Anna Costagliola
L’Ordine forense può ben sanzionare disciplinarmente i suoi iscritti nei casi in cui le modalità dell’esercizio dell’attività professionale risultino violare il codice deontologico senza che ciò configuri un’intesa restrittiva della concorrenza.
Questa affermazione, ovvia per il Consiglio Nazionale Forense, giunge ora dall’Autorità nazionale Antitrust che ha pubblicato sul proprio Bollettino (n. 43) la delibera sul caso relativo alla vicenda di due iscritti all’Ordine che avevano aperto uno studio legale con vetrine sulla pubblica via, studio pubblicizzato con l’insegna «A.L.T.» («A.L.T. – Assistenza Legale per Tutti»), i quali erano stati destinatari di un provvedimento disciplinare di censura per la contrarietà alle norme del Codice deontologico forense dell’iniziativa intrapresa, considerata, sia per gli elementi di innovazione adottati che per la relativa denominazione, eccessivamente suggestiva. In particolare, caratteristica innovativa dello studio legale «A.L.T.» era quella di essere «aperto su strada», in quanto inserito in locali che affacciano sulla pubblica via, dotati di una vetrina e di un’insegna, recanti alcune informazioni sulle caratteristiche delle prestazioni offerte, pubblicizzando la possibilità di fruire di una prima consulenza di carattere gratuito. Nel provvedimento disciplinare il C.d.O. di Brescia riconosceva i due legali coinvolti responsabili dell’illecito disciplinare loro contestato, ritenendo censurabile l’utilizzo della sigla «A.L.T.» e degli slogan «Assistenza legale per tutti» e «Prima Consulenza Gratuita». Non è stato, invece, considerato illecito l’esercizio dell’attività professionale «con modalità o in un ambiente diversi da quelli tradizionali, purché siano salvaguardati il canone generale del decoro, oltre che gli altri canoni specificamente previsti dal codice deontologico forense (tra cui l’art. 19)».
Il provvedimento dell’Antitrust interviene all’esito di un procedimento istruttorio avviato, su segnalazione degli stessi avvocati interessati dalla sanzione disciplinare, per verificare se la condotta del Consiglio dell’Ordine di Brescia costituisse un’intesa restrittiva della concorrenza, vietata ai sensi dell’art. 2 della L. 287/1990, in quanto finalizzata a limitare la possibilità per gli avvocati di esercitare la propria attività avvalendosi delle diverse leve concorrenziali introdotte dalla cd. Legge Bersani anche per la professione forense. Nel provvedimento de quo l’Antitrust ha escluso in capo al Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Brescia qualsiasi responsabilità riconducibile ad un’intesa restrittiva della concorrenza per aver sanzionato disciplinarmente due avvocati che avevano aperto uno studio legale con vetrine sulla pubblica via utilizzando come richiamo la denominazione «A.L.T.» (modificata in seguito al giudizio in A.L.) e slogan suggestivi, atti a provocare un accaparramento di clientela, sanzionata dal codice deontologico forense.
Invero, il provvedimento disciplinare assunto nei confronti degli avvocati non ha limitato l’autonomia degli stessi nelle loro politiche di prezzo o nell’impiego degli strumenti pubblicitari. Infatti, il provvedimento sanzionatorio, confermato nel merito dal CNF e in sede di legittimità dalla Corte di Cassazione, si è limitato a censurare taluni aspetti relativi alle modalità con le quali l’attività pubblicitaria è stata effettuata, i quali sono stati ritenuti contrari ai precetti del codice deontologico forense, segnatamente agli artt. 17, 17-bis e 19. Considerate le peculiarità del caso di specie, il giudizio formulato dal C.d.O. di Brescia su tali specifiche modalità di promozione dell’attività non è risultato idoneo a produrre un effetto limitativo della concorrenza rilevante ai fini antitrust, difettando in esso un generale condizionamento dell’autonomia dei professionisti sul mercato.
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