Sul quesito di diritto nel ricorso per cassazione avverso le pronuncie delle commissioni tributarie:ultimi orientamenti del giudice di legittimita’

Buscema Angelo 31/01/08
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DIRITTO VIVENTE

E’ noto(1) che è stato introdotto ex art. 6 del D.lg. n. 40 del 2006 un ulteriore requisito di ammissibilità dei ricorsi per Cassazione(2) ,che è quello della formulazione del  quesito di diritto .

Il nuovo art.366-bis delcodice di procedura civileprevede, infatti, che, nei casi previsti dall’art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con "la formulazione di un quesito di diritto“.(2)

La nuova formulazione dell’art. 366 bis c.1 del cod.proc.civ.( recata dal d.lgs. 2.2.2006,n.40) prevede che “ nei casi previsti dall’art. 360, primo comma, numeri 1),2),3),4) l’ illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto”(Il testo originariamente proposto proseguiva con la frase: “che consenta alla Corte di enunciare un corrispondente principio di diritto”). Detto requisito del ricorso per Cassazione si applica anche ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti(es. ordinanza di chiusura del giudizio di ottemperanza ex articolo 70 del dlgs 546/92) del giudice tributario (es. sentenza della Commissione tributaria provinciale emessa in qualità o nelle vesti di giudice di ottemperanza; sentenza della Commissione tributaria regionale), pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del dlgs n. 40/2006 (2 marzo 2006); al ricorso per cassazione avverso le sentenze delle Commissioni tributarie Regionali ed al relativo procedimento si applicano, infatti, le norme dettate dal Cod. Proc. Civ. perché compatibili con quelle statuite dal D.lg. n. 546/92.(cd. filtro dell’articolo 62 del dlgs 546/92)

E’ configurato l’obbligo per il ricorrente di una più dettagliata formulazione dei motivi di ricorso, la cui prospettazione deve concludersi, a pena di inammissibilità (nuovo articolo 366 bis) con la formulazione di un quesito di diritto (cd. obbligo di enunciare puntualmente il quesito di diritto) o con la chiara indicazione del fatto controverso oggetto di motivazione omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni dell’insufficienza della motivazione (art. 366 n° 4 e nuovo art. 366 bis C.P.C.).

E’ richiesto anche negli altri casi di impugnazione, previsti dai nn. 1),2),4), e non

soltanto nel caso previsto dal n.3) dell’art. 366 bis.

Trattasi   di un onere di fondamentale valenza o rilevanza per il difensore, se si considera che la sanzione del suo inadempimento si risolve nella inammissibilità del ricorso;ciò implica anche  problemi di responsabilità professionale dell’avvocato che abbia dimenticato la proposizione del quesito e cagionato così, a favore del fisco,  il sacrificio dell’interesse del cliente(rectius: contribuente).

La formulazione normativa corrisponde ad un’esigenza di precisione e di rigore che colpisce con la spada di damocle dell’inammissibilità sia il quesito mancante sia quello formulato in modo carente ovvero in modo assolutamente indecifrabile.

L’inammissibilità va pronunciata non solo in caso di omissione del quesito di diritto nel ricorso, ma anche nel caso di  mancanza di chiarezza della sua enunciazione, inadeguatezza rispetto al compito della Corte di enunciare una “regola del caso” che possa assumere il rango di principio di diritto.

La finalità della norma consiste anche nel “contenere la tendenza di molti avvocati a trasformare il giudizio di cassazione in una terza istanza”, oltre che “agevolare lo studio dei ricorsi rendendone più percepibile il nucleo caratterizzante” (3)Attraverso questa specifica norma, in particolare, il legislatore si propone l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui essi debbono corrispondere. La formulazione del quesito funge da prova necessaria della corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati.Il ricorso privo della formulazione di quesiti è inammissibilità per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. e l’inammissibilità è rilevabile d’ufficio. Il quesito di diritto  non può essere formulato implicitamente(Sezioni Unite Civili della Cassazione sentenza n. 7258 del 26 marzo 2007 ), poiché la prescrizione formale introdotta dalla norma in esame – la quale richiede, a pena di inammissibilità, che l’illustrazione di ciascun motivo deve concludersi con la formulazione di un quesito di diritto anche nei ricorsi per motivi di giurisdizione o di competenza e anche nei ricorsi per violazione di legge quando si ponga in discussione una questione di stretto diritto – non può essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo di ricorso. Una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione che ha introdotto, a pena di inammissibilità, il rispetto di un requisito formale che deve esprimersi nella formulazione di un esplicito quesito di diritto, tale da circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito formulato dalla parte, quesito che deve trovare la sua collocazione a conclusione dell’illustrazione di ciascun motivo di ricorso che, da sola, non è perciò sufficiente ai fini del rispetto della norma in esame; pertanto, pur non richiedendosi specifici requisiti di forma, deve pur sempre essere formulato, a conclusione dell’illustrazione di ogni singolo motivo ed in aggiunta ad essa, il quesito che deve segnare i confini della pronuncia del giudice. In definitiva , l’art. 366-bis c.p.c. va interpretato nel senso che il quesito di diritto deve essere formulato in modo esplicito e non già che esso si possa desumere implicitamente dalla formulazione del motivo di ricorso. Sussiste l’ impossibilità di accettare una ipotesi di quesito implicito o “mascherato" nella trattazione delle censure, fermo restando che il quesito  può anche difettare di una particolare evidenza grafica o può anche essere collocato non al termine del motivo ma al suo inizio o nelle conclusioni del ricorso (se pur con richiamo al motivo al quale esso è pertinente), non decisiva essendo la sua collocazione tipografica. Il quesito   deve risultare come frutto di una intenzionale articolazione di interpello alla Corte di legittimità sulla sintesi dialettica illustrata nel singolo motivo. La novità della riforma, infatti, sta nel porre a requisito fondamentale di ciascuna censura di violazione di legge la sintesi logico-giuridica della questione onerando l’avvocato (patrocinante in cassazione) di una formulazione consapevole quanto espressa e diretta di tale sintesi. ( Corte di Cassazione – Ordinanza n. 13329/2007). Trattasi di  un elemento additivo ai contenuti del ricorso, che non consente quindi la sua enucleazione per via interpretativa del ricorso da parte del giudice

La previsione della norma dell’art. 366-bis, là dove esige che l’esposizione del motivo si debba concludere con il quesito di diritto, comporta necessariamente che il quesito debba svolgere una propria funzione di individuazione della questione di diritto posta alla Corte, sicché è necessario che tale individuazione sia assolta da una parte specifica del ricorso, a ciò deputata attraverso espressioni specifiche, che siano idonee ad evidenziare alla Corte la questione, restando invece escluso che la questione possa risultare da un’operazione di individuazione delle implicazioni della esposizione del motivo di ricorso affidata al lettore di tale esposizione e non rivelata direttamente dal ricorso stesso(Corte di Cassazione ordinanza n. 16002 del 18/07/2007.) Il quesito di diritto, con il quale deve concludersi, a pena di inammissibilità, ciascuno dei motivi con i quali il ricorrente denunzia alla Corte di Cassazione un vizio riconducibile ad una o più delle fattispecie regolate nei primi quattro numeri dell’art. 360, comma 1, del codice di procedura civile,    deve essere risolutivo del punto della   controversia investito dal motivo e non può definirsi nella richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità(sentenza n. 17108 del  3 agosto 2007 della  Corte Cass., sez. tributaria)

Alla radice di ogni impugnazione", infatti (Cass. 1^, 28 aprile 2006 n. 9877; Cass., 1^: 19 maggio 2006 n. 11844 e 27 gennaio 2006 n. 1755), "dev’essere individuato un interesse giuridicamente tutelato, identificabile nella possibilità di conseguire una concreta utilità, un risultato giuridicamente apprezzabile, attraverso la rimozione della statuizione censurata e non già in un mero interesse astratto a una più corretta soluzione di una questione giuridica non avente riflessi pratici sulla soluzione adottata": "… l’interesse all’impugnazione, sebbene di carattere strettamente processuale, non può considerarsi avulso dalla necessità di provocare o di far mantenere una decisione attinente al riconoscimento o al disconoscimento di un bene a favore di   un determinato soggetto" per cui è "inammissibile, per difetto d’interesse, un’impugnazione con la quale si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte e che sia diretta quindi all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico (cfr. Cass. un. 15623/2005, 13091/2003, 1969/2003, 5702/2001, 12241/1998, 912/1995, 4267/1986, 4616/1984)".

A norma dell’art. 366 bis C.P.C. e’ inammissibile il motivo del ricorso per cassazione che si concluda con la formulazione di un quesito di diritto in alcun modo riferibile alla fattispecie o che sia comunque assolutamente generico(Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, con sentenza n. 36 del 05.01.2007)

Nel giudizio di cassazione, la formulazione del quesito prevista dall’art. 366-bis cod. proc. civ. postula l’enunciazione, ad opera del ricorrente, di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato e perciò tale da implicare un ribaltamento della decisione adottata dal giudice a quo. Non è pertanto ammissibile un motivo di ricorso che si concluda con l’esposizione di un quesito meramente ripetitivo del contenuto della norma applicata dal giudice a quo, ancorché il ricorrente aliunde sostenga che l’applicazione di quella norma alla fattispecie concreta avrebbe dovuto condurre ad una decisione di segno opposto.(Cassazione sentenza n. 14682 del 22/06/2007)

In definitiva , il quesito di diritto deve essere comunque formulato, e non si può intendere assorbito nelle argomentazioni relative alle censure sulla applicazione della legge fatta dalla sentenza impugnata; il giudice non reinterpreta il testo che illustra il motivo estrapolandone il quesito di diritto, ma si limita a constatare che il quesito è stato omesso .Deve essere formulato in modo separato rispetto alle argomentazioni, e quindi messo in debita evidenza; è indifferente che sia messo in evidenza all’inizio, nel corpo o alla fine della illustrazione del motivo Deve essere chiaro; e chiaro significa comprensibile da parte del giudice, non contraddittorio, né allusivo.

Deve essere formulato in modo da corrispondere ad un principio di diritto sul quale si possa pronunciare la Corte; in altri termini ,impiegando l’art. 366 bis il termine di “quesito”, deve trattarsi di un invito rivolto alla Corte ad applicare un principio diverso rispetto a quello desumibile dalla sentenza impugnata .Deve essere pertinente, cioè non dissonante con la illustrazione del motivo.

PRINCIPIO DI DIRITTO E QUESITO DI DIRITTO

Nel nuovo procedimento per Cassazione risulta fortemente accentuata quella funzione nomofilattica della Corte, che trova un concreto sviluppo nella enunciazione del principio di diritto. In base all’art. 384, tale enunciazione non è più circoscritta al ricorso fondato sulla violazione o falsa applicazione di legge ma viene estesa alla generalità dei casi in cui la Corte, per decidere un ricorso fondato su altri motivi,deve risolvere una questione di diritto di particolare importanza. Genera un ampliamento delle ipotesi in cui la Corte pronuncia un principio di diritto, anche la nuova disciplina del ricorso nell’interesse della legge. Con la l. 40/06 infatti tale ricorso può essere proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione anche in relazione a provvedimenti non ricorribili per Cassazione né altrimenti impugnabili (anteriormente alla riforma, invece, il ricorso era circoscritto ai soli provvedimenti ricorribili per Cassazione, nei riguardi dei quali le parti non avevano proposto impugnazione nei termini di legge o vi avevano rinunciato).

Il principio di diritto, inoltre, può essere pronunciato anche d’ufficio (e quindi a prescindere dall’iniziativa del Procuratore Generale) se il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile e la Corte ritiene che la questione decisa è di particolare importanza.Sussiste la corrispondenza non biunivoca tra quesito di diritto e principio di diritto, nel senso che mentre il ricorso deve prevedere a pena di inammissibilità per ogni motivo la formulazione di un quesito di diritto, la Corte non è vincolata a pronunciarsi sui singoli quesiti con il correlativo principio di diritto, dal momento che questo obbligo vige solo in caso di applicazione dell’art. 360 c.1 n.3), mentre la Corte si pronuncia sul principio di diritto a sua discrezione negli altri casi in cui la questione di diritto da risolvere sia di particolare importanza.

Non vi è perfetta specularità tra posizione di un quesito giuridico, da parte del ricorrente, ed enunciazione del principio di diritto da parte della Cassazione. L’art. 384 obbliga la Corte ad esplicitare sempre il principio di diritto solo in relazione ai motivi di ricorso di cui al n. 3 dell’art. 360 (violazione e falsa applicazione di norme, ecc.); negli altri casi, quando risolve questioni poste ai sensi dei nn. 1, 2 e 4 dell’art. 360, l’enunciazione del principio è legata alla "particolare importanza" della questione decisa .

Il principio di diritto è non una regola astratta e generale, ma piuttosto un imperativo contenente elementi della fattispecie a cui deve essere applicato (Cass. n. 11650 del 2002) e quindi si identifica con la regola del caso.

Il “principio di diritto” equivale a corretta interpretazione della disposizione applicata al caso di specie. (4)

Il principio di diritto(5) enunciato dalla Corte di Cassazione ,  nel momento in cui esprime l’esatta interpretazione della norma di diritto si identifica “con l’individuazione del criterio più accettabile per la risoluzione del singolo e specifico conflitto di interessi, considerato come unico e irripetibile”e non va  inteso come individuazione e formulazione di una regola di giudizio universalizzabile, vale a dire idonea a servire da criterio di decisione per soluzioni successive di casi identici o simili”(6)

Un conto, infine , è la “massima”, altro conto il “principio di diritto”. Perché la massima riassume più o meno felicemente il principio, ma il principio , inteso in questo caso come regula iuris , può essere più articolato e complesso.

 

CONCLUSIONI

Il tema “spinoso” e complesso del cd. quesito di diritto nel ricorso per cassazione   presenta, per l’operatore tributario, evidenti interrogativi sulla sua portata giuridica, che vanno risolti mediante l’analisi della dottrina e il richiamo, soprattutto, all’evoluzione giurisprudenziale.

Angelo Buscema

Dirigente ufficio contenzioso del Lazio

Note

1)

                                       Art. 366 bis – Formulazione dei motivi.

 

                                              Testo in vigore dal 2 marzo 2006

       

Nei casi previsti dall’ articolo 360, primo comma, numeri 1), 2), 3) e 4) , l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto. Nel caso previsto dall’ articolo 360, primo comma, n. 5) , l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (articolo aggiunto dall’art. 6, comma 1, D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) .

 Angelo Buscema, Le nuove regole per il ricorso contro le sentenze delle commissioni tributarie in diritto & giustizi@ quotidiano del 4 marzo 2006 .Angelo Buscema e Salvatore Cantelli, riforma del giudizio in cassazione in www.commercialistatelematico.com   novembre 2006 Glendi Cesare, Buzzone Mariagrazia,processo tributario ipsoa 2006 pag. 240.

 

 

 2)Per Tesauro Francesco ,le modifiche alla disciplina del giudizio di cassazione in Corriere tributario n. 11 /2006 pag. 823:l’art. 366-bis è un articolo del tutto nuovo, che pone distinte prescrizioni, da un lato, per i motivi di ricorso di cui ai primi quattro numeri dell’art. 360 e, dall’altro, per il motivo di cui al numero 5. Per i primi, si prevede che "l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che consenta alla Corte di enunciare un corrispondente principio di diritto". La disposizione riguarda, per ragioni evidenti, solo i motivi di cui ai primi quattro numeri dell’art. 360; non riguarda il motivo di ricorso che investe la motivazione, per il quale non può immaginarsi l’enunciazione di un principio di diritto.

3) Consolo, Deleghe processuali e partecipazione alla riforma della Cassazione e dell’arbitrato, in Corr.giur.,2005,1192.

 

 

4) Carpi e Taruffo, Commentario breve al codice di procedura civile, 5° ed., Padova, 2006, p. 1065.

 

5) In base alle argomentazioni svolte, conclusivamente deve essere enunciato il seguente, articolato, principio di diritto. Ai sensi del combinato disposto del D.lg. 15 dicembre 1997, n. 447, art. 2, primo periodo, e art. 3, comma 1, lett. c)secondo l’interpretazione elaborata dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 156 del 21.5.2001), l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, delle attività di lavoro autonomo diversa dall’impresa commerciale (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 10) non costituisce presupposto per applicazione dell’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive) qualora non si tratti di attività "autonomamente organizzata". Il requisito della "autonoma organizzazione" dell’attività di lavoro autonomo, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insidacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, sussiste tutte le volte che il contribuente che eserciti tale attività: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile della organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali, mobili, mobili registrati ed immobili, ed eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione oppure si avvalga, in modo non occasionale, del lavoro altrui. Non occorre che le condizioni – dell’impiego di beni strumentali e dell’utilizzo del lavoro altrui concorrano, essendo sufficiente una sola, che deve comunque sempre sommarsi alla condizione che il titolare sia il responsabile della organizzazione.Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova della assenza delle condizioni, innanzi elencate.( Cassazione Civile Sent. n. 9214 del 18-04-2007 )

 

 

6)contra,Cassazione Civile Sent. n. 14682 del 22-06-2007 secondo cui “  Il legislatore, nel porre a carico del ricorrente l’onere della sintetica ed esplicita enunciazione del nodo essenziale della questione giuridica di cui egli auspica una certa soluzione, rende palese come a questo particolare strumento impugnatorio sia sottesa una funzione affatto peculiare: non solo quella di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata (in un senso, ovviamente, che il ricorrente prospetta a sè più favorevole), ma anche quella di enucleare – con valenza più ampia e perciò, appunto, nomofilattica – il corretto principio di diritto al quale ci si deve attenere in simili casi. L’interesse personale e specifico del ricorrente deve, insomma, coniugarsi qui con l’interesse generale all’esatta osservanza ed all’uniforme interpretazione della legge, necessari per garantire l’unità del diritto oggettivo nazionale, che il R.D. 30 gennaio 1941, n. 12,, espressamente indica tra i compiti assegnati alla Suprema corte. E’ per questo, infatti, che detta corte è tenuta non solo a cassare l’impugnata sentenza, ove il ricorso appaia fondato, ma anche ad enunciare in modo espresso il principio di diritto applicabile, sia che accolga sia che rigetti un ricorso per violazione di legge, nonché in ogni altro caso in cui risolva questioni di particolare importanza, e persino se il ricorso sia inammissibile o quando il Procuratore generale ne faccia richiesta nel solo interesse della legge (artt. 363 e 384, comma 1). Ed è per questo che la formulazione del quesito di diritto a conclusione del motivo di ricorso è richiesto a pena d’inammissibilità: perchè il compito cui è chiamato il giudice di legittimità va oltre la risoluzione della singola lite, ed il legislatore ha inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di collaborare alla funzione nomofilattica, mediante l’individuazione del punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del più generale principio giuridico (cui il quesito è preordinato), risultando altrimenti difettosa – e dunque non ammissibile – l’investitura stessa del giudice di legittimità. Ne consegue non solo che la formulazione del quesito di diritto previsto da detta norma deve necessariamente essere esplicita, in riferimento a ciascun motivo di ricorso (cfr., in tal senso, sez. un, n. 7258 del 2007, e Cass. n. 27130 del 2006), ma anche che essa non deve essere generica ed avulsa dalla fattispecie di cui si discute (cfr. sez. un. n. 36 del 2007), risolvendosi altrimenti in un’astratta petizione di principio: perciò inidonea tanto ad evidenziare il nesso occorrente tra la singola fattispecie ed il principio di diritto che il ricorrente auspica sia enunciato, quanto ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio, ad opera della corte, in funzione nomofilattica. In altre parole, il quesito che il ricorrente è chiamato a formulare, per rispondere alle finalità della norma, deve esser tale da consentire l’individuazione del principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, di un diverso principio la cui auspicata applicazione ad opera della Corte di cassazione sia idonea a determinare una decisione di segno diverso. Se così non fosse, se cioè il quesito non risultasse finalizzato alla cassazione sul punto della sentenza impugnata, o comunque non apparisse idoneo a conseguire tale risultato, ciò vorrebbe dire o che esso non ha in realtà alcuna attinenza con l’impugnazione e con le ragioni che la sorreggono o che il ricorrente non ha interesse a far valere quelle ragioni. Nell’uno come nell’altro caso non potrebbe non pervenirsi alla conclusione dell’inammissibilità del motivo di ricorso art. 65

Buscema Angelo

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