Anna Costagliola
La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante di 7 carcerati (qui il testo integrale, in francese, della sentenza) detenuti nel carcere di Busto Arsizio e in quello di Piacenza. In particolare, la violazione dei diritti dei detenuti è perpetrata in quanto tenuti in celle dove hanno a disposizione meno di 3 metri quadrati. La Corte ha inoltre condannato l’Italia a pagare ai sette detenuti un ammontare totale di 100 mila euro per danni morali.
Nella sentenza di condanna emessa ieri, i giudici della Corte europea dei diritti umani constatano che il problema del sovraffollamento carcerario in Italia è di natura strutturale, e che dunque esso riguarda non solo i 7 ricorrenti, come evidenziato dalla circostanza resa nota dalla stessa Corte per cui essa ha già ricevuto più di 550 ricorsi da altri detenuti che sostengono di essere tenuti in celle dove avrebbero non più di 3 metri quadrati a disposizione. Questa è la seconda condanna per l’Italia, dopo quella del luglio del 2009, per aver tenuto i detenuti in celle troppo piccole.
La Corte di Strasburgo ha più volte ribadito che l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo impone allo Stato di assicurare che tutti i prigionieri siano detenuti in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione del provvedimento non provochino all’interessato una condizione di sconforto o di malessere tale da eccedere l’inevitabile livello di sofferenza legato alla detenzione e che, tenuto conto delle necessità pratiche della reclusione, la salute ed il benessere del detenuto siano assicurati in modo adeguato. Tanto premesso, il problema del sovraffollamento non è solo un problema di spazio vitale individuale, ma ha effetti negativi sul processo di reintegrazione e di conseguenza sulla recidiva e sulla sicurezza della comunità esterna. L’invivibilità del carcere acutizza o provoca patologie psicofisiche; produce insonnia, depressione, anoressia, e induce i detenuti a forme di reazione estreme, come lo sciopero della fame e della sete o, addirittura, il suicidio. Il crescente numero di suicidi all’interno degli istituti di pena italiani, oltre a rappresentare un episodio altamente drammatico sotto il profilo umano, costituisce un dato allarmante, sintomatico proprio della gravissima condizione di sovraffollamento delle carceri. Proprio l’art. 27, co. 3, della Costituzione, disponendo che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato», sottolinea l’inviolabilità della vita e dell’integrità psico-fisica del condannato. Conseguentemente la garanzia della tutela della salute psico-fisica e sociale diventa basilare, costituendo la condizione imprescindibile per qualsiasi attività di recupero e reinserimento sociale delle persone in stato di detenzione.
La battaglia contro il sovraffollamento nelle carceri appare pertanto fondamentale per tutelare la salute dei detenuti e degli operatori penitenziari, tutti coinvolti nella drammatica emergenza. La finalità è quella di stabilire una base di regole minime su tutti gli aspetti dell’Amministrazione Penitenziaria che siano essenziali per assicurare delle condizioni umane di detenzione e un trattamento positivo.
Per gli operatori del settore tale situazione va addebitata all’assenza di una seria ed organica analisi delle cause del sovraffollamento e, conseguentemente, alla predisposizione di scelte anche normative incapaci di contrastare e governare il fenomeno. Numerosi studi e documenti esprimono preoccupazione per il crescente fenomeno del sovraffollamento carcerario, lamentando l’incapacità delle forze politiche di indicare gli strumenti e gli interventi necessari per risolvere il problema.
I giudici di Strasburgo chiamano ora le autorità italiane a risolvere immediatamente il problema del sovraffollamento, anche prevedendo pene alternative al carcere. I giudici chiedono inoltre all’Italia di dotarsi, entro un anno, di un sistema di ricorso interno che dia modo ai detenuti di rivolgersi ai Tribunali italiani per denunciare le proprie condizioni di vita nelle prigioni e poter ottenere un risarcimento per la violazione dei loro diritti.
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