Sulla impossibilità di adottare la c.d. trattazione scritta di cui all’art. 83, comma 7, lett. h), D.L. 18/2020 per lo svolgimento delle udienze di discussione orale della causa

Redazione 01/06/20
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di Marco Farina*

* Professore a contratto di Diritto Processuale Civile presso l’Università LUISS di Roma

Sommario

1. Premessa

2. L’incompatibilità della c.d. trattazione scritta con le udienze di discussione orale della causa. un primo argomento testuale

3. Ancora sull’incompatibilità della c.d. trattazione scritta con le udienze di discussione orale della causa. ulteriori argomenti di sistema

1. Premessa

Come noto, ai sensi dell’art. 83, comma 6, del D.L. 18/2020[1] ed al fine di contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID- 19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria, i capi degli uffici giudiziari, anche di intesa con il locale Consiglio dell’ordine degli avvocati, sono tenuti ad adottare, per il periodo che va dall’11 maggio[2] al 31 luglio 2020[3], misure organizzative relative alla trattazione degli affari giudiziari che consentano di evitare assembramenti all’interno dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone.

A dispetto della formulazione generale della disposizione, si tratta di misure organizzative tipiche in quanto il loro catalogo è contenuto nell’immediatamente successivo comma 7 del medesimo articolo 83 D.L. 18/2020 le cui previsioni esauriscono, a nostro avviso, i provvedimenti che i capi degli uffici giudiziari devono adottare per il raggiungimento delle finalità di cui al comma 6 dell’art. 83 del D.L. 18/2020.

Tra le misure previste dal comma 7 dell’art. 83 D.L. 18/2020 rientrano, come noto, quelle di cui alle lett. f) e h) che riguardano lo svolgimento delle udienze.

In particolare, ai sensi dell’art. 83, comma 7, lett. f), i capi degli uffici giudiziari possono prevedere che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti e dagli ausiliari del giudice, si svolgano mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia[4]. Nella prassi, come noto, è oramai invalso l’uso di riferirsi a tale modalità di svolgimento della udienza quale “udienza da remoto”[5].

Adottandosi questa modalità, dunque, il luogo dell’incontro e dell’ascolto reciproco tra parti e giudice non è più l’aula di udienza dei vari ufficiali giudiziari ma un’aula virtuale la cui “costruzione” è garantita dall’utilizzo di strumenti telematici, venendo però così conservata e mantenuta la possibilità di un’attività dialettica e di un contatto tra le parti ed il giudice che costituiscono la manifestazione formale e sostanziale più evidente del principio del contraddittorio.

Ai sensi della lett. h) del comma 7 dell’art. 83 del D.L. 18/2020, invece, si prevede che lo svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti possa avvenire «mediante lo scambio e il deposito telematico di p>

In tale ipotesi, come evidente, lo svolgimento della udienza è una vera e propria fictio perché adottandosi tale misura non vi è alcuna occasione di incontro e confronto tra parti e giudice ma si prevede, diversamente, che la data rispetto alla quale risultava originariamente fissata l’udienza costituisca, ora, il referente temporale per l’emissione da parte del giudice del provvedimento che le parti gli hanno sollecitato con le istanze e le conclusioni formulate nelle p>[6].

A prima vista, avendo il legislatore previsto il modulo della c.d. trattazione scritta (art. 83, comma 7, lett. h) come alternativa allo svolgimento dell’udienza mediante collegamenti da remoto (art. 83, comma 7, lett. f), allorché si tratti di udienza per la quale sia prevista la partecipazione dei soli difensori delle parti, prescrivere che essa si svolga da remoto oppure mediante il modulo della trattazione scritta dovrebbe dirsi oggetto di una scelta insindacabile del singolo giudice (beninteso nel rispetto delle linee guida adottate dai Presidenti dei singoli tribunali e, talvolta dai Presidenti delle singole sezioni dei vari Tribunali).

A nostro avviso, tale ultima conclusione non merita di essere condivisa in quanto, al contrario, sono senz’altro ravvisabili ulteriori situazioni – diverse, cioè, dall’unica testualmente prevista dalla legge (ossia il fatto che all’udienza debbano partecipare soggetti diversi dai difensori delle parti) – in cui la trattazione scritta deve dirsi vietata o comunque non consentita, con la conseguenza per cui la sua adozione provocherà una nullità processuale deducibile in conformità a quanto previsto dagli artt. 156 e ss. c.p.c.[7]

[1] Sulle disposizioni contenute nell’art. 83 del D.L. 18/2020, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 24 aprile 2020, n. 27 si vedano, tra gli altri, F. Ferrari – A. Sponzilli, p>, in questa Rivista, 2020. Se vuoi, v. anche A. Panzarola – M. Farina, L’emergenza coronavirus ed il processo civile. Osservazioni a prima lettura, in Giustizia civile.com.

[2] L’iniziale termine del 15 aprile 2020 previsto dai commi 1 e 2 del D.L. 18/2020 è stato prorogato all’11 maggio 2020 dall’articolo 36 del D.L. 23/2020 non ancora convertito in legge. Il fatto che la L. 27/2020 di conversione del D.L. 18/2020 non abbia apportato una espressa modifica ai primi due commi dell’art. 83 al fine di coordinare l’originario testo con il nuovo termine finale (della sospensione dei termini e della c.d. prima fase) prorogato all’11 maggio 2020 non rileva, a nostro avviso, per poter ritenere che vi sia stata così abrogazione implicita, in dipendenza dell’operare del criterio della successione delle leggi nel tempo, della previsione che ha prorogato all’11 maggio il termine iniziale del 15 aprile. Proprio perché l’art. 36 del D.L. 18/2020 non ha modificato i primi due commi dell’art. 83 ma ha, diversamente, disposto una proroga del termine del 15 aprile all’11 maggio 2020 non si può sostenere che vi sia una incompatibilità o una antinomia tra le due previsioni (quella del primo comma dell’art. 36 del D.L. 23/2020 e quella della L. 27/2020 che ha convertito in legge, in tale parte, puramente e semplicemente l’originario testo dei primi due commi che prevedevano il termine del 15 aprile 2020) che necessiti di essere risolta mediante il ricorso al criterio temporale. Al contrario, ci sembra che il mantenimento della originaria formulazione dei primi due commi dell’art. 83 si concili benissimo e sia ancora perfettamente compatibile con la proroga (e non, invece, modifica) disposta dall’art. 36 del D.L. 23/2020 ancora in vigore (beninteso, un problema si porrà nella remota ipotesi in cui non venga convertito in legge il D.L.23/2020).

[3] L’iniziale termine del 30 giugno 2020 è stato modificato per effetto dell’art. 3, lettera i), del D.L. 28/2020 con cui si è disposto che “ovunque ricorrano nell’articolo [83 del D.L. 18/20], le parole «30 giugno 2020» sono sostituite dalle seguenti: «31 luglio 2020»“.

[4] Il 10 marzo 2020 il Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia ha emanato un provvedimento con il quale, all’art. 2, ha individuato in “Skype for Business” e “Teams” i programmi che potranno essere utilizzati per il collegamento da remoto organizzati dal giudice. L’articolo 3, comma 1, lett. c), del D.L. 28/2020 ha modificato l’art. 83, comma 7, lett. f), prescrivendo che le udienze da remoto possano svolgersi solo «con la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario».

[5] Su cui v. F. Valerini, In difesa dell’udienza da remoto, in Judicium on line.

[6] In quasi tutti i provvedimenti adottati ai sensi dei commi 6 e 7 dell’art. 83 D.L. 18/2020 da parte dei capi degli uffici giudiziari si è previsto che, in caso di adozione della c.d. trattazione scritta, il mancato deposito delle p>fictio, vi è equivalenza normativa tra mancato deposito delle p>

[7] Esula dal contenuto di questo contributo il prendere posizione intorno al se una violazione quale quella prospettata nel testo abbia, o meno, possibilità di essere considerata rilevante in sede di impugnazione al lume del noto (quanto, sotto alcun profili, certamente criticabile) principio di derivazione giurisprudenziale in dipendenza del quale le nullità formali non sono fondatamente ed utilmente deducibili in sede di impugnazione in mancanza di adeguata allegazione e dimostrazione del pregiudizio concreto effettivamente subito. Ci si può, qui, limitare ad osservare come risulterebbe, francamente, intollerabile l’applicazione di un tale orientamento nella ipotesi presa in considerazione del testo laddove, come si vedrà, la radicale eliminazione o significativa attenuazione delle garanzie difensive assicurate da tuttora vigenti norme del codice di rito verrebbero a perpetrarsi in danno delle parti per effetto di scelte organizzative dei capi degli uffici giudiziari chiaramente inidonee, come tali, a derogare o, comunque, a far sì che vengano tout court disapplicate regole contenute nel codice di procedura civile.

2. L’incompatibilità della c.d. trattazione scritta con le udienze di discussione orale della causa. un primo argomento testuale

Quando il legislatore ha previsto il modulo della c.d. trattazione scritta (art. 83, comma 7, lett. h) come alternativa allo svolgimento dell’udienza mediante collegamenti da remoto (art. 83, comma 7, lett. f) non voleva (e non poteva) certo così attribuire e riconoscere al singolo magistrato un insindacabile e discrezionale potere di scelta da esercitarsi senza tener conto del tipo di udienza e di attività che in essa deve svolgersi; esattamente al contrario, proprio quell’alternativa serve ad assicurare che nei casi in cui il modulo a trattazione scritta non sia utilizzabile in ragione del tipo di attività che dovrebbe svolgersi in udienza, allora potrà evitarsi il rinvio dell’udienza ad una data successiva al 31 luglio 2020[8] garantendo la partecipazione dei difensori delle parti con un collegamento da remoto.

Al fondo della alternativa prefigurata dall’art. 83, comma 7, lett. f) e h), D.L. 18/2020, insomma, vi è (deve esserci) una ulteriore distinzione tra casi in cui il modulo c.d. a trattazione scritta può essere adottato in ragione dell’attività che deve svolgersi nell’udienza (ed allora vi sarà perfetta alternativa rispetto alla udienza c.d. da remoto nelle ipotesi in cui non sia prevista la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti) e casi in cui, invece e sempre in ragione dell’attività che deve svolgersi nell’udienza, un tale modulo non può, per definizione, essere adottato dovendosi in tal caso prediligere la modalità di svolgimento dell’udienza da remoto, ovvero il rinvio a data successiva al 31 luglio 2020.

Ciò accade, in particolare, nei casi in cui l’udienza risulti fissata per la discussione orale e per la decisione della causa ai sensi degli articoli 275, secondo comma, 281-quinquies, 281-sexies e 429 c.p.c.[9].

In questi casi l’udienza non può “svolgersi” nelle forme della trattazione scritta di cui all’art. 83, comma 7, lett. h), del D.L. 18/2020.

Vi è, innanzi tutto, un dato testuale che conforta tale conclusione, quantomeno con riferimento ai casi di cui all’art. 281-sexies, 429 e 437 c.p.c.: l’art. 83, comma 7, lett. h), prevede che l’udienza si “svolga” mediante (meglio, che le attività che le parti avrebbero dovuto svolgere in udienza vengano sostituite con) il deposito di p>

Nei casi che abbiamo poc’anzi citato, invece e come noto, l’udienza (di discussione) deve concludersi con la lettura della sentenza (o, nel caso di cui al secondo periodo del primo comma dell’art. 429 c.p.c. o in quello di cui all’art. 437 c.p.c., del solo dispositivo) alla presenza dei difensori delle parti, non potendosi il giudice riservare di provvedere fuori udienza.

Fermi i successivi rilievi, già questo primo elemento testuale pare decisivo per escludere che la trattazione scritta possa essere validamente utilizzata nei casi di udienza di discussione ai sensi dell’art. 281-sexies e 429 c.p.c.[10].

[8] Vale la pena di precisare, peraltro, che per le udienze che si terranno, sia in ragione di un rinvio disposto ai sensi della lett. g) del comma 7 dell’art. 83 D.L. 18/2020 ovvero perché già così fissate, dopo il 31 luglio 2020 non è possibile, allo stato (e salvo successive modifiche), prevedere un loro svolgimento con una delle modalità di cui alle lettere f) e h) del comma 7 dell’art. 83.

[9] Norma che, come noto, è applicabile non solo alle controversie di lavoro di cui all’art. 409 c.p.c. ma anche alle controversie in materia di locazione e di comodato di immobili urbani e di affitto di azienda ai sensi dell’art. 447-bis c.p.c. Quanto si dice nel testo vale anche per l’udienza di discussione in grado di appello ai sensi dell’art. 437 c.p.c.

[10] Si dirà: nella prassi tutti sanno che, quantomeno nel rito ordinario ed in caso di applicazione dell’art. 281-sexies c.p.c., nella stragrande maggioranza dei casi la lettura della sentenza avviene, come si usa dire, alla fine della intera giornata di udienza e, dunque, allorché le parti si sono già allontanate dall’aula. Si tratterebbe, insomma, di incombente il cui mancato rispetto è stato, nella prassi appunto, sostanzialmente legittimato ed accettato, di modo che da quanto detto nel testo non potrebbero trarsi elementi decisivi per sostenere l’incompatibilità. Già ora, infatti, il provvedimento è emesso sostanzialmente fuori udienza, senza la presenza delle parti. Una tale replica di stampo, diremmo, efficientistico e sostanzialistico – seppur suggestiva – non meriterebbe, tuttavia, di essere condivisa. La patologia del sistema non può essere considerata alla stregua di un argomento idoneo a sorreggere, ovvero confutare, la bontà di una tesi interpretativa, fin tanto che il legislatore mantenga inalterata la regola che dovrebbe essere applicata ma nei fatti non è o è malamente osservata. Dire che, nella prassi, la lettura in udienza alla presenza delle parti della sentenza è un incombente cui si è già rinunciato da tempo e che, dunque, la concentrazione dell’attività processuale che le norme indicate impongono era un valore recessivo già prima dell’emergenza può, semmai, servire come argomento per sollecitare una eventuale revisione delle norme e non può, al contrario, fungere da argomento per contrastare la legittimità di una tesi che, a codice di rito invariato, non può che prendere atto della certa e sicura incompatibilità tra la norma che impone al giudice di pronunciare in udienza il provvedimento dandone lettura alle parti presenti e la norma che consente di sostituire l’attività di udienza con il deposito di p>

3. Ancora sull’incompatibilità della c.d. trattazione scritta con le udienze di discussione orale della causa. ulteriori argomenti di sistema

Al di là di questi (pur decisivi) rilievi vi sono anche altri elementi che contribuiscono a giustificare la conclusione circa la incompatibilità tra trattazione scritta ex art. 83, comma 7, lett. h), D.L. 18/2020 e udienza di discussione ai sensi degli articoli 275, secondo comma, 281-quinquies, 281-sexies, 429 e 437 c.p.c.

La trattazione scritta, infatti, è compatibile con (e può, dunque, sostituire solo) quelle udienze al cui esito il giudice può riservarsi di decidere sulle istanze e sulle conclusioni che le parti hanno riversato nel verbale di udienza.

In buona sostanza, le p>

Così come la verbalizzazione della udienza non può, per definizione, surrogare la discussione orale della causa, allo stesso modo il deposito delle p>

Occorre, a questo punto, fare chiarezza. Allorché si dice che il modulo della c.d. trattazione scritta è incompatibile con (e non può sostituire la) udienza di discussione orale della causa non si vuole dire che, in generale, la discussione orale è un modulo decisorio della causa maggiormente garantistico e più efficace rispetto a quello che prevede la decisione «a seguito di trattazione scritta»[11]. È assolutamente chiaro ed evidente a tutti, infatti, che, per varie ragioni, un modello non è superiore all’altro e ben si potrebbe, pertanto, prevedere – senza recare attentato ad alcun generale principio regolatore o fondamentale del processo civile – che la causa, in primo grado come nei successivi gradi di impugnazione, sia decisa sempre e comunque all’esito di un (completo) contraddittorio scritto, senza necessità o possibilità di un contraddittorio orale che preceda la pronuncia della sentenza[12].

Non è di questo, però, che si sta parlando. Si sta, invece, mettendo in dubbio la possibilità – già da un punto di vista concettuale, diremmo – di immaginare che l’attività di discussione orale della causa, ove prevista dalle norme vigenti del codice di rito, possa essere surrogata da e rinserrata in «p>quinquies individua, appunto, come «trattazione scritta» e che si svolge mediante il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, con successiva pronuncia della sentenza mediante suo deposito in cancelleria nei 30 giorni successivi alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica) con una modalità di decisione della causa che preveda la discussione orale. Diversamente, ciò che bisogna mettere a confronto è un modulo decisorio della causa che il codice prevede debba avvenire mediante la discussione orale della causa (se del caso preceduta dal deposito di memorie difensive, v. infra) con un modulo decisorio della causa che, per effetto dell’applicazione dell’art. 83, comma 7, lett. h), del d.l. 18/2020, escluda tout court la discussione orale e preveda il deposito, si badi, non di comparse conclusionali e memorie di replica bensì di p>

Adottando il modulo della trattazione scritta di cui all’art. 83, comma 7, lett. h), del d.l. 18/2020 anche per lo “svolgimento” delle udienze di discussione viene così ad annichilirsi del tutto l’esercizio del diritto di difesa delle parti in sede decisoria così come delineato dalle norme del codice di rito. Il paragone che deve istituirsi, dunque, non è tra una causa decisa all’esito dello scambio di comparse conclusionali e repliche e causa decisa all’esito della discussione orale. Al contrario, il paragone – che rende bene l’idea della non praticabilità del modulo a trattazione scritta con le udienze di discussione – è tra cause in cui la legge assicurava e garantiva alle parti di esercitare il loro diritto di difesa in sede decisoria discutendo oralmente la causa e cause in cui, per effetto dell’adozione del modulo c.d. a trattazione scritta, le parti non hanno più né la possibilità di discutere oralmente la causa, né di articolare compiute difese finali illustrative e riepilogative delle domande ed eccezioni proposte.

È insomma a nostro avviso chiaro che, rispetto ad una udienza di discussione ai sensi degli articoli 275, secondo comma, 281-quinquies, 281-sexies[13] e 429 c.p.c., adottare un modello di svolgimento dell’udienza c.d. a trattazione scritta non ha l’effetto di far ugualmente svolgere l’udienza ancorché in modo diverso da quello ordinariamente previsto (assicurando alle parti le medesime garanzie assicurate dal rito vigente) ma, al contrario, ha l’effetto di eliminare radicalmente tanto l’udienza stessa (o meglio, le attività che in essa devono svolgersi), quanto la possibilità per le parti di depositare i propri scritti difensivi conclusivi. E ciò non può essere consentito neppure in questo straordinario periodo di emergenza, soprattutto perché – come visto – è la legge a prevedere che la trattazione scritta non sia l’unico modulo possibile per svolgere una udienza nel rispetto delle misure di contenimento della diffusione del virus Codiv-19 prevedendosi, a tal fine, la possibilità di svolgimento della udienza c.d. da remoto, ossia con modalità che assicurino l’esercizio del diritto di difesa così come delineato e garantito dalle (tuttora vigenti, vale la pena di osservare) norme del codice di rito.

Né, del resto, la conclusione potrebbe mutare qualora – diversamente da quanto previsto dall’art. 83, comma 7, lett. h), del D.L. 18/2020 – le «p>

Al di là del fatto che questo adattamento della trattazione scritta prevista dall’art. 83, comma 7, lett. h), del D.L. 18/2020 dimostra che, così come è stata espressamente delineata dal legislatore, tale modalità di svolgimento della udienza non è compatibile con le udienze di discussione orale della causa (necessitando, appunto, di una non lieve modifica, peraltro ininfluente ai fini che ci interessano), pure in tale modo il diritto di difesa delle parti verrebbe comunque conculcato mediante una evidente deroga o, meglio, disapplicazione – non consentite neppure in questo periodo – di norme del codice di rito tutt’ora pienamente in vigore.

Anche, cioè, a voler ammettere che il disposto dell’art. 83, comma 7, lett. h), del D.L. 18/2020 consenta che, in luogo di quelle p>

Come noto, ai sensi dell’art. 429 c.p.c., «se il giudice lo ritiene necessario, su richiesta delle parti, concede alle stesse un termine non superiore a dieci giorni per il deposito di p>

Secondo il vigente codice di rito, dunque, le parti hanno diritto sia ad un contraddittorio scritto da esercitarsi mediante il deposito di p>[14].

Il disporre che l’udienza di discussione si svolga secondo le modalità previste dall’art. 83, lett. h), del D.L. 18/2020, assegnando termine alle parti per il deposito di (vere e proprie) p>

Del resto, una ulteriore ragione che rende inutilizzabile il modulo c.d. a trattazione scritta rispetto ad una udienza di discussione orale sta nel fatto che, limitando l’attività difensiva delle parti al solo deposito di p>tout court lo svolgimento della successiva udienza, si impedirebbe comunque alle parti di poter esercitare il diritto di replica

Ed a tal proposito deve anche osservarsi che il modulo decisorio del rito del lavoro (ma anche quello di cui all’art. 281-quinquies, secondo comma, c.p.c.) prevede che le parti abbiano diritto ad un termine unicoper il deposito delle difese conclusive (e non invece un doppio termine come previsto dall’art. 190 c.p.c.) in quantola replica al loro contenuto potrà avvenire in sede di udienza di discussione.

Eliminando tout court l’udienza e prevedendosi solo la possibilità per le parti di depositare, entro un unico termine, p>

Anche in ragione di ciò, con riferimento ad una udienza di discussione orale e di decisione della causa l’unica alternativa prefigurabile rispetto allo svolgimento della udienza con presenza fisica dei difensori delle parti e del magistrato è svolgere l’udienza con collegamento da remoto.

Altrimenti, se tale modalità di svolgimento dell’udienza non è tecnicamente possibile, dovrà procedersi ad un rinvio ad una data che consenta lo svolgimento della udienza in modo tale da poter garantire anche l’ulteriore ed ineliminabile momento di esercizio del diritto di difesa (ossia, la discussione orale della causa).

[11] Così la rubrica dell’art. 281-quinquies c.p.c. definisce la fase decisoria ordinaria dinanzi al tribunale in composizione monocratica per contrapporla all’ipotesi in cui la decisione sia preceduta dalla discussione orale della causa e non dal deposito delle comparse conclusionali e dalle memorie di replica.

[12] L’esperienza delle modifiche apportate nel 2016 al giudizio di cassazione è, a tal proposito, decisiva. In quel caso si è deciso di eliminare – quasi del tutto – la discussione orale prevedendo un modulo decisorio in camera di consiglio applicabile a quasi tutti i ricorsi che non prevede più la presenza degli avvocati, limitando così allo scritto il contraddittorio (ricorso, controricorso e memorie).

[13] Con specifico riferimento alla ipotesi di udienza di discussione di cui all’art. 281-sexies c.p.c. deve rilevarsi questo. Ai sensi di tale norma la discussione orale della causa non è oggetto di una richiesta delle parti ma è l’effetto di una decisione del giudice. Ne consegue che, fissata l’udienza per la discussione ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c., il giudice potrebbe benissimo modificare il precedente provvedimento e disporre che la fase decisoria avvenga nelle forme tradizionali della trattazione scritta di cui al primo comma dell’281-quinquies, con concessione del termine per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Nel contesto attuale, dunque, la scelta del giudice di tenere ugualmente e confermare l’udienza ai sensi dell’art. 281-sexies disponendo che la stessa si svolga mediante scambio e deposito telematico di p>

[14] Anche qui vale quanto rilevato alla precedente nota 10. Anche se, nella prassi, in questi casi i difensori delle parti, all’udienza di discussione, si limitano, il più delle volte, a riportarsi a quanto già in precedenza scritto, ciò non giustifica una “istituzionale” mancata applicazione della regola per effetto di un provvedimento del singolo magistrato o del singolo tribunale. Fin tanto, insomma, che il legislatore non avrà abrogato le norme che prevedono la discussione orale della causa, si deve ritenere che essa rappresenti momento decisivo per il compiuto esercizio del diritto di difesa e, quindi, come tale non può essere discrezionalmente ed insindacabilmente negato o concesso a seconda di una scelta rimessa al singolo ufficio giudiziario di volta in volta adito.

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