“Sui mutevoli (e talora censurabili) orientamenti della Suprema Corte, in tema di autosufficienza del ricorso per cassazione, in attesa di un (auspicabile) intervento chiarificatore delle Sezioni Unite”

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Sommario: 1. Il principio di autosufficienza nella Giurisprudenza di Legittimità anteriore alla riforma del 2006. – 2. La riforma del procedimento di cassazione del 2006. – 3. Gli orientamenti incerti e contraddittori della Giurisprudenza della Corte di Cassazione sulla portata del principio di autosufficienza dopo la riforma del 2006: davvero un “repertorio bon à tout faire quanto alla necessità, o anzi addirittura al divieto, di trascrizione di parti del processo nel ricorso. – 4. Segue: L’introduzione, ad opera della Giurisprudenza della Corte di Cassazione, dell’ulteriore e gravoso onere di produrre, nuovamente e separatamente nel fascicolo del giudizio di legittimità, gli atti posti a fondamento del ricorso. – 5. Critiche ai recenti orientamenti della Corte di Cassazione in tema di autosufficienza, alla luce dell’attuale assetto normativo delineato dal D.Lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006. – 6. Segue: Sui, parimenti criticabili, indirizzi giurisprudenziali della Corte di Cassazione in tema di specifica ed ulteriore produzione, in sede di legittimità, degli atti posti a fondamento dell’impugnativa. 7. Segue. Gli ostacoli di ordine pratico al corretto assolvimento dell’onere di produzione dei documenti nel fascicolo del giudizio di cassazione. Aspetti problematici e possibili soluzioni. – 8. Sulla necessità ed opportunità di un auspicabile intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.

 

1. Il principio di autosufficienza nella Giurisprudenza di Legittimità anteriore alla riforma del 2006.

Il c.d. principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di esclusiva genesi pretoria, non trova alcuna espressa regolamentazione normativa nel codice di rito civile, né alcun riferimento o indicazione che ne legittimi la ricostruzione esegetica sotto il profilo sistematico.

Nonostante ciò, detto principio è uno degli strumenti maggiormente adoperati dalla Suprema Corte per la falcidiazione, sotto il profilo dell’inamissibilità, dei numerosi ricorsi che hanno sempre più esponenzialmente incrementato i giudizi pendenti dinanzi al Giudice di Legittimità.

La lettura dei repertori dell’immediato dopoguerra rivela come il principio di autosufficienza fosse all’epoca del tutto assente – oltre che dall’assetto normativo – dal panorama giurisprudenziale italiano. I requisiti della completezza e specificità del ricorso venivano letti dalla Corte di Cassazione nel senso di richiedere che l’atto introduttivo rappresentasse – sia pure in via sommaria – un quadro esaustivo delle circostanze e degli elementi di fatto oggetto della controversia, nonché dello svolgimento del giudizio di merito nelle sue varie fasi, in modo da poter trarre dal solo ricorso sufficiente cognizione della censura e delle questioni giuridiche alla stessa sottese.2

Tale lettura giurisprudenziale rimase immutata finché la Corte di Cassazione, nei primi anni ottanta, iniziò – a mio avviso in maniera anche ragionevole – a rivedere il proprio orientamento sulle tecniche di redazione e sui requisiti formali dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità3, richiedendo, a pena di inammissibilità del motivo di gravame, il rispetto dei principi di specificità, completezza, chiarezza e precisione nella redazione dei ricorsi. Nella seconda metà degli anni ottanta, il principio di autosufficienza iniziò ad apparire sullo scenario giurisprudenziale4, assumendo, all’inizio, perlopiù le sembianze di un “fratello gemello” del canone di specificità e completezza, il cui rispetto è stato da sempre preteso dalla giurisprudenza di legittimità.

Nel primo periodo di operatività, ha trovato infatti applicazione, nelle pronunce della Suprema Corte, una sorta di versione light del principio di autosufficienza5, che si traduceva nell’obbligo della precisa indicazione topografica, in seno al ricorso, del luogo, o meglio dell’atto o verbale di causa cui si richiamava la doglianza6.

Dopo la prima fase applicativa, la giurisprudenza di legittimità dà alla luce una versione più rigida del principio di autosufficienza7, la cui ratio implicita non risiede più nella necessità che le censure presentino il giusto grado di specificità e completezza, ma di fatto nell’esigenza – comprensibile, ma allo stesso modo non condivisibile nelle modalità in cui si tenta di soddisfarla – di deflazionare l’imponente carico di ricorsi che negli ultimi anni hanno invaso la Suprema Corte. Quest’ultima versione applicativa del principio di autosufficienza ha portato il Giudice di Legittimità a non accontentarsi della mera indicazione nel ricorso dei documenti da consultare, ed invece a richiedere – a pena di inammissibilità – l’integrale trascrizione degli atti processali – memorie, verbali d’udienza, consulenze d’ufficio o di parte, documenti e testimonianze – posti a fondamento del ricorso8.

Il fondamento giuridico di tale lettura estrema del principio di autosufficienza è stato individuato dalla Corte di Cassazione nel limitato potere della stessa di acquisire tutti gli elementi utili alla decisione unicamente dagli atti del giudizio di legittimità – e cioè dal ricorso, dal controricorso ed eventualmente dalla sentenza impugnata – stante l’asserito divieto per il Supremo Collegio di compiere indagini integrative, e quindi di visionare ed esaminare (salvo che i vizi processuali configurino errores in procedendo) gli atti processuali precedenti ed i documenti prodotti nella fase di merito9.

L’esperienza giurisprudenziale delle pronunzie d’inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza si è affermata all’inizio, preminentemente, con riguardo all’ipotesi di vizio di omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione di cui all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. In questo caso la Corte ha iniziato a pretendere dal ricorrente che censurava, sotto il profilo del vizio di motivazione, la mancata ammissione delle prove richieste nella fase di merito, l’indicazione adeguata e specifica del relativo contenuto10. Come passaggio ulteriore e conseguente, nell’ipotesi di censura dell’omessa ammissione di prove testimoniali nella fase di merito, è stata ritenuta necessaria – a pena di inammissibilità – l’integrale trascrizione dell’articolato della prova per testi, non potendo il ricorrente limitarsi ad indicare genericamente i temi di prova, né limitarsi ad indicare le circostanze oggetto di prova11. Lo stesso valeva anche con riferimento agli altri mezzi istruttori di cui si denunciava la mancata ammissione in sede di merito. Ad esempio, nel caso di mancata ammissione del giuramento decisorio, si richiedeva la trascrizione nel ricorso della formula in cui lo stesso era stato articolato12; allo stesso modo, nell’ipotesi di mancata ammissione dell’interrogatorio formale, la Cassazione riteneva necessaria la trascrizione, in seno al ricorso, del contenuto delle circostanze sulle quali la parte, in sede di merito, avrebbe dovuto rispondere13.

Anche nella diversa ipotesi di erronea o illegittima valutazione dei mezzi istruttori, la Corte di Cassazione richiedeva che il ricorrente specificasse, mediante integrale riproduzione, la risultanza processuale di cui si asseriva la mancata o insufficiente valutazione.14 Ad esempio, in materia di prova testimoniale, veniva richiesta, oltre alla specifica indicazione dei fatti che ne costituivano l’oggetto, l’indicazione dei nomi dei testi e la trascrizione integrale delle relative deposizioni15. Parimenti, nell’ipotesi in cui si denunciava l’omessa valutazione di documenti considerati decisivi per il giudizio, è stato ritenuto non autosufficiente, e come tale inammissibile, il ricorso privo della trascrizione integrale degli stessi16. Infine, anche nell’ipotesi di erronea o mancata valutazione di una c.t.u., la Corte si è espressa nel senso di ritenere che le censure mosse alla consulenza dovessero possedere, in forza del principio di autosufficienza, un grado di specificità tale da consentire al Collegio di valutarne la decisività direttamente ed esclusivamente in base al ricorso, imponendo così al ricorrente di riportare per esteso le pertinenti parti della medesima consulenza ritenute erroneamente disattese17; analogamente, nel caso in cui si denunciava l’acritica adesione del giudice di merito alla c.t.u., la Cassazione prevedeva l’obbligo del ricorrente di trascrivere “i passaggi salienti e non condivisi della consulenza e di riportare il contenuto delle critiche ad essi sollevate, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice di merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamenti ed alle conclusioni del consulente d’ufficio”.18

Nell’ultimo decennio, la Suprema Corte ha operato un ulteriore estensione19, o meglio generalizzazione, del principio in esame, ritenendolo applicabile a tutti i motivi di gravame, indipendentemente dal tipo di vizio denunciato, e quindi sia che esso fosse qualificabile come error in iudicando o come error in procedendo.

In particolare, con riguardo al motivo d’impugnazione previsto al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., la Corte di Cassazione ha previsto addirittura l’obbligo, in capo al ricorrente, qualora le censure comportino l’esame di regolamenti comunali o provinciali, di integrale trascrizione ed allegazione delle fonti normative richiamate.20 In questi casi, la Suprema Corte ha peraltro giustificato l’ operatività di tale obbligo di trascrizione anche in considerazione dell’inapplicabilità, con riguardo alle norme giuridiche secondarie, del principio iura novit curia21.

Inoltre, nell’ipotesi di censura di un errore di diritto nell’interpretazione di una sentenza prodotta nel giudizio di merito, la Corte di Cassazione ha parimenti imposto l’onere di trascrizione della stessa22.

Come accennato, anche in relazione agli errores in procedendo si rinvengono numerose pronunce in cui trova applicazione il principio in esame. Al tal riguardo non si può non rilevare che il generale principio secondo cui la Cassazione diviene giudice anche del fatto (nel senso di potere esaminare i fascicoli di causa ed anche accertare e valutare autonomamente e direttamente il fatto processuale, senza il filtro cognitorio del Giudizio di merito) qualora vengano denunziati vizi di nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c23, farebbe cadere quel divieto, per il Supremo Collegio, di compiere indagini integrative – esaminando i fascicoli, di parte o d’ufficio, dei precedenti gradi di giudizio – posto a fondamento del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione24. Nonostante ciò, la Corte di Cassazione ha ritenuto comunque applicabile il principio in esame al predetto motivo di gravame25, limitandosi talora a richiedere – ai fini di un controllo mirato sul corretto svolgimento dell’iter processuale – l’indicazione topografica del “luogo processuale” dove rinvenire gli atti, le pronunce o le omissioni generatrici del vizio denunziato, ed in altri casi ad applicare la versione più rigida del principio di autosufficienza.26 In particolare, in tema di vizio di omessa pronuncia su una domanda o un’eccezione ritualmente proposta, la Corte di Cassazione ha espressamente richiesto – oltre all’indicazione dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali la stessa sia stata proposta – che sia puntualmente e specificamente trascritta (quindi non genericamente, ovvero, in forma riassuntiva) la domanda o la eccezione che si assume non esaminata27.

Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – rapidamente illustrato nella sua dimensione evolutiva – è stato oggetto, soprattutto nella sua versione più rigorosa, di aspre critiche da parte della dottrina maggioritaria28.

In particolare, è stata in primo luogo rilevata l’inesistenza di qualsiasi supporto normativo dell’asserita limitazione dei poteri cognitori della Corte, posta dalla stessa Cassazione a fondamento del principio di autosufficienza, osservandosi correttamente come alcune norme del codice di rito riconoscano, invero, sia pur implicitamente, non soltanto un potere, ma anche un dovere del Giudice di Legittimità di conoscere tutti gli atti di causa delle precedenti fasi di merito. Si pensi ad esempio all’art. 384 c.p.c., il quale, nel prevedere che le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il dispositivo sia conforme al diritto, non siano soggette a cassazione e che la Suprema Corte debba in tal caso limitarsi a correggere la motivazione, impone ragionevolmente di ritenere che la stessa possa, anzi debba, nell’esercitare il suo potere di controllo, conoscere i fatti e gli atti della causa. D’altronde – si è osservato29 – se esistesse realmente a livello normativo un siffatto limite cognitorio per il Giudice di Legittimità, la stessa Cassazione non potrebbe eluderlo mediante l’integrale trascrizione degli atti processuali e dei documenti posti a fondamento delle censure, senza comunque esaminare il contenuto del fascicolo d’ufficio o dei fascicoli di parte per verificarne l’esatta corrispondenza con quanto trascritto nel ricorso.

Infine, non può ignorarsi che detto divieto – artatamente creato dalla Suprema Corte – risulta normativamente smentito a chiare lettere sia dall’art. 369, ultimo comma c.p.c., che prevede, per tutti i ricorsi, quali che siano i motivi, la trasmissione del fascicolo d’ufficio, che dal numero 4 del secondo comma della medesima norma, che prevede l’onere del ricorrente di depositare gli atti o documenti su cui il ricorso si fonda30.

Si è poi osservato che il puntuale adempimento dell’obbligo di integrale trascrizione in seno al ricorso dei “contenuti processuali” relativi alla fase di merito, favorendo la redazione di atti inevitabilmente prolissi, sovrabbondanti e smisurati, finirebbe anziché con l’agevolare i giudici di legittimità nell’individuazione del vizio della sentenza impugnata, nel rendere più complicata e faticosa la lettura del ricorso, causando ritardi ed inefficienze31.

Si è, inoltre, ravvisato32 – nelle molteplici pronunce in tema di autosufficienza – l’esercizio di un potere discrezionale eccessivo da parte del Giudice di Legittimità, nell’applicazione di detto principio. Il Collegio, infatti, potrebbe sempre individuare, a suo insindacabile (e talora arbitraio) giudizio, un atto o un documento di causa non integralmente trascritto dal ricorrente e per l’effetto dichiarare inammissibile il ricorso per difetto di autosufficienza, cosi come potrebbe accontentarsi (altrettanto arbitrariamente), allo scopo di “salvare” un ricorso dalle scure dell’inammissibilità, della mera indicazione degli atti processuali posti a fondamento della censura. In altri termini, i margini discrezionali che la Cassazione si autoattribuisce appaiono francamente troppo ampi e non sempre prevedibili dal ricorrente, con grave pericolo anche per l’esigenza di certezza del diritto.

Parte della dottrina33 ha, infine, tentato di ridimensionare la pericolosità applicativa del principio in esame, facendo notare come in molti casi la pronuncia d’inammissibilità per violazione dell’autosufficienza del ricorso abbia svolto – coniugando la decisone di rigetto con le già ricordate esigenze di celerità – una sorta di funzione di supporto (o anche surrogatoria) rispetto alla reale e corretta declaratoria di incensurabilità del vizio lamentato, con cui veniva richiesto un riesame di merito precluso in sede di legittimità. A tal riguardo si è fatto comunque notare che, in questi casi, il richiamo al principio si rivela del tutto superfluo34, in quanto, il ricorso sarebbe stato in ogni caso respinto, anche se il ricorrente avesse diligentemente adempiuto – in ossequio al principio di autosufficienza – l’onere di integrale trascrizione degli atti processuali richiamati.

 

2. La riforma del procedimento di cassazione del 2006.

Con il D.Lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006, il legislatore ha realizzato la prima riforma del processo di legittimità35 finalizzata al rafforzamento del ruolo nomofilattico della Corte di Cassazione e, al contempo, ad assicurare una maggiore funzionalità del giudizio nel rispetto di tempi processuali più “giusti”.

La riforma del 2006 ha riguardato sia il processo civile che il processo penale di cassazione, ma con profonde differenze nella formulazione e negli esiti. Mentre, infatti, la riforma del processo civile può dirsi realmente condivisa dai giudici di cassazione, attivamente coinvolti nell’iter formativo della legislazione riformatrice36, la modifica relativa al giudizio penale, sommaria e frettolosa, è stata passivamente subita dalla Suprema Corte.

Il D.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ha realizzato, in relazione al contenuto del ricorso, due modifiche di rilievo destinate a ridimensionare la portata del principio di autosufficienza. In primo luogo, è stato aggiunto un elemento ulteriore nell’elenco dei cinque requisiti di contenuto-forma dell’atto introduttivo del giudizio, richiesti a pena di inammissibilità, e cioè il n. 6 del primo comma dell’art. 366 c.p.c., a mente del quale, il ricorso deve contenere “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti, dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”. Con questa disposizione il legisaltore non ha provveduto – contrariamente a quanto possa prima facie apparire37 – alla codificazione tout court del principio di autosufficienza, ma, spinto dall’esigenza di arginare le degenerazioni interpretative ed applicative della formulazione più estrema di tale principio – divenuto nel tempo un meccanismo meramente deflativo e sempre più spesso ingiustamente cassatorio38 – ha attribuito veste normativa, cosi in qualche modo cristallizzandola, alla versione originariamente (nonché ragionevolmente) light dell’autosufficienza, intesa esclusivamente come onere di “localizzazione” dell’atto o del verbale di causa cui fa riferimento la censura, ammettendo la possibilità di un rinvio per relationem39. In altri termini, il legislatore, con questo intervento novellatore, stabilendo in maniera chiara e definita le condizioni alle quali il ricorso può considerarsi autosufficiente – e cioè con la indicazione e localizzazione degli atti o documenti cui lo stesso fa riferimento – ha determinato il limite di tollerabilità della cifra applicativa del principio in esame, affinché lo stesso non possa più tradursi nell’obbligo di integrale trascrizione – a pena di inammissibilità – dei contenuti processuali relativi alla fase di merito nel corpo del ricorso, nonché, al fine di limitare quella eccessiva discrezionalità esercitata, negli ultimi anni, dalla giurisprudenza di legittimità nell’applicazione del canone dell’autosufficienza40.

L’altro profilo della riforma del 2006, che in questa sede assume rilievo, attiene alla previsione del nuovo art. 366-bis c.p.c., il quale – prima di essere abrogato ad opera del legislatore del 200941 – richiedeva, sempre a pena di inammissibilità, nei casi previsti dall’art. 360, primo comma, nn. 1),2),3),4), che l’illustrazione di ciascun motivo si concludesse con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nell’ipotesi prevista dall’art. 360, primo comma, n. 5, che l’illustrazione di ciascun motivo contenesse, a pena di inammissibilità, “la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”.

L’introduzione di quest’ultima disposizione normativa, da contestualizzare, come sopra accennato, nell’ambito di una riforma delineata con il chiaro e determinante contributo del Giudice di Legittimità, assume, a guardar bene, le sembianze di una vera e propria contropartita in un gentlemen’s agreement concluso tra la Suprema Corte ed il legislatore. Quest’ultimo, infatti, consapevole dell’esigenza della Cassazione di poter disporre di un valido strumento per deflazionare l’imponente carico di lavoro, decise – con l’accordo dei Giudici di Legittimità – di sostituire la mannaia dell’autosufficienza nella sua versione più estrema (o strong) – che, come detto, negli ultimi periodi, aveva assunto i caratteri dell’abnormità, arbitrarietà e talora dell’ingiustizia – con un altro elemento deflativo più ragionevole, costituito – in una prospettiva di specificità e completezza della censura – dall’obbligo di formulazione del quesito di diritto nei motivi di ricorso42, la cui inosservanza avrebbe legittimato la Corte a pronunciare la declaratoria d’inammissibilità del gravame43.

La situazione può dirsi sostanzialmente immutata, anche a seguito della sopravvenuta abrogazione dell’art. 366-bis c.p.c., in quanto la stessa è stata accompagnata dal contestuale innesto nel tessuto normativo del giudizio di legittimità, del filtro di accesso alla Cassazione di cui all’art. 360 bis, nonché dall’istituzione della c.d. “sezione filtro”, geneticamente vocata a svolgere una pregnante funzione deflattiva dei procedimenti pendenti dinanzi al Supremo Collegio.

La predetta modifica normativa – letta anche in una prospettiva di dialogo e di rapporto sincronico tra organi dello stato – non può che incidere – ridimensionandola – sulla dimensione applicativa del principio in esame, il quale dovrà, altresì, essere posto in rapporto sistematico con le altre norme del processo di legittimità. Il riferimento è, in primo luogo, all’art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., il quale, attribuendo al ricorrente – questa volta a pena di improcedibilità – l’onere di provvedere, oltre che alla specifica indicazione nel ricorso degli atti processuali, dei documenti, e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento dell’impugnativa, al successivo deposito degli stessi, rappresenta la conferma della preferenza, da parte dell’assetto normativo vigente, per la versione light del principio di autosufficienza44. Nondimeno, l’art. 372 c.p.c., nel vietare la produzione di nuovi documenti (eccezion fatta per “quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso”) pone in risalto la contrapposizione tra documenti “nuovi” e documenti già prodotti nelle precedenti fasi di giudizio, la quale non fa altro che rafforzare l’idea che la Corte possa (e debba) conoscere questi ultimi.

 

3. Gli orientamenti incerti e contraddittori della Giurisprudenza della Corte di Cassazione sulla portata del principio di autosufficienza dopo la riforma del 2006: davvero un “repertorio bon à tout faire quanto alla necessità, o anzi addirittura al divieto, di trascrizione di parti del processo nel ricorso.

Quale conseguenza dei tempi notoriamente lunghi del processo di cassazione, sono ancora numericamente limitate le pronunce della Suprema Corte, aventi ad oggetto l’impugnazione di decisioni di merito depositate dopo il 2 marzo 2006, e quindi soggette alla nuova disciplina processuale delineata dal D.Lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006. Sicché, risulta alquanto ridotta l’area di analisi applicativa degli effetti prodotti dalla riforma del 2006 sulla precedente lettura giurisprudenziale del principio di autosufficienza.

Nella maggior parte delle decisioni analizzate, emerge tuttavia una sostanziale conferma della versione più estrema e rigorosa del principio di autosufficienza.

Si continua quindi a sancire – come se l’art. 366 c.p.c. non fosse mai stato novellato – l’inammissibilità dei motivi in cui il ricorrente si limiti a rinviare (indicandoli specificamente) agli atti e i documenti del giudizio di merito, senza riprodurne integralmente il contenuto in sede di ricorso45. Incurante della sopravvenuta modifica normativa, il Giudice di Legittimità continua poi a far discendere l’obbligo del ricorrente di integrale trascrizione degli atti processali posti a fondamento del ricorso dall’asserito divieto del Supremo Collegio di visionare ed esaminare gli atti precedenti ed i documenti prodotti nella fase di merito 46.

Ma in altre pronunzie, invece, la Corte di Cassazione ha interpretato l’introduzione – ad opera del legislatore della riforma – dell’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c. come l’attribuzione a carico del ricorrente di un onere ulteriore rispetto a quello di integrale trascrizione degli atti processuali, espressione della versione strong dell’autosufficienza. In altri termini, l’onere di “localizzazione” codificato dalla predetta disposizione e quello di trascrizione vengono concepiti come due condizioni non sovrapponibili ed entrambe indispensabili ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso, in quanto anche in presenza di una puntuale riproduzione degli atti dei precedenti gradi di giudizio, posti a fondamento della censura, la mancata individuazione topografica del “luogo processuale” in cui gli stessi sono consultabili non consentirebbe alla Suprema Corte di reperirli per verificare se il contenuto sia conforme a quanto trascritto dal ricorrente in seno al ricorso47.

Proprio la previsione di questo onere ulteriore – non eccessivamente gravoso per il ricorrente – presenta, a mio avviso, un’indubbia coerenza logica e giuridica, in quanto strumentale alla verifica, da parte dei Giudici di Legittimità, dell’autenticità di quanto trascritto, o comunque esposto in seno al ricorso. In altri termini, fermo restando il rifiuto per la lettura estrema ed eccessivamente formalistica del principio di autosufficienza, ostinatamente perpetrata dalla Suprema Corte, non può non apprezzarsi la – seppur tardiva – presa d’atto da parte della Cassazione, dell’onere, sulla stessa gravante, di esaminare gli atti prodotti nella fase di merito, al fine di controllare l’esatta corrispondenza con quanto contenuto nel ricorso.

E tuttavia, dall’analisi delle pronunzie della Corte della Cassazione, soggette alla disciplina processuale delineata dalla riforma del 2006, emerge – in altri casi – se non proprio un ridimensionamento, una leggera attenuazione della versione estrema dell’autosufficienza.

Talora, infatti, la Suprema Corte sembra offrire al ricorrente un’alternativa alla riproduzione del contenuto dell’atto processuale, costituita dall’allegazione dello stesso al ricorso48; mentre in altri casi il Giudice di Legittimità mostra di accontentarsi anche di una sintesi del contenuto dell’atto richiamato49. La giurisprudenza più avveduta – seppur minoritaria – della Suprema Corte sembra dunque aver correttamente interpretato e valorizzato le modifiche normative introdotte dalla riforma del 2006, cogliendone correttamente la ratio e le scelte di politica giudiziaria ad essa sottese, rispolverando sostanzialmente la versione originariamente light dell’autosufficienza, intesa esclusivamente come onere di “localizzazione” dell’atto50. La Cassazione – nel rispetto di quell’accordo istituzionale concluso con il legislatore della riforma – arriva, infatti, espressamente ad escludere la necessità della trascrizione – a pena d’inammissibilità – degli atti posti a fondamento dell’impugnativa51, richiedendo esclusivamente – in ossequio al principio in esame – la specificazione della sede processuale in cui il documento, pur individuato nei suoi elementi essenziali in seno al ricorso, è stato prodotto nella fase di merito 52.

In alcuni casi poi, la Suprema Corte – offrendo una lettura del principio di autosufficienza del tutto antitetica rispetto a quella perpetrata dalla Giurisprudenza maggioritaria – provvede perfino a censurare con la declaratoria d’inammissibilità, l’integrale trascrizione degli atti del giudizio di merito, “equivalendo la stessa, nella sostanza, ad un mero rinvio agli atti di causa”, con conseguente lesione del principio di autosufficienza, il quale richiederebbe invece una narrazione sommaria e sintetica, “finalizzata a riassumere sia la vicenda sostanziale dedotta in giudizio, sia lo svolgimento del processo”, tale da offrire al Giudice di Legittimità una cognizione chiara e completa della “controversia e del suo oggetto, senza la necessità di accedere ad altre fonti, ed atti del processo” 53.

Infine, si registra un timido orientamento della Cassazione in cui è possibile scorgere nuovamente i caratteri primordiali (o genetici) del principio di autosufficienza, allorché veniva inteso esclusivamente quale canone integrativo dei principi di specificità, completezza, chiarezza e precisione nella redazione dei ricorsi 54.

In conclusione, da quanto esposto, risulta che – in ordine ai requisititi di forma-contenuto dell’atto introduttivo del giudizio – l’attuale Giurisprudenza della Suprema Corte oscilla – in un contesto di assoluta discrezionalità ed arbitrio – tra un orientamento maggioritario che continua a pretendere – come e più di prima – la trascrizione integrale dei documenti e degli atti posti a fondamento dell’impugnativa, ed un indirizzo minoritario che richiede, invece, soltanto la specifica indicazione ed individuazione della sede processuale in cui gli stessi sono consultabili, arrivando talora, paradossalmente, addirittura a “sanzionare” con la declaratoria d’inammissibilità, la pedissequa osservanza della versione più rigorosa del principio di autosufficienza

 

4. Segue: L’introduzione, ad opera della Giurisprudenza della Corte di Cassazione, dell’ulteriore e gravoso onere di produrre, nuovamente e separatamente nel fascicolo del giudizio di legittimità, gli atti posti a fondamento del ricorso.

Nelle recenti pronunzie, la Suprema Corte oltre a richiedere, ai sensi del novellato art. 366, primo comma, n. 6 c.p.c., la «specifica» indicazione degli atti e dei documenti posti a fondamento del ricorso, e quindi la individuazione analitica della sede processale in cui gli stessi risultino prodotti nella fase di merito, esige con sempre maggiore frequenza, in ragione dell’art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., che il ricorrente provveda – a pena di improcedibilità del gravame – alla produzione di tali atti e documenti (sebbene già contenuti nei fascicoli di causa) anche in sede di legittimità, allegandoli al ricorso, nel fascicolo relativo al processo di cassazione 55.

La Corte non ritiene adempiuto tale onere neanche attraverso la formulazione ed il successivo deposito in sede di legittimità della richiesta di trasmissione alla cancelleria della Corte di Cassazione del fascicolo d’ufficio relativo ai gradi di merito, “né, eventualmente, con deposito di tale fascicolo e/o del fascicolo di parte (che in ipotesi tali atti contenga) se esso non interviene nei modi e secondo la tempistica” prescritti dal citato art. 369 c.p.c.

Tale duplicazione documentale, conseguente all’onere imposto al ricorrente di produrre, nuovamente nel processo di cassazione, gli atti ed i documenti già presenti nei fascicoli relativi alla fase di merito, viene giustificata dalla Cassazione essenzialmente alla luce della “diversità dei tempi di disponibilità per la Corte dei predetti documenti”, dal momento che “mentre il fascicolo d’ufficio sarà trasmesso successivamente, il deposito della sentenza impugnata e degli atti su cui il ricorso è fondato unitamente al deposito del ricorso medesimo” consentirebbe subito “un primo «screening» dell’impugnazione”56. A ciò la Corte aggiunge una maggiore facilità e velocità di accesso a tali documenti, “una volta che essi risultino ben individuati e specificamente depositati, evitando così la necessità del reperimento dei medesimi all’interno dei fascicoli dei gradi di merito pervenuti in Corte in un momento spesso anche di molto successivo al deposito del ricorso”.

Altra motivazione posta dal Giudice di Legittimità a fondamento dell’imposizione di tale onere ulteriore a carico del ricorrente – del quale la Corte esclude aprioristicamente il carattere irragionevole ed inutilmente vessatorio – viene ravvisata nell’esigenza di osservare e dare applicazione concreta al principio costituzionale della ragionevole durata del processo57, il quale esigerebbe – “a fronte di un contenzioso sempre crescente, che impegna la Cassazione perfino nella gestione materiale della ingente mole di documentazione relativa ai processi pendenti che giunge da tutto il Paese” una “organizzazione del lavoro sempre più anticipata, accurata e mirata da parte della Corte.”

La Corte ha poi espressamente precisato che, il suddetto onere di produzione in sede di legittimità non può ritenersi correttamente adempiuto – stante l’espressa previsione di deposito a pena di improcedibilità ex art. 369 c.p.c. – neanche attraverso “la riproduzione, all’interno del ricorso, dei passi degli atti o dei documenti sui quali il medesimo è fondato”.58

Nel caso in cui gli atti o i documenti posti a fondamento del ricorso erano già stati prodotti nelle precedenti fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovino nel fascicolo di parte di quelle fasi, la Corte ritiene talora sufficiente la produzione di tale fascicolo59, ferma restando la necessità di indicare nel ricorso la sede in cui esso ivi è rinvenibile e di indicare che il fascicolo è stato prodotto. Non mancano, tuttavia, pronunce nelle quali la Suprema Corte ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso, ritenendo insufficiente la “mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito” in cui erano già stati depositati gli atti posti a fondamento dell’impugnativa, e richiedendo invece che detti atti fossero specificamente ed autonomamente prodotti anche in sede di legittimità unitamente al ricorso60.

Qualora, invece, il documento posto a fondamento dell’impugnativa risulti prodotto nelle fasi di merito dalla controparte, il Supremo Collegio richiede specificamente che il ricorrente indichi che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito della controparte e che – cautelativamente e comunque stante l’autonoma previsione dell’art. 369, n. 4 c.p.c., che riferisce l’onere di produzione direttamente al ricorrente, per il caso che quella controparte possa non costituirsi in sede di legittimità o possa costituirsi senza produrre il fascicolo o possa produrlo senza il documento – produca in copia il documento stesso (appunto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), ed indichi tale modalità di produzione nel ricorso. Tale adempimento viene dalla Suprema Corte espressamente qualificato come “agevolmente possibile”, se la copia sia stata a suo tempo estratta dal ricorrente nelle fasi di merito, o, comunque, può esserlo fintanto che il fascicolo avversario non sia stato ritirato dinanzi al giudice di merito. La Cassazione decide invece scientemente di non affrontare e risolvere, in questa sede, il problema che si pone nel caso in cui tale ritiro sia già avvenuto al momento della proposizione del ricorso 61.

 

5. Critiche ai recenti orientamenti della Corte di Cassazione in tema di autosufficienza, alla luce dell’attuale assetto normativo delineato dal D.Lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006.

L’analisi delle pronunzie della Corte di Cassazione, assoggettate alla disciplina processuale delineata dal D.Lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006, non consente di ravvisare un orientamento omogeneo e consolidato in ordine ai nuovi profili interpretativi e applicativi del principio di autosufficienza62, persistendo ancora uno stato di incertezza, che rende altresì difficile la formulazione di un giudizio prognostico sui futuri indirizzi giurisprudenziali del Giudice di Legittimità63. Tuttavia, il fattore comune che continua a caratterizzare l’applicazione giurisprudenziale del principio in esame è costituito dall’eccessiva discrezionalità – sconfinante talora nell’arbitrio – con cui la Corte valuta, nelle diverse fattispecie, il corretto assolvimento degli oneri scaturenti dall’autosufficienza. A tal riguardo, è a dir poco discutibile, l’assoluta libertà con cui il Supremo Collegio continua a determinare (o meglio a graduare), a suo piacimento, il contenuto precettivo del principio in esame, e conseguentemente, la gravità delle conseguenze – in termini di inammissibilità del ricorso – derivanti dalla sua violazione.

Ciò che ormai non sorprende neanche più è come la Corte di Cassazione, dopo aver a lungo interpretato con enorme attenzione al dato letterale i testi normativi di diritto processuale, in maniera anche maggiore rispetto ai testi di diritto sostanziale – anche al fine di salvaguardare l’esigenza della certezza del diritto – si sia, ad un certo momento, arrogato il diritto di autoregolamentare il processo di legittimità, ignorando palesemente le scelte normative operate dal legislatore processuale.

Come precedentemente accennato64, l’attuale assetto normativo delineato dal legislatore della riforma consente invero di ricostruire chiaramente i requisiti di forma-contenuto che la corretta interpretazione del principio di autosufficienza – così come codificato e ridimensionato dal D.Lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006 – impone al ricorrente di osservare nella redazione dell’atto introduttivo del giudizio di cassazione, ed alla Suprema Corte di porre come limite negativo invalicabile nelle pronunce d’inammissibilità del gravame.

Nella formulazione dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, il ricorrente dovrebbe quindi osservare soltanto la versione light del principio di autosufficienza – così come normativamente cristallizzata dal legislatore della riforma – elaborando la censura con la massima precisione e specificità, e con l’indicazione pervicace ed analitica degli atti e dei documenti posti a fondamento della stessa, nonché con l’individuazione topografica del “luogo processuale” – e cioè del fascicolo di parte (in primo o in secondo grado), del fascicolo d’ufficio, ed eventualmente del fascicolo dei documenti che si allegano in Cassazione – in cui gli stessi possono essere rinvenuti dal giudice di legittimità.

L’onere di localizzazione in cui si sostanzia il principio di autosufficienza light, nella veste normativa attribuitagli dall’art. 366, n. 6 c.p.c., non implica, invece l’indispensabile esposizione di tutti i fatti e di tutti gli aspetti giuridici della controversia sin dalla sua origine, né – come invece erroneamente sostenuto dall’orientamento tuttavia prevalente della giurisprudenza di cassazione – la necessità di trascrivere integralmente gli elementi concernenti il thema decidendum devoluti alla cognizione del Giudice di Legittimità, ben potendo le parti richiamare – seppure con indicazioni precise – gli atti, documenti o verbali di causa della pregressa fase di merito, al fine garantire alla Corte la verifica della corrispondenza tra quanto dalle stesse affermato e quanto effettivamente emerge dalle “carte processuali”.

Sebbene attualmente pressoché ignorato, è dunque questo il quadro normativo – i cui tratti caratterizzanti lo stesso ha contribuito a delineare – cui il Supremo Collegio dovrà (o dovrebbe) auspicabilmente conformarsi nel dare applicazione al principio di autosufficienza, rinunziando alla lettura giurisprudenziale più estrema, anche nel rispetto di quel gentlemen’s agreement, concluso a livello istituzionale con il legislatore processuale.

Il principio di autosufficienza dovrà, pertanto, essere oggetto di una profonda riconsiderazione da parte della Cassazione, anche al fine di evitare che lo stesso – nella sua degenerazione applicativa più estrema – possa trasformarsi in un vero e proprio boomerang per la stessa Corte, provocando la redazione, da parte degli avvocati cassazionisti – allo scopo di scongiurare pronunce d’inammissibilità, gravanti anche sulla propria responsabilità professionale – di ricorsi eccessivamente voluminosi, sovrabbondanti e ridondanti, i quali riporterebbero, verosimilmente, nell’atto introduttivo anche elementi superflui, oltre a trascrivere (integralmente) qualsiasi, atto, documento o verbale di causa al quale l’impugnazione si riferisce. C’è da chiedersi, infatti, quale sarebbe l’utilità, ed anche il risparmio in termini di tempo per la Corte di Cassazione, qualora il ricorrente, ottemperando alla versione più estrema (strong) dell’autosufficienza, redigesse – spogliandosi dei panni di giurista, e divenendo un “attento amanuense copista”65 – ricorsi anziché di 20, di 80 pagine (eventualmente inserendo mediante scannerizzazione l’intera sentenza impugnata, o altri interminabili documenti), sicuramente di difficile lettura, fermo restando, peraltro, l’onere per il Giudice di Legittimità di verificare la “genuinità” di quanto trascritto.

Sotto un profilo sistematico, la prassi – “coartata” dalla Corte – di redigere ricorsi per cassazione “interminabili” verrebbe peraltro a scontrarsi con il canone di chiarezza e sinteticità nella redazione degli atti giudiziari, recentemente codificato nell’art. 3 del Codice del processo amministrativo, 66 ed espressione del principio di economia processuale; e cioè del medesimo principio che il Supremo Collegio ama sovente invece richiamare per attribuire fondamento argomentativo alle degenerazioni applicative del canone dell’autosufficienza.

L’esigenza di chiarezza e sinteticità nella redazione degli atti introduttivi, è stata peraltro riconosciuta, lo si è ricordato 67, in una recente pronuncia delle Sezioni Unite (in particolare la n. 19255 del 9 settembre 2010 68), in cui si afferma espressamente che il principio di autosufficienza richiede una narrazione sommaria e sintetica, tale da riassumere sia la vicenda sostanziale dedotta in giudizio che lo svolgimento del processo, nonché da offrire alla Corte una cognizione chiara e completa della controversia e del suo oggetto, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo. Soltanto il tempo ci dirà se si tratta di una rondine che non fa primavera, o se è il segnale di una vera inversione di tendenza.

 

6. Segue: Sui, parimenti criticabili, indirizzi giurisprudenziali della Corte di Cassazione in tema di specifica ed ulteriore produzione, in sede di legittimità, degli atti posti a fondamento dell’impugnativa.

Altro aspetto innovativo della Giurisprudenza di Legittimità dopo la riforma del 2006, attiene al deposito degli atti e dei documenti nel fascicolo del processo di cassazione.

A tal riguardo non si può non evidenziare, che, la recente attribuzione da parte della Suprema Corte, a carico del ricorrente, dell’onere di produrre nuovamente in sede di legittimità anche gli atti ed i documenti (eventualmente in copia) – posti a fondamento dell’impugnativa – già contenuti nel fascicolo d’ufficio (di cui è stata richiesta la trasmissione alla cancelleria della Cassazione69) nonché negli stessi fascicoli di parte della fase di merito depositati unitamente al ricorso, risulta comprensibile soltanto se ricondotta ad esigenze di mera “comodità” dei Giudici di Cassazione.

Nel caso in cui si tratti, infatti, di documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio della fase di merito, il quale dovrà essere trasmesso in Cassazione, a cura della cancelleria del giudice che ha pronunziato il provvedimento impugnato, e conseguentemente acquisito dai giudici di Piazza Cavour, non si vede davvero per quale ragione il ricorrente debba sopportare il costo delle disfunzioni amministrative e delle lentezze proprie dell’apparato burocratico giudiziario civile, facendosi carico dell’onere di produrre immediatamente – a pena di improcedibilità del gravame – gli stessi documenti che la cancelleria del giudice di merito ha il dovere di far pervenire – in tempi ragionevoli e senza i ritardi che invece si verificano nella prassi70 – alla Suprema Corte.71

Parimenti inaccettabile appare, poi, a mio avviso, l’attribuzione, a carico del ricorrente, dell’onere – sempre a pena d’improcedibilità – di produrre due volte lo stesso documento in sede di legittimità. Non si comprende, infatti, la ragione per cui il ricorrente, pur avendo tempestivamente prodotto in Cassazione il proprio fascicolo di parte relativo alla fase di merito contenente gli atti ed i documenti posti a fondamento dell’impugnativa, nonché specificamente ed analiticamente indicato in seno al ricorso la sede in cui gli stessi sono rinvenibili e consultabili da parte dei Giudici di Legittimità, debba nuovamente depositare i medesimi atti e documenti, allegandoli all’atto introduttivo del giudizio. Il semplice adempimento dell’onere di “localizzazione” dell’atto o del documento su cui si fonda la censura, attraverso l’individuazione topografica del “luogo processuale” in cui gli stessi possono essere esaminati, consente infatti ai giudici di cassazione di accedere agevolmente ed immediatamente agli stessi attraverso la semplice consultazione dei fascicoli.

In ogni caso, pur concludendo per la totale insussistenza del suddetto obbligo di produzione ed allegazione – cosi come plasmato dalla Giurisprudenza di Legittimità72 – ritengo comunque opportuno, in una prospettiva meramente pragmatica – onde evitare una irragionevole quanto certa pronunzia di improcedibilità del ricorso, nonché in ossequio al principio di leale collaborazione – che i predetti adempimenti di localizzazione ed “individuazione topografica”, siano integrati con l’allegazione al ricorso dei documenti – eventualmente in copia – su cui lo stesso si fonda, anche se già depositati nel fascicolo d’ufficio, o nei fascicoli di parte del giudizio di merito, in modo da consentirne la immediata, comoda ed agevole consultazione da parte dei giudici di cassazione.

Tralasciando per il momento le superiori argomentazioni di principio e senza perciò incorrere in contraddizione, non si può, infatti, nascondere che si tratta, tutto sommato, nella maggior parte dei casi, di un onere non eccessivamente gravoso per il ricorrente, il cui assolvimento potrebbe contribuire, peraltro, a rendere privo di qualsivoglia utilità – ed ancora più ingiustificato – il tentativo dei giudici di legittimità di costringere le parti all’integrale trascrizione del contenuto degli atti e/o documenti richiamati in seno al ricorso.

In conclusione, ritengo che il compito e lo sforzo dell’interprete debba essere – oltre che censurarne le degenerazioni e “l’eccesso di difesa” – quello di prendere atto del momento di grande difficoltà della Suprema Corte, invasa da un numero impressionante di ricorsi, valorizzando le indicazioni provenienti dalla parte più attenta della giurisprudenza di legittimità, al fine di elaborare tecniche di redazione degli atti introduttivi del giudizio che siano di supporto – facilitandolo e velocizzandolo – all’espletamento dell’imponente carico di lavoro gravante sulla Corte di Cassazione.

 

7. Segue. Gli ostacoli di ordine pratico al corretto assolvimento dell’onere di produzione dei documenti nel fascicolo del giudizio di cassazione. Aspetti problematici e possibili soluzioni.

Le perplessità appena accennate cedono infine il campo alle concrete difficoltà di ordine pratico che il corretto assolvimento del suddetto onere di allegazione – ed in generale del principio di autosufficienza, inteso in senso lato – potrebbe arrecare alle parti, nell’ipotesi in cui i documenti su cui si fonda il ricorso erano stati prodotti nel fascicolo di merito della controparte. In particolare, problemi possono sorgere qualora, al termine del giudizio di merito, controparte abbia legittimamente provveduto a ritirare il proprio fascicolo prima che il ricorrente abbia provveduto ad estrarre copia dei documenti in esso contenuti73. In tale ipotesi, infatti, il ricorrente, non potendo più esaminare il contenuto del fascicolo della parte avversa, non potrebbe conseguentemente provvedere, oltre alla specifica ed analitica indicazione di detti documenti in seno all’atto introduttivo, al deposito di una copia degli stessi in sede di legittimità.

Uno spunto per il superamento di dette difficoltà viene offerto dalla pronuncia delle Sezioni Unite del 23 dicembre 2005, n. 28498 74, nella quale il ritiro del fascicolo di parte viene espressamente subordinato al contestuale deposito di copia dei documenti probatori che in esso siano inseriti, “onde impedire che risulti impossibile all’altra parte fornire, anche in sede di gravame, le prove che erano desumibili dal fascicolo avversario.” Tale onere – posto “a tutela degli interessi della controparte e del corretto esercizio dell’attività giurisdizionale” – privo di un vero e proprio addentellato normativo, viene fatto discendere, in via sistematica, dal principio di acquisizione processuale – “al quale il riconoscimento, a livello costituzionale del principio del giusto processo ha offerto un più pregnante fondamento” – in forza del quale, la prova documentale, una volta prodotta, resta definitivamente acquisita agli atti, anche a beneficio della controparte.

Ciò premesso – e considerata la sostanziale inosservanza, nella prassi attuale delle Corti d’Appello italiane, della suddetta, ed a mio avviso pregevole, soluzione indicata dalle Sezioni Unite75 – occorre valutare in che modo il mancato assolvimento del predetto onere, e quindi la conseguente impossibilità di esaminare i documenti contenuti nel fascicolo di controparte, si ponga in relazione con il principio di autosufficienza. Occorre cioè stabilire se, in queste ipotesi, la redazione di un ricorso – per forza di cose – privo del requisito dell’autosufficienza (inteso sia nella versione light che nella sua lettura più estrema non potendo il ricorrente, per motivi oggettivi, provvedere alla citazione analitica dei documenti posti a fondamento dell’impugnativa, né tanto meno procedere alla integrale trascrizione, o comunque all’allegazione degli stessi) possa comunque legittimare l’automatica pronuncia d’inammissibilità del gravame. Si tratta di una questione alla quale non è agevole fornire una soluzione, ma che pone l’interprete (e la stessa Corte) dinanzi ad un bivio, e cioè, conferire all’autosufficienza ulteriori profili di “ingiustizia” ed “arbitrio”, ovvero, percorrere un sentiero che condurrà, a mio avviso, al progressivo superamento del principio in esame.

Anche in questo caso, ritengo che – in assenza di un onere di fotocopiare e di custodire cautelativamente (nella prospettiva di un futuro e meramente eventuale giudizio di cassazione) tutti i documenti prodotti da controparte nel corso del giudizio di merito76 – il ricorrente non debba subire, a priori, le conseguenze negative derivanti dalle inefficienze e disfunzioni della giustizia civile, e che quindi la oggettiva impossibilità di disporre – per causa ad essa non imputabile – dei documenti contenuti nel fascicolo di controparte, non possa tradursi, almeno automaticamente, nella declaratoria d’inammissibilità del gravame.

Conseguentemente, in siffatte ipotesi, dovrebbe ritenersi – a mio avviso – sufficiente, ai fini dell’ammissibilità dell’impugnativa, che il ricorrente indichi specificamente che l’atto o il documento è stato depositato nel fascicolo di merito della controparte. Qualora, poi, quest’ultima non si costituisca, ovvero si costituisca senza produrre il fascicolo di parte o senza produrre il documento indicato dal ricorrente, la Corte, non potendo esitare positivamente il ricorso a causa della mancanza del documento, dovendo decidere “allo stato degli atti”77, non potrà che rigettarlo nel merito.

Medesima soluzione potrebbe ritenersi – a mio avviso – applicabile con riguardo ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, nel caso in cui quest’ultimo risulti smarrito o non sia ancora pervenuto alla cancelleria della Corte al momento della decisione.78

In conclusione, non costituendo la specifica allegazione della documentazione in sede di legittimità, un profilo di completezza del ricorso, e non potendo quindi, la sua mancanza, precludere aprioristicamente l’ammissibilità dello stesso, la Suprema Corte, soltanto qualora al momento della decisione si trovi nell’impossibilità di consultare gli atti o i documenti posti a fondamento dell’impugnativa, potrà, il più delle volte, “sanzionare” la parte ricorrente per non aver prodotto cautelativamente una semplice copia degli stessi, ed emettere una pronunzia di rigetto del ricorso.

 

8. Sulla necessità ed opportunità di un auspicabile intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.

Concludendo, il carattere variegato ed eterogeneo del panorama giurisprudenziale delineato, nell’ultimo decennio, dalla Suprema Corte in tema di autosufficienza del ricorso per cassazione, rende, a mio avviso, auspicabile un intervento risolutivo e chiarificatore delle Sezioni Unite, al fine di definire i contorni e la portata del principio in esame, la cui enunciazione è divenuta francamente indispensabile onde far cessare questo perdurante stato di disorientamento ed incertezza sulla reale fisionomia dei requisiti di forma-contenuto dell’atto introduttivo del giudizio di cassazione.

Al riguardo, non sembra inutile ricordare come proprio nel campo del diritto processuale l’esigenza di stabilità79 sia particolarmente avvertita80, e come lo stesso mal sopporti l’incertezza giurisprudenziale81. Si consideri poi che, le questioni processuali, a differenza di quelle sostanziali, non sono tendenzialmente proprie di una sezione soltanto della Suprema Corte, ma si appoggiano quasi indifferentemente alle varie sezioni, a seconda dell’oggetto sostanziale della controversia. Ne deriva che non c’è una sezione con competenza tendenzialmente esclusiva a “dare la rotta” dell’atteggiamento giurisprudenziale sulla materia, e che pertanto è ben ipotizzabile che la decisione di una sezione, che solo per motivi di precedenza meramente temporale si sia trovata ad occuparsi di una vicenda processuale, potrebbe non fondare uno stimolo particolarmente elevato per le sezioni successive che dovessero trovarsi a giudicare successivamente di un’analoga fattispecie.

D’altro canto, le diverse letture del canone dell’autosufficienza del ricorso – a cui fanno capo i molteplici e contraddittori orientamenti espressi delle varie sezioni della Corte – hanno raggiunto un grado di consapevolezza tale da rendere maturi i tempi per l’intervento delle Sezioni Unite. 82 La tematica in esame può essere, infatti, certamente annoverata tra quei casi di particolare complessità in cui per pronunciare rettamente si avverte come indefettibile l’esigenza di una compiuta evoluzione del pensiero, un sedimentare e maturare delle convinzioni, se necessario proprio grazie a pur dolorosi contrasti diacronici, che potrebbero, per alcune ipotesi, rendere eccessivamente rischioso un tentativo di cristallizzare immediatamente (o meglio prematuramente) la situazione attraverso una pronuncia delle Sezioni Unite. 83

Proprio il predetto grado di consapevolezza, raggiunto dagli orientamenti espressi dalle diverse sezioni semplici, consente invece di scongiurare – con riguardo al “multiforme” canone di autosufficienza – il rischio di esaltare – attraverso l’auspicato intervento del Supremo Collegio – decisioni giudiziali non ancora pienamente maturate e consolidate, che si rivelerebbero poi assai difficili da modificare84.

Occorre, infine, considerare che la funzione nomofilattica che la legge riconosce alla Corte di Cassazione presuppone l’autorevolezza delle sue decisioni85, la quale dipende anche dal grado di affidabilità degli orientamenti che la stessa esprime. Orbene, non vi è dubbio che, con riguardo al principio di autosufficienza, appare quanto mai indispensabile un intervento delle Sezioni Unite, volto a ripristinare detti parameri di affidabilità ed autorevolezza.

 

 

2 V. Cass. 15 marzo 1952, n. 720.

3 V. Cass. 8 settembre 1983, n. 5530, (in Giust. civ. Mass. 1983, VII, 85): “Ai fini dell’ammissibilità della censura di difetto di motivazione, il ricorrente in cassazione ha l’onere di indicare specificamente e singolarmente i fatti, le circostanze e le ragioni che assume essere stati trascurati, insufficientemente o illogicamente valutati dal giudice del merito, e tale onere non può ritenersi assolto mediante il mero generico richiamo agli atti o risultanze di causa, dovendo il ricorso contenere in sé tutti gli elementi che consentono alla Corte di Cassazione di controllare la decisività dei punti controversi e la correttezza e sufficienza della motivazione e della decisione rispetto ad essi, senza che sia possibile integrare aliunde le censure in esso formulate”.

4 Tra le prime pronunce in cui compare per la prima volta l’espressione “autosufficienza del ricorso per cassazione”, cfr. Cass. 18 settembre 1986, n. 5656, in Giust. civ. Mass. 1986, VIII, 9; Cass. 22 marzo 1993, n. 3356, in Giust. civ. Mass. 1993, 533; Cass. 2 febbraio 1994, n. 1037, in Giust. civ. Mass. 1994, 104.

5 Che può definirsi anche come una versione più “severa” del requisito della completezza dei motivi.

6 V. Cass., 19 giugno 1995, n. 6927, in Giust. civ. Mass. 1995, VI: “La parte che deduca come mezzo di impugnazione per cassazione un vizio di motivazione della sentenza imputata, da correlarsi alla mancata ammissione di incombenti istruttori da lei articolati, ha l’onere di indicare, nel ricorso, il momento del processo in cui ebbe a dedurre l’incombente assunto non ammesso e l’oggetto preciso di questo, perché solo tali indicazioni possono consentire al giudice della legittimità – cui resta precluso l’esame diretto degli atti di causa – di verificare la decisività della prova offerta e denegata, e di accertare, quindi, la fondatezza della domanda.”

7 Sulla bipartizione tra la versione “rigorosa” e quella “più indulgente” del principio in esame v. Chiarloni, Il diritto vivente di fronte alla valanga dei ricorsi per cassazione: l’inammissibilità per violazione del c.d. principio di autosufficienza, in www.judicium.it.

8 V. Cass. 11 febbraio 2009, n. 3338, in Guida al diritto 2009, 16, 75: “Con riferimento al regime processuale anteriore al D.lgs. n. 40 del 2006, a integrare il requisito della cosiddetta autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione concernente – ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (ma la stessa cosa dicasi quando la valutazione deve essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio ai sensi del n. 3 dell’art. 360 o di un vizio integrante “error in procedendo” ai sensi dei nn. 1, 2 e 4 di detta norma) – la valutazione da parte del giudice di merito di prove documentali, è necessario non solo che tale contenuto sia riprodotto nel ricorso, ma anche che risulti indicata la sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione era avvenuta e la sede in cui nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte, rispettivamente acquisito e prodotti in sede di giudizio di legittimità, essa è rinvenibile.”; Cass., 25 luglio 2008, n. 20437, in Guida al diritto 2008, 40; Cass., 05 marzo 2003, n. 3284, in Giust. civ. Mass. 2003, 462: “Nel giudizio di legittimità, il ricorrente che deduca l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie ha l’onere, in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di specificare, trascrivendole integralmente, le prove non o male valutate, nonché di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse.”. Nello stesso senso v. Cass., 10 marzo 2000, n. 2802, in Giust. civ. Mass. 2000, 566; Cass. 25 marzo 1999, n. 2838, in Giust. civ. Mass. 1999, 675.

9 V. Cass. 24 novembre 1999, n. 10017, in Giust. civ. Mass. 1999, 2342; nello stesso senso v. Cass. 09 aprile 2009, n. 8708, in Guida al diritto,2010, XII: “(…) poiché il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza (art. 366 c.p.c.) – deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio e accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, a elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, qualora si deduca che la sentenza oggetto di ricorso per cassazione è censurabile sotto il profilo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. per essere sorretta da una contraddittoria motivazione, è onere del ricorrente, a pena di inammissibilità, trascrivere, nel ricorso, le espressioni tra loro contraddittorie ossia inconciliabili contenute nella parte motiva della sentenza impugnata che si elidono a vicenda e non permettono, di conseguenza, di comprendere quale sia la “ratio decidendi” che sorregge la pronuncia stessa”.

10 V. Cass. 16 marzo 2004, n. 5369, in Giust. civ. Mass. 2004, III: “Qualora in sede di ricorso per cassazione si deduca un vizio circa l’ammissione di un mezzo istruttorio, incombe alla parte ricorrente l’onere di indicare in modo adeguato e specifico il contenuto del cennato mezzo, poiché, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito al giudice di legittimità sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative”.

11 V. Cass. 17 maggio 2006, n. 11501, in Rep. Foro it., 2006, voce Cassazione civile, n. 304, nella quale tuttavia l’enunciazione del principio di autosufficienza veniva utilizzata esclusivamente come argomento ad adiuvandum, ritenendo che in ogni caso il ricorso fosse infondato in quanto la prova per testi di cui si lamentava la mancata ammissione riguardava una sola delle diverse e autonome rationes decidendi, idonee ognuna a supportare la decisione. La Corte è poi arrivata addirittura a pretendere dal ricorrente l’onere di «una doppia trascrizione» degli articolati di prova testimoniale, richiedendo precisamente di riportare nel ricorso oltre al testo dei capitoli di prova non ammessi in sede di appello, del quale appunto si lamentava la mancata ammissione, anche il contenuto integrale delle deposizioni richieste e ammesse in prime cure. Sul punto v. Cass, 21 maggio 2004, n. 9711, in Giust. civ. Mass. 2004, V.

12 V. Cass. 30 maggio 2002, n. 7923, in Rep. Foro.it., 2002, voce Cassazione civile, 172.

13 V. Cass., 05 giugno 2007, n. 13085, in Giust. civ. Mass. 2007, 6.

14 Cfr., Cass., 12 maggio 2008, n. 11838, in Giust. civ. Mass. 2008, V, 706; Cass. 9 maggio 2008 n. 11517, in Giust. civ. 2008, X, 2132; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965, in Giust. civ. Mass. 2007, XII; Cass. 22 giugno 2007, n. 14853, in Giust. civ. Mass. 2007, VI.

15 V. Cass., 22 marzo 2001, n. 4115, in Giust. civ. Mass. 2001, 550.

16 V. Cass., 05 marzo 2003, n. 3284, in Giust. civ. Mass. 2003, 462; nel caso di specie si trattava di cambiali, originali e rinnovate, fatture e note di accredito. In senso conforme v. Cass., 11 luglio 2003, n. 10948, in Giust. civ. Mass. 2003, 12; Cass. 19 maggio 2005, n. 10598, in Rep. Foro it., 2005, voce Cassazione civile, n. 2219, secondo cui il ricorrente che in sede di legittimità denunci che, in contrasto con le risultanze testuali ricavabili dalla prova documentale, il giudice di merito sia incorso in errore tradottosi in vizio di motivazione, ha l’onere, alla luce del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare con chiarezza il documento ed il passo dello stesso (trascrivendone il contenuto) sul quale si sarebbe determinata l’erronea valutazione.

17 Cfr. tra le tante, Cass. 11 aprile 2006, n. 8420, in Foro it., 2006, I, 3412; Cass. 28 marzo 2006, n. 7078, in Rep. Foro.it., 2006, voce Cassazione civile, n. 289; Cass. 07 marzo 2006, n. 4885, in Rep. Foro.it., 2006, voce Cassazione civile, n. 290; Cass. 30 agosto 2004, n. 17369, in Giust. civ. Mass. 2004, VII.

18 Cass., 13 giugno 2007, n. 13845, in Giust. civ. Mass. 2007, VI.

19 Reputata da alcuni come ingiustificata, ma a mio avviso logicamente coerente ed ineccepibile.

20 V. Cass., 15 dicembre 2008, n. 29322, in Giust. civ. Mass. 2008, XII, 1778. Inoltre cfr. Cass. 18 febbraio 2000 n. 1865, in Giust. civ. Mass. 2000, 397. Conformemente, v. Cass. 16 novembre 2005 n. 23093, in Giust. civ. Mass. 2005, VII, nella quale la Corte di Cassazione ribadisce che “allorquando siano sollevate censure che comportino l’esame di un regolamento comunale, è necessario, a pena di ammissibilità, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, che le norme del regolamento siano integralmente trascritte”. V. anche Cass. 29 maggio 2006, n. 12786, in Rep. Foro it., 2006, voce Cassazione civile, n. 267 e Cass. 2 dicembre 2004, n. 22648, in Rep. Foro it., 2004, voce Cassazione civile, n. 216.

21 Conseguentemente – argomenta la Corte – nel caso in cui il giudice disponga di poteri istruttori, come accade nella fase di merito, lo stesso può acquisirne diretta conoscenza indipendentemente dall’attività svolta dalle parti, le quali possono limitarsi ad indicare gli estremi necessari per il reperimento di tali atti normativi; in sede di legittimità, invece, mancando detti poteri istruttori del giudice, il principio di autosufficienza impone – a pena di inammissibilità del ricorso – l’integrale trascrizione delle norme secondarie che si assumono violate.

22 V. Cass., 29 settembre 2007, n. 20594, in Guida al diritto 2007, 48, secondo cui “L’interpretazione di un giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, ma nei limiti in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione. Ciò in forza del principio di autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione con la conseguenza, quindi che qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il predetto ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale”.

23 Picardi, Manuale del processo civile, Milano 2006, 407.

24 Sul punto la Corte di Cassazione (v. Cass., 23 marzo 2005, n. 6225, in Giust. civ. Mass. 2005, III) ha precisato che l’obbligo di astensione per il giudice dalla ricerca del testo completo degli atti processuali (che non ha finalità sanzionatorie), sussistendo anche quando nel ricorso per cassazione sono denunciati errores in procedendo, trova fondamento nell’esigenza di evitare il rischio di un soggettivismo interpretativo, nell’individuazione degli atti rilevanti in relazione alla formulazione della censura, con conseguente lesione del contraddittorio.

25 Ritengo che tale estensione applicativa del principio in esame sia tutto sommato coerente con la funzione integrativa del requisito della completezza del ricorso che si attribuisce all’autosufficienza. Attenendo infatti il rispetto di tale principio al momento della verifica preliminare dell’ammissibilità dell’impugnativa, l’esercizio dei peculiari poteri cognitori che spettano al Giudice di legittimità nel caso in cui vengano denunziati errores in procedendo, non può che entrare in gioco e quindi assumere rilievo soltanto in un momento eventualmente successivo ed ulteriore rispetto alla verifica dell’osservanza, da parte del ricorrente, del canone dell’autosufficienza.

26 V. Cass. 03 aprile 2003, n. 5148, in Giust. civ. Mass. 2003, IV.

27 V. Cass. 08 ottobre 2008, n. 24791, in Guida al diritto 2008, 46; Cass. 19 marzo 2007, n. 6361, in Rep. foro it., 2007, voce Cassazione civile, n. 246. Sempre in tema di obbligo di trascrizione delle risultanze processuali – seppur nella diversa fattispecie dell’ultrapetizione – v. Cass. 18 giugno 2007, n.14133 (in Guida al diritto 2007, 32, 59) la quale ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso che, nel denunciare il vizio di ultrapetizione non abbia indicato specificamente, con riproduzione o almeno indiretta indicazione riassuntiva dei passi dell’atto introduttivo da cui si dovrebbe evincere, il tenore della domanda.  In questo senso  v. anche Cass. 30 maggio, 2000, n.7194, in Rep. foro it., 2000, voce cit., n. 196, secondo la quale, nel caso di impugnazione per omessa pronuncia su una sua domanda, per evitare che la Corte Suprema dichiari inammissibile il motivo per novità della censura, il ricorrente deve indicare in quali atti, e con quali specifiche frasi in essi contenute, l’ha proposta dinanzi al giudice di merito.

28 V. ad es. Montaldo, Note sul c.d. principio di autosufficienza dei motivi in Cassazione, in Giust. Civ., 2006, I, 2086 ss.

29 Chiarloni, Il diritto vivente di fronte alla valanga dei ricorsi per cassazione: l’inammissibilità per violazione del c.d. principio di autosufficienza, cit.

30 Chiarloni, ult. op. cit.

31 V. Verde, Note sul ricorso per cassazione (relazione tenuta al ciclo di seminari su «Il giudizio di cassazione: tecniche di redazione del ricorso e regole di procedimento», Roma 15 aprile-17 giugno 2004), in www.cassaforense.it. In tal senso v. anche Consolo, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova 2008, 245; e Chiarloni, Il diritto vivente di fronte alla valanga dei ricorsi per cassazione: l’inammissibilità per violazione del c.d. principio di autosufficienza, cit.

32 Poli, Specificità, autosufficienza e quesito di diritto nei motivi di ricorso per cassazione, in Riv. dir. proc., 2008, 1261.

33 Chiarloni, Il diritto vivente di fronte alla valanga dei ricorsi per cassazione: l’inammissibilità per violazione del c.d. principio di autosufficienza, cit.

34 E anche nocivo, in quanto la declaratoria di inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza, “toglie, in un certo modo, forza a quella vera e lascia una qualche illusione nel ricorrente, che magari, se avesse ubbidito al comando di copiare, il ricorso sarebbe stato accolto”: Chiarloni, Il diritto vivente di fronte alla valanga dei ricorsi per cassazione: l’inammissibilità per violazione del c.d. principio di autosufficienza, cit.

35 Il processo di Cassazione riformato si applica ai ricorsi proposti nei confronti delle sentenze e dei provvedimenti pubblicati a far data dal 2.03.2006 e cioè dalla data di entrata in vigore del D. Lgs. n. 40/2006.

36 In attuazione delle direttive della legge delega 14 maggio 2005, n. 80, ispirate al principio orientatore del recupero e della valorizzazione della funzione di “nomofiliachia” della Corte di Cassazione, insieme alla razionalizzazione della sua attività, il legislatore delegato ha, infatti, avvertito l’esigenza di sentire il parere qualificato dell’Assemblea generale della Suprema Corte. Questa, riunitasi il 21 luglio 2005, da un lato esprimeva apprezzamento per il richiamo esplicito della funzione nomofilattica, dall’altro, ha formulato critiche ed osservazioni relative a taluni aspetti dell’articolato, in gran parte recepite nel testo definitivo del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40.

37 E come sostenuto da Poli, Il giudizio di cassazione dopo la riforma, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2007, IX, 14 e Carratta., La riforma del giudizio di cassazione, in Riv.trim.dir.proc.civ., 2006, 1105 ss., spec. 1117.

38 “frutto di un fine obliquo d’autodifesa”, prendendo in prestito le parole di Chiarloni, Il diritto vivente di fronte alla valanga dei ricorsi per cassazione: l’inammissibilità per violazione del c.d. principio di autosufficienza, cit.

39 Secondo Sassani, (Il nuovo giudizio di Cassazione, in Riv. dir. proc., 2006, 228) la nuova norma “realizza un onorevole compromesso tra la direttrice del c.d. principio di autosufficienza del ricorso (principio di cui si è largamente abusato) e la logica (egualmente perversa) dello jura novit…chartulam che sembra presiedere alla redazione di molti ricorsi in cui l’accavallarsi dei riferimenti documentali mette il relatore che intenda eseguire i necessari controlli, nella sgradevole alternativa di impiegare il suo tempo alla caccia ai riscontri cartolari ovvero di sbrigativamente invocare il deprecato principio di autosufficienza.”

40 Del medesimo avviso Tiscini, Il giudizio di cassazione riformato, in Giusto proc. civ., 2007, 523 ss. Di diversa opinione, invece, Balletti e Minichiello, in AA.VV., Il nuovo giudizio di cassazione, Milano, 2007, 206 ss., secondo i quali l’attuale novella non può consentire interpretazioni lassiste del principio di autosufficienza del ricorso, “pena la violazione del diritto al contraddittorio nell’ambito del riconoscimento dell’effettivo esercizio del diritto di difesa”.

41 In particolare, l’art. 366 bis c.p.c. è stato abrogato dall’art. 47, comma 1, lett. d), della L. 18 giugno 2009, n. 69, a decorrere dal 4 luglio 2009. Ai sensi dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, tale disposizione si applica ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore.

42 “vero e proprio interrogativo giuridico che il ricorrente rivolge alla Corte e che è destinato, in un certo senso, a provocare la formulazione del principio di diritto”: Arieta, De Santis, Montesano, Corso base di diritto processuale civile, III ed., Padova, 2008, 485.

43 La ratio dell’innovazione legislativa nel suo complesso è svelata dallo stesso legislatore nella relazione illustrativa di accompagnamento al decreto: essa si sostanzia, da un lato, nell’esigenza “di offrire alla Corte, nonché alla stessa parte resistente, un quadro che sia il più possibile immediato, completo ed autosufficiente delle censure sulle quali dovrà pronunziarsi e di agevolarne il lavoro di reperimento degli atti e dei documenti sui quali esse si fondano”; dall’altro, nella volontà di “stringere le maglie” del controllo in Cassazione, escludendo, in tal modo, l’ingresso di giudizi di merito incensurabili in sede di legittimità.

Occorre peraltro considerare che la disposizione di cui all’art. 366 bis c.p.c. presentava indubbi vantaggi applicativi, anche alla luce dell’interpretazione tendenzialmente moderata e ragionevole – fatta eccezione per qualche “esagerazione” iniziale – che ne aveva dato la Suprema Corte. In particolare, la predetta norma agevolava, a mio avviso la parte ricorrente nella redazione del ricorso, consentendogli di sinterizzare – a fronte magari di motivi lunghi sette-otto pagine – la questione giuridica in poche battute, allontanando il rischio della configurazione del vizio di mancanza di specificità del motivo. Conseguentemente, consentendo di circoscrivere con maggiore precisione ed analiticità la censura sottoposta al Giudice di Legittimità, diminuiva il pericolo di pronunce d’inammissibilità, frettolosamente motivate e fondate sull’eccessiva genericità del motivo.

44 Occorre, peraltro, considerare che tale disposizione verrebbe totalmente svuotata di significato laddove si ritenesse che il contenuto del ricorso debba essere arricchito con la trascrizione integrale di tutti gli elementi e circostanze – contenute appunto in atti e documenti – ai quali si riferiscono i motivi di censura del provvedimento impugnato. Alle stesse riflessioni conduce il terzo comma della medesima norma, laddove dispone che “il ricorrente deve chiedere alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata o del quale si contesta la giurisdizione la trasmissione alla cancelleria della Corte di Cassazione del fascicolo d’ufficio; tale richiesta e` restituita dalla cancelleria al richiedente munita di visto, e deve essere depositata insieme col ricorso”. In altri termini, la ratio della disposizione, considerata nel suo complesso, è quella di consentire, o meglio di imporre, al giudice di cassazione di accedere ai fascicoli per compiere quelle verifiche necessarie all’esame dei motivi d’impugnazione.

45V.Cass. 03 marzo 2010, n. 5091, in Red. Giust. civ. Mass. 2010, III, in cui la Corte richiede la testuale ed integrale trascrizione della testimonianza di cui si sollecitava una nuova valutazione; Cass., 24 febbraio 2010, n. 4434, in Red. Giust. civ. Mass. 2010, 2, in cui la pronunzia di inammissibilità per violazione dell’autosufficienza viene fatta discendere dalla mancata riproduzione in seno al ricorso del testo dell’atto di appello, in quanto il principio in esame “prescrive che il ricorso dinanzi al giudice di legittimità deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. n. 15952 del 1997; Cass. n. 14767 del 2007; Cass. n. 12362 del 2006)”; Cass., 19 aprile 2010, n. 9300, in Diritto & Giustizia 2010, nota Iannone, nella quale si sanziona la mancata trascrizione della documentazione fiscale di cui si censurava l’omesso esame da parte del giudice di merito; Cass., 11 maggio 2010, n. 11423, in Diritto & Giustizia 2010, nella quale, in ossequio al principio di autosufficienza, la Corte afferma che “qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento, è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti (cosa che nella specie non è accaduta) testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di Cassazione di esprimere il suo giudizio in proposito esclusivamente in base al ricorso medesimo”; Cass., 15 febbraio 2010, n. 3507, in Guida al diritto 2010, 14, 60, nella quale si ribadisce che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione “impone la trascrizione [testuale] della risultanza controversa e la critica specifica delle argomentazioni del giudicante di merito”.

46 V. Cass., 17 novembre 2009, n. 24221, in Giust. civ. Mass. 2009, XI, 1600, secondo cui la violazione del principio di autosufficienza, conseguente alla mancata trascrizione delle deduzioni istruttorie proposte nella fase di merito, solleciterebbe – “con inammissibile delega – la Corte ad assolvere, con il rischio di un inammissibile soggettivismo, ad un onere di esatta individuazione dell’istanza probatoria, che avrebbe dovuto essere assolto dal ricorrente stesso, inerendo alla determinazione del contenuto del motivo, quale critica alla sentenza impugnata idonea a giustificarne la cassazione”.

47 V. Cass., 23 marzo 2010, n. 6937, in Red. Giust. civ. Mass. 2010, III, secondo cui, “ai fini del rituale adempimento dell’onere, imposto al ricorrente dal n. 6 dell’art. 366 c.p.c., di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda (e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza), è necessario che, in ossequio al principio di autosufficienza di detto atto processuale, si provveda anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza di documentazione dello svolgimento del processo nel suo complesso, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame”; nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto il ricorrente si era limitato a trascrivere l’atto processuale posto a fondamento della doglianza (quanto trascritto risultava anche dalla sentenza impugnata, inserita in copia fotostatica nello stesso ricorso) senza indicarne la sede processuale in cui fosse stato rinvenibile; Cass., 03 febbraio 2010, n. 2506, in Red. Giust. civ. Mass. 2010, II, nella quale la Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità del motivo di ricorso perché il ricorrente non aveva – “in ossequio al principio di autosufficienza” – indicato la sede processuale dell’atto posto a fondamento della censura, né, parimenti, riprodotto in seno al ricorso il relativo contenuto; Cass., 17 luglio 2008, n. 19766, in Giust. civ. Mass. 2008, VII – VIII, 1168, in cui la Corte ha dichiarato inammissibili i motivi di ricorso “per carenza del requisito della c.d. «autosufficienza» del ricorso per cassazione, poiché il ricorrente da un lato non ha riprodotto il contenuto di tutte le prove testimoniali di cui si lamentava l’errata valutazione e dall’altro perché non ha neppure indicato la sede processuale in cui i verbali relativi all’assunzione di dette prove dovrebbero potersi leggere; i Giudici di Legittimità nella stessa sentenza precisano poi specificamente, con riferimento all’onere di trascrizione, che “il suddetto requisito non è, del resto, certamente venuto meno nel nuovo regime processuale di cui al d. lgs. n. 40 del 2006”; Cass., ord. 9 gennaio 2009, n. 301, in cui la Corte dichiara inammissibili quei motivi del ricorso che si fondano su una relazione del consulente tecnico d’ufficio innanzitutto per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. in quanto il ricorrente non aveva indicato se l’originale di tale mezzo istruttorio sarebbe stato rinvenibile nel fascicolo d’ufficio oppure nel fascicolo di parte dei ricorrenti e, nell’uno e nell’altro caso, dove (indicazione che, secondo la Corte, supponeva necessariamente la specificazione del numero dell’elenco dei documenti figurante, in ipotesi, sull’uno e sull’altro); si aggiunge poi che i motivi, a prescindere dall’assorbenza di tale rilievo, sarebbero stati in ogni caso inammissibili per violazione del principio di autosufficienza, non avendo il ricorrente riportato il contenuto della relazione del consulente tecnico posta a fondamento della doglianza.

Infine, v. Cass., ord. 30 luglio 2010, n. 17915, in Red. Giust. civ. Mass. 2010, 9, in cui il Supremo Collegio – dichiarando la manifesta inammissibilità del ricorso – ha affermato che “il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo altresì alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative.”

48 V. Cass., 20 aprile 2010, n. 9379, in Diritto & Giustizia 2010, in cui viene dichiarata l’inammissibilità del motivo di gravame – per violazione del principio di autosufficienza – per non avere il ricorrente riportato, oppure allegato al ricorso, il contenuto dell’atto di appello. Questa regola, avente tendenzialmente carattere generale, sembra essere stata specificamente dettata per gli atti ed i documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, il quale, a differenza dei fascicoli di parte, non viene depositato dalle parti, ma trasmesso a cura della cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, e quindi ben potendo – per disfunzioni amministrativo – burocratica – smarrirsi o non essere stato ancora trasmesso al momento della decisone. Sul punto vedi Cass., 23 marzo 2010, n. 6937, in Red. Giust. civ. Mass. 2010, III, secondo cui “l’onere di richiedere la trasmissione di detto fascicolo” è un “adempimento nel quale, evidentemente, il ricorrente non può fare automatico affidamento quando il ricorso si fondi su atti processuali che dovrebbero essere inseriti nel fascicolo d’ufficio. Il che si spiega con il fatto che tale fascicolo, pur richiesto, potrebbe non pervenire in tempo utile per la trattazione (ed un rinvio di essa per l’acquisizione mal si concilierebbe con il ricordato principio costituzionale [della ragionevole durata del processo]), sia con il fatto che potrebbe non essere stato tenuto correttamente o potrebbe non contenere più l’atto processuale”.

49 V. Cass., 17 marzo 2010, n. 6517, in Diritto & Giustizia 2010, dove la violazione del principio di autosufficienza viene ravvisata nel non avere il ricorrente provveduto alla trascrizione testuale delle dichiarazioni dei testi escussi nella fase di merito, e neppure alla riproduzione sintetica del relativo contenuto. Nello stesso senso v. Cass., 28 aprile 2010, n. 10194, in Diritto & Giustizia 2010, nella quale si sanziona – per violazione del principio di autosufficienza – la mancata indicazione della sede e del contenuto – inteso in senso lato e non come riproduzione testuale ed integrale – delle “affermazioni che si assumono fatte in sede di merito”.

50 Cfr. Cass., 17 maggio 2010, n. 11959, in Giust. civ. Mass. 2010, 5, 757, in cui la Corte – dichiarando l’inammissibilità della censura – ha affermato che “nel prospettare una questione in sede di legittimità che riguardi modalità di proposizione e di mutamento della domanda, il ricorrente ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio lo abbia fatto, onde consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità della asserzione.”

51 V. Cass., 23 febbraio 2010, n. 4361, in Guida al diritto 2010, 16, 87. Nel caso di specie, la Corte ha rigettato l’eccezione d’inammissibilità del ricorso sollevata dai resistenti sotto il profilo dell’inosservanza del principio di autosufficienza per non avere il ricorrente riportato nel ricorso il contenuto dell’atto di opposizione, essendo stati specificati gli elementi utili affinché il giudice di legittimità avesse la completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalle parti.

52 V. Cass., 17 luglio 2008, n. 19766, in Giust. civ. 2009, VI, 1367; Cass. 31 ottobre 2007, n. 23019, in Giust. civ. Mass. 2007, 10, in cui la Suprema Corte specifica espressamente che “mentre prima della riforma ad opera del d.lgs. n. 40 del 2006 era sufficiente che dal testo del ricorso si evincessero con sufficiente chiarezza le questioni sottoposte al giudice di legittimità in relazione agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte dei gradi di merito, a seguito della riforma, il novellato art. 366 c.p.c. richiede la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, al fine di realizzare l’assoluta precisa delimitazione del “thema decidendum”, attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di esorbitare dall’ambito dei quesiti che gli vengono sottoposti e di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente. Né può ritenersi sufficiente – al fine di sopperire alla mancanza della indicazione specifica – la generica indicazione, ovvero la menzione diretta o degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi.”

53 In particolare, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 19255 del 9 settembre 2010, in Red. Giust. civ. Mass. 2010, IX, hanno dichiarato l’inammissibilità del ricorso nel quale il ricorrente aveva – osservando pedissequamente la versione più rigorosa del principio di autosufficienza – riportato integralmente gli atti del giudizio di merito. Il Supremo Collegio ha motivato tale pronuncia, affermando che l’assemblaggio di atti di cui il ricorso si componeva, era “assolutamente inidoneo ad assolvere al requisito dell’esposizione sommaria del fatto, perché pretende di assolvervi costringendo la Corte alla lettura integrale degli atti di parte attraverso i quali si è svolto il processo di merito. In sostanza, tale modalità di formulazione del ricorso equivale ad un mero rinvio alla lettura di detti atti; cioè di tutti gli atti della fase di merito, bypassando, in tal modo, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.”

54 V. Cass., 28 gennaio 2010, n. 1993, in Guida al diritto, 2010, XI, 73, in cui la pronunzia d’inammissibilità veniva fatta conseguire al fatto che il ricorrente non aveva specificamente e analiticamente indicato, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, le voci e gli importi richiesti ed a lei spettanti, limitandosi alla generica denuncia dell’inosservanza delle tariffe professionali vigenti, nonché delle voci e degli importi indicati nella nota spese; Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26644, in Giust. civ. Mass., 2009, XII, 1712. Nel caso di specie, la Corte di Cassazione aveva, in forza del principio dell’autosufficienza, dichiarato l’inammissibilità del ricorso per avere lo stesso genericamente indicato il bando di concorso cui si riferiva l’impugnativa proposta dinanzi al TAR, senza specificarne la data ed i contenuti essenziali, e senza indicare i profili ed i livelli professionali con cui i ricorrenti avevano chiesto di partecipare alla procedura concorsuale e le clausole del contratto collettivo implicati. Tali elementi – precisava la Corte – non possono essere attinti dalla documentazione prodotta, ovvero dal fascicolo d’ufficio, in quanto il ricorso deve avere un contenuto autosufficiente. Nello stesso senso v. Cass., 26 marzo 2010, n. 7305, in Guida al diritto, 2010, 19, 38.

55 Cfr. ord. 05 febbraio 2011, in www.altalex.it, nella quale la Suprema Corte ha dichiarato l’improcedibilità del gravame per il mancato deposito, unitamente al ricorso, dell’atto di appello, contenente il motivo sul quale i giudici di secondo grado avrebbero omesso di pronunciare, e pertanto costituente atto sul quale il gravame era fondato ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c.; Cass., sez. un., 02 dicembre 2008, n. 28547, in Guida al diritto 2009, V, 72; Cass., sez. un., 25 marzo 2010, n. 7161, in Giust. civ. Mass. 2010, III, 431; Cass., sez. un., 02 dicembre 2010, n. 24418, in Guida al diritto 2011, I, 74.

56 “E ciò in sintonia con l’esigenza di offrire alla Corte, immediatamente, un quadro completo ed oggettivamente autosufficiente di elementi utili alla decisione, esigenza, il cui soddisfacimento costituisce condizione necessaria alla prospettiva (propria della riforma procedimentale di cui al d.lgs. 40/2006 ed, altresì, di quella di cui alla l. 69/2009) di potenziare la capacità decisionale della Corte, al fine di adeguare la risposta al progressivo aumento delle sopravvenienze, attraverso l’incremento delle decisioni nelle più snelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis (in sede di “Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili”, costituita con decreto del Primo presidente 09.05.2005, e poi, di sezione “flitro” istituita dall’art. 376, primo comma, c.p.c., come modificato dall’art. 46, comma 1 lett. B, L. 69/2009)”: ord. 11 febbraio 2011, n. 3522, in www. fiscoediritto.it.

57 La Suprema Corte (v. ord. 05 febbraio 2001, in www.altalex.it) ha, in particolare, precisato che “il principio di ragionevole durata del processo deve intendersi rivolto non soltanto al giudice quale soggetto processuale, in funzione acceleratoria, ed al legislatore ordinario, ma anche al giudice quale interprete della norma processuale, rappresentando un canone ermeneutico imprescindibile per una lettura costituzionalmente orientata delle norme che regolano il processo”.

58 Cass., ord. 05 febbraio 2001, in www.altalex.it.

59 Cass., sez. un., 02 dicembre 2008, n. 28547, in Guida al diritto 2009, V, 72; Cass., sez. un., 25 marzo 2010, n. 7161, in Giust. civ. Mass. 2010, III, 431.

60 Cass. 13 maggio 2010, n. 11614, in Giust. civ. Mass. 2010, V, 737, dove la Suprema Corte afferma espressamente che la mancata allegazione specifica al ricorso degli atti e dei documenti posti a fondamento dell’impugnativa ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c., precluderebbe al Collegio di procedere al loro esame, anche la laddove venisse rilevata la presenza degli stessi nei fascicoli del giudizio di merito. Nello stesso senso v. Cass., 23 febbraio 2010, n. 4373, in Giust. civ. Mass. 2010, II, 263, in cui la Corte precisa che l’onere di produrre in sede di legittimità i documenti posti a fondamento dell’impugnativa non può considerarsi soddisfatto soltanto con il deposito dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui sia stato già effettuato il deposito di tali atti, “in quanto la norma processuale [art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c.] esigendo che l’atto sia prodotto “insieme” al ricorso in cassazione a pena di improcedibilità, ha elevato la contestuale produzione del documento a condizione di procedibilità dell’impugnazione”; nonché Cass., sez. un., 14 ottobre 2009, n. 21747, in Giust. civ. Mass. 2009, X, 1438 e Cass., 05 febbraio 2009, n. 2855, in Giust. civ. Mass. 2009, II, 185, dove il Supremo Collegio ha puntualizzato che “l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda – imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., nella nuova formulazione di cui al d.lg. n. 40 del 2006 – non può dirsi soddisfatto con il deposito, oltre il termine di cui all’art. 369, comma 1, dei fascicoli di parte di primo e secondo grado, contenenti il contratto, per estratto, in allegato al ricorso di primo grado, a nulla rilevando che il contratto sia stato depositato, a sua volta, dal ricorrente incidentale, atteso che, ove venisse ammessa tale equipollenza nella produzione, verrebbe disattesa la lettera del citato art. 369, che sancisce l’improcedibilità, senza eccezioni”.

61 Cass., sez. un., 02 dicembre 2008, n. 28547, in Guida al diritto 2009, V, 72; Cass., sez. un., 25 marzo 2010, n. 7161, in Giust. civ. Mass. 2010, III, 431. In entrambe le pronunzie la Corte afferma espressamente “non è qui il caso di affrontare il problema nel caso sia avvenuto tale ritiro”.

62 Da quanto esposto nel § 3, emerge infatti una costellazione di pronunce “non dialoganti”, inidonea a configurare un indirizzo univoco della Suprema Corte.

63 Soltanto il tempo ci saprà dire se il Supremo Collegio abbandonerà o meno, alla luce del nuovo assetto normativo del processo di legittimità, le degenerazioni formalistiche del principio in esame.

64 V. § 2.

65 Ricci, Sull’«autosufficienza» del ricorso per cassazione: il deposito dei fascicoli come esercizio ginnico e l’avvocato cassazionista come amanuense, cit, 736.

66 Tale principio viene poi ribadito nel decimo comma dell’art. 120 dello stesso codice (che disciplina il rito abbreviato speciale in materia di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture), dove, tuttavia, il legislatore si limita a richiedere solo la sinteticità e non anche la chiarezza degli atti.

La fonte genetica della suddetta norma può essere ravvisata nell’art. 44 della legge n. 69 del 2009, contenente la delega al Governo per il riassetto della disciplina del processo amministrativo, che inserisce tra i principi e i criteri direttivi della delega anche quello di assicurare la snellezza, la concentrazione e l’effettività della tutela, anche allo scopo di garantire la ragionevole durata del processo.

Al fine di dare concreta applicazione alla disposizione contenuta nell’art. 3 c.p.a., il Presidente del Consiglio di Stato, Pasquale De Lise, nella recente lettera circolare del 20.12.2010, indirizzata al Presidente della Società Italiana Avvocati Amministrativisti, Prof. Avv. Giuseppe Abbamonte, fornisce alcune indicazioni pratiche agli avvocati, esortandoli a contenere i propri ricorsi, ed in genere gli scritti difensivi, in un numero limitato di pagine, quantificate approssimativamente in un massimo di 20-25. Qualora poi la complessità del gravame rendesse necessario utilizzare un numero maggiore di pagine, viene segnalata l’opportunità di formulare all’inizio di ogni atto processuale una distinta ed evidenziata sintesi del contenuto dell’atto stesso, di non più di una cinquantina di righe.

La soluzione individuata dal Presidente del Consiglio di Stato è peraltro conforme a quella adottata dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nelle istruzioni pratiche relative ai ricorsi e alle impugnazioni, adottate il 15 ottobre 2004 (GU L 361 dell’8 dicembre 2004) e modificate il 27 gennaio 2009 (GU L 29 del 31 gennaio 2009), dove si dà atto che, secondo l’esperienza della Corte, una memoria può limitarsi, salvo particolari circostanze, a 10 o 15 pagine, mentre la replica, la controreplica e la comparsa di risposta possono limitarsi a 5 o 10 pagine. Sempre in tali istruzioni si raccomanda di accludere all’atto introduttivo del giudizio un sunto dei motivi e dei principali argomenti dedotti di non oltre 2 pagine.

67 V. § 3, nota 53.

68 in Red. Giust. civ. Mass. 2010, IX.

69 Sul punto occorre segnalare la mancanza di un orientamento univoco del Giudice di Legittimità, in quanto in talune pronunzie della sezione lavoro (v. Cass. 18854/2010; 17196/2010 e 4894/2010), la Suprema Corte mostra, invece, di ritenere che gli “atti processuali” dei quali il legislatore avrebbe imposto l’onere di deposito, a pena di improcedibilità del ricorso ex art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., siano soltanto quelli che non fanno parte del fascicolo d’ufficio del giudizio nel quale è stata pronunciata la sentenza impugnata.

Al fine di risolvere detto contrasto giurisprudenziale, con la recente ordinanza del 07 aprile 2011, n. 8027 (in www. altalex.it), la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha disposto la rimessione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, della questione relativa alla definizione dell’ambito oggettivo dell’onere di produzione documentale prescritto dal secondo comma, n. 4 dell’art. 369 c.p.c., così come modificato dal dlgs. n. 40 del 2006.

70 In un sistema giudiziario efficiente sarebbe ridicolo soltanto ipotizzare un siffatto onere in capo alle parti ricorrenti, risolvendosi lo stesso in un adempimento praticamente superfluo ed inutile, avendo ad oggetto atti e documenti comunque destinati a confluire nel giudizio di cassazione.

71 Tale orientamento della Cassazione, che propende dunque per una lettura restrittiva della previsione dell’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., sembra peraltro difficilmente conciliabile – sotto un profilo sistematico – con la previsione normativa del comma successivo dello stesso articolo, che pone al ricorrente l’onere di chiedere al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata la trasmissione del fascicolo d’ufficio e di depositare, unitamente al ricorso per cassazione, la richiesta vistata dal quel cancelliere. In altri termini, l’imposizione in capo ricorrente dell’onere di depositare in Cassazione i medesimi atti e documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio della fase di merito, condurrebbe ad effetti processuali del tutto incoerenti sotto il profilo sistematico, quali un inutile appesantimento della produzione in giudizio, la duplicazione degli oneri posti a carico delle parti ed un aggravio della difficoltà di esercitare i diritti difensivi, con il rischi di pregiudicare altresì il principio di effettività della tutela giurisdizionale.

72 Essendo, peraltro, lo stesso sprovvisto di qualsivoglia fondamento normativo.

73 Particolarmente gravosa potrebbe, in particolare, considerarsi la posizione dell’avvocato cassazionista che non abbia seguito il processo nei precedenti gradi di giudizio, non avendo quest’ultimo avuto la possibilità di estrarre copia dei documenti prodotti da controparti nelle fasi di merito.

74 in Giust. civ. Mass. 2005, XII.

75 Anzi, gli uffici giudiziari maggiormente oberati di lavoro e, letteralmente “sommersi” di faldoni, tendono piuttosto a sollecitare i difensori a ritirare i propri fascicoli senza pretendere in alcun modo il contestuale deposito di copie.

76 Si pensi alle conseguenze – anche in termini di costi e di difficoltà – che il rigoroso adempimento di un siffatto onere potrebbe comportare per le parti, nel caso in cui si tratti di controversie in materia di diritto bancario, societario o fallimentare, nelle quali è sovente la produzione di una mole sterminata di documenti.

77 Anche alla luce del principio dell’economia del giudizi.

78 Si tratta tuttavia di una soluzione certamente opinabile e dalle conseguenze “non indolori” per la parte ricorrente, e per questo sicuramente emendabile e plasmabile in relazione alla peculiarità proprie delle fattispecie concrete. Infatti, sebbene nel caso di incontestato smarrimento del fascicolo d’ufficio, la pronunzia di rigetto appare sostanzialmente inevitabile (non potendo la Corte disporre degli elementi indispensabili per la decisione), lo stesso non può dirsi con riferimento alle ipotesi in cui vi sia soltanto un mero ritardo nella trasmissione o acquisizione dello stesso, ovvero la parte (oltre al deposito dell’istanza di trasmissione) dimostri di essersi ulteriormente attivata formulando richieste di sollecito ovvero di ricostruzione del fascicolo, nelle quali, il principio dell’economia dei giudizi andrà contemperato con il diritto di difesa, conducendo – se del caso – ad un rinvio o differimento dell’udienza di discussione.

79 Proprio le esigenze di stabilità e di affidamento sottese alle decisioni della Cassazione in campo processuale, e la difficoltà di raggiungere gli obiettivi esaprocessuali sulla sola base delle decisioni contraddittorie ed incoerenti rese dalle sezioni semplici, consentono, a mio avviso, di annoverare le questioni – come quella in esame – dotate di un margine rilevante di incertezza, tra quelle che possono essere legittimamente definite “di massima di particolare importanza”, tali cioè da giustificarne la devoluzione alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374 c.p.c.

80 Un’opinione autorevolmente condivisa (v. Denti, A proposito di Corte di cassazione e di nomofiliachia, in Foro.it, 1986, V, 417), riconosce espressamente, quanto alle questioni processuali, la prevalenza dell’esigenza della stabilità sulla bontà della soluzione.

81 Sul punto v. Santangeli, L’udienza di prima comparizione in una interpretazione della Suprema Corte (considerazioni sul «precedente giudiziario» ), in Riv. dir. Proc., 2001, II, 587.

82 Sui presupposti, la funzione e la valenza sistematica delle pronunzie delle Sezioni Unite, v., se vuoi, Santangeli, La sentenza civile come precedente giudiziale. Il suo valore, le modalità di estrazione, i suoi interpreti, Catania 1996, 34, ss.

83 Per tali ragioni, assume rilievo fondamentale l’esercizio del “potere” del Primo Presidente della Corte di Cassazione di disporre il rinvio della causa alle sezioni unite in ipotesi di contrasto tra le sezioni o per questioni di particolare importanza; questo potere deve essere costruito come un “dovere discrezionale” del Primo Presidente, di estrema importanza per la migliore riuscita della funzione nomofilattica della Suprema Corte, che non scatta automaticamente ma che andrà eventualmente disposto solo dopo attenta riflessione, perché all’esigenza di dare pronto affidamento a determinate decisioni in determinate materie o fattispecie, potrebbero contrapporsi – nel caso concreto – reali incertezze e la necessità di favorire un’evoluzione più dialettica, tali da far sconsigliare di forzare immediatamente con la predisposizione di una pronuncia delle Sezioni Unite.

84 e, comunque, al duro prezzo di mettere in discussione l’autorità di un organo oggi più che mai deputato a fare “giurisprudenza”.

85 In tema di rapporto tra la funzionone nomofilattica e l’autorevolezza delle pronunzie della Suprema Corte, cfr. Santangeli, ult. op. cit., 51.

Santangeli Fabio

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