Termini in base ai quali il giudice deve formare il giudizio relativo alla riattivazione delle misura cautelari personali ai sensi dell’art. 307 comma 2° c.p.p. ( Ordinanza Trib. L’Aquila 10.4.2006)

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L’ordinanza del Tribunale di L’Aquila, che si annota con il presente commento, ripropone e riafferma i termini in base ai quali il giudice deve formare il giudizio relativo alla riattivazione delle misura cautelari personali ai sensi dell’art. 307 comma 2° c.p.p. [1].
Quest’ultima norma stabilisce, infatti, che la custodia cautelare, ove risulti necessaria a norma dell’art. 275, viene ripristinata in due ipotesi.
         La prima si verifica ove l’imputato abbia dolosamente trasgredito alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare disposta a norma del comma 1, sempre che, in relazione alla natura di tale trasgressione, ricorra taluna delle esigenze cautelari previste dell’art. 274 c.p.p..
         La seconda si concreta quando ricorre l’esigenza cautelare prevista dall’art. 274 comma 1 lettera b) c.p.p., che contempla il pericolo di fuga, in un momento contestuale o successivo alla sentenza di condanna di primo o di secondo grado.
Il caso di specie, come è agevole derivare dall’ordinanza del Collegio, ha operato specifico riferimento a quest’ultima particolare situazione, in quanto, successivamente alla pronunzia di una sentenza di condanna, all’esito del giudizio abbreviato, il GUP di L’Aquila, su richiesta del P.M. aveva disposta la cattura dell’imputato, il quale si trovava da due anni in libertà per intervenuta declaratoria di decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare – ed in pendenza del termine di deposito della sentenza -.
Il Tribunale veniva investito del problema ai sensi dell’art. 310 c.p.p. .
Si tratta di una opzione defensionale che si è posta in conformità al dominante orientamento, che ha trovato piena espressione da ultimo nella pronunzia della Sez. VI, della Suprema Corte, in data 7 Luglio 2005, n. 32516, Nicoscia[2], che ha sostenuto che “Il provvedimento che ripristina la custodia cautelare a norma dell’articolo 307, comma 2, lettera b), del c.p.p., facendo rivivere quello originario, come si ricava dall’espressione "è tuttavia ripristinata" contenuta nell’alinea del predetto comma, è impugnabile dall’interessato non già mediante il riesame, rimedio proponibile solo contro le ordinanze "genetiche" delle misure coercitive, bensì con l’appello ex articolo 310 del c.p.p., impugnazione di carattere generale e residuale che trova applicazione in tutti i casi in cui per i provvedimenti de libertate non possa sperimentarsi il riesame”.
Verificata, quindi, preliminarmente ad ogni altra valutazione di rito e merito, la correttezza dell’impostazione procedimentale, il Collegio ha focalizzato la propria attenzione sulla sussistenza concreta del presupposto di applicazione della misura, che si sostanzia nella percepibilità del concreto pericolo di fuga.
I giudici dell’appello cautelare hanno risolto tale quesito, negando che si possa rinvenire il pericolo di fuga in capo ad imputato, ancorchè condannato in primo grado, sulla base di un apparente, quanto astratto metus di fuga, che venga ricavato esclusivamente sull’abbrivio della condanna inflitta all’imputato.
Il principio di diritto affermato, quindi, ricusa la possibilità di fondare l’emissione di un provvedimento cautelare di rilevante gravità, quale è quello del ripristino della custodia in carcere, sulla base di un mero quanto assiomatico collegamento fra l’entità della pena irrogata (nella fattispecie anni 8 di reclusione) ed il pericolo di fuga all’estero da parte dell’imputato, che – nel caso di specie – è cittadino straniero, seppur munito di permesso dei soggiorno e di residenza (con il proprio nucleo famigliare) nel nostro paese.
Il Tribunale di L’Aquila, infatti, ha fatto proprio il principio statuito dalla Suprema Corte di Cassazione, a sezione unite, con la pronuncia 11 Luglio 2001, n.34537, Litteri e altri, in Arch. Nuova Proc. Pen., 2001, 593, (poi unanimemente recepito), in base al quale “Ai fini del ripristino, determinato da sopravvenuta condanna, della custodia cautelare nei confronti di imputato scarcerato per decorrenza dei termini, la sussistenza del pericolo di fuga non può essere ritenuta né sulla base della presunzione, ove configurabile, di sussistenza delle esigenze cautelari stabilita dall’art. 275 c.p.p., comma 3, né per la sola gravità della pena inflitta con la sentenza, che è soltanto uno degli elementi sintomatici per la prognosi da formulare al riguardo, la quale va condotta non in astratto, e quindi in relazione a parametri di carattere generale, bensì in concreto, e perciò con riferimento ad elementi e circostanze attinenti al soggetto, idonei a definire, nel caso specifico, non la certezza, ma la probabilità che lo stesso faccia perdere le sue tracce (personalità, tendenza a delinquere e a sottrarsi ai rigori della legge, pregresso comportamento, abitudini di vita, frequentazioni, natura delle imputazioni, entità della pena presumibile o concretamente inflitta), senza che sia necessaria l’attualità di suoi specifici comportamenti indirizzati alla fuga o a anche solo a un tentativo iniziale di fuga”.
Si tratta di una posizione ulteriormente confermata in epoca recente da Cass. pen., sez. V, 19 Dicembre 2003, n.5026, (CED Cassazione, 2004, CED Cassazione, 2005).
Va ricordato, poi, che il ricordato orientamento si pone a conforto della posizione espressa dalla Sez. VI, che, con sentenza 6 Marzo 2003, n.15737, ************************, 2003, ha sostenuto che “Ai fini del ripristino della custodia cautelare di imputato scarcerato per decorrenza dei termini, nei cui confronti è intervenuta nel frattempo sentenza di condanna, la valutazione circa la sussistenza del pericolo di fuga, cui si riferisce l’art. e di imputato scarcerato per decorrenza dei termini, nei cui confronti è intervenuta nel frattempo sentenza di condanna, la valutazione circa la sussistenza del pericolo di fuga, cui si riferisce l’art. 307 c.p.p., comma 2, lett. b), non può ricollegarsi solo alla gravità della pena inflitta, ma deve fondarsi su una prognosi condotta in concreto, con riferimento ad elementi e circostanze attinenti al soggetto, tra cui la personalità, la tendenza a delinquere e a sottrarsi ai rigori della legge, il pregresso comportamento, le abitudini di vita, le frequentazioni, la natura delle imputazioni, tutti parametri idonei a definire, nel caso specifico, non la certezza, ma la probabilità che l’imputato faccia perdere le sue tracce; tuttavia, deve escludersi che i diversi elementi e circostanze debbano essere contemporaneamente sussistenti, essendo sufficiente che il giudice di merito dia rilevanza, con adeguata motivazione, a quelli ritenuti più significativi.” (conf. Cass. pen., sez. V, 11 Dicembre 2002, n.3196, *********, ***** al Diritto, 2003, 17, 64, Cass. pen., sez. II, 24 Settembre 2002, n.33125, ******* e altri, Giur. It., 2004, 604, nota di ********, Arch. Nuova Proc. Pen., 2003, 301, Riv. Pen., 2003, 359 e Cass. pen., sez. V, 18 Aprile 2002, n.1580, *******************, 2003).
Il Tribunale, pertanto, aderisce al già ricordato dettato giurisprudenziale, sancito dalle SS.UU. della Corte di Cassazione, con la sentenza 11 Luglio 2001, n.27, Litteri e altri[3], menzionato in precedenza proprio per la rilevanza della sua portata decisoria.
Giovi ricordare, infatti, che in tale occasione, il Supremo Collegio affermò che “La sussistenza del pericolo di fuga non può essere valutata in astratto, con riferimento a parametri di carattere generale e predefiniti, ma in relazione a fattori e circostanze concreti, attinenti all’imputato e non, idonei a definire nel caso specifico non la certezza ma la probabilità che lo stesso faccia perdere le tracce”.
Ergo, in forza del descritto principio, veniva imposto al giudice, affinchè questi potesse dimostrare il metus di cui alla lett. b) dell’art. 274 c.p.p., di dare corso ad una preventiva, complessiva ed attenta disamina di elementi, i quali vengono ad assumere una duplice caratteristica:
1. da un lato, essi devono essere tangibili ed effettivi (“fattori e circostanze concreti”), venendosi essi a concretare, pertanto, in dati verificati e verificabili sul piano storico, sia attuale che pregresso. A tal fine, l’ipotetico pregresso negativo comportamento, possibili quanto discutibili abitudini di vita, eventuali illecite frequentazioni, sono stati ritenuti parametri valutativi di intrinseca validità;
2. dall’altro, i succitati dati devono riferirsi direttamente ed in maniera inequivoca all’imputato, delineandone negativamente la personalità.
Secondo la Corte Suprema, quindi, tra gli elementi sopra descritti può certamente ricomprendersi anche la condanna a pena elevata, ma essa (diversamente da quanto asserito dal G.U.P.) da sola non è sufficiente a comprovare la sussistenza dell’esigenza cautelare prevista dall’art. 274 comma 1 lett. b) c.p.p..
Parimenti, proprio per la gravità delle conseguenze che possono derivare all’imputato sul piano de libertate, non può operarsi alcun tipo di richiamo a forme presuntive in tema di fuga, in evidente carenza di elementi aventi valenza probatoria, o, almeno, indiziaria.
La Corte di legittimità, infatti, in uno specifico caso, ha precisato che “in tema di ripristino della custodia cautelare nei confronti di chi sia stato scarcerato per decorrenza dei termini, se l’entità della pena inflitta costituisce un indice astratto del pericolo di fuga (art. 307 comma 2 lett. b) c.p.p.) per l’innegabile impulso umano di sottrarsi ad una sanzione gravissima, è tuttavia di per sè insufficiente a giustificare da sola la rinnovazione della misura”. (cfr. Cass. pen., sez. VI, 3 Novembre 2000, *******, Cass. Pen., 2002, 723).
Consegue, quindi, che per il ripristino della misura cautelare il giudice ben può esprimere una valutazione che, coinvolgendo l’intera personalità del prevenuto, consenta di valutare, con giudizio prognostico fondato su elementi concreti, la sottrazione dello stesso alla cattura, ben potendo, del resto, il pericolo di fuga essere collegato anche (e quindi non solo) alla natura ed entità degli addebiti, ma non potendo prescindere dall’entità della pena inflitta con la sentenza stessa, tale elemento non deve assurgere, di per sé solo a prova della predetta esigenza.
         Il quantum di pena, pertanto, può fornire indubbiamente un indicatore significativo della spinta che può rendere pressanti i propositi di fuga, ma non può – come detto – di per sé assolvere alla concretizzazione di tale metus,
         E’, pertanto, incontrovertibile e condivisibile il giudizio reso dalla Suprema Corte Sez. V 9 Marzo 2004, n. 23119 (rv. 229186), Galloche[4], secondo la quale, ai fini del ripristino della custodia cautelare, contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna, a mente dell’art. 307 comma secondo, lett. b) c.p.p., l’entità della pena inflitta, ancorché elemento di imprescindibile valenza, non costituisce l’esclusivo parametro di riferimento ma si colloca nel quadro di una più complessa valutazione che deve tenere conto anche della natura e gravità dell’addebito in funzione di un giudizio prognostico, prettamente di merito, dal quale appaia ragionevolmente probabile che il condannato possa sottrarsi all’esecuzione di provvedimenti giudiziari conseguenti all’irrevocabilità della pronuncia di condanna.
         Ergo il quantitativo della sanzione va letto quale espressione e manifestazione del plurimo e concorrente giudizio di gravità del fatto e di pericolosità del soggetto, elementi dai quali si può, a parere del giudice di legittimità, inferire sul piano strettamente logico una prognosi di concreta attuazione di programmi di fuga.
 
Rimini, lì 17 Luglio 2006
Avv. *******************
 
 
TRIBUNALE DI L’AQUILA
 
Il Tribunale, riunito in camera di consiglio nelle persone dei signori magistrati
 
Dr. ************************
Dr. ************************
Dr. ***********************
 
Visto l’appello depositato il 17/20 marzo 2006 dal difensore di ***** nel procedimento n. 1160/2005 R.G. ****** nei confronti di costui, imputato, assieme ad altri, della violazione degli artt. 73 e 74 del D.P.R. n. 309 del 1990 per associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e per uno specifico fatto di concorso in detenzione e trasferimento ai fini di cessione di sostanza stupefacente del tipo eroina commessi in Francavilla al Mare, Grottammare ed in altre località dal novembre 2001 al 27 maggio 2004, avverso l’ordinanza in data 10.3.2006 del G.U.P. di questo Tribunale che disponeva il ripristino nei confronti del R. della misura cautelare della custodia in carcere, già applicatagli originariamente sino alla scadenza del termine massimo;
Sentite le parti comparse all’udienza odierna;
Esaminati gli atti su cui l’impugnazione proposta si fonda e trasmessi a questo Tribunale il 27.3.2006;
Sciogliendo la riserva adottata a verbale;
Premesso che l’appellante si duole dell’erronea applicazione del disposto di cui agli artt. 307, comma 2°, lett. b), e 274, comma 1°, lett. b), c.p.p., per avere il G.U.P. ripristinati la custodia in carcere in assenza dei concreti elementi e circostanze da cui dedurre la possibilità del pericolo di fuga dell’imputato, avendo fondato il ripristino unicamente sull’entità della pena irrogata con la sentenza di condanna non potendo basarsi su alcun altro argomento;
Considerato che il G.U.P. ha adottato il ripristino della custodia in carcere del R., su istanza del P.M. in data 9.3.2006, argomentando, coerentemente alle osservazioni dell’organo dell’accusa, che il pericolo di fuga, in relazione al quale la misura cautelare è stata appunto nuovamente adottata, era deducibile dal riscontrato inserimento dell’imputato “….in una complessa organizzazione criminale con legami ed interessi illeciti anche all’estero…” e dall’intervenuta condanna ad una seria pena detentiva e che le presumibili esigenze cautelari connesse a tali elementi potevano essere soddisfatti soltanto con la custodia in carcere;
Rilevato che, ad avviso del Tribunale, l’impugnazione merita accoglimento essendo pertinenti e condivisibili le osservazioni, anche in punto di diritto, sviluppate dal difensore del R.;
Atteso quanto è stato ripetutamente sottolineato dalla S.C.: “Ai fini del ripristino della custodia cautelare nei confronti di imputato scarcerato per decorrenza dei termini, nei cui confronti è intervenuta nel frattempo sentenza di condanna, la valutazione circa la sussistenza del pericolo di fuga, cui si riferisce l’art. 307 c.p.p., comma 2, lett. b), non può ricollegarsi solo alla gravità della pena inflitta, ma deve fondarsi su una prognosi condotta in concreto, con riferimento ad elementi e circostanze attinenti al soggetto, tra cui la personalità, la tendenza a delinquere e a sottrarsi ai rigori della legge, il pregresso comportamento, le abitudini di vita, le frequentazioni, la natura delle imputazioni, tutti parametri idonei a definire, nel caso specifico, non la certezza, ma la probabilità che l’imputato faccia perdere le sue tracce, tuttavia deve escludersi che i diversi elementi e circostanze debbano essere contemporaneamente sussistenti, essendo sufficiente che il giudice di merito dia rilevanza, con adeguata motivazione, a quelli ritenuti più significativi” (vedi da ultimo, tra le altre, Cass., pen. Sez. VI, 6.3.2003 n. 15736, M., Cass. Pen. 2004, 2110);
Ritenuto che nella specie non può evincersi dagli atti del procedimento alcuno degli elementi menzionati dalla S.C. – con eccezione dell’entità della pena – da cui poter lecitamente dedurre il presunto pericolo di fuga; né il P.M. ed il G.I.P. hanno rammentato altre circostanze o fatti utilizzabili per una prognosi negativa sulla possibilità che il R., libero, faccia perdere le sue tracce (neppure il fatto di essere proveniente da un paese extracomunitario può, ovviamente, valere a questi fini ove non supportato da altri elementi significanti): non si è reso latitante né si ha ragione di convincersi della probabilità che si sottragga al processo ed all’eventuale sanzione badando alla natura ed al numero delle imputazioni (in definitiva è gravato dell’accusa di un solo episodio di trasporto di sostanza stupefacente seppure di entità cospicua);
Considerato che, pertanto, al ***** va restituita la libertà, ove non gravato da provvedimento restrittivo per altra causa;
P.Q.M.
Visto l’art. 310 c.p.p.;
I N A C C O G L I M E N T O
dell’appello proposto da R.A. avverso l’ordinanza emessa in data 9.3.2006 dal Giudice per l’Udienza Preliminare di questo Tribunale annulla l’ordinanza in questione ordinando la rimessione immediata in libertà dello stesso R. ove non gravato da diverso provvedimento restrittivo per altra causa. Manda alla cancelleria per le comunicazioni e gli adempimenti di rito.
L’Aquila, lì 10.4.2006.                      IL PRESIDENTE est.
 


[1]         307. Provvedimenti in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini.
            1. Nei confronti dell’imputato scarcerato per decorrenza dei termini il giudice dispone le altre misure cautelari di cui ricorrano i presupposti, solo se sussistano le ragioni che avevano determinato la custodia cautelare [c.p.p. 273, 274, 275] (1).
            2. La custodia cautelare, ove risulti necessaria a norma dell’articolo 275, è tuttavia ripristinata:
            a) se l’imputato ha dolosamente trasgredito alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare disposta a norma del comma 1, sempre che, in relazione alla natura di tale trasgressione, ricorra taluna delle esigenze cautelari previste dall’articolo 274;
            b) contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna di primo o di secondo grado, quando ricorre l’esigenza cautelare prevista dall’articolo 274 comma 1 lettera b) (3).
            3. Con il ripristino della custodia, i termini relativi alla fase in cui il procedimento si trova decorrono nuovamente ma, ai fini del computo del termine previsto dall’articolo 303 comma 4, si tiene conto anche della custodia anteriormente subita.
            4. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono procedere al fermo dell’imputato che, trasgredendo alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare disposta a norma del comma 1 o nell’ipotesi prevista dal comma 2, lettera b), stia per darsi alla fuga. Del fermo è data notizia senza ritardo, e comunque entro le ventiquattro ore, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo ove il fermo è stato eseguito. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sul fermo di indiziato di delitto. Con il provvedimento di convalida, il giudice per le indagini preliminari [c.p.p. 328], se il pubblico ministero ne fa richiesta, dispone con ordinanza, quando ne ricorrono le condizioni, la misura della custodia cautelare e trasmette gli atti al giudice competente (4).
            5. La misura disposta a norma del comma 4 cessa di avere effetto se, entro venti giorni dalla ordinanza, il giudice competente non provvede a norma del comma 2 lettera a).
            ———————–
            (4) Comma così modificato dall’art. 2, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4. Le nuove disposizioni si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del suddetto D.L. n. 341 del 2000, ai sensi dell’art. 5 dello stesso decreto. Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «4. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono procedere al fermo dell’imputato che, trasgredendo alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare disposta a norma del comma 1, si è dato alla fuga. Del fermo è data notizia senza ritardo, e comunque entro le ventiquattro ore, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo ove il fermo è stato eseguito. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sul fermo di indiziato di delitto. Con il provvedimento di convalida, il giudice per le indagini preliminari, se il pubblico ministero ne fa richiesta, dispone con ordinanza, quando ne ricorrono le condizioni, la misura della custodia cautelare e trasmette gli atti al giudice competente».
[2]Guida al Diritto, 2005, 39, 98
[3]          Cass. Pen., 2002, 36, 1443, nota di DI BITONTO; *******, ********. e Processo, 2001, 1373
 
[4]CED Cassazione, 2004, Arch. Nuova Proc. Pen., 2005, 611, Riv. Pen., 2005, 1012

Zaina Carlo Alberto

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