Sisma de L’Aquila: la posizione di garanzia del direttore dei lavori nel crollo del condominio

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Dopo il terribile terremoto che ha sconvolto L’Aquila nel 2009, sotto processo chiamati a rispondere dei reati di crollo di costruzione (art. 434 Cp), omicidio colposo (art. 589 Cp) e lesioni personali colpose (art. 590 co. III e V Cp), sono finiti il progettista nonché direttore dei lavori e il costruttore di una palazzina di quattro piani, sbriciolatasi in occasione del terremoto del 6 aprile 2009, nella quale trovarono la morte 13 persone ed altre rimasero ferite.

Agli imputati, in particolare al direttore dei lavori, si contestava la circostanza per cui, era stato incaricato nell’anno 2002 dal condominio di progettare e dirigere i lavori per la realizzazione di alcune opere di manutenzione straordinaria, afferenti <<l’incamiciatura (rinforzo mediante rivestimento e aumento delle dimensioni) di sei pilastri in calcestruzzo armato, posti nel piano seminterrato, resisi necessarie per il distacco del copriferro a causa dell’ossidazione e del rigonfiamento dei ferri di armatura, l’originaria contestazione>>, l’omessa vigilanza sulla corretta esecuzione dei lavori nonché la negligenza e l’imperizia consistita nella mancata effettuazione, né preventiva né successiva, in merito alla valutazione sull’adeguatezza sismica dell’immobile.

Nel giudizio di primo grado, a seguito di consulenza tecnica disposta dal tribunale di L’Aquila emergeva come <<il collasso diffuso a tutti i piani sarebbe avvenuto anche in assenza della incamiciatura dei pilastri del seminterrato>> e che, pertanto, <<il crollo risultava riconducibile esclusivamente alle gravissime violazioni della normativa antisismica dell’originario progetto>>, tuttavia, il Tribunale condannava comunque il direttore dei lavori di manutenzione in considerazione del fatto che lo stesso avrebbe omesso di esaminare la documentazione della originaria progettazioni e le condizioni preesistenti dell’edificio, controllo che avrebbe sicuramente permesso al direttore dei lavori di rilevare le precedenti carenze strutturali dell’immobile.

La condanna veniva ridotta in appello ad un anno e dieci mesi di reclusione in relazione alla ritenuta titolarità di una <<posizione di garanzia>> in capo al direttore dei lavori, ciò perché <<l’incarico ricevuto dal condominio era relativo alla progettazione ed esecuzione di opere che, secondo il perito, essendo strutturali (le camicie erano in grado di alterare lo stato intensionale dei pilastri interessati) e determinando importanti implicazioni di natura statica richiedevano la verifica degli elementi interessati dall’intervento, secondo la normativa in allora vigente. L’imputato avrebbe dovuto fare denuncia dell’intervento al Genio civile e far sottoporre l’opera al collaudo statico>>.

A seguito di ricorso dinnanzi alla Suprema Corte da parte degli imputati, la IV sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36285, del 2 settembre 2016, ha tuttavia annullato la sentenza impugnata e rinviato la causa per un nuovo esame dinnanzi alla Corte d’Appello di Perugia.

Il Giudice di legittimità, infatti, ha circoscritto il tema d’indagine, ritenendo che dirimente fosse chiarire se, in capo al tecnico incaricato a dirigere lavori incidenti solo su una limitata porzione dell’edificio, sussistesse un obbligo di garantire oltre che la corretta esecuzione dei lavori affidatagli, anche la complessiva sicurezza dell’edificio.

A tal proposito la Corte di Cassazione ritiene che <<l’obbligo di garanzia non può andare oltre l’oggetto del rapporto contrattuale; e quindi non può concernere opere che non siano investite dell’attività del progettista e/o direttore dei lavori>>.

In altri termini, qualora le opere affidate siano del tutto indipendenti da quelle preesistenti, alcun obbligo può essere imposto al tecnico intervenuto successivamente e, in particolare, che il medesimo si faccia carico di verificare la sicurezza di opere precedenti per le quali non vi è alcuna norma che gli imponga un obbligo di intervento, se non un dovere morale.

Nel caso concreto, tuttavia, così come correttamente rilevato dalla Corte di merito, <<il tipo di intervento affidato aveva carattere strutturale perché si trattava di lavori di incamiciatura di sei pilastri, con effetti sullo stato tensionale dei medesimi (oggetto dell’intervento a sue cure). Sicché egli aveva l’obbligo giuridico di osservare la normativa antisismica all’epoca vigente, la quale implicava l’accertamento della consistenza dei pilastri sui quali eseguire l’intervento; dal che sarebbe derivata la conoscenza dei difetti strutturali che viziavano i sei pilastri>>.

Tuttavia, al fine di ritenere la responsabilità del direttore dei lavori occorreva accertare l’esistenza del nesso causale tra la riscontrata omissione e l’evento dannoso.

Ed invero, posto che <<non è in discussione la prevedibilità del sisma che si verificò il 6.4.2009, nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto>>.

Tale accertamento non è stato compiutamente posto in essere dalla Corte di merito che, al contrario, si è limitata ad un mero ragionamento logico-deduttivo, senza porre a sostegno di tale argomentazione alcun dato processuale.

In realtà sarebbe stato necessario, ad esempio, <<indagare su quali fossero i rimedi concretamente adottabili, se essi fossero nella disponibilità del condominio tanto per l’aspetto economico che per quello dispositivo; se vi fosse la concreta possibilità di un intervento dell’autorità pubblica, a fronte di una eventuale inattività dei condomini, ciò nonostante permanenti nelle rispettive abitazioni, quali fossero i tempi di attuazione delle misure concretamente adottabili>>.

La sentenza impugnata, pertanto, non appare conferme alle disposizioni in materia di causalità nei reati omissivi impropri e, pertanto, deve essere annullata con rinvio a diversa Corte d’Appello.

Avv. Accoti Paolo

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