Sharenting: un fenomeno sociale pericoloso e inconsapevole

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Sharenting: un brutto termine per indicare un fenomeno pericoloso ed inconsapevole, ossia l’abitudine, ormai radicata e inveterata, dei genitori di condividere le foto dei propri figli, anche molto piccoli, sui social network. Il vocabolo sharenting pare non essere ancora stato sdoganato dalla Crusca, nonostante alcune sue ultime “moderne” decisioni, ma è invece stato introdotto a partire dal 2022 nell’enciclopedia della lingua inglese Oxford English Dictionary come la crasi di share, che significa condividere e parenting, che significa fare i genitori: comparso per la prima volta nel 2021 in un articolo sul Wall Street Journal, oggi indipendentemente dalla semantica, il fenomeno è diffuso a macchia d’olio in tutto il mondo.
Con una netta prevalenza delle mamme, che distaccano i papà per frequenza e quantità di foto pubblicate, uno studio europeo del 2021 mostra che l’80% dei bambini ha una significativa presenza online dall’età di due anni, prevalentemente su Facebook (non solo sulla bacheca della propria pagina personale, in teoria riservata gli “amici”, ma anche in gruppi aperti e pubblici), Instagram e Twitter. Il fenomeno dello sharenting è maggiormente diffuso per i bambini dagli zero ai tre anni, ma oltre il 64% dei genitori pubblica foto dei figli anche dopo il quarto anno di vita. Questo significa che al raggiungimento dell’età per il consenso digitale (in Italia fissato ai 14 anni, ma su quasi tutti i social 13 anni è l’età minima richiesta per iscriversi, anche se il GDPR parla di 16 anni) un adolescente medio avrà una presenza social pari a migliaia di scatti già presenti in rete.

Indice

1. La normativa in Italia sullo sharenting e le principali sentenze


Un fenomeno che non riesce ad arginarsi: in Italia non c’è una legge specifica che vieti o regolamenti la condivisione delle fotografie dei propri figli online da parte dei genitori, facendosi riferimento alle regole generali sul diritto alla vita privata, alla tutela della propria immagine, ai doveri di protezione ed educazione che incombono sui genitori.
Diverse, invece, sono le pronunce giurisprudenziali che hanno condannato i genitori ad un risarcimento in favore dei figli, i quali, una volta diventati maggiorenni, hanno fatto causa alla madre ed al padre per le numerose immagini postate senza il loro consenso.
Ricordiamo, tra le altre:

  • Ordinanza Tribunale di Pistoia, 7 luglio 2018, secondo cui il padre che si sta separando non può sfogarsi e pubblicare le foto della figlia minorenne sui social, in quanto tali comportamenti le creano disagi. Ogni condotta di esposizione mediatica dei figli minorenni può essere valutata dal giudice ai fini della decisione sul regime di affidamento dei figli, oltre ad essere adeguatamente sanzionata.
  • Sentenza 403/2020 del Tribunale di Chieti, che ha prescritto a due genitori divorziati di astenersi dalla pubblicazione sui social delle foto del figlio senza il suo consenso.
  • Tribunale di Ravenna, 2019, per ricordarci che non basta il consenso di un solo genitore per pubblicare le foto di un minore infra-quattordicenne sui social, in caso di genitori sepratai ed affidamento congiunto;
  • Tribunale di Roma, 2020, che ha deciso sul caso riguardante un sedicenne la cui madre pubblicava immagini che lo ritraevano, nonostante la sua opposizione: in questo caso, avvenuto prima dell’entrata in vigore del GDPR (quindi prima dell’istituzione dell’età del consenso digitale) il minore era affidato a un tutore e la pubblicazione delle fotografie da parte della madre era lesiva della sua dignità. Il Giudice, valutando il primario interesse del minore, ha disposto la cessazione del comportamento e ha condannato la madre al pagamento di una penalità di mora in caso di persistenza della violazione.
  • Tribunale di Mantova, 2017, che ha ritenuto che “L’inserimento di foto di minori su social network costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto on-line, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che taggano le foto on-line di minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati, come ripetutamente evidenziato dagli organi di polizia. Il pregiudizio del minore è dunque insito nella diffusione della sua immagine sui social network sicché l’ordine di inibitoria e rimozione va impartito immediatamente”.
  • Tribunale di Trani, 2021, chiamato a giudicare una madre separata che aveva pubblicato alcuni video della figlia di 9 anni su TikTok. Il giudice ne ha disposto la rimozione d’urgenza e ha condannato la madre a pagare 50 euro per ogni giorno di avvenuta violazione e di ritardo nell’esecuzione del provvedimento giudiziario, con la richiesta che il denaro dovrà essere versato su un conto corrente intestato alla minore.

La normativa di riferimento è l’art. 10 del codice civile, che disciplina la tutela dell’immagine, il Codice della privacy ed il Regolamento per la Protezione dei dati personali, Reg. UE 679/2016 («la immagine fotografica dei figli costituisce dato personale» e “la sua diffusione integra una interferenza nella vita privata”), l’art. 96 della legge 633/1941 sul diritto d’autore, che prevede che il ritratto di una persona non possa essere esposto senza il suo consenso,  nonché la Convenzione di New York per i diritti del fanciullo del 1989, all’art. 16, nel punto in cui stabilisce che «nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione» e che «il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti»”.


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2. La proposta di legge francese


In Francia è recentemente passata al Senato una proposta di legge per vietare l’uso dei social network ai minori di 15 anni, ed è altresì stata approvata una norma per regolamentare il fenomeno dei cosiddetti baby influencer; oggi è in discussione una proposta di legge specifica proprio per contrastare il fenomeno dello sharenting, volta a limitare la diffusione delle immagini dei bambini sul web.
Nel testo della proposta di legge viene citato un rapporto del Children’s Commissioner for England del 2018 nel quale si stimerebbe che prima del compimento dei 13 anni ogni bambino apparirebbe sull’account dei propri genitori o sul suo profilo in ben 1300 foto nei momenti più disparati, come vacanze, gare sportive, quotidianità scolastica, Natale e compleanno: una tendenza pericolosa, poiché vengono consegnate al web non solo le immagini dei minori, ma anche dettagli particolareggiati della loro quotidianità, come appunto la data di nascita, la scuola frequentata, lo stile di vita e gli ambienti di maggior passaggio. Tutta manna dal cielo per qualsiasi tipo di crimine, dal “banale” (si fa per dire) furto di identità all’ovvio e detestabile fenomeno della pedopornografia e dell’adescamento online.
In Italia, nel corso del 2021 sono stati 5.316 i casi di pedopornografia denunciati alla Polizia Postale, con un aumento del 47% rispetto al 2020. In crescita anche il numero dei minori approcciati sul web da adulti, pari a 531, per la gran parte con un’età inferiore ai 13 anni (338 minori, quasi il 64% di cui 306 nella fascia 10-13 anni), ma sono in drammatico aumento anche pure i casi di adescamento online dei bambini nella fascia 0-9 anni (32 casi).

3. Servirebbe una legge anche in Italia?


Probabilmente, ma probabilmente no. In verità la legge c’è, come dimostrano le sentenze sopra citate, il Regolamento parla chiaro, così come il Codice civile e le altre convenzioni internazionali e normative interne, cui si può fare riferimento.
Quello che servirebbe e che forse manca è un po’ più di buon senso, di educazione digitale, di consapevolezza.
Parliamo spesso di giovani nativi digitali e dell’educazione che gli adulti, genitori e insegnanti, dovrebbero impartire ai giovani sull’utilizzo consapevole della tecnologia che oggi abbiamo a disposizione. Ma forse ci siamo dimenticati di un fondamentale tassello, che è l’educazione degli educatori, generazione che non è nata e cresciuta al tempo dei social, ma che si li è visti rovesciare addosso in età più che adulta e che di questo strumento affascinante e misterioso, forse, spesso, sottovaluta i rischi e i pericoli.
Comincerei da loro. Da noi, Generazione X, o quale che sia la lettera di riferimento, spiegando, approfondendo, divulgando, in modo che lo sharenting, da emergenza sociale (e giuridica), diventi solo la stravaganza di una minoranza, mentre la maggioranza è più occupata nella parte di parenting, piuttosto che in quella di share.

Avv. Luisa Di Giacomo

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