Spaccio di droga leggera: numero di dosi elevate non esclude lieve entità

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 14690 del 9 aprile 2024, ha chiarito che, nello spaccio di droga leggera, l’attenuante della lieve entità non può essere esclusa dal numero di dosi elevate.

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Corte di Cassazione – Sez. VI Pen. – Sent. 14690 del 09/04/2024

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Indice

1. I fatti

La Corte di appello di Potenza ha confermato la condanna emessa in primo grado con la quale è stata inflitta la pena condizionalmente sospesa di anni uno e mesi otto di reclusione ed euro 6.000 di multa all’imputato. Questo è stato ritenuto responsabile per il delitto di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, in relazione all’illecita detenzione a fine di cessione di marijuana per 8 singole dosi medie e cannabis per 129 singole dosi medie, imputazione per la quale il Giudice di primo grado ha escluso la circostanza aggravante di cui all’art. 80, lett. g), d.P.R. n. 309, relativa al fatto commesso in luogo abitualmente frequentato da giovani.
Avverso la sentenza di appello, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione nel quale sono stati dedotti tre motivi: violazione di legge e vizio di motivazione relativi, rispettivamente, all’affermazione di penale responsabilità (rilevandosi che la detenzione dello stupefacente era finalizzata al solo uso personale), alla mancata qualificazione del fatto ai sensi del comma 5 dell’art. 73 e al rigetto della richiesta di concedere le circostanze attenuanti generiche.
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2. Spaccio, numero di dosi elevate e lieve entità: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, rammenta il principio secondo il quale, in materia di stupefacenti, “la valutazione in ordine alla destinazione della droga, ogni qualvolta la condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo, deve essere effettuata dal giudice di merito tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto, secondo parametri di apprezzamento sindacabili in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione“. Principio a cui, ad avviso della Suprema Corte, si sono attenuti i Giudici di merito i quali hanno fatto riferimento agli elementi costituiti dalle modalità di confezionamento della sostanza stupefacente, suddivisa in bustine di cellophane, della diversa tipologia di sostanze rinvenute, del quantitativo, del denaro contante nella disponibilità dell’imputato, del luogo di stazionamento, dell’assenza di certificazione rilasciata in suo favore come assuntore.
Tuttavia, la Corte riconosce come fondato il secondo motivo di ricorso relativo al mancato riconoscimento della fattispecie di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990. La sentenza di appello ha escluso di potere operare tale qualificazione del fatto contestato “in ragione del dato ponderale e della diversa tipologia di stupefacenti rinvenuti oltre che in ragione di condotta posta in essere nei pressi di una scuola“.
La Suprema Corte, però, osserva dalla sentenza di primo grado risulta trattarsi di una palestra (non di una scuola) ed è stata comunque esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 80 d.P.R.
In riferimento al dato ponderale, il ricorrente evidenzia che si tratta di complessivi (circa) 34 grammi di stupefacenti leggeri, rilevando, inoltre, che la Corte di appello non ha adeguatamente valutato l’assenza di precedenti penali e le concrete modalità del fatto.
Ad avviso dei giudici di legittimità, la motivazione della pronuncia di appello non ha fatto buon governo di un consolidato principio secondo il quale “in materia di sostanze stupefacenti, ai fini del riconoscimento o meno della fattispecie del fatto di lieve entità, di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e della conseguente determinazione della pena da infliggere in concreto in misura proporzionale all’offesa, il giudice, al fine di consentire alla Corte di Cassazione il sindacato che le è proprio, deve fornire un’adeguata valutazione complessiva del fatto (in particolare mezzi, modalità e circostanze dell’azione, qualità e quantità della sostanza, con riferimento alla percentuale di purezza della stessa)“.
Fondato risulta anche il motivo del ricorso con il quale si censura il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, in quanto la Corte territoriale non si è pronunciata a riguardo, limitandosi solo a rilevare che “alla luce delle modalità concrete dell’episodio e alla personalità del pervenuto, si ritiene ex art. 133 c.p. che la pena sia equa e proporzionata alla gravità del fatto“.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha chiarito che gli elementi indicati dai principi sopraesposti avrebbero richiesto alla Corte territoriale un’adeguata motivazione che desse conto delle ragioni per le quali, nonostante lo stato di incensuratezza dell’imputato e il dato ponderale, oggettivamente basso e relativo a stupefacente di tipo “leggero”, non vi siano i presupposti per ritenere l’ipotesi attenuata del comma 5. Motivazione che, però, ad avviso della Suprema Corte, non c’è stata.
Per ciò che concerne il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, invece, sebbene la Corte abbia ritenuto che “la richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche deve ritenersi disattesa con motivazione implicita allorché sia adeguatamente motivato il rigetto della richiesta di attenuazione del trattamento sanzionatorio, fondata su analogo ordine di motivi“, nel caso di specie, a fronte degli elementi indicati dall’appellante a sostegno della richiesta, la semplice affermazione della “equità e proporzione della pena” (sostenuta dalla Corte di appello) non risulta idonea a dar conto del corretto esercizio del potere valutativo attribuito in materia al Giudice di merito.
Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame sui punti indicati alla Corte di appello di Salerno.

Riccardo Polito

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