Trasferimento di cittadini italiani nei “cd. paradisi fiscali” ed inversione dell’ onere della prova

Aliano Irene 30/04/13
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Il Legislatore tributario, per fronteggiare il fenomeno delle residenze fittizie, cioè di persone che pur conservando in Italia la residenza o il domicilio in senso civilistico trasferiscono la residenza anagrafica nei cd. paradisi fiscali,1 con la conseguenza che il soggetto diviene debitore verso il fisco dei soli redditi eventualmente prodotti nel nostro Paese, è intervenuto con l’introduzione di una norma che si rivolge ai soli cittadini italiani che trasferiscono la residenza in un Paese ritenuto a bassa fiscalità.

Nell’ art.2 del TUIR, dunque, è stato introdotto, ad opera dell’ art.10 della L.23 dicembre 1998, n.448, il comma 2 bis il quale prescrive che ”si considerano residenti i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministero delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale”.

Se si fa riferimento all’ applicazione dell’ art.2 , comma 2, del TUIR, l’onere di provare i presupposti che determinano la residenza fiscale di un soggetto in Italia, spetta all’ Amministrazione finanziaria .

Quando, invece, ricorre l’ ipotesi considerata dal comma 2 bis del citato art. 2, l’onere della prova è invertito a carico del cittadino che si sia trasferito in un ”paradiso fiscale” il quale deve dimostrare di essere divenuto “non residente”2.

La norma introduce dunque una presunzione che opera quando un cittadino italiano si cancella dall’ anagrafe italiana e si iscrive in quella di un paese “fiscalmente privilegiato.”

Oggetto di presunzione del comma 2 bis è la sussistenza, in Italia, di fatti e circostanze che consentano di attribuire la residenza fiscale in Italia; si presume, pertanto, che chi si trasferisce in paese a fiscalità bassa o nulla, conservi comunque in Italia la residenza o il domicilio.

Per vincere tale presunzione, l’onerato deve fornire una duplice prova, ossia quella di non aver conservato in Italia né la residenza, né il domicilio .3

La prova negativa può essere data, fornendo in positivo , la prova di fatti o atti incompatibili con la residenza e con il domicilio in Italia, dimostrando che la dimora abituale ed il domicilio sono nel paese di emigrazione.

Tuttavia, se l’ emigrazione avviene in un Paese con il quale l’ Italia ha stipulato una convenzione contro le doppie imposizioni, (ma che è stato incluso nella black list , come la Svizzera) la norma in esame potrebbe non operare, poiché la stessa convenzione obbliga gli Stati a risolvere la questione della doppia residenza fiscale . Quanto ai concreti elementi di prova utilizzabili, è escluso che sia sufficiente esibire semplici certificati di residenza esteri, cioè documentare l’ esistenza delle condizioni che, nel paradiso fiscale, sono considerate sufficienti per ottenere la residenza.4

Appare utile in questo caso fare riferimento agli stessi elementi che, in base alla circolare ministeriale 304/E del 1997, l’Amministrazione italiana deve prendere in considerazione per accertare la residenza in Italia del contribuente.

Inoltre la circolare ministeriale 24 giugno 1999,n.140/E, in particolare, precisa che i cittadini italiani emigrati nei Paesi di cui al D.M. 4 maggio 1999 potranno in pratica utilizzare qualsiasi mezzo di prova di natura documentale o dimostrativa atto a stabilire: 1) la sussistenza della dimora abituale nel Paese fiscalmente privilegiato; 2) l’iscrizione ed effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici del paese estero; 3) la stipula di contratti di locazione o acquisto di immobili residenziali; 4) la movimentazione a qualsiasi titolo di somme di denaro o di altre attività finanziarie nel paese estero, da e per l’ Italia; 5) l’eventuale iscrizione nelle liste elettorali; 6) la mancanza nel nostro Paese di significativi e duraturi rapporti di carattere economico familiare, politico sociale , culturale, ricreativo .

1 Cfr., M. C. FREGNI, La residenza fiscale delle persone fisiche, in Giurisprudenza Italiana, 2009, pag. 2564 e segg..

2 Si veda in proposito, L. Corsini,La residenza fittizia all’estero,una tentazione da evitare,in Fisco,1999,2533 ss;D. Irollo, Spunti in tema di residenza fiscale delle persone fisiche,in Fisco,1999,2564 ss;U. Perrucci, Nella finanziaria ’99 un addio ai paradisi fiscali?,in Comm. Int., 1999,117 ss;B. Santacroce,Sulla residenza estera invertito l’onere dalla prova,in Guida normativa,1999,534 ss;L.Magistro,Nuove misure per contrastare le estero residenze fittizie, in Corr.trib.,1999,172 ss;G.Maisto,La residenza fiscale delle persone fisiche emigrate in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato,in Riv. dir. trib.,1999,IV,51 ss; F.Tratulli, La nozione di residenza fiscale alla luce del progetto anti-abuso, in Corr.trib.,1998,3089 ss;I. Caraccioli, Nuovi rischi penali per le persone fisiche residenti nei”paradisi fiscali”,in Fisco,1998,1236 ss.

3 Di recente la Commissione tributaria Regionale del Lazio, con sentenza 12 luglio 2006,n.225, si è pronunciata nel senso che “è prova sufficiente della residenza all’estero di un cittadino italiano iscritto all’ AIRE,la locazione prima e l’ acquisto poi di un’immobile all’estero nel quale il contribuente si trasferisca unitamente al coniuge”Con commento di F.Brighenti, “Quando il soprano difende il tenore di( vita),in Boll.trib.2006,1238 ss.

4 G,Giunta,La residenza fiscale, cit,pag.355.

Aliano Irene

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