Tecniche di mediazione: analisi di un caso pratico

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Si trascrive, in versione parziale e non rivisitata, il testo dell’intervento al primo corso base per conciliatori, organizzato dall’Università degli studi di Palermo nel maggio 2005.

 

(Omissis) Il mio intervento consentirà, attraverso l’analisi dell’iter che ho ritenuto di adottare in un caso reale, di verificare l’acquisizione delle nozioni teoriche e pratiche apprese fin ora.

Constaterete, così, come utilizzare in conciliazione i metodi e le strategie conosciute, o che conosceremo insieme, e come affrontare consapevolmente gli ostacoli più comuni. (Omissis).

Il primo approccio alla controversia inizia con la lettura del fascicolo d’ufficio. Nella mia esperienza professionale ho potuto constatare come l’esame preventivo del fascicolo non rappresenti un aspetto necessariamente positivo.

L’esame della documentazione consente di prepararvi prima sui fatti e sugli aspetti tecnici del caso; dà alle parti l’impressione di efficienza e serietà, e maggiore sicurezza nella gestione dell’incontro. L’esame del fascicolo, tuttavia, determina una conoscenza parziale dei fatti (solo quanto scritto), riduce la disponibilità all’ascolto e comporta una concentrazione sulle posizioni espresse e non sugli interessi.

Sono presenti inoltre altri aspetti negativi, come l’errata e l’eccessiva valutazione degli aspetti tecnici, nonchè il rischio che sia lasciato meno spazio alle parti per il loro racconto e l’espressione delle emozioni. (Omissis).

Secondo la mia esperienza, tranne il caso in cui la conciliazione si presenta particolarmente complessa e richiede un’approfondita preparazione preliminare, è generalmente preferibile leggere la documentazione, ma far finta di nulla, lasciando alle parti la possibilità di esprimersi liberamente.

È opportuno non dire alle parti di avere omesso la lettura della documentazione senza spiegarne il motivo. Si tratta di un comportamento corretto ma controproducente. (Omissis).

La procedura di conciliazione inizia con l’incontro delle parti.

Il caso che tratteremo riguarda la controversia tra un gruppo di turisti (parte A) e un tour operator, rappresentato dal proprio direttore commerciale, con l’assistenza di un avvocato (parte B).

“Esiste una sola occasione per dare di sé una prima impressione”: questo detto vale soprattutto per il conciliatore.

L’accoglienza è importante, cercare di instaurare un rapporto empatico, ma assume fondamentale importanza la formulazione del discorso introduttivo.

Spesso le parti non hanno mai partecipato a una conciliazione; a volte capita di avere di fronte persone già esperte di conciliazione, in ogni caso,

per entrambe sarà la prima volta che v’incontrano.

È essenziale sapersi presentare alle parti e infondere loro fiducia sul vostro ruolo e le vostre capacità.

Il conciliatore è privo di autorità ma deve essere dotato di grande autorevolezza, la fiducia e il rispetto dovrete guadagnarvelo sul campo. Pertanto, una buona e curata presentazione di se stessi è molto utile.

E’ in questo momento che si può rinforzare quell’idea d’imparzialità e di competenza che le parti immaginano senza avervi sentito parlare.

Se siete avvocati, un cenno di riferimento al settore della controversia può

essere utile, anche per infondere alle parti l’idea che siete la persona che meglio può comprendere gli aspetti tecnici e i dettagli della loro lite.(1).

Torniamo al nostro caso: le parti (turisti, direttore commerciale e avvocato) si accomodano al tavolo.

Assicuratevi che le parti non stravolgano le posizioni loro assegnate. Se

una parte, come nel caso de quo, è composta da più elementi (turisti), costoro tenderanno ad invadere il campo, cercando di divenire protagonisti

assoluti e, quindi, gestori della procedura. È pertanto necessario esercitare il controllo delle regole.

Dopo l’esposizione del discorso introduttivo ha inizio, come già avete appreso, la prima sessione congiunta.

Solitamente ad esprimere per prima la propria posizione è la parte che ha chiesto l’avvio della procedura.

Se la parte è composta, come in questo caso, da più soggetti chiedete che ci sia un portavoce, ciò non esclude che anche gli altri elementi possano esprimere la loro opinione. L’importante è che i tempi per esporre la propria posizione siano uguali per entrambe le parti: si tratta di un’esigenza dettata dalla regola dell’imparzialità. E’ infatti importante che le parti avvertano che siete imparziali e non solo che vi professiate tale.

Di solito, così anche nel nostro caso, durante l’esposizione dei fatti oggetto della controversia, vi sono delle interruzioni ad opera della parte avversa: correggete gentilmente, ma con autorevolezza. Non accavallare le parole e rispettare ordinatamente lo spazio di comunicazione reciproco sono elementi essenziali per la riuscita della conciliazione e per consentire di districarvi tra le affermazioni delle parti.

Generalmente, all’inizio della procedura, sono tutti favorevoli ad accettare le richieste del conciliatore e tutti si dichiarano pronti a non travalicare l’altro. Le conciliazioni tuttavia sono imprevedibili e talvolta il flusso delle emozioni prende il sopravvento, facendo dimenticare alle parti in lite i sani propositi adottati.

Pertanto, all’inizio della conciliazione, fate in modo che il rispetto della parola e dei tempi sia un impegno non subìto dalle parti, ma formalmente assunto dalle stesse. Posso assicuravi che ciò renderà più facile riprendere le redini dell’incontro nei momenti difficili, richiamando le parti agli impegni assunti. Eviterete così atteggiamenti repressivi, che potrebbero influenzare in loro la percezione della vostra imparzialità.

Se la controversia, come quella in oggetto, è caratterizzata da una forte componente emotiva è essenziale sapere bene usare la parafrasi.

Nel fare la parafrasi dovete avere cura di non assumere l’esposizione come propria, o come un dato di fatto, ricorrendo all’utilizzo di frasi come: ” Lei dice”

“Lei pensa”, “Lei sostiene”. È necessario non dimenticare di fare queste introduzioni, altrimenti l’altra parte potrà pensare che abbiate perso l’imparzialità.

Nella conciliazione de quo, una corretta parafrasi è stata decisiva, ha attivato i canali di comunicazione fra le parti, ma si è reso comunque necessario procedere con gli incontri riservati.

Tali incontri rappresentano una grande risorsa per il conciliatore.

Nel discorso introduttivo è importante spiegare alle parti cosa sono gli incontri riservati, in modo da prepararle anticipatamente.

Un’attenzione particolare deve essere dedicata anche alla natura riservata delle sessioni private, al fatto che tutto quanto detto da una parte non sarà rivelato, salvo che non vi sia un’espressa autorizzazione.

Poiché nella conciliazione in esame sono presenti più soggetti, ho chiarito, sin dall’inizio, che mi riservavo la facoltà di effettuare incontri separati anche con una persona scelta all’interno di una parte, ad esempio: solo con la parte, con l’avvocato senza la parte, etc. E’ importante rappresentare questa possibilità come qualcosa di naturale e scontato nel corso della conciliazione.

Nel nostro caso pratico siamo giunti alle sessioni private.

Questa controversia, come vi ho già detto, era caratterizzata da una forte componente emotiva. L’emotività è uno dei principali ostacoli alla riuscita della conciliazione, raramente a un conflitto non si accompagna anche un forte lato emotivo (difficoltà relazionale, frustrazione, delusione, rabbia, etc.).

Il mancato controllo, o il mancato sfogo dell’emotività rischiava di mettere a repentaglio la riuscita della conciliazione.

Specie nelle situazioni molto conflittuali, le emozioni possono contare più delle parole: di conseguenza vanno riconosciute e non rimosse, legittimate e non represse, ad esempio reagendo rigidamente a un loro sfogo.

Come fare in questi casi? Il conciliatore può prendere atto dell’emozione, consentendo alle parti di viverla sino in fondo. Può incoraggiare il loro sfogo in sessione congiunta per arrivare al suo esaurimento.

Nel nostro caso, tuttavia, ho ritenuto che adottare questa tecnica fosse molto rischiosa, perché le parti erano composte da più soggetti. Pertanto, in sessione congiunta iniziale, ho arginato l’emotività facendo rispettare le regole della procedura: ricordare all’altra parte che non si deve interrompere, non si deve gridare, ecc.

Negli incontri privati ho lavorato separatamente con le due parti, finché l’emotività non fosse controllata. Ho fatto riconoscere alle parti le emozioni provate dall’altra, chiedendo alle stesse di immedesimarsi nella posizione altrui. (Omissis).

In questi casi si può anche proporre una pausa, ma è molto rischioso, perché un’interruzione può mettere in discussione quanto risolto.

Al riguardo, un metodo fondamentale che ho adottato, che potete utilizzare sia nella sessione congiunta che nelle sessioni private, è quello di scindere le persone dal problema. (2)

In qualsiasi negoziato, anche nel più apparentemente impersonale, si ha sempre a che fare con esseri umani e con tutto il loro bagaglio di emozioni, sensibilità, idiosincrasie e pregiudizi, che li rende sostanzialmente imprevedibili.

Dal modo in cui il conciliatore saprà usarlo, il “fattore umano” potrà essere utile, oppure disastroso; è perciò importante che, in ogni momento e fase, vi domandiate se state prestando la dovuta attenzione ai problemi personali delle parti. Questi, infatti, tendono continuamente a intrecciarsi con le relazioni preesistenti al negoziato, diventano invadenti e creano confusione: il disagio verso una situazione si trasforma in disagio, o ostilità, verso gli individui, che a quella situazione sono psicologicamente associati.

Bisogna, dunque, riuscire a tenere il rapporto accuratamente separato dalla sostanza del problema, concentrandosi su quest’ultimo.

A questo scopo, un ruolo fondamentale è evidentemente giocato dal modo in cui sarete capaci di gestire le percezioni, le emozioni e la comunicazione tra le parti coinvolte nella conciliazione.

E’ necessario soprattutto riuscire a spostare la normale percezione soggettiva ed egocentrica, del tipo “io e il mio problema”, verso un modello di percezione del tipo “noi e il nostro problema”.

Una volta arginata l’emotività, ho potuto far emergere, negli incontri riservati, gli interessi delle parti.

Una strategia fondamentale da adottare è quella di concentrarsi sugli interessi, non sulle posizioni.

Se chiediamo a due persone, apparentemente impegnate in un negoziato, perché stanno discutendo, di solito la risposta identificherà una causa, quasi mai uno scopo: i partecipanti a una disputa tendono inevitabilmente a concentrarsi su ciò che l’altra parte ha detto o fatto, su ciò che li divide e non sugli interessi a lungo termine, che potrebbero invece unirli.

Il problema principale di una conciliazione infatti non sono le posizioni in conflitto, ma il conflitto tra i bisogni, i desideri, gli interessi e i timori delle parti. Un individuo può decidere di tenere una determinata posizione nella trattativa: i suoi interessi sono ciò che ha determinato quella decisione.

A questo proposito, il primo compito del conciliatore è di smantellare la presunzione assoluta che dietro posizioni opposte debbano necessariamente celarsi degli interessi inconciliabili.

Il problema è come far emergere gli interessi, perché mentre le posizioni sono di solito chiare ed esplicite, gli interessi sono appunto inespressi, intangibili e non di rado incoerenti.

Uno dei modi migliori per scoprirli è probabilmente quello di “mettersi nei panni” delle parti, cercare cioè d’individuare la richiesta principale che ciascuna delle parti avrebbe realmente voluto fare all’altra, e chiedersi perché non l’abbia fatta. È qui che s’inserisce l’attività maieutica del conciliatore, attraverso l’intelligente formulazione delle domande nelle sessioni private. (Omissis). Un suggerimento: utilizzate domande aperte, ipotetiche e alternative.

In linea teorica, infatti, possiamo evidenziare almeno sei categorie di domande, che il conciliatore può utilizzare, con profitto, nel corso della conciliazione: aperte, chiuse, ipotetiche, alternative (che consistono nel mettere le parti l’una nei panni dell’altra), multiple e tendenziose.

In estrema sintesi, le domande aperte sono quelle che costringono chi risponde a fornire una risposta articolata e argomentata. Si tratta di domande che non consentono all’interlocutore una risposta: “SI/NO”. Al contrario, le domande chiuse sono quelle che permettono, a chi risponde, di trincerarsi dietro un semplice monosillabo ed evitare di trattare più approfonditamente l’argomento. Le domande chiuse non sono uno stimolo alla conversazione.

Le domande aperte sono utili sostanzialmente in qualunque momento della conciliazione. Porre delle domande chiuse e ricevere come risposta un poco conciliativo: “NO”, può creare un inutile blocco alla negoziazione.

Porre domande aperte non è semplice, il rischio delle domande aperte è di

spingere le parti a parlare troppo. Si tratta dunque, nel bilancio complessivo dei pro e contro di un rischio che val bene la pena assumersi.

Le domande chiuse possono essere utilizzate per raggiungere un obiettivo concreto e specifico in quelle fasi in cui sarà necessario concentrarsi su dati concreti (denaro, tempo, accettazione delle proposte). Non vi nascondo che queste domande sono un rischio per il successo della conciliazione.

Le domande ipotetiche servono a far in modo che il conciliatore possa mettere sul tavolo un’idea, un contributo, una riflessione, una vera e propria proposta, senza però volersene attribuire la paternità. (Omissis).

Per ragioni di completezza espositiva accenno, brevemente, alle domande multiple e tendenziose. Si tratta di una tipologia di domande utilizzate da taluni conciliatori, ma il cui impiego dovrebbe avvenire con estrema cautela e consapevolezza. (Personalmente non le consiglio).

Le domande multiple, con le quali si pongono all’interlocutore più quesiti in uno stesso tempo, hanno il pregio di poter dare l’enfasi che si preferisce a quello tra i quesiti che si ritiene più utile ai fini della conciliazione. D’altro canto hanno il limite di poter creare un’opportuna confusione in chi deve rispondere. (Omissis).

Le domande tendenziose, sono quelle attraverso le quali s’induce l’interlocutore a fornire una determinata risposta, che forse non darebbe spontaneamente. (Omissis).

Torniamo al nostro caso.

Nelle sessioni private devono emergere gli interessi, ma anche le alternative. Molte conciliazioni possono fallire, non solo perché condotte da posizioni rigide, ma anche per la mancata “fantasia” nel prospettare soluzioni.

I principali ostacoli che si frappongono alla ricerca di valide alternative sono: la formazione prematura di decisioni, la ricerca di una sola soluzione, il pensare che il problema dell’altro sia “solo suo”.

Il conciliatore, per prospettare creativamente delle opzioni, deve offrirle alla considerazione comune, piuttosto che sollecitare una sola risposta; deve ricercare i vantaggi comuni, inventare dei modi per rendere facile la decisione, al riguardo, potrete anche chiedere aiuto alle parti.

Nel nostro caso, poiché nella generazione e valutazione delle alternative le parti non raggiungevano un accordo, ho ritenuto di eseguire un incontro con l’avvocato della parte B, facendo ricorso all’uso dei criteri oggettivi.

E’ stato tuttavia necessario fare attenzione ad alcuni aspetti: non far perdere la faccia all’avvocato, per non crearmi un nemico; procedere a un incontro rapido per evitare che il cliente si sentisse, in qualche modo, tradito dall’avvocato di fiducia.

Ultima e fondamentale risorsa strategica è la presentazione dei dati oggettivi. I dati oggettivi (normativa, giurisprudenza, contratto, rilevazioni scientifiche), anche se non sono in grado di determinare la soluzione del caso in un’ottica conciliativa, generalmente distraggono le parti dallo sterile confronto posizionale tra le volontà.

Tale strategia, infatti, si è rivelata veramente utile: ha ammorbidito la posizione di B, facendo emergere maggiormente gli interessi, ma ha soprattutto contribuito a rendere negativa la “Maan”.

Il termine “Maan” è una sigla inglese che indica la migliore alternativa all’accordo conciliativo, che è generalmente costituita dal ricorso all’autorità giudiziaria.

L’accordo si riesce a raggiungere quando le parti hanno le rispettive “Maan” negative, o l’una è negativa e l’altra positiva. Nel caso in cui, invece, le rispettive Maan siano positive l’accordo non si raggiungerà: se entrambe le parti hanno un’alternativa migliore all’accordo conciliativo, l’accordo non si farà.

La nostra conciliazione è terminata.

Vediamo insieme quali sono gli interessi emersi e qual’è l’accordo conciliativo.

Prima però vorrei partire da un caso di scuola: due sorelle avevano una sola arancia, una voleva utilizzarla per fare una spremuta, poiché aveva la febbre e l’altra voleva fare una torta per gli amici che aveva a cena; avrebbero potuto dividere l’arancia, così facendo, tuttavia, l’una non avrebbe ottenuto una bevanda sufficiente e l’altra non avrebbe potuto preparare una buona torta. Pertanto, una sorella utilizzò la polpa per la spremuta, l’altra le bucce per preparare la torta. Nessuno delle due dovette rinunciare a nulla ed entrambe furono pienamente soddisfatte.

Questo è il vero accordo conciliativo, che si distingue dalla transazione, dove ognuno rinuncia a qualcosa per raggiungere un accordo.

Nel nostro caso l’interesse sembrerebbe solo quello economico: la parte A vuole una cifra a titolo di risarcimento del danno, la parte B non intende pagare nulla, perché non c’è inadempimento contrattuale. Una transazione avrebbe avuto ad oggetto una cifra intermedia, ma non una conciliazione. (Omissis).

Vediamo quali sono gli interessi emersi, o che potevano emergere.

L’interesse della parte A (i consumatori) era: cancellare la situazione di stress e di disagio creata da un viaggio insoddisfacente, ricevere comprensione per le difficoltà affrontate. Quello della parte B: salvaguardare l’immagine della società, evitare la cattiva pubblicità, non pregiudicare i rapporti contrattuali con la parte A e con altri futuri consumatori.

Pertanto, l’oggetto dell’accordo conciliativo è un nuovo viaggio a prezzi particolarmente agevolati.

Tale accordo soddisfa pienamente le parti: A vede riconosciuto il proprio disagio ed ha la possibilità di dimenticare la situazione di stress, B mantiene alta l’immagine della società, salvaguardando i rapporti contrattuali.

Una nota significativa: al termine della conciliazione, quando si redigeva l’accordo, le parti con grande serenità continuavano a parlare, la comunicazione era stata attivata pienamente. (Omissis).

 

Bibliografia

(1). Cicogna-Di Rago-Giudice, La conciliazione commerciale, ed. Maggioli 2004.

(2). Giovanni Cosi, La cultura della conciliazione e la gestione dei conflitti, in Conciliazione-mediazione: tecniche e strumenti, Bologna 2003.

Frisco Caterina

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