Stereotipi e categorizzazione della realtà

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Vi è la necessità di approfondire ulteriormente il discorso sugli stereotipi , gli scopi, i bisogni e i valori che ogni individuo possiede, guidano l’organizzazione dell’informazione proveniente dall’ambiente in classi finalizzate all’azione, avviene una categorizzazione che comprende in sé sia la semplificazione che la distorsione percettiva al fine di meglio semplificare e classificare gli elementi (Tajfel), in altri termini si sovrastimano e sottostimano quei tratti che facilitando la differenziazione permettono una più semplice categorizzazione, si hanno quelli che Tajfel definisce come “peccati di atti e omissioni”.

La differenziazione categoriale che in tal modo si ottiene permette di imporre un ordine utile alla gestione cognitiva di un mondo altrimenti caotico, in termini pratici vi è una economia nel reagire per categorie anziché per singoli eventi od oggetti, infatti una volta appreso un atteggiamento verso un elemento di una determinata classe vi è una economia nell’automaticità della risposta verso ciascun elemento rientrante in quella classe; nella costruzione delle classi perché vi sia una utilità è necessaria una massimizzazione nella riunione degli elementi comuni che permetta a sua volta la massima differenziazione, si recuperano quindi i concetti iniziali di sovrastima e sottostima, questa semplificazione categoriale permette la trasformazione cognitiva da una realtà empirica ad una realtà sociale attraverso una realtà costruita dall’individuo mediante la lente culturale, vi è in questo anche la ricerca del consenso sociale necessario alle relazioni ambientali utili alla realizzazione e sopravvivenza dell’individuo.

L’intrecciarsi tra gli schemi culturali e processi cognitivi acquista particolare valore nella categorizzazione sociale dove questi sono caricati di specifici valori, tanto che Tajfel afferma esservi autoconservazione quando un sistema di categorie sociali viene associato a un sistema di valori, i margini di flessibilità vengono a ridursi e nel contempo si generano aspettative in relazione agli attributi riconosciuti a quella determinata categoria, trattasi di quella che Snyder definisce un semplice caso di generalizzazione degli stereotipi (stereotipizzazione), tuttavia queste scorciatoie se da una parte economicizzano dall’altra inducono a passaggi scorretti unidimensionando il soggetto o l’evento considerato, la stereotipizzazione è di per sé un processo cognitivo neutro sono le inferenze scorrette che inducono al rischio stereotipo dei pregiudizi negativi essendo i primi liberi pregiudizialmente da un giudizio di valore (teoria della categorizzazione sociale), tuttavia anche lo stereotipo emerge da un contesto sociale carico di valori, esso è il frutto di relazioni storiche che ci guidano nella categorizzazione degli eventi e delle persone, vi è quindi alla base della realtà aprioristica del pregiudizio già un substrato valoriale (teoria del pregiudizio sociale – Allport).

Il raffronto avviene non tanto per discriminazione categoriale quanto per stereotipo categoriale di cui riferimento è l’esemplare prototipico rappresentato nella nostra mente, questo non comporta comunque una incapacità riflessiva in quanto permane una flessibilità del pensiero cognitivo, le informazioni vengono elaborate sotto l’influsso culturale, ideologico, di potere/controllo e dei fini che si intendono perseguire, in questo ambito la cultura e l’ambiente sociale risultano addirittura come una precondizione dell’elaborazione cognitiva e di quali processi cognitivi utilizzare (teoria dei prototipi), tuttavia gli stereotipi e i conseguenti pregiudizi non possono che manifestarsi attraverso il discorso ed è proprio nel discorso che vi è la formazione dello stereotipo (approccio retorico).

Lo stereotipo non è qualcosa di biologico insito stabilmente nella mente ma è costruito attraverso forme di discorso sulla realtà del mondo, così che l’interpretazione avviene mediante variazioni interne al repertorio culturale in funzione di scopi e circostanze particolari, vi è pertanto una scelta soggettiva tra le possibili descrizioni fino alla possibilità di un uso strumentale degli stereotipi a fini contingenti, si ha quindi nell’approccio discorsivo agli stereotipi una accentuazione della libera volontà del soggetto che non subisce passivamente i processi di categorizzazione ma ne partecipa utlizzandoli flessibilmente nel discorso per i propri fini, occorre infatti non solo considerare quello che è detto ma le dinamiche proprie del come è detto e della circostanza discorsiva, in cui gli stereotipi acquisiscono funzioni retoriche e strategiche non rientranti nella funzione strettamente cognitiva.

Non esiste una forma esclusivamente neutrale e oggettiva nella descrizione dell’altro secondo quanto considerato dalla teoria classica per cui stereotipi e categorie non sono in sé valutative, essendo la nominazione sul piano del discorso una semplice osservazione dei fatti, le parole costruiscono i valori del mondo e non vi è quella distinzione tra fatti e valori che la teoria classica sostiene, tanto che l’uso ed anche la formazione delle categorie non sono che il frutto di una decisione culturale carica di storia con cui si descrive quello che conta nella realtà, ossia si interpreta il mondo come qualcosa di scontato attraverso cui agiamo e reagiamo (Bourdieu).

Nei cambiamenti culturali le capacità individuali sono influenzate dalle condizioni sociali del contesto e la volontà innovativa, con i conseguenti rischi di insuccesso che si assumono, è più forte nelle classi sociali più basse dove non vi è nulla da perdere e vi è molte volte una forte volontà di riscatto, mentre le classi alte hanno una maggiore capacità di sfruttamento economico dell’innovazione (Cancian), a questo devono affiancarsi le modalità di trasmissione culturale delle idee e dei comportamenti dove una pluralità di influenze e l’accoglimento dell’innovazione da parte dei leaders ne favorisce la diffusione.

Tre sono i modelli fondamentali della diffusione dell’innovazione, il contatto diretto tra società, il contatto mediato mediante veicoli terzi di trasmissione e, infine, per stimolo culturale, tuttavia vi è alla base comunque un processo selettivo che accetta alcuni tratti culturali rispondenti ai propri bisogni rifiutandone altri, vi è inoltre una difficoltà di trasmissione fuori dall’ambito puramente materiale di concetti astratti propri dell’humus culturale originario (Linton), tuttavia dalla diffusione si può passare all’acculturazione nel caso che una società per tecnologia, organizzazione o risorse prevalga su un’altra, la subordinazione culturale che si crea attraverso una serie di pressioni esterne porta dall’acculturazione fino alla possibile totale assimilazione.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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