Spunti di riflessione in tema di sospensione del processo civile per pregiudizialità penale

Redazione 07/02/19
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di Mattia Polizzi*

* Dottorando di ricerca presso l’Università degli Studi dell’Insubria

Sommario

Osservazioni introduttive. Brevi cenni all’istituto della sospensione del processo civile

La sospensione necessaria del giudizio civile per pregiudizialità penale

Le residuali ipotesi di pregiudizialità penale

Il tema della pregiudizialità penale esige una pur sintetica premessa sull’istituto della sospensione del processo civile. Ciò al fine di comprendere appieno la portata del mutamento legislativo che ha interessato questa materia, tenendo conto che tale modifica è stata spesso collegata alle pressanti esigenze di celerità imposte (anche) dal dettato costituzionale nel noto secondo comma dell’art. 111 Cost., così come modificato dalla l. cost. 23 novembre 1999, n. 2.

L’istituto della sospensione del processo civile è disciplinato dagli artt. 295 ss. c.p.c., all’interno della sezione I del capo VII, titolo I, libro II del codice di rito. Il capo in parola raggruppa gli istituti della sospensione, dell’interruzione e dell’estinzione del giudizio civile: la dottrina si riferisce a tali evenienze ascrivendole alla categoria delle vicende anomale (o anormali) del processo. Nello specifico, la sospensione è stata autorevolmente definita come quella fattispecie che consiste “in un arresto dell’iter processuale a causa di un determinato evento e fino alla cessazione di quell’evento[1].

Per ciò che attiene alla disciplina positiva, l’art. 295 c.p.c. afferma che “il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa”: il processo entra dunque in una fase di quiescenza fino al momento in cui si verifichi un evento che ne consenta la riassunzione. La giurisprudenza riconduce la ratio della norma nell’esigenza di evitare eventuali contrasti tra giudicati[2]. Dal canto proprio, invece, la dottrina ritiene prevalentemente che il fondamento della sospensione debba essere ravvisato nella diversa necessità “di consentire alle parti di far valere quegli effetti che la sentenza produce prima del – e indipendentemente dal – suo passaggio in giudicato”[3].

Preliminarmente parre opportuno ricordare che, nonostante l’art. 295 c.p.c. disponga che il giudice ordini la sospensione del giudizio “inogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia […]” si è affermato in giurisprudenza un orientamento che nega la configurabilità nel nostro ordinamento di ipotesi di sospensione c.d. facoltativa ope iudicis, ossia rimesse alla discrezionalità del giudicante e prive di un riferimento nel dato positivo: come di recente affermato dalla Cassazione un istituto siffatto “si porrebbe in insanabile contrasto sia con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), sia con il canone della durata ragionevole, che la legge deve assicurare nel quadro del giusto processo ai sensi del nuovo art. 111 Cost.”[4].

Le ipotesi di sospensione del giudizio civile vengono generalmente distinte in tre gruppi: la sospensione su istanza delle parti, la sospensione c.d. impropria e la sospensione c.d. propria (o necessaria).

La prima evenienza occorre quando, ai sensi dell’art. 296 c.p.c., entrambe le parti chiedono al giudice di sospendere il processo. L’originario termine massimo di sospensione di quattro mesi è stato abbassato a tre ad opera della l. 18 giugno 2009, n. 69. La medesima fonte normativa ha specificato che la sospensione può essere richiesta una sola volta nel corso del giudizio[5], a condizione che esistano “giustificati motivi”. La ripresa del giudizio avverrà a norma dell’art. 297 c.p.c.

Si ha sospensione c.d. impropria in tutti quei casi in cui nel corso di un processo se ne innesti un altro avente per oggetto una questione inerente alla domanda proposta nel primo giudizio: la pendenza di tale secondo processo implica la sospensione di quello incardinato in precedenza. La questione che viene trattata nel secondo processo (che genera la sospensione del primo) non potrebbe essere oggetto di un autonomo giudizio, trattandosi non già della tutela di una situazione sostanziale, bensì di una questione (processuale ovvero di merito) inerente l’unica situazione sostanziale dedotta nel primo giudizio. In altri termini, come autorevolmente osservato in dottrina, nel caso di sospensione c.d. impropria “lo stesso processo continua in un’altra sede, in relazione ad una questione di fatto o di diritto, che è rilevante per la decisione dell’unico oggetto della controversia, questione di fatto o di diritto che deve essere decisa da un giudice diverso da quello investito della causa di merito. In attesa della decisione dell’altro giudice, si sospende il processo originario”[6]. Tra le ipotesi tradizionalmente ascritte al novero della sospensione impropria possono essere qui ricordati in via meramente esemplificativa i casi di regolamento di competenza e di giurisdizione; quelli di ricusazione del giudice; le ipotesi di rimessione della questione di legittimità costituzionale alla Consulta ovvero di legittimità eurounitaria alla Corte di Giustizia dell’U.E.; ovvero ancora l’apertura del subprocedimento di querela di falso proposta dinanzi al giudice di pace o alla corte d’appello, trattandosi di materia di competenza del tribunale ex art. 9 c.p.c.

Il caso di sospensione c.d. propria (o necessaria) trova invece il proprio fondamento nel disposto dell’art. 295 c.p.c., a norma del quale il giudicante ordina la sospensione del giudizio “in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa”. Ci si trova in presenza di una controversia dalla definizione della quale dipende la decisione di un’altra vertenza: il giudizio inerente quest’ultima deve essere appunto sospeso in attesa della decisione della prima. A differenza di quanto avviene nell’ipotesi di sospensione impropria (ove l’oggetto del processo è uno solo) nella sospensione propria pendono dinanzi a giudici diversi due controversie aventi due diversi oggetti. Questi ultimi sono tra di loro collegati (rectius: connessi) da un rapporto di pregiudizialità-dipendenza, che si verifica nel momento in cui il giudice del processo da sospendere deve accertare la sussistenza di un diritto differente, che è l’oggetto dell’altro giudizio. Il meccanismo della sospensione consente una cesura del processo avente per oggetto il diritto dipendente in attesa della conclusione di quello incentrato sul diritto pregiudiziale, fermo quanto disposto dall’art. 34 c.p.c. in tema di competenza inderogabile. Per mera completezza espositiva si ricorda che nel caso in cui non sia pendente un giudizio avente per oggetto la situazione pregiudiziale il giudice investito della causa sul diritto dipendente deciderà, sollecitato dalla (mera) contestazione delle parti circa l’esistenza del diritto pregiudiziale, tramite l’istituto dell’accertamento incidentale anche sulla questione pregiudiziale, senza che il giudice statuisca con efficacia di giudicato: il coordinamento tra le due questioni sarà garantito (non dall’istituto della sospensione, ma) dal simultaneus processus.

Di rilievo appare anche il disposto di cui all’art. 337, comma 2, c.p.c., in forza del quale “quando l’autorità di una sentenza è invocata in un diverso processo, questo può essere sospeso, se tale sentenza è impugnata”. La peculiarità di tale forma di sospensione risiede nel fatto che sulla questione pregiudiziale sia (già) intervenuta una sentenza. Qualora tale ultima pronuncia sia passata in giudicato, il giudice della questione pregiudicata dovrà adeguarsi ad essa; tuttavia, nel caso in cui la sentenza sia stata impugnata, il giudice in parola potrà sospendere il processo in attesa della pronuncia sul gravame. Trattasi, secondo autorevole dottrina, di una facoltà, sicché il giudice potrebbe anche non sospendere il giudizio “sia perché potrebbe ritenere non sussistente l’influenza effettiva della sentenza sulla questione sottoposta al suo esame e sia, anche indipendentemente da ciò, perché potrebbe valutare liberamente la probabilità che la sentenza invocata possa essere confermata e la opportunità della sospensione[7]. Su di tale norma sono di recente intervenute le Sezioni Unite della Cassazione, le quali hanno affermato che “fuori dei casi in cui sia espressamente disposto che un giudizio debba rimanere sospeso sino a che un altro da cui dipenda sia definito con decisione passata in giudicato, intervenuta nelprimo decisione in primo grado, il secondo di cui sia stata in quel grado ordinata la sospensione può essere ripreso dalla parte che vi abbia interesse entro il termine dal passaggio in giudicato della detta decisione stabilito dall’art. 297 c.p.c. Definito il primo giudizio senza che nel secondo la sospensione sia stata disposta o ripreso il secondo giudizio dopo che il primo sia stato definito, la sospensione del secondo può solo essere pronunziata sulla base dell’art. 337 c.p.c., comma 2, dal giudice che ritenga di non poggiarsi sull’autorità della decisione pronunziata nel primo giudizio[8].

Per quanto riguarda gli aspetti dinamici ed effettuali dell’istituto della sospensione, il primo comma dell’art. 298 c.p.c. dispone che durante la sospensione non possono essere compiuti atti del procedimento, ad esclusione degli atti urgenti autorizzati dal giudice ex art. 48, co. 2, del codice di rito. Il secondo comma dell’art. 298 c.p.c. dispone che la sospensione interrompe i termini in corso, i quali decorreranno nuovamente a partire dal giorno della nuova udienza fissata dal giudice con il decreto di sospensione: le parti dovranno infatti riassumere la causa nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza avente ad oggetto la questione pregiudiziale o dalla cessazione della causa di cui all’art. 75 c.p.p. (sulla quale si veda infra) a pena di estinzione del processo (a norma dell’art. 307, co. 3, c.p.c). A norma dell’art. 297 c.p.c., qualora con il provvedimento che ha disposto la sospensione non sia stata fissata l’udienza di prosecuzione del processo, le parti ne debbono richiedere la fissazione entro il termine perentorio di tre mesi dalla conoscenza della cessazione della causa di sospensione[9]; la riassunzione deve avvenire mediante un’istanza proposta con ricorso al giudice istruttore o, in mancanza, al presidente del tribunale.

[1] Così Mandrioli C., Carratta A., Diritto processuale civile, II, Giappichelli, Torino, 2016, 357 ss.; pur senza pretesa di fornire una bibliografia del tutto esaustiva sul tema si v. altresì Bina M., Artt. 295 ss., in Comoglio L.P., Consolo C., Sassani B., Vaccarella R. (dir. da), Commentario del codice di procedura civile, III, II, UTET, Torino, 2012, 487 ss.; Giussani A., Artt. 295 ss., in Carpi F., Taruffo M. (a cura di), Commentario breve al codice di procedura civile, CEDAM, Padova, 2015, 11181 ss.; Id., voce Sospensione del processo, in Dig. disc. priv. – Sez. civ., XVIII, UTET, Torino, 1998, 603 ss.; Luiso F.P., Diritto processuale civile, II, Giuffrè, Milano, 2013, 233 ss.; Menchini S., voce Sospensione del processo civile s) Processo civile di cognizione, in Enc. dir., XLIII, Giuffrè, Milano, 1990, 1 ss.; Tarzia G., Lineamenti del processo civile di cognizione, Giuffrè, Milano, 2009, 248 ss.

[2] Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 4 febbraio 2000, n. 1230 in Leggi d’Italia, la quale sottolinea che, tale essendo la ratio dell’istituto, la sospensione (necessaria) del giudizio può operare solo nel caso in cui tra due liti sussista un rapporto di pregiudizialità giuridica vera e propria e non anche qualora sia rinvenibile un rapporto di pregiudizialità logica poiché in tale ultimo caso non si avrebbe un reale problema di conflitto tra giudicati, ma solo un problema inerente gli effetti pratici dell’una o dell’altra pronuncia.

[3] Così Giussani A., Art. 295 cit., 1182

[4] Così Cass. Civ., Sez. VI, 27 novembre 2018, n. 30738, in DeJure; Cass. Civ., Sez. VI, 25 novembre 2010, n. 23906, ibidem; Cass. Civ., Sez. I, 31 gennaio 2007, n. 2089, ibidem.

[5] Secondo Mandrioli C., Carratta A., op. cit.¸358, la sospensione su istanza concorde delle parti può essere richiesta nel corso del solo giudizio di primo grado; contra, nel senso che essa potrebbe essere richiesta in ogni grado di giudizio, si v. Poli G.G., Sospensione su istanza delle parti e riduzione dei termini processuali, in Foro it., 2009, IX, 290 ss.

[6] Luiso F.P., op. cit., 235-236.

[7] Così Mandrioli C., Carratta A., op. cit., 368-369.

[8] Cass. Civ., Sez. Un., 19 giugno 2012, n. 10027, in Diritto&Giustizia, 20 giugno 2012, con nota di Floccari V., Sospensione necessaria e sospensione dell’esecuzione: presupposti e ambiti di applicabilità.

[9] La norma in questione prevedeva che il termine di tre mesi decorresse dalla cessazione della causa di sospensione: la Corte costituzionale, con sent. 4 marzo 1970, n. 34, in DeJure, ne ha dichiarato la illegittimità costituzionale nella parte in cui non disponeva che il termine in questione decorresse dalla conoscenza che le parti avessero avuto della cessazione.

Ciò premesso è possibile ricordare che la versione originaria dell’art. 295 c.p.c. disponeva che la sospensione del processo civile operasse “nel caso previsto nell’articolo 3 del Codice di procedura penale” oltre che in ogni altro caso in cui il giudice civile “o altro giudice deve risolvere una controversia civile o amministrativa, dalla cui definizione dipende la decisione della causa”. Volendo concentrare l’attenzione sulla prima parte della disposizione testé citata, espunta dal dato normativo ad opera dell’art. 35 della l. 26 novembre 1990, n. 353 (in vigore per i giudizi pendenti alla data del 1° gennaio 1993), deve rilevarsi che l’art. 3 del codice di procedura penale del 1930 prevedeva che “se viene iniziata l’azione penale, e la cognizione del reato influisce sulla decisione della controversia civile, il giudizio civile è sospeso, quando la legge non dispone altrimenti, fino a che sia pronunciata nell’istruzione la sentenza di proscioglimento non più soggetta a impugnazione o nel giudizio la sentenza irrevocabile, ovvero sia divenuto esecutivo il decreto di condanna”. La prima parte dell’art. 295 c.p.c. nella versione antecedente alla novella operata dalla l. 353/1990 disponeva dunque una causa di sospensione automatica del processo civile in tutte le ipotesi di c.d. pregiudizialità penale[10].

Tale forma di sospensione necessaria non andò esente da importanti critiche da parte della dottrina che ne evidenziò gli effetti negativi in punto di durata dei processi civili. Il legislatore ha in merito operato un significativo mutamento di prospettiva. In primo luogo il riferimento all’art. 3 c.p.p. del 1930 è stato espunto dall’art. 295 c.p.c. (ma non, con quella che da più parti è qualificata come una mera svista, dall’art. 297 c.p.c.); in secondo luogo il codice di rito penale del 1988 non ha riprodotto al proprio interno una disposizione analoga a quella dell’art. 3 citato. La scelta del legislatore è stata nel senso di rendere del tutto autonomi il giudizio civile e quello penale, facendo così venire meno sia l’applicazione generale della pregiudizialità penale sia il principio dell’unità della giurisdizione; ciò in linea con quelle che sono le scelte di fondo dei sistemi processuali penali di stampo accusatorio[11].

[10] Sul tema si v. Capponi B.; A proposito di nuovo processo penale e sospensione del processo civile, in Foro it., 1991, V, 348 ss.; Civinini M.G., Sospensione del processo civile per c.d. “pregiudizialità penale”: questioni teoriche e riflessi pratici, in Foro it., 1991, V, 363 ss.; Consolo C., Del coordinamento fra processo penale e processo civile: antico problema risolto a metà, in Riv. dir. civ., 1996, II, 227 ss.; Dominici M., Il rapporto tra il processo civile e il processo penale, in Giur. it, 2015, X, 2239 ss.; Giussani A., op. ult. cit., 1183; Id., voce Sospensione cit., 611 ss.; Graziosi C., Osservazioni sulla nuova disciplina della pregiudizialità penale al processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1992, II, 407 ss.; Luiso F.P., op. cit., 242 ss.; Mandrioli C., Carratta A., op. cit., 259 ss., sub nota 44; Menchini S., op. cit., 44 ss.; Pennisi A., Art. 75, in Conso G., Illuminati G. (a cura di), Commentario breve al codice di procedura penale, CEDAM, Padova, 2015, 256 ss.; Tarzia G., op. cit., 248 ss.; Trisorio Liuzzi G., Riforma del processo penale e sospensione del processo civile, in Riv. dir. proc., 1990, II, 529 ss.; Tonini P., Manuale di procedura penale, Giuffrè, Milano, 901 ss.

[11] Cfr. Tonini P., op. cit., 902 ss.

Quanto affermato non deve essere inteso nel senso che non sussistano ipotesi di sospensione necessaria dovute alla pendenza di un processo penale, quanto piuttosto nel senso che il rapporto regola-eccezione risulta oggi ribaltato rispetto al passato. Muove in tal senso il disposto dell’art. 211 disp. att. c.p.p., il quale dispone che “salvo quanto disposto dall’articolo 75, co. 2, del codice, quando le disposizioni di legge prevedono la sospensione necessaria del processo civile o amministrativo a causa della pendenza di un processo penale, il processo civile o amministrativo è sospeso fino alla definizione del processo penale, se questo può dare luogo a una sentenza che abbia efficacia di giudicato nell’altro processo e se è già stata esercitata l’azione penale”. La lettera della norma consente pertanto di osservare che, come suggerito da autorevole dottrina, sussiste un vero e proprio “principio di tassatività dei casi di sospensione necessaria del processo civile nella materia” che ci interessa[12]. Nel novero di queste ipotesi tassative è possibile iscrivere quella di cui al terzo comma dell’art. 75 c.p.p., secondo il quale il processo civile rimane sospeso in attesa della formazione del giudicato penale nel caso in cui l’azione civile per risarcimento dei danni o per restituzioni sia stata proposta dopo l’emanazione della sentenza penale di primo grado ovvero dopo la costituzione di parte civile[13]. Al riguardo merita menzione una pronuncia della Corte costituzionale, con la quale la Consulta afferma che “l’art. 75 c.p.p. ha definitivamente consacrato il principio di parità delle giurisdizioni, cosicché perfino la possibilità di giudicati contrastanti in relazione al medesimo fatto, ai diversi effetti civili e penali, costituisce evenienza da considerarsi ormai fisiologica”[14]; il Giudice delle leggi, in altri termini, ritiene che l’esigenza di evitare contrasti tra giudicati non riguardi il rapporto tra processo civile e penale, verosimilmente in base alla considerazione che dai due procedimenti scaturiscono effetti differenti e, se si vuole, autonomi. Al riguardo merita menzione una recente ordinanza interlocutoria della prima Sezione della Cassazione[15], con la quale è stata rimessa alle Sezioni Unite una questione di particolare importanza relativa proprio all’interpretazione ed all’applicazione dell’art. 75, comma 3, c.p.p., che si impone alla lettura dell’interprete anche per la pregevole opera di ricostruzione dello “stato dell’arte” della giurisprudenza di legittimità in subiecta materia. Il tema è quello della possibilità di sospendere il processo civile che, iniziato dopo la costituzione di parte civile nel giudizio penale ovvero dopo che in quest’ultimo sia intervenuta una sentenza di condanna, si connoti per essere un giudizio con pluralità di parti, delle quali solo alcune possono rimanere pregiudicate con efficacia vincolante dal sopravvenuto giudicato penale. La Cassazione osserva in primo luogo che il fulcro dell’art. 75, comma 3, c.p.p. è costituito dal bilanciamento tra due contrapposti interessi: quello del danneggiato ad agire separatamente in sede civile senza patire gli effetti vincolanti di un eventuale giudicato di assoluzione e quello di senso contrario dell’imputato di far valere gli effetti anzidetti. La questione sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite consiste nel verificare la sussistenza o meno dei presupposti legali per la sospensione del giudizio civile per il risarcimento del danno, instaurato dopo che sia intervenuta una pronuncia penale in primo grado, nei confronti non soltanto dell’imputato, ma anche di altri soggetti (nel caso di specie, incentrato sulla responsabilità per danni derivanti dalla circolazione di un veicolo, il proprietario del veicolo e la compagnia assicurativa) ritenuti dal danneggiato responsabili civilmente per lo stesso titolo, tra di loro in situazione di litisconsorzio necessario ed in situazione di litisconsorzio facoltativo con l’imputato. Tre sono le strade prospettate dall’ordinanza di remissione: la sospensione necessaria exart. 75, comma 3, c.p.p. nei confronti di tutti i litisconsorti, siano essi facoltativi ovvero necessari ex lege; la sospensione della sola azione risarcitoria proposta in sede civile nei confronti dell’imputato, previa separazione (e prosecuzione) delle cause originariamente connesse; la non applicazione della sospensione exart. 75, comma 3, c.p.p. qualora il giudizio civile non sia stata proposta nei confronti del solo imputato. L’orientamento sinora seguito dalla Suprema Corte è nel senso che la sospensione necessaria “del processo civile, disposta per il caso in cui il danneggiato abbia prima esercitato l’azione civile in sede penale con la costituzione di parte civile e, quindi, abbia successivamente esercitato l’azione civile in sede civile, non trova applicazione allorquando il detto danneggiato eserciti l’azione civile in sede civile, non solo contro l’imputato, ma anche contro altri coobbligati; e ciò, tanto se il cumulo soggettivo così realizzato dia luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo, quanto se dia luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio necessario”[16]. L’ordinanza di remissione, pur non contestando il principio generale di autonomia tra il giudizio civile e quello penale, si pone in motivato contrasto con l’orientamento anzidetto, reputando – tra l’altro – che “nelle ipotesi in cui la separazione delle cause non sia possibile, stante la previsione di legge del necessario litisconsorzio, dovrebbe pervenirsi -ove si intenda salvaguardare la possibilità dell’imputato di opporre il giudicato penale di assoluzione- alla soluzione di sospendere il giudizio civile”[17].

A conclusione delle presenti p>conditor del 1990 sembra poter essere di sollievo per lo stato attuale della giustizia civile che, almeno sotto tale angolo visuale, non è “gravata” da ulteriori attese ad essa esterne. Se, come affermato dalla Corte costituzionale, gli effetti in sede penale ed in sede civile sono “diversi”, il novum legislativo appare corretta applicazione dell’art. 111, comma 2, Cost., almeno nel suo contenuto minimo ed essenziale, individuato nell’esigenza di evitare previsioni normative che implichino “rallentamenti manifestamente irragionevoli, perché non connessi con alcuna delle altre garanzie previste dall’art. 111”[18]. Ciò non toglie, a parere di chi scrive, che sia in ogni caso necessario tenere presente il monito di chi ha sostenuto che la previsione costituzionale, secondo la quale la legge “assicura” la ragionevole durata dei giudizi, pone un vero e proprio impegno in capo al legislatore ordinario, irrinunciabile e (se si vuole) “preliminare” ad ogni modifica processuale: quello di “fornire alla giustizia le risorse e i mezzi appropriati per garantire una ragionevole intensità di lavoro di tutti gli addetti al settore”[19].

[12] Tarzia G., op. cit., 249, sub nota 119.

[13] Per alcune applicazioni giurisprudenziali dell’istituto così come riformato si v. Cass. Civ., Sez. VI, 22 dicembre 2016, n. 26863, in Diritto&Giustizia, 23 dicembre 2017, con nota di Corrado M., Nessuna interferenza tra processo civile e penale, a meno che …; Cass. Civ., Sez. Lav., 10 marzo 2015, n. 4758, in DeJure; Cass. Civ., Sez. VI, 1 ottobre 2013, n. 22463, ibidem; Cass. Civ., Sez. I, 17 febbraio 2010, n. 3820, in Il fall., 2010, V, 552 ss., con nota di Lottini R., I rapporti tra azione civile ed azione penale; Cass. Civ., Sez. III, 12 giugno 2006, n. 13544, in DeJure; Cass. Civ., Sez. III, 1° luglio 2005, n. 14074, ibidem; Cass. Civ., Sez. III, 10 agosto 2004, n. 15477, ibidem; Cass., Sez. I, 13 maggio 1997, n. 4179, in Foro it., VI, 1762 ss., con nota di Trisorio Liuzzi G., Sull’abrogazione della sospensione del processo per “pregiudizialità” penale.

[14] Corte cost., 11 luglio 2003, n. 233, in Giur. it., 2003, X, 1777 ss. con nota di Cendon P., Ziviz P., Vincitori e vinti (… dopo la sentenza 233/2003 della Corte costituzionale).

[15] Ci si riferisce a Cass. Civ., Sez. VI, ord. 16 ottobre 2018, n. 25918, in Diritto&Giustizia, 17 ottobre 2018, con nota di Savoia R., Sospensione del processo civile? Parola alle Sezioni Unite.

[16] Così Cass. Civ., Sez. VI-III, ord. 18 luglio 2013, n. 17608, in DeJure; in senso analogo si v. altresì Cass. Civ., Sez-VI-III, ord. 27 febbraio 2018, n. 4526, ibidem; Cass. Civ., Sez. III, 13 marzo 2009, n. 6185, ibidem; Cass. Civ., Sez. III, ord. 26 gennaio 2009, n. 1862, ibidem.

[17] Così il punto 6 dell’ordinanza 25918/2018 cit.

[18] Così Andronio A., Art. 111, in Bifulco R., Celotto A., Olivetti M. (a cura di), Commentario alla Costituzione, III, UTET, Torino, 2006, 2116.

[19] Cecchetti M., voce Giusto processo a) Diritto costituzionale, in Enc. dir., Agg. V, Giuffrè, Milano, 2001, 611.

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