.p.c.

L’ultimo provvedimento in ordine di tempo del mese di settembre (del giorno 17) cui si fa richiamo in questa breve disamina “in pillole” è l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 23123/2019 che ha statuito come “le spese di giudizio sostenute dal terzo chiamato in garanzia, una volta che sia stata rigettata la domanda principale, vanno poste a carico della parte che, rimasta soccombente, abbia provocato e giustificato la chiamata in garanzia, trovando tale statuizione adeguata giustificazione nel principio di causalità, che governa la regolamentazione delle spese di lite, anche se l’attore soccombente non abbia formulato alcuna domanda nei confronti del terzo, salvo che l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria”.

Così i fatti. Un cliente proponeva opposizione al decreto ingiuntivo con cui il Tribunale di Milano, su ricorso del proprio avvocato, aveva ingiunto il pagamento di una somma per compensi professionali per prestazioni svolte a suo favore dal legale, lamentandone l’eccessività e la parziale duplicazione e chiedendo in via riconvenzionale il risarcimento per colpa professionale dell’avvocato, cui imputava il rigetto di un domanda giudiziale. Il professionista resisteva in giudizio, chiamando in garanzia – per l’ipotesi di accoglimento della domanda riconvenzionale – la propria compagnia assicuratrice.

Il giudice di prime cure accoglieva solo in parte l’opposizione e, revocato il decreto ingiuntivo, condannava il cliente al pagamento di una minore somma a favore dell’avvocato (risultando in acta alcuni parziali pagamenti). Rigettava anche la domanda riconvenzionale, ponendo a carco del cliente sia le spese di lite della parte opposta, sia quelle della terza chiamata in garanzia. In sede d’appello, la decisione veniva parzialmente riformata, con l’ulteriore riduzione della somma, con la condanna dell’avvocato a rifondere alla terza chiamata le spese del giudizio di primo grado e con compensazione delle spese dell’appello, motivando la Corte meneghina, in linea con il costante orientamento dei giudici di legittimità, che le spese sostenute dal terzo chiamato sono poste a carico del chiamante solo se la chiamata in causa è palesemente arbitraria[23].

La sentenza veniva impugnata in Cassazione sia in via principale sia in via incidentale e per diversi motivi di ricorso. Proprio esaminando il ricorso incidentale – e per quanto qui interessa – la Corte di Cassazione ha affermato due principi di diritto in materia di chiamata in garanzia cui occorre fare richiamo.

Il primo, ricorda la Corte, è che la domanda di garanzia “è funzionale a deviare sul terzo le conseguenze economiche della soccombenza del chiamante e presuppone necessariamente che sia tata accolta la domanda proposta contro di lui[24]“. In difetto, infatti, l’esame della domanda di garanzia resta assorbito.

Il secondo, e solo una volta superato con esito positivo il vaglio di ammissibilità della domanda riconvenzionale, è che le spese di giudizio sostenute dal terzo chiamato in garanzia, vanno poste a carico della parte che, risultata soccombente, abbia provocato e giustificato la chiamata in garanzia trovando tale statuizione adeguata giustificazione nel principio generale dell’ordinamento, quello di causalità che governa la regolamentazione delle spese di lite[25]exart. 91 c.p.c.[26], anche se l’attore soccombente non abbia formulato alcuna domanda nei confronti del terzo[27], e salvo che l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria[28].

Dal coordinamento di questi principi si ottiene che, se la domanda di garanzia è assorbita, per il rigetto della pretesa azionata verso il chiamante, è il giudice a dovere operare una valutazione virtuale della palese arbitrarietà o meno della domanda di garanzia, ai fini dell’imputazione (al chiamante o al soccombente) delle pese sostenute dal terzo chiamato e, ovviamente, sula sola base degli atti e senza ulteriore istruzione probatoria.

Nel caso di specie la Corte di Cassazione – nel censurare e cassare la sentenza del Giudice d’Appello e nel rinviare ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano per decidere sulla controversia e provvedere anche in ordine alle spese in Cassazione, ha osservato che pur nel coretto richiamo del secondo dei principi di diritto affermati, vi è stata da parte della Corte territoriale una non coerente applicazione dello stesso, laddove anziché rilevare la palese (o meno) arbitrarietà della chiamata in garanzia, si è basata su circostanze fattuali[29] da cui ha fatto discendere l’assenza di copertura assicurativa del professionista e la conseguente declaratoria di infondatezza della domanda di garanzia proposta.

Valutazione questa cui la Corte d’appello milanese è pervenuta con un automatismo non consentito dalla legge e nonostante avesse precedentemente rilevato che la compagnia assicurativa non aveva soddisfatto l’onere probatorio exart. 2697 c.c., omettendo di produrre in giudizio le condizioni generali di polizza poste alla base dell’eccezione sollevata e dando per ammesso un fatto storico (il tardivo pagamento del premio) ma anche il successivo giudizio critico (il difetto di copertura assicurativa), valutando la domanda di garanzia in base a norme non correttamente applicabili[30] e incompatibili con quanto le era stato chiesto ai fini della regolamentazione delle spese.

[23] Nella fattispecie riteneva che la mancata replica dell’avvocato assicurato all’eccezione di mancato pagamento del premio sollevata dalla compagnia, per rendere non operativa la copertura a garanzia, fosse circostanza sufficiente a confermare l’arbitrarietà della chiamata in causa del terzo e dunque l’impossibilità di porre le relative spese a carico dell’opponente comunque soccombente

[24] Cass. civ., S.U., n. 7700 del 19.04.2016, in Ced, Cassazione, 2016 e Cass. Civ., sez. 6, ord. n. 832 del 16.01.2017, in Ced, Cassazione 2017, ma anche e di solo poche settimane successivamente alla sentenza in commento, Cass. Civ., sez. 2. n. 23948 del 25.09.2019, in Ced, Cassazione, 2019: “Attesa la lata accezione con cui il termine “soccombenza” è assunto nell’art. 91 c.p.c., il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell’attore, ove la chiamata si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, mentre il rimborso rimane a carico dea parte che abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa il terzo, qualora l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria”.

[25] Cass. Civ., sez. 2, n. 23552 del 10.11.2011, in IlSole24Ore, Mass. Rep. Lex24.

[26] Non è esente dal sopportare l’onere delle spese di lite la parte che col suo comportamento abbia provocato la necessità del processo, prescindendo dalle ragioni – di merito o processuali – che l’abbia determinata.

[27] Cass. Civ., sez. 6, n. 2492 dell’8.02.2016 in Ced, Cassazione, 2016 e Cass. Civ., sez. 3, n. 19181 del 15.12.2003, in Ced, Cassazione, 2003.

[28] Cass. Civ., sez. 1, n. 7431 del 14.05.2012 in Ced, Cassazione, 2012; Cass. Civ., sez. 3, n. 8363 delll’8.05.2010 in Ced, Cassazione, 2010 e Cass. Civ., sez. 3, n. 6514 del 2.04.2004 in Ced, Cassazione, 2004.

[29] Come il difetto di contestazione dell’eccezione da parte della chiamante e mancata comunicazione all’assicurazione del fatturato conseguito dall’anno precedente, in base al quale sarebbe stato determinato il premio.

[30] Artt. 115, comma 1 c.p.c. e art. 2697 c.c.

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