Spetta al paziente danneggiato l’onere di provare il nesso di causalità tra la prestazione medica e il danno subito

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Riferimenti normativi: art. 1218 c.c
Precedenti giurisprudenziali: Cass. 14/11/2017, n. 26824; Cass. 07/12/2017, n. 29315; Cass. 13/01/2016, n. 344; Cass. 20/10/2015, n. 21177; Cass. 31/07/2013, n. 18341; Cass. Sez.U. 30/10/2001, n. 13533; Cass. 26/07/2017, n. 18392; Cass. Sez. U. 11/01/2008, n. 577;

Fatto

A seguito del decesso di una signora, i figli, eredi legittimi, si erano rivolti al giudice di primo grado al fine di vedere condannare l’Azienda Sanitaria Locale – presso la quale era stata prestata assistenza sanitaria alla madre – al risarcimento dei danni patrimoniali e morali subiti dai medesimi a causa della scomparsa del genitore (deceduta dopo aver contratto una malattia) causata – secondo la tesi attrice – dal negligente comportamento dei medici della struttura sanitaria.
Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello in secondo grado rigettavano la domanda attrice.
Gli eredi, dunque, non soddisfatti dalla decisione di entrambi i Giudici, decidevo di ricorrere alla Suprema Corte, presentando un ricorso fondato su due motivi.
Con il primo motivo di ricorso la parte attrice lamentava il fatto che la Corte d’Appello avesse rigettato la richiesta risarcitoria ritenendo erroneamente non provato il nesso di causalità nella convinzione che l’onere di provare l’esistenza del nesso causale tra l’errata diagnosi e l’evento di morte fosse in capo alla parte attrice della domanda di risarcimento.
Con il secondo, ed ultimo motivo, invece, le ricorrenti lamentavano il fatto che la Corte d’Appello nel formare il suo giudizio avesse aderito acriticamente alla C.T.U senza tenere in debita considerazione le risultanze emerse dalla relazione dell’ausiliario ematalogo e dai dati clinici depositati agli atti.

La decisione della Corte

I Giudici della Corte di Cassazione esaminati i singoli motivi di ricorso hanno ritenuto infondati entrambi i gravami, rigettando così la richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali avanzata nei confronti dell’Azienda Sanitaria dagli eredi della paziente.
Rispetto al primo motivo di ricorso, richiamando un ormai consolidato orientamento, la Corte di Cassazione ha osservato che spetta al paziente, che ritiene di aver subito un danno da responsabilità medica, dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del medico ed il danno subito. Laddove il paziente non riuscisse a provare l’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta e l’evento, la causa del danno lamentato dal paziente resterebbe incerta e la domanda altro non potrebbe che essere rigettata.
I Giudici di Cassazione ricordano come la disposizione contenuta dall’art 1218 del cod. civ. in materia di responsabilità del debitore, esonera il creditore dell’obbligazione non adempiuta dall’onere di provare la colpa del debitore, ma non anche dall’onere di dimostrare il nesso di causalità tra la condotta del debitore e il danno subito, e di cui si richiede il risarcimento.
Soffermandosi sulla disposizione del Codice Civile di cui sopra la Corte di Cassazione evidenzia che la causa della non imputabilità del mancato adempimento della prestazione, a cui si riferisce la norma in oggetto, si colloca nelle cause estintive dell’obbligazione, e l’onere di provare che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore spetta proprio a quest’ultimo. Secondo i Giudici di legittimità la fattispecie disciplinata dal codice Civile concerne un ciclo causale distinto da quello relativo all’evento dannoso conseguente all’adempimento mancato o inesatto.
In fine, sul tema di onere della prova del nesso di causalità tra la condotta e l’evento, la Cassazione, richiamando un orientamento delle Sezioni Unite citate da parte attrice per sostenere che l’onere probatorio dell’assenza di nesso causale ricadrebbe sulla struttura sanitaria creditrice, ribadisce e conferma che, in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio, il paziente danneggiato deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia e allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato o che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante. Tuttavia precisa che tale orientamento non contrasta con quanto affermato in precedenza circa l’onere di provare il nesso causale in capo al debitore, in quanto il medesimo si applica ai casi in cui è palese l’esistenza del nesso di causalità tra il fatto medico e la patologia insorta o aggravarsi.
In riferimento, invece, al secondo motivo di gravame, la Corte di Cassazione si è limitata a riconoscere che il Giudice di Appello aveva argomentato in modo logico e comprensibile il suo convincimento circa la correttezza della consulenza tecnica d’ufficio, non avendo prodotto in giudizio, parte attrice, nessun elemento in grado di dimostrata l’erroneità delle conclusioni della C.T.U. La Corte, poi, si è espressa ritenendo questo motivo di gravame inammissibile, in quanto la richiesta così come formulata da parte ricorrente, altro non era che una richiesta di rivalutazione dell’elaborato tecnico al fine di ottenere una ricostruzione diversa, valutazione questa preclusa alla Corte di legittimità.

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