Stupefacenti: limiti al riconoscimento della lieve entità

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Individuazione di quei dati che possano rientrare pacificamente nell’ipotesi della lieve entità e giudizio globale sull’offensività del fatto.

Corte di Cassazione – Sez. VI Pen. n. 45061 del 25-11-2022

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Indice

1. Il caso di specie

La sentenza della Sesta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione n. 45061 del 25 novembre 2022 si è pronunciata sull’individuazione dei quantitativi massimi di sostanze stupefacenti in presenza dei quali può essere riconosciuta la lieve entità ex art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990.
Nel caso in esame, un uomo veniva condannato, in primo e secondo grado, per il reato di cui all’art. 73, comma 4, D.P.R. n. 309/1990 in quanto deteneva 100 grammi di sostanza stupefacente del tipo hashish, con 33,79 grammi di principio attivo. In particolare, la Corte d’Appello non riconosceva la fattispecie attenuata di cui al comma 5 sulla base del solo dato quantitativo. L’uomo decideva, quindi, di proporre ricorso per Cassazione, lamentando la violazione di legge relativamente al mancato riconoscimento delle fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990.

2. Il quadro normativo

L’art. 73, comma 1, D.P.R. n. 309/1990 prevede che chiunque, senza l’autorizzazione ministeriale, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000.
Il comma 4, invece, stabilisce che quando le condotte di cui al comma 1 riguardano i medicinali ricompresi nella tabella II, sezioni A, B, C e D, limitatamente a quelli indicati nel numero 3-bis) della lettera e) del comma 1 dell’articolo 14 e non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 17, si applicano le pene ivi stabilite, diminuite da un terzo alla metà.
Il comma 5 dell’art. 73 D.P.R. n. 309/1990 disciplina l’ipotesi dello spaccio di sostanze stupefacenti di lieve entità, stabilendo che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329.
Si tratta di un’ipotesi meno grave ed allarmante che si configura tenendo conto dei mezzi, delle modalità dell’azione compiuta, della qualità e quantità delle sostanze cedute.
Il giudice, per decidere se lo spaccio è di lieve entità, deve valutare tutti gli elementi del caso concreto come per esempio la tipologia della sostanza stupefacente e la condotta dello spacciatore.
Secondo la costante giurisprudenza la fattispecie lieve di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990 può essere riconosciuta laddove, non solo il dato quantitativo e qualitativo, ma anche gli altri parametri indicati dal legislatore quali mezzi, modalità, circostanze dell’azione, lasciano ravvisare una minima offensività penale della condotta, con la conseguenza che, ove uno di essi risulti negativamente assorbente, il giudizio sugli altri diviene irrilevante. [1]
Ancora, la più recente giurisprudenza stabilisce che la diversità di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sé ostativa alla configurabilità del reato di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990, in quanto l’accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione. [2]
La valutazione del fatto deve guardare la complessità dello stesso, valorizzando in senso positivo o negativo, gli elementi che contraddistinguono tale condotta. Appare necessario evidenziare che non può assumere valenza esclusiva il dato quantitativo né quello qualitativo con riferimento alla diversità delle sostanze oggetto di cessione.
Con il decreto del Ministero della Salute dell’11 aprile 2006, si è provveduto alla determinazione dei limiti quantitativi massimi relativi alle sostanze stupefacenti incluse nella tabella I prevista dal testo unico approvato con D.P.R. n. 309/1990. In base a tale decreto, la dose media singola è la quantità di principio attivo per singola assunzione, idonea a produrre in un soggetto tollerante e dipendente un effetto stupefacente, individuata  applicando un  moltiplicatore variabile a seconda del tipo di sostanza. Così facendo si giunge all’individuazione del quantitativo soglia rilevante per la presunzione di uso personale dello stupefacente.
La nozione di dose media singola non può essere utilizzata per stabilire il quantitativo di dosi destinate allo spaccio, atteso che queste hanno normalmente un contenuto anche notevolmente superiore di principio attivo. Infatti, le dosi concretamente confezionate per lo spaccio non coincidono con la dose media singola.
Sulla base di questi vari elementi diventa difficile orientarsi in modo univoco sull’interpretazione della fattispecie di cui allart.73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990.
La Cassazione, già in passato, aveva affrontato l’argomento sia pur in relazione all’ipotesi dell’aggravante della ingente quantità. Infatti, con la famosa sentenza Biondi del 2012 erano state esaminate le pronunce degli ultimi 2 anni per fornire un quadro sul quale basarsi per orientare la decisione in merito.
Pertanto, le Sezioni Unite hanno affermato che l’aggravante della ingente quantità, di cui all’art. 80, comma 2, D.P.R. n. 309/1990, non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il valore massimo, in milligrammi (valore – soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata. [3]
La Cassazione, quindi, decide di seguire lo stesso percorso, al fine di individuare quei dati che possano rientrare pacificamente nell’ipotesi della lieve entità, tenendo conto che, in questo caso, il problema è aggravato dal fatto che il dato quantitativo non costituisce l’unico elemento di valutazione, dovendo questo inserirsi in un giudizio globale sull’offensività del fatto.
Tale verifica viene svolta sulla base di un recentissimo studio condotto dall’Ufficio per il Processo presso la Sesta Sezione dal titolo: “Il fatto di lieve entità ex art. 73, quinto comma, D.P.R. n. 309/1990: alla ricerca di una interpretazione tassativizzante. Un’indagine empirica della giurisprudenza di legittimità nel triennio 2020-2022”.
In questo studio sono state esaminate 398 vicende giudiziarie in materia di spaccio di lieve entità, dalle quali è emerso che il limite massimo entro il quale si può riconoscere la fattispecie attenuta è: -150 g. per la cocaina; -107,71 g. per l’eroina; -246 g. per la marijuana; -386,93 g. per l’hashish.

3. La decisione della Corte

Nel caso in esame, siamo in presenza di un’attività di piccolo spaccio, dalla quale, infatti, deriva una limitata disponibilità economica e la possibilità di soddisfare un minimo numero di richieste.
La Corte d’Appello ha escluso la particolare tenuità del fatto basandosi sul numero di dosi medie indicate in 1351.
Appare necessario evidenziare che il giudizio di offensività di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990 non può fondarsi sul numero di dosi medie singole ricavabili, dal momento che tale dato indica solo la quantità di principio attivo per singola assunzione idonea a produrre in un soggetto dipendente un effetto stupefacente, ma non corrisponde in realtà al numero di dosi in effettivamente commercializzate con il quantitativo di stupefacente sequestrato.
La Suprema Corte di Cassazione ha affermato che, per consolidata giurisprudenza, il reato di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990, può essere riconosciuto nell’ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio. [4] 
Sulla base delle varie pronunce giurisprudenziali, ai fini della valutazione della sussistenza del fatto lieve, il giudice può tener conto, unitamente agli altri elementi descrittivi della condotta, del fatto che il dato ponderale oggetto di giudizio è stato ritenuto, in seguito allo studio svolto, come compatibile con l’art. 73, comma 5, D.P.R.  n. 309 del 1990.
In conclusione, nel caso in esame, appare necessario evidenziare come, sulla base della studio svolto, la sostanza sequestrata, pari a 100 g. di hashish, in assenza di ulteriori elementi che siano sufficienti ad assorbire tutti gli altri, rientra proprio nel valore soglia che è stato ricondotto nell’ambito del fattispecie di lieve entità.

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  1. [1]

    Cass., S.U.,24 giugno 2010, n. 35737; Cass., S.U.,21 giugno 2000, n.17;

  2. [2]

    Cass., S.U., 27 settembre 2018, n. 51063;

  3. [3]

    Cass., S.U, 24 maggio 2012, n. 36258;

  4. [4]

    Cass., Sez. VI, 25 novembre 2022, n. 45061.

Alessandra Paglione

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