Tecniche redazionali: sui rischi di inammissibilità in Cassazione alle novità premiali del D.M. 37/2018

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A cura di Avv.ti Iolanda Boccia e Gabriele Travaglini

L’inammissibilità in Cassazione (artt. 365, 366, 366 bis e 360 bis c.p.c.)

A seguito delle riforme che hanno interessato il giudizio dinanzi la Suprema Corte dal 2006 in poi, nel tentativo di riaffermare la funzione nomofilattica della Corte, il concetto di «inammissibilità», in origine squisitamente legato ad aspetti per lo più formali e all’ambito del rito (artt. 365 (1) e 366 c.p.c.(2): decorrenza dei termini per l’impugnazione ovvero carenza di interesse o legittimazione ad impugnare), si è ampliato, colorandosi di tratti molto vicini al merito. Nel 2009, a fronte dell’abrogazione del cd. «quesito di diritto» (art. 366 bis c.p.c.), accanto ai casi tipici di inammissibilità cd. «procedurale» o «tradizionale»(3) , si è assistito all’introduzione di un’ulteriore forma di inammissibilità, ossia quella di cui all’art. 360 bis c.p.c. (4), con un rafforzamento del fenomeno del «filtro».

Ne consegue che, ad esempio, i ricorsi inutilmente prolissi (spesso purtroppo conseguenza «distorta» di un’errata interpretazione del principio di autosufficienza) rischiano ora la declaratoria di inammissibilità, in quanto ipotetiche censure non pertinenti equivalgono a mancata enunciazione dei motivi, in spregio alla previsione normativamente imposta dall’art. 366 nn. 3 e 4 c.p.c. (Cass. 20910/17 e Cass. 11260/18, cit.).

In particolare, per Cassazione 11260/2018, la Corte non deve essere informata di tutto:
«… in tema di ricorso per cassazione … la pedissequa riproduzione del contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso (in senso conforme, tra le tante, Cass. sez. unite 5698/2012 e 16628/2009; Cass. 3385/2016).».

Dunque, il ricorrente è tenuto «non già ad un’attività materiale meramente compilativa, alternando pagine, con richiami ad atti processuali del giudizio di merito, alla relativa allegazione o trascrizione, bensì a rappresentare e interpretare i fatti giuridici in ordine ai quali richiede l’intervento della Corte Suprema, … in un’ottica di economia processuale che evidenzi i profili rilevanti ai fini della formulazione dei motivi di ricorso, che altrimenti finiscono per risolversi in censure astratte e prive di supporto storico.» (Cassazione 11260/2018, cit.).

Il cd. «filtro» di inammissibilità (per precedente conforme: art. 360 bis c.p.c., n. 1 e per infondata censura di violazione dei principi del giusto processo: art. 360 bis c.p.c., n. 2)

Nelle due nuove fattispecie di inammissibilità ex art. 360 bis c.p.c., non viene in rilievo un requisito prettamente formale, bensì più propriamente qualcosa di molto affine alla sostanza delle questioni dibattute: tali ipotesi avrebbero dovuto più coerentemente essere ricondotte all’infondatezza nel merito dell’impugnazione piuttosto che alla categoria della inammissibilità.
Tralasciando la disamina delle ipotesi di cui all’art. 360 bis n. 2 c.p.c. (che anche per Cass. Sez. Lav. 9142/18 – in ossequio alla precedente ord. 16102/16 – «… là dove implica che la violazione di norme del procedimento determini quella dei principi regolatori del giusto processo, “nell’unica lettura possibile per dare alla previsione un senso” comporta proprio che detta violazione abbia svolto un ruolo decisivo, dovendosi dimostrare che l’omessa pronuncia riguarda “una quaestio iuris astrattamente rilevante …») e limitando l’analisi al solo disposto di cui al n. 1 del predetto art. 360 bis c.p.c., si osserva come le SS.UU. 7155/17 (con pronuncia solo in parte – e forse apparentemente – avallata da Cass. ord. 5001/18) decidano il rafforzamento del «filtro»(5) , indicando la via dell’inammissibilità cd. «meritale» come alternativa alla categoria dell’inammissibilità processuale, già nota.

Ed allora, l’ordinanza 5001/18 della VI Sezione della Cassazione chiarisce la relazione esistente tra l’art. 366 n. 4 e l’art. 360 bis c.p.c. ai fini dell’esatto assolvimento dell’onere di specificità dei motivi di ricorso: pur dopo aver ricordato che i requisiti di ammissibilità non solo non sono soddisfatti laddove i motivi siano formulati senza rispetto delle forme (ossia viziati quanto al «modo di formulazione») ma anche se il ricorso non si faccia adeguatamente carico dell’«onere argomentativo» e finisca per guardare «al merito degli argomenti svolti» ed essi «risultino manifestamente infondati», la Corte precisa che la mancanza di specificità dei motivi attiene comunque alla inammissibilità strettamente (e tradizionalmente) processuale, in quanto «… risulta evidente che non può ritenersi idoneo al raggiungimento del suo scopo e, dunque, specifico, un motivo che non contenga gli elementi cui il detto art. 360 bis n. 1 àncora l’inammissibilità del ricorso sul piano meritale. Da qui l’insorgere di un onere processuale, di carattere contenutistico, che attiene al modo, alla tecnica, con cui il motivo deve essere formulato».

Indicatori della specificità dei motivi, in tale ottica, sono:

– specificazione di tutte le norme di diritto che si assumono violate ed esame del contenuto precettivo delle stesse, in coerenza con il significato ad esse riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità;
– individuazione di tutte le rationes decidendi e raffronto tra la regola giuridica applicata dal giudice di merito e la giurisprudenza di legittimità;
– ove la pronuncia impugnata risulti conforme alla giurisprudenza di legittimità, il motivo dovrà anche contenere argomenti per contrastare l’indirizzo consolidato.

In mancanza, il motivo sarà «non specifico, inidoneo al raggiungimento dello scopo e, dunque, inammissibile ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ.».

In aggiunta a quanto sopra, sarà opportuno ricordare che:

– la declaratoria di inammissibilità, al pari del rigetto, comporta il raddoppio del Contributo Unificato (cfr. anche: Cass. ord. 18348/17 che lo esclude in caso di incidentale tardivo dichiarato inefficace per inammissibilità del ricorso principale);
– il ricorso dichiarato inammissibile espone il ricorrente al rischio di venir condannato per la temerarietà della lite, ai sensi dell’art. 385 c.p.c. co. 4 (per Cass. 28657/17, anche d’ufficio in caso di censure vistosamente errate) ovvero ai sensi dell’art. 96 c.p.c (Cass. ord. 16482/17);
– in caso di ricorso inammissibile, il difensore potrà essere ritenuto responsabile, con conseguenze risarcitorie (Cass. ord. 15985/17) – e forse anche disciplinari – da non sottovalutare (per Cass. ord. 58/2016 ove il difensore agisca in forza di procura inidonea, potrà essere anche condannato alle spese di lite, in proprio)

Le novità del D.M. 37/2018

Dopo aver ricordato le possibili sanzioni conseguenti alla declaratoria di inammissibilità del ricorso in Cassazione, passiamo a vedere alcuni aspetti “premianti”, previsti invece dalle nuove norme in tema di liquidazione dei compensi degli avvocati nel caso di osservanza di alcuni accorgimenti tecnici nella redazione degli atti giudiziali.

Il D.M. 8.3.2018 n. 37, intitolato “Regolamento recante modifiche al decreto 10 marzo 2014, n. 55, concernente la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247”, ha infatti apportato alcune modifiche di rilievo alla disciplina dei parametri forensi.

Esso si applica alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore (27 aprile 2018), riferite al compenso spettante al professionista che a quella data non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora era in vigore la precedente normativa parametrica o la previgente tariffa forense(6) .

Le novità salienti del D.M. 37/2018 possono così riepilogarsi:

– è vietato al Giudice la liquidazione del compenso professionale sotto una soglia numerica minima. I valori medi possono essere aumentati di regola sino all’80% (100% per la fase istruttoria) e possono essere diminuiti non oltre il 50% (70% per la fase istruttoria);
– introduzione di specifica previsione di compenso per l’attività svolta dall’avvocato nei procedimenti di mediazione e negoziazione assistita, liquidata in base ai parametri numerici di apposita tabella (25-bis);
– aumento dei compensi per l’avvocato che assista più soggetti aventi la stessa posizione processuale: per ogni soggetto oltre il primo, nella misura del 30 per cento (anziché del 20), fino a un massimo di dieci soggetti, e del 10 per cento (anziché del 5) per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di trenta (anziché di venti);
– in caso di proposizione di motivi aggiunti nel processo amministrativo, il compenso relativo alla fase introduttiva del giudizio è di regola aumentato sino al 50 per cento;
– con riguardo all’Arbitrato: i compensi previsti dall’apposita tabella, si applicano adesso a favore di ciascun arbitro e non più all’intero collegio.

La novità più interessante ai fini dell’argomento qui in oggetto riguarda tuttavia la previsione di un aumento dei compensi per l’«avvocato telematico»: all’interno dell’art. 4 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, rubricato «Parametri generali per la determinazione dei compensi in sede giudiziale» è stato, infatti, introdotto il comma 1 bis:
«Il compenso determinato tenuto conto dei parametri generali di cui al comma 1 è di regola ulteriormente aumentato del 30 per cento quando gli atti depositati con modalità telematiche sono redatti con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione o la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all’interno dell’atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all’interno dell’atto».

Tecniche redazionali per consentire la navigazione all’interno dell’atto

Il favore accordato alle tecniche redazionali idonee a consentire la navigazione all’interno dell’atto deve tuttavia essere coordinato con il disposto di cui agli artt. 12 e 13 delle specifiche tecniche del Ministero di Giustizia (16.4.2014), secondo le quali l’atto non può contenere elementi attivi o macro, vale a dire un insieme di procedure, comandi o istruzioni richiamabili durante l’esecuzione di un programma, che possano pregiudicare la sicurezza (es.: veicolare virus) e alterare valori quando il file viene aperto.

Gli atti depositati nell’ambito del processo telematico sono, già per legge, PDF testuali ovvero con testo selezionabile, copiabile e ricercabile. Ciò nondimeno, per agevolare ulteriormente la navigazione all’interno dell’atto ed acquisire l’aumento di compenso previsto dal citato DM 37/2018 si potrà pensare di inserire capitoli e sommari, link a pagine web o a documenti depositati, ecc., avendo l’accortezza di rispettare altresì le suddette specifiche tecniche del Ministero di Giustizia.

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NOTE

(1)Cfr.: art. 365 c.p.c. (“Sottoscrizione del ricorso.
[I) Il ricorso è diretto alla corte e sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un avvocato iscritto nell’apposito albo, munito di procura speciale.”), requisito richiesto anche per il controricorso (art. 370 c.p.c.).
(2)Art. 366 c.p.c.: “Contenuto del ricorso.
[I] Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità:
1) l’indicazione delle parti;
2)l’indicazione della sentenza o decisione impugnata;
3) l’esposizione sommaria dei fatti di causa;
4) i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, [secondo quanto previsto dall’articolo 366-bis];
5) l’indicazione della procura, se conferita con atto separato e nel caso di ammissione al gratuito patrocinio, del relativo decreto;
6) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda.
[II] … omissis …
[III] … omissis …
[IV] … omissis …”.

(3)e, segnatamente:
– mancanza procura speciale ad hoc rilasciata al difensore iscritto all’apposito Albo (Cass. ord. 12161/18) neanche sanabile tardivamente (Cass. pen. 42491/2012);
– tardività (anche notifica pec dopo le ore 21: Cass. ord. 30766/17; Cass. ord. 7079/2018);
– mancanza cartolina verde attestante la notifica postale (Cass. ord. 7480/18);
– carenza legittimazione attiva (Cass. 10874/18) e difetto di interesse (Cass. 2047/17; Cass. 18641/17; Cass. ord. 30354/17), anche sopravvenuto (Cass. SS.UU. 10553/17);
– mancanza indice e produzioni documentali necessarie all’esame del ricorso (Cass. ord. 23452/17);
– mancata esposizione dei fatti di causa (Cass. ord. 10472/18; anche processuali: Cass. 18962/17);
– mancata impugnazione di tutte le rationes decidendi (Cass. 13524/17) e carenza di decisività (Cass. ord. 1351/18: ogni qual volta non si coglie la ratio della pronuncia impugnata);
– presenza questioni nuove (Cass. ord. 10363/18);
– presenza questioni di merito, mai sussumibili nel giudizio di legittimità (per tutti: Cass. 20957/17);
– carenza di autosufficienza ex art. 366 n. 6 (Cass. ord. 22880/17);
– inidoneo utilizzo «nuovo» art. 360, n. 5 (Cass. 10577/17), genericità doglianze (Cass. 10577/18), mancanza di sinteticità (ricorsi cd. «sandwich»: Cass. ord. 26561/17, Cass. 8245/18, Cass. 11260/2018) e non pertinenza delle censure (Cass. ord. 20910/17).

(4)Art. 360 bis c.p.c. (“Inammissibilità del ricorso. [I] Il ricorso è inammissibile:
(1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa;
(2) quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo.“).

(5)Per Cass. ord. 4366/18 anche un solo precedente, neppure recente, è sufficiente ai fini che interessano.

(6)In tal senso è la giurisprudenza di legittimità (fra le tante: Cass. ord. 27 febbraio 2017, n. 4949) e della Corte costituzionale (Corte Cost. ord. 7 novembre 2013, n. 261), secondo cui la tariffa di riferimento per la liquidazione degli onorari è quella vigente al momento in cui si è esaurita la prestazione professionale.

Gabriele Travaglini

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