Sulla durata dell’esercizio sociale ai fini dell’art. 1 della Legge fallimentare: adeguamento delle soglie o ampliamento del termine? Nota a Cass. civ., Sez. 1, 24 maggio 2018 n. 12963

Redazione 28/03/19
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di Emanuele Caimi

Sommario

I. Inquadramento della vicenda

II. L’Annualità quale termine di parametrazione delle soglie

III. L’Abuso quale limite all’autonomia dei soci nella modifica del termine dell’esercizio sociale

I. Inquadramento della vicenda

L’articolo 2 comma 1 lettera d) del Codice della crisi ha definito i limiti dimensionali dell’impresa minore, confermando i parametri numerici già introdotti dal D. Lgs. 9 maggio 2007 n.169 (art. 1 comma 2 lettere a), b) della Legge Fallimentare nella sua attuale formulazione) da ponderarsi nell’arco temporale degli ultimi “tre esercizi” oltre che un indebitamento complessivo, da accertarsi alla data dell’istanza, inferiore ad euro 500.000 (lettera c).

Si registra un utilizzo pressoché analogo dei lemmi “esercizio” di cui all’art. 1 comma II l.f. ed “anno” laddove l’espressione “ultimi tre esercizi” è equipollente ad “ultimo triennio[1]“; ciò pur in presenza della novella del 2007 che ha svincolato l’esercizio all’anno solare, mantenendo il rilievo di quest’ultimo solo con riferimento all’”ammontare complessivo annuo” dei ricavi lordi o dell’attivo patrimoniale.

Prima della riforma la Suprema Corte di Cassazione aveva chiarito che “in tema di presupposti dimensionali per l’esonero dalla fallibilità del debitore, nel computo dei ricavi, ai fini del riconoscimento della qualifica di piccolo imprenditore, il triennio cui si richiama il legislatore nell’art. 1, comma 2, lett. b) l. fall. (nel testo modificato dal d.lgs. 5/2006, applicabile “ratione temporis”) va riferito agli ultimi tre esercizi… e non agli anni solari”[2].

La vicenda approdata ed esaminata dalla I Sezione della Corte di Cassazione nella sentenza n. 12963/2018 trae origine dalla dichiarazione di fallimento di una società in liquidazione per superamento dei limiti dimensionali – con particolare riferimento all’attivo – nonostante la delibera di anticipazione della chiusura dell’esercizio adottata dai soci.

La Corte d’Appello di Torino, in riforma della decisione assunta in prime cure, revocava il fallimento valorizzando il dato letterale dell’art. 1 l.f..

Giunti così in Cassazione la Suprema Corte affermava il seguente principio: “il disposto della l. fall. art. 1, comma 2, lett. a e b), predetermina soglie calibrate su una prospettiva temporale annua che non possono essere vanificate da una scelta di abbreviazione dall’esercizio compiuta dall’imprenditore: i tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento da apprezzare ai fini della verifica dei presupposti della fallibilità devono pertanto intendersi come esercizi aventi ciascuno durata annuale, a meno che non sia trascorso un lasso di tempo inferiore dall’inizio dell’impresa”[3] sottolineando tuttavia che: “la compagine sociale rimane libera di modificare l’epoca di chiusura del proprio esercizio incidendo sulla durata complessiva dello stesso, ma tale deliberazione, se adottata nell’imminenza del procedimento per la dichiarazione di fallimento, non rileva ai fini dell’apprezzamento del superamento delle soglie di fallibilità”.

Evidente la suggestione sottostante, determinata dall’esigenza di contrastare le condotte strategiche nell’imminenza del giudizio pre fallimentare; esigenza che tuttavia non può tradursi nella disinvolta equiparazione dei termini “esercizio” ed “anno”, quantomeno nell’ambito dell’art. 1 della legge fallimentare, né nell’ampliamento del periodo di “valutazione” per l’accertamento della sussistenza dei requisiti di non fallibilità dell’imprenditore minore.

[1] In questi termini Corte d’Appello di Catania 29 gennaio 2019 n. 204 che utilizza l’espressione “nel triennio precedente“. Così anche Corte d’Appello di Palermo III Sez. Civ. 14 gennaio 2016 n. 20 per la quale “l’art. 1 della legge fallimentare individua espressamente il momento dal quale far decorrere a ritroso i tre anni di esercizio”.

[2] Così Cass. I Sez. Civ., 3 dicembre 2010 n. 24630 in Diritto e giustizia online, 2011. Tra i giudici di merito si segnala Tribunale di Roma 12 dicembre 2006 n. 3630 con nota di S. Scarafoni, Il riferimento temporale per l’individuazione del requisito soggettivo dell’imprenditore soggetto a fallimento, in Giur. Merito, 2007, pp. 1355 e ss..

[3] Cass. I. Sez. Civ. 24 maggio 2018 n. 12963. Bruno, I requisiti di fallibilità non si considerano annualmente, in Diritto e Giustizia, Fasc. 92, 2018, p. 36: “la ratio, della norma, è quella di descrivere la figura dell’imprenditore fallibile, individuandolo in ragione di una descrizione temporale e dimensionale (triennale)”.

II. L’Annualità quale termine di parametrazione delle soglie

L’art. 2423 c.c. onera gli amministratori della redazione del “bilancio di esercizio” in cui venga data evidenza in modo chiaro, corretto e veritiero del “risultato d’esercizio” ad esito, generalmente, di un anno solare.

Non vi è alcuna norma di legge che imponga la chiusura dell’esercizio sociale al 31 dicembre, salvo inviti per alcuni limitati settori sottoposti a vigilanza pubblica[4], e non è inusuale che lo statuto preveda una chiusura “infra – annuale” dell’esercizio sociale (solitamente al 30 giugno) o quando l’attività presenti il carattere della stagionalità (impianti sciistici, stabilimenti balneari, ecc.).

Ben può accadere poi che nel corso della vita di una società si modifichi lo statuto sociale in punto “durata e chiusura” dell’esercizio. E’ evidente che tale modifica non rimarrà “confinata” nella sfera endo – societaria ma assumerà rilievo anche all’esterno e, per quanto di interesse, ai fini fallimentari, con la conseguenza che i “tre esercizi” non coincideranno affatto con i tre anni solari.

Ed ancora: si pensi all’apertura della fase di liquidazione[5], con iscrizione della causa di scioglimento nel registro delle imprese, la redazione dell’inventario di chiusura dell’attività “ordinaria” della società e la redazione dell’inventario di apertura della fase di liquidazione: il deposito del bilancio finale di liquidazione potrebbe avvenire anche in corso d’anno, cristallizzando il documento che ne scaturisce sia la chiusura della fase di liquidazione che la “frazione” temporale (anche inferiore all’anno solare) della situazione economico, patrimoniale e finanziaria dell’impresa.

Considerare esercizi di durata inferiore all’anno solo nel caso in cui “sia trascorso un lasso di tempo inferiore dall’inizio dell’attività” e quindi ignorare, per esempio, il bilancio finale di liquidazione eventualmente non coincidente con l’anno solare, vuol dire ampliare il periodo di “osservazione” da “tre esercizi” a quattro, contro la chiara lettera della legge.

D’altro canto l’art. 1 della legge fallimentare va letto in relazione all’art. 14, che prevede la produzione dei documenti contabili e fiscali degli ultimi tre esercizi[6] e non già degli ultimi tre anni.

Dal momento che la scelta operata con la riforma dell’art. 1 l.f. è tesa al contenimento dell’alveo della discrezionalità soggettiva con l’individuazione di un dato “numerico”[7]; considerato poi che lo stesso deve ragguagliarsi all’anno, pare preferibile, in presenza di esercizi chiusi dopo un lasso temporale inferiore all’anno solare, ragguagliare le soglie di cui all’art. 1 l.f. al minor periodo di durata dell’esercizio sociale, così come suggerito da attenta dottrina e condiviso[8] dalla giurisprudenza di merito[9].

[4] Si veda articolo 16 comma 1 del Decreto Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato del 16 gennaio 1995: “al fine di consentire uniformità di rilevazioni si invitano le società a voler fare coincidere la chiusura dell’esercizio annuale con la data del 31 dicembre”.

[5] Che rimane, come correttamente evidenziato, un problema “resta, forse, insoluto il caso dell’impresa con riguardo alla quale il problema dell’insolvenza si pone dopo un periodo di liquidazione anche protratto e quindi con ricavi via via naturalmente decrescenti” in G. Schiano di Pepe, Il diritto fallimentare riformato, Cedam, Padova, 2007, p. 6.

[6] Autorevole dottrina ha avuto modo di specificare che si deve trattare di “esercizi chiusi”, così Colombo, L’esenzione dalle procedure concorsuali per ragioni dimensionali, in Fall. 2008, 625.

[7] Anche se ciò, di per sé, non risolve compiutamente l’ambito dell’incertezza, senza pretesa di esaustività ed in via meramente esemplificativa: con riferimento all’attivo patrimoniale che parrebbe evocare tutte le immobilizzazioni (materiali, immateriali e finanziarie) e l’attivo circolante comprensivo dei ratei e risconti, questi ultimi, per certa giurisprudenza, non rientrerebbero nel novero dell’attivo, così Corte d’Appello di Brescia, 21 febbraio 2007, in Giur. It. 2007, 2224; ovvero ancora in ordine alla necessità di accertare in concreto l’ammontare dei crediti e dei debiti dell’imprenditore verso un dato soggetto stante il divieto di cui all’art. 2423 ter c.c. di operare compensazioni, e quindi con disapplicazione della risultanza di bilancio, così Tribunale di Udine 13 gennaio 2012 in ilcaso.it, 7243, 30 maggio 2012. Sempre in tema di attivo: sono da escludersi i crediti verso soci per decimi ancora da richiamare. Ed ancora con riferimento ai ricavi lordi rileverebbero le voci A1 e A5 dello schema di conto economico, in questi termini Cass. I Sez. Civ. 27 dicembre 2013 n. 28667 e quindi si ritiene che siano da escludere i proventi finanziari o straordinari, inidonei ad offrire la reale dimensione dell’azienda.

[8] Sandulli, Il presupposto soggettivo, in Jorio – Sassani, Trattato delle procedure concorsuali, I Introduzione Generale. Il Fallimento, Milano, Giuffrè, 2014, pp. 131 e ss.: “restano taluni dubbi interpretativi. Anzitutto, anche qui torna il problema di introdurre un correttivo, per l’ipotesi in cui nel compiuto rientri un esercizio non annuale: sarà necessario anche in questo caso parametrare il dato al minor periodo considerato”; negli stessi termini anche Bersani – Caltabiano, I presupposti di fallibilità alla luce delle più recenti interpretazioni giurisprudenziali, ilcaso.it, 26 agosto 2017.

[9] Così Tribunale di Pordenone 4 novembre 2010, in ilcaso.it, n. 2508 pubblicato il 15 novembre 2010. In quella vicenda il Tribunale di Pordenone affermò il superamento della soglia ragguagliando i ricavi (euro 185.297.00) alla durata dell’esercizio (mesi 11) e determinando la soglia in undici dodicesimi di euro 200.000,00.

III. L’Abuso quale limite all’autonomia dei soci nella modifica del termine dell’esercizio sociale

Diverso è il caso di ricorso, a ridosso o per timore di un’istanza di fallimento (questo il caso trattato dalla Suprema Corte nella sentenza in commento), alla modifica statutaria in punto durata temporale dell’esercizio al solo scopo di “dilatarne” artificiosamente il numero per acquisire dati di bilancio “sotto soglia”, per quanto tali documenti in sé non siano prova legale vincolante per il giudicante[10].

Altrettanto pacifico che l’atto, in sé legittimo, di modificazione dello statuto sociale viene “sviato” dalla sua naturale finalità per alterare il periodo rilevante ai sensi dell’art. 1 l.f. e sottrarre così l’impresa al fallimento.

Una condotta siffatta mal si concilia con il dovere di correttezza e buona fede che dovrebbe informare l’agire dei soci e si traduce in un chiaro abuso di un diritto in pregiudizio ai creditori della società, magari già manifestamente motivati ad agire in esecutivis.

Limitare la rilevanza esterna di tali condotte trova la sua prima giustificazione nell’assenza di utilità concreta della delibera adottata.

L’irrilevanza esterna del singolo caso non pare tuttavia sufficiente in sè a fondare un ampliamento generalizzato e quindi acritico del periodo contemplato dall’art. 1 della legge fallimentare.

[10] Così Cass. VI Sez. Civ., Ordinanza 7 settembre – 20 settembre 2011 n. 20918 che ha qualificato il bilancio quale “prova imprescindibile, ma non prova legale”; dal momento che il giudice può, con adeguata motivazione, ritenerli inattendibili; in questi termini si veda anche Cass. I Sez. Civ. 1 dicembre 2016. n. 24548; e anche con riferimento “ai tempi di approvazione e di deposito di quei bilanci, alla vicinanza o lontananza dell’adempimento rispetto alle tempistiche della procedura fallimentare” si veda Corte di Cassazione I Sez. Civ., 31 maggio 2017 n. 13746, in Guida al Diritto, 2017, 27,48.

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