Sull’obbligo di chiara e precisa motivazione in generale e nell’ambito impositivo locale

Zirillo Bruno 09/10/08
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La nozione di settore pubblico gode di ampio intendimento per il suo involgere la varietà delle manifestazioni dell’agire istituzionale, sia nella forma diretta mediante attività proprie delle istituzioni governative centrali e periferiche, sia in quella indiretta tramite la partecipazione organica dei soggetti pubblici negli ambienti privati, economici o sociali.
Un esempio della prima forma è l’Amministrazione finanziaria, alla quale è fisiologicamente – oltre che storicamente – affidato il compito d’assicurare il concorso collettivo al finanziamento dei servizi pubblici ed al sostentamento statale.
Dunque, l’Amministrazione finanziaria può e deve trovare la qualificazione di articolazione settoriale della P.A., dal cui vertice dipende e riceve indirizzo di funzionamento.
La diversità di funzioni conferente all’universo della cd. sfera pubblica non esclude, però, l’esistenza di un legame tra le sue plurali operatività: la legge 7.08.1990 n’241, quale ordinamento generale per l’attività procedimentale pubblica.
A far assurgere la menzionata legislazione al ruolo di unica disciplina del procedimento amministrativo fu la stessa volontà del legislatore attraverso la definizione dei principi generali dell’attività amministrativa.
In tal modo ed in virtù di un criterio induttivo d’interpretazione, è stato possibile affermare che la determinazione dei principi generali ed inderogabili -cui deve essere informata l’attività amministrativa- ha significato la definizione del medesimo ambito applicativo della legge: un ambito comprensivo di tutte la manifestazioni procedimentali della P.A. (art.1, l. n’241/90).
Da ciò si percepisce la piena soggezione anche degli Enti locali al condizionamento procedimentale voluto dalla richiamata disciplina, con la conseguenza della subordinazione della validità delle loro emanazioni provvedimentali all’osservanza dei principi e delle regole ivi contenuti.
Ed in relazione alla sua naturale funzione armonizzatrice del rapporto tra soggetti pubblici e privati la l. n’241/90 non poteva non trovare immediata applicazione nell’ambito tributario in quanto esso costituisce una componente “sensibile” del settore amministrativo, vista la sua stretta adiacenza alla collettività. Più precisamente, si discute di una relazione eterogenea “costante”, capace d’immediata ingerenza sulla sfera giuridica dei soggetti privati-contribuenti, i quali per effetto dell’incisione fiscale necessitano e meritano le maggiori garanzie possibili in termini di trasparenza ed esattezza delle determinazioni procedimentali, formali e sostanziali.
In funzione di tale esigenza, all’interno del più ampio fenomeno di attenuazione della sperequazione tra la posizione di preminenza della P.A. e quella di soggezione del soggetto privato, s’inseriscono, con ulteriore intento innovativo, gli interventi di micro riforma della l. n’241/90 e, propriamente per la materia tributaria, la l. n’212/00, cd. Statuto del Contribuente.
Quest’ultima disposizione, nonostante la specificità della sua ratio, nel definire forme, vincoli di condotta, garanzie e tutele a vantaggio del contribuente non manca di far rinvio alle determinazioni di principio enucleate nel corpo della disciplina generale sul procedimento amministrativo.
Ciò equivale ad una nuova ed autorevole conferma circa la vigenza di una relazione osmotica tra gli endordinamenti amministrativi, relativamente all’aspetto procedimentale.    
Conclusa la premessa di ordine generale, il dettaglio della trattazione s’incentrerà su un caso di generale attuazione di una delle disposizioni la cui razionalità ha trovato finora tacita affermazione: il dovere di chiara e precisa motivazione dei provvedimenti amministrativi,  art. 3, 21septies l. n’241/90, per rinvio dell’ art. 7 l. n’212/00, nella prospettiva dell’attività impositiva locale.
Partendo dall’assunto che l’atto contenente la determinazione impositiva del tributo è equiparato, in termini di conformità formale e sostanziale, all’avviso di accertamento è facile intendere che la validità dell’atto impositivo dipenda dall’osservanza delle norme appositamente definite per i provvedimenti amministrativi, salvo precisare che la teoria generale del provvedimento amministrativo fu elaborata avendo riguardo ai provvedimenti discrezionali. Contrariamente, l’avviso di accertamento([1]) è espressione di un provvedimento non discrezionale bensì di una funzione vincolata il cui compimento, in presenza dei presupposti legali (art. 23 Cost.), deve essere generale ed astratto, oltre che indipendente dalla sensibilità del singolo organo.
Così come il potere di emettere avvisi di accertamento è sottoposto al rispetto di regole di validità, parimenti lo è quello impositivo locale il cui legittimo esercizio si pone in dipendenza dal rispetto delle prerogative, anche solo formali, dei contribuenti.
Perciò è richiesto che i provvedimenti impositivi ed in generale quelli ad esternazione scritta dispongano di una predefinita composizione, articolantesi in sei elementi dei quali quattro indispensabili perché necessari e sufficienti ad assicurare la validità dell’atto emanando. Essi sono: l’intestazione, indicativa dell’autorità procedente, il preambolo, enunciativo dei presupposti fattuali e giuridici, nonché della motivazione, per i quali l’amministrazione si è determinata ad agire, il dispositivo, contenitivo della decisione e, infine, la sottoscrizione attestante la titolarità dell’organo agente e del relativo potere.
L’attenzione sarà qui diretta verso uno degli elementi enunciati tra quelli indispensabili: la Motivazione, i.e. obbligo di chiara e precisa motivazione.
Nel lessico comune essa assume l’accezione di formulazione dei motivi che hanno indotto il compimento di un atto o ne hanno determinato il contenuto. In sintesi la motivazione equivale al “perché” di un atto o di una decisione dalla cui esposizione deve poter discendere l’agevole ed esatta comprensione delle ragioni di un dispositivo ingerente sulla sfera giuridica individuale o di una collettività.
Dalla semplice nozione atecnica di motivazione si percepisce la sua centralità nell’ampia materia della validità dei provvedimenti amministrativi.
Nella fattispecie degli atti impositivi locali, segnatamente per quei tributi la cui legislazione conferisce ai singoli enti spazi di manovra in ordine ad aliquote od ipotesi di esenzione, la motivazione costituisce un elemento indefettibile del corpo descrittivo dell’atto-fatturazione, poiché è in detta sezione che deve realizzarsi la spiegazione logico-giuridica della determinazione delle singole poste debitorie.
Il contribuente, cioè, deve poter conoscere il “perché” della sua incisione, potendo verificare personalmente e secondo medie conoscenze settoriali la sussistenza dei presupposti della sua legittimazione (passiva) all’adempimento tributario.  
Purtroppo, nella prassi tributaria delle Amministrazioni locali non sempre vengono osservate le prescrizioni cui finora si è implicitamente fatto rinvio, dovendosi assistere all’assunzione di condotte impositive distinte da omissioni ed arbitrii in ordine alle modalità di quantificazione e fondamento delle poste debitorie.
Caso scuola è dato dall’indicazione nell’atto-fatturazione dei soli importi totali del credito/debito tributario, tra l’altro, spesso riferito ad esercizi passati rispetto al momento della notificazione del provvedimento, la quale, a sua volta, viene fatta intervenire in prossimità del decorso del termine quinquennale di prescrizione.
Se detto comportamento può essere formalmente legittimo così non è l’opportunismo di siffatte emanazioni, sovente dovute ad intenti sanatori d’ inefficienti gestioni finanziarie e, pertanto, volutamente oscure nell’esposizione dei metodi e dei fattori di quantificazione del tributo.
Nello specifico, l’indicazione dei soli importi totali, sommariamente attribuiti a ciascuna posta debitoria, difettando il riporto del procedimento di calcolo delle medesime nonché della fonte normativa-deliberativa (dell’Ente locale) dalla quale evincere i parametri impositivi (entità di costi fissi e variabili per singolo presupposto d’imposta, aliquote e tipologia del sistema tariffario/impositivo adottato, esattezza della sua applicazione temporale in occasione di ritardata emissione delle fatture rispetto all’esercizio di riferimento e le eventuali modificazioni apportate dalle amministrazioni nel frattempo succedutesi) si pone in esplicito e diretto contrasto col principio giuridico generale di chiara e precisa motivazione degli atti amministrativi, ai sensi delle richiamate norme all’ art. 7 l.n’ 212/00 e artt. 3 e 21 septies l. n’241/90. Inoltre, siffatta omissione esclude per l’utente la possibilità di qualunque e concreta verifica della correttezza del procedimento di calcolo seguito dall’Amministrazione, vista l’indisponibilità dei minimi elementi di raffronto relativi al dato normativo dal quale discende l’imposizione ed al sistema tariffario adoperato.
Per inciso, elemento non trascurabile al fine dell’apprezzamento della necessità di chiarezza e precisione della motivazione per la fattura anzidetta è il fattore tempo, il cui rilievo è stato recentemente evidenziato da T.A.R. Campania, Napoli, sez.V, 28.05.2007, n’5795 il quale ha stabilito che “l’onere di motivazione è direttamente proporzionale al lasso di tempo trascorso e all’affidamento ingenerato nei destinatari “.
L’assenza dell’indicazione dei parametri impositivi (aliquote ed eventuali coefficienti di riparto) nega al cittadino-contribuente la possibilità di verifica agevole della correttezza degli addebiti, relativamente agli importi ed alla giusta cronologia delle tariffe, non potendosi escludere, in tal modo, colpevoli ipotesi di indebita retroattività.
Ma, al fine di affermare definitivamente l’esigenza di esaustività della motivazione dei provvedimenti amministrativi, si registrano e riportano recenti (anno 2007) pronunce emanate dal Consiglio di Stato e dalla Corte di Cassazione le quali, avendo quale pregresso normativo l’art. 3 l. n’241/90, affermano testualmente che “funzione precipua della motivazione del provvedimento amministrativo è quella di consentire al destinatario dell’atto di ricostruire esattamente l’iter logico-giuridico attraverso cui l’amministrazione si è determinata ad adottarlo, al fine di controllare il corretto esercizio del potere, onde far valere, eventualmente, le proprie ragioni, è necessario, infatti, che l’autorità emanante ponga il destinatario dell’atto nella condizione di potere conoscere le ragioni ad esso sottese” e “la motivazione non può esaurirsi in mere enunciazioni generiche, essendo necessaria l’indicazione puntuale dei presupposti fattuali e giuridici della decisione” (Consiglio di Stato, sez.VI, 21.05.2007, n’2537 – Cass.Civ. sez.V, 05.02.2007, n’ 454).
Tale ultimo indirizzo del Consiglio di Stato non può considerarsi innovativo bensì prosecutore di un percorso già delineato, riprova ne è la pronuncia dello stesso Consiglio di Stato, sez. IV, 31.10.2006, n’6464 ove è asserito che “la motivazione del provvedimento amministrativo consiste nella concreta individuazione degli elementi di fatto e di diritto in base ai quali l’amministrazione si è determinata, così da rendere palese l’iter logico-giuridico seguito al fine dell’emanazione di un determinato provvedimento amministrativo, assicurando, per un verso, le esigenze di trasparenza e di buon andamento dell’azione amministrativa e, per altro verso, consentendo la più efficace tutela a chi dal predetto provvedimento amministrativo sia stato inciso attraverso la predisposizione delle più adeguate difese” e, ad essa, non hanno mancato di uniformarsi i Giudici Amministrativi territoriali, dei quali (tra le tante) si riportano due emblematiche pronunce: la prima è del T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 07.12.2006, n’4258 la quale si incentra sul dato che “la norma dell’art.3 l.n’241/90, stabilisce a carico dell’autorità amministrativa l’obbligo di fornire un’adeguata motivazione delle sue statuizioni tanto più chiara ed esauriente, quanto più l’atto incide negativamente la sfera giuridica del suo destinatario, al fine di garantire al medesimo la migliore tutela degli interessi di cui è titolare”; la seconda pronunciata dal T.A.R. Lazio, sez.I quater, 23.01.2007, sancisce che “in ogni caso gli atti amministrativi, in particolare se incidenti in senso negativo su un interesse protetto, debbono esporre i presupposti fattuali e giuridici “.
Certamente a siffatte statuizioni è possibile eccepire la validità e l’efficacia suppletiva della motivazione per relationem, ma la sua esatta adozione richiede necessariamente il rispetto di prescrizioni formali afferenti ai dati letterali che rendono conoscibile il provvedimento ai cui presupposti ed alla cui motivazione si rinvia.
Si prevede, cioè, una funzione di “controllo” circa la correttezza rituale e, soprattutto, meritoria del rinvio al fine garantire il contribuente in ordine all’effettiva compatibilità fra le ratio delle disposizioni coinvolte e per effetto della quale egli è sottoposto ad incisione fiscale([2]).
Quanto appena espresso non rappresenta altro che la riproposizione di pronunce di Tribunali amministrativi le quali riconoscendo la legittimità della pratica motiva per relationem ne sanzionano la parzialità procedurale costituita dall’omessa indicazione degli estremi dei atti rinviati (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 21.05.2007, n’5451).
I rilievi di invalidità mossi nei confronti dei provvedimenti distinti da difetto di motivazione, inibitivi della chiarezza di un ordine interpretativo, hanno fine con il rinvio ad una pronuncia del Supremo Giudice di legittimità che, avendo a fondamento l’art.3 l. 241/90, art. 7 l.n’212/00, art.1 D.lgs. n’32/01, asserisce che “l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche sia non solo tempestiva (cioè ab origine nel provvedimento impositivo) ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permette al destinatario un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa”.
E tale è l’importanza rivestita ed avvertita dell’esigenza di una puntuale motivazione che la stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato (da ultimo Cons. Stato, sez.V, 05.02.2007, n’448) nega la possibilità di integrazione della motivazione in sede di impugnazione del provvedimento contestato.
A margine ed al solo fine di evidenziare ulteriormente l’attenzione che le Massime Corti prestano all’elemento motivazionale in materia impositiva, si riporta quanto la Cassazione Civile, sez. V, 26.03.02, n’4332, ha affermato in materia di Tributi erariali diretti asserendo che “in rapporto all’art.42,c.III, del DPR n’600/1973, il provvedimento che contenga solo l’indicazione dell’aliquota minima e massima applicata ed il richiamo generico a tabelle descrittive……viola il principio di precisione e chiarezza della motivazione alla base della richiamata norma ed incorre nella sanzione di nullità disposta dal c.III dello stesso art. 42.” Perciò, una fatturazione che si limita all’indicazione dei soli importi totali, non precisando il sistema di tariffazione, neanche nelle sue minime e massime manifestazioni d’imposta, non può che essere condotta ad una condizione di invalidità in virtù del principio di legittimità sopra riportato.
Il valore assoluto della motivazione -chiara e precisa- lo si evince anche dalla lettera di quell’orientamento che fa risiedere il principio dell’obbligatorietà di detti attributi nella connessione strumentale tra istruttoria e motivazione dell’atto amministrativo. Ne è riprova l’asserimento giurisprudenziale statuente che l’ adeguatezza dei provvedimenti sia da valutarsi in relazione al singolo atto nella misura in cui i destinatari sono stati messi in condizione di contraddire le determinazioni formulate ed in ordine alla loro agevole intelligibilità (Cons. Stato, sez. IV, n’ 5034/07).
Questa linea di analisi è conforme, altresì, ai dettami del D. Lgs. n’32/01, art. 6, oltre ad essere ampiamente sostenuta – come anticipato – dalla giurisprudenza, la quale, in primis, vuole che le ragioni sottese alla decisione della P.A. possano essere agevolmente colte dalla lettura dell’atto. Esso, a tutela dell’interesse legittimo dei privati, deve essere adempitivo dell’obbligo di chiara e precisa motivazione, in omaggio ad una visione non meramente formale dell’obbligo di motivazione ed al principio di trasparenza ex art.97 Cost.(T.A.R. Campania, Napoli, n’6830/07 – T.A.R. Lazio, Roma, sez.I, n’5113/07).
Prendendo a metro d’analisi l’espressione dei Giudici amministrativi secondo cui la motivazione di un provvedimento consiste nell’enunciazione dei presupposti e degli elementi descrittivi logico-giuridici delle ragioni per le quali viene ad essere svolta l’attività amministrativa, tenendo conto di un’adeguata istruttoria e delle norme di diritto che ne hanno giustificato il contenuto (Cons. Stato, sez.V, n’5479/05 – T.A.R. Campania, Napoli, sez.III, n’7375/07 – C.C. sez. Trib. n’5717/00) e che la sua congruità deve valutarsi in concreto ed in maniera confacente alle peculiarità del singolo provvedimento (T.A.R. Sicilia, Palermo, sez.II, n’ 2863/07), gli atti che non dispongano e/o non esprimano le anzidette componenti, che incidano in maniera sfavorevole sugli interessi privati devono trovare apprezzamento di nullità per difetto di chiara e precisa motivazione (T.A.R. F.V.G. Trieste, sez.I, n’580/07).
All’osservanza di siffatte prescrizioni non possono essere esenti gli atti emessi dagli enti locali i quali devono contenere, in modo intelligibile, il ragionamento giuridico ed aritmetico su cui si fonda l’accertamento o la liquidazione del tributo; il rispetto di questo fondamentale principio non è soddisfatto dall’indicazione di una serie di disposizioni normative, senza alcuna spiegazione né col ricorso a stereotipe, rituali e generiche affermazioni (Cons. di Stato n’89/97).
Ed ancora, siffatto agire si pone si contrasto anche a quella giurisprudenza che, ex art. 97 Cost. ed artt. 2, 6 l. n’241/90, obbliga l’amministrazione ad attivarsi verso il privato per una leale collaborazione e maggiore efficienza dell’azione amministrativa, affinché l’istruttoria che precede l’emanazione dell’atto finale sia il più possibile completa e rappresentativa della realtà (T.A.R. Puglia, Bari, sez.III, n’ 2844/07).
In conclusione, valutando nella sua ampiezza la tematica appena discussa si è naturalmente condotti verso l’assunzione di una netta posizione concettuale verso l’intendimento della motivazione e della confacente attribuzione di chiarezza e precisione. Essa non può che essere considerata e proposta come elemento essenziale del provvedimento amministrativo nella sua generalità, per la cui validità non è però sufficiente l’indicazione sommaria di dati finali incapaci di erudire il destinatario sul “perché” e sul “come” della sua soggezione.
Un’esposizione oscura del procedimento decisorio, prodomico al dispositivo, è certamente lesivo delle garanzie attribuite al soggetto privato-contribuente il quale patisce un immediato nocumento dall’impossibilità di comprendere autonomamente il fondamento normativo ed il percorso razionale per effetto dei quali egli è destinatario di un preciso obbligo di comportamento.
La preminenza della P.A. non può giustificare la subordinazione del singolo alla superficialità dell’organo emanante: esso è tenuto all’osservanza di condotte procedimentali definite e rivolte all’armonico coinvolgimento dei privati nella gestione delle grandezze pubbliche.
Come può il soggetto privato apportare la sua leale collaborazione se egli stesso non è posto nella condizione di conoscere a fondo il contesto della sua interazione? E’ pur vero che per gli atti aventi portata generale vige il dovere d’informazione ma gli atti relativi a specificità del singolo devono disporre di quanto formalmente e materialmente necessario sia utile all’agevole comprensione poiché dalla loro presenza discende la legittimità di un dispositivo della P.A.
Se tale verifica non è possibile perché il provvedimento non fornisce una spiegazione, letterale o numerica, chiara e precisa della determinazione, considerando la presumibile conduzione di un’istruttoria, l’emanazione deve essere collocata nello stato patologico della nullità([3]) per la carenza dell’elemento essenziale “motivazione”.
Siffatto giudizio si rende opportuno anche in ordine ad una ragione di morale istituzionale che veda nel rapporto pubblico – privato un legame armonioso e non una coazione cui uniformarsi sudditamente. Solo se l’esempio di correttezza proviene dall’Istituzione si potrà pretendere e condurre il singolo all’assunzione di condotte leali e collaborative, altrimenti sarà intendibile la sua reazione. Nel contemperamento delle reciproche posizioni, pubblico e privato hanno interesse affinché si instauri tra loro un legame collaborativo visto che dagli adempimenti dell’uno dipende l’effettività dell’altro ma, al contempo, al singolo, per la sua diversa collocazione, deve essere riconosciuta la massima garanzia di lealtà e conoscenza, senza intermediazione alcuna. E questa massima forma di garanzia si realizza attraverso l’esattezza procedimentale, l’esposizione chiara e precisa degli elementi e del metodo di determinazione i quali gli consentano, secondo il criterio della media conoscenza, di comprendere senza incertezza la ragione della decisione amministrativa.
Socialmente, le omissioni espositive dei provvedimenti costituiscono un’ingiustificata attenuazione delle prerogative democratiche, la cui gravità assurge a maggior rilievo in considerazione della ragione contrattuale genitiva dello Stato.
Perciò appare naturale la previsione della massima sanzione per quelle condotte amministrative le cui emanazioni esterne risultino oscure delle ragioni logiche e giuridiche del dispositivo.
 
Dott. Bruno Zirillo


[1] É orientamento di autorevole dottrina ritenere e definire l’atto di accertamento quale “atto d’imposizione” poiché mediante l’emanazione di tale atto l’ufficio fiscale costituisce unilateralmente l’obbligazione tributaria “imponendola” al contribuente. Diverso orientamento sostiene, invece, che “atto impositivo” sia qualsiasi atto impugnabile dell’amministrazione.
[2] vd. art. 3, c. III, l. n’241/90.
[3] vd. art. 21septies l. n’241/90.

Zirillo Bruno

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