Servizio di brokeraggio assicurativo: qualora il giudice riconosca il diritto ad ottenere il risarcimento del danno (per equivalente) a favore di una Società di brokeraggio a cui, illegittimamente, un’amministrazione pubblica non ha aggiudicato il servizi

Lazzini Sonia 07/06/07
Scarica PDF Stampa
In tema di risarcimento del danno da riconoscere ad una Società di brokeraggio assicurativo a seguito di una mancata aggiudicazione, merita di essere riportato il pensiero espresso dal Consiglio di Stato con la decisione numero 7402  del 14 dicembre 2006:
 
<Si afferma inoltre che la misura del risarcimento accordato non poteva eccedere il 10%, sia perché tale era la richiesta della ricorrente, sia perché tale percentuale è quella solitamente accordata dalla giurisprudenza sulla base di quanto previsto dall’art. 345 della legge n. 2248 del 1865 all. F.
 
In merito al primo punto si osserva che la ricorrente ha rimesso al giudice la individuazione della misura del risarcimento dovuto, nell’esercizio del potere conferito dall’art. 35 del d.lgs. n. 80 del 1998 e successive modificazioni.
 
A questo riguardo è noto come la giurisprudenza, in sede di risarcimento del danno da mancata aggiudicazione di un pubblico appalto, sia solita assumere la percentuale del 10% dell’importo dell’offerta come criterio indicativo e forfetario, da utilizzare quando non sia possibile stabilire con certezza l’entità del pregiudizio economico subito dal danneggiato
 
Il criterio suindicato, peraltro, non ha portata vincolante, ben potendo il giudice, nell’esercizio del potere conferito dall’art. 35 del d.lgs n. 80 di stabilire i criteri per la quantificazione del danno, dettare modalità di commisurazione più rispondenti alla specifica fattispecie, specie se sia possibile disporre di elementi sufficientemente adeguati di individuazione della perdita economica subita.
 
La fattispecie, come è noto, concerne l’appalto del servizio di brokeraggio assicurativo, che è sprovvisto di un importo predeterminato come base di asta, poiché il compenso del broker, a norma dell’art. 2 del bando, viene corrisposto dalle compagnie assicuratrici con le quali verranno stipulati i diversi contratti.
 
Appare dunque condivisibile il criterio adottato dai primi giudici, che sono pervenuti alla individuazione dell’entità del risarcimento nell’utile ricavato dalla stipulazione delle polizze conseguenti alla attribuzione del servizio in questione.>
 
A cura di *************
 
 
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
L CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE
Sezione Quinta Anno 2006
 
 
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso n. 1700 del 2006, proposto dal Comune di Casagiove, rappresentato e difeso dall’**************************** elettivamente domiciliato presso l’avv. ************** in Roma, via dei Gracchi 278
 
contro
 
*** s.r.l., non costituita in giudizio,
 
e nei confronti
 
di *** s.p.a., non costituita in giudizio,
 
per la riforma
 
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sez.I, 12 settembre 2005 n. 12328, resa tra le parti.
 
Visto il ricorso con i relativi allegati;
 
Visti gli atti tutti della causa;
 
Relatore alla pubblica udienza del 30 maggio 2006 il consigliere *************, e udito l’avv. **********;
 
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
 
FATTO
 
Con la sentenza in epigrafe è stato accolto il ricorso proposto dalla s.r.l. *** Insurance Risk Menagement per l’annullamento dell’aggiudicazione a *** s.p.a. del servizio di brokeraggio assicurativo per il Comune di Casagiove. Il TAR ha anche accolto la domanda di condanna del Comune al risarcimento del danno ed alle spese processuali.
 
Il Comune di Casagiove aveva bandito una gara per l’affidamento del servizio di brokeraggio per la durata di 3 anni, da aggiudicare all’offerta più vantaggiosa secondo i criteri indicati dall’art. 4 del capitolato speciale di appalto. Il seggio di gara, dopo aver escluso due concorrenti tra i quali la ricorrente, attribuiva alla ***, unica partecipante rimasta, un punteggio complessivo di punti 40/45, dichiarandola aggiudicataria provvisoria (verbale 21/3/2003).
 
Successivamente la ricorrente veniva riammessa in gara in sede di autotutela (verbale 3/4/2003) ed alla sua offerta veniva assegnato un punteggio complessivo di punti 40/45 (verbale 7/4/2003).
 
Il seggio di gara, attesa l’uguaglianza dei punteggi attribuiti ai due soli concorrenti in classifica, rinviava alla Giunta municipale la scelta dell’aggiudicatario.
 
Con nota n. 4910 del 15/4/2003, il dirigente preposto all’area invitava le ditte concorrenti a presentare proposte migliorative entro il termine del 28/4/2003, poi differito al 30/4/2003 ma, con determina dirigenziale n. 342 del 28/4/2003, l’incarico veniva affidato in via d’urgenza per un anno alla ***.
 
L’aggiudicazione è stata impugnata dalla *** s.r.l., che, con atto notificato il 12/11/2003, estendeva l’impugnativa alla convenzione stipulata in data 18/6/2003 per lo svolgimento dei servizio.
 
Il TAR ha ritenuto che il giudizio valutativo delle offerte fosse viziato per difetto di motivazione, manifesta illogicità e contraddittorietà, in quanto l’offerta della ricorrente ha ricevuto un punteggio inferiore a quello che le sarebbe spettato in base ai criteri stabiliti dal capitolato speciale.
 
Il Comune di Casagiove ha proposto appello sostenendo l’erroneità della sentenza e ne ha chiesto la riforma.
 
Né la *** né la *** si sono costituite nel giudizio di appello.
 
Alla pubblica udienza del 30 maggio 2006 la causa è stata trattenuta in decisione.
 
DIRITTO
 
Il primo motivo di appello fa leva sulla circostanza che la convenzione stipulata dal Comune con la *** s.p.a., per lo svolgimento del servizio aggiudicato con la determinazione del 28 aprile 2003, impugnata con il ricorso principale, ha formato oggetto di motivi aggiunti proposti tardivamente.
 
Secondo l’assunto, la inammissibilità della impugnazione della convenzione travolgerebbe anche il ricorso contro l’aggiudicazione, benché proposto nei termini.
 
La tesi è destituita di fondamento.
 
Va chiarito che l’aggiudicazione rappresenta l’esercizio della potestà pubblicistica concernente la scelta del contraente, mentre la convenzione stipulata con il medesimo è lo strumento servente di natura privatistica che regola lo volgimento del servizio, se ed in quanto sia valida ed efficace l’aggiudicazione. Quest’ultimo, quindi è atto presupposto rispetto alla convenzione, mentre la tesi dell’appellante tende, contro ogni principio, a capovolgere il rapporto tra i due atti: sono le vicende riguardanti il provvedimento presupposto che possono riverberare i loro effetti sul contratto che ad esso accede, non viceversa. L’annullamento del contratto per vizi propri, infatti, non inciderebbe comunque sulla posizione dell’aggiudicatorio, che trae fondamento non dalla volontà dei contraenti ma dall’atto unilaterale e autoritativo dell’Amministrazione. Al contrario il venir meno dell’aggiudicazione incide sulla conseguente convenzione, rendendola inefficace (Cons. St. Sez. V, 28 settembre 2005 n. 5194; 11 novembre 2004 n. 7346; 28 maggio 2004 n. 3465, con ampia ricostruzione della giurisprudenza in materia).
 
In conclusione, l’impugnazione della convenzione oltre il termine decadenziale non provoca l’improcedibilità del ricorso tempestivamente proposto avverso l’aggiudicazione.
 
Con diverso mezzo l’appellante addebita alla sentenza di aver sindacato una determinazione che costituirebbe esercizio di potestà discrezionale riservata all’amministrazione.
 
Si assume, inoltre, che la attribuzione dello stesso punteggio alle due concorrenti per le voci: a) numero e denominazione degli enti pubblici serviti; b) elaborazione di uno studio di analisi dei rischi, non sarebbe illegittima.
 
Quanto al primo punto l’appellante rileva che la previsione nel bando di un punteggio da 1 a 5 non vincolava la Commissione ad assegnare punteggi differenziati, assumendo rilievo assorbente che le concorrenti disponessero del numero minimo (5) di enti serviti.
 
La tesi va disattesa.
 
La previsione di punteggi minimo e massimo in funzione del numero di enti serviti, non poteva che stabilire l’obbligo di graduare il punteggio in proporzione ai titoli posseduti, ed è pacifico che la ricorrente sopravanzasse largamente l’aggiudicataria.
 
In ordine al punteggio sub b), si contesta che potesse darsi un rilievo incidente sul punteggio alla osservazione contenuta nel verbale di gara secondo cui “l’analisi metodologica di *** è più approfondita e pregna di elementi che assicurano all’ente la possibilità di valutare tutte le possibilità”. Si tratterebbe della semplice menzione di una modalità espositiva, che non escluderebbe la legittimità di un apprezzamento di valore equivalente riguardo all’analisi esposta dall’altra concorrente.
 
Il Collegio non condivide la tesi.
 
Le espressioni sopra riferite contengono un giudizio più favorevole, in termini di approfondimento dell’analisi e della ricchezza degli elementi offerti, dell’elaborato della ricorrente rispetto a quello dell’aggiudicataria, e tale valutazione non poteva che tradursi nell’assegnazione di un punteggio differenziato.
 
Le ulteriori argomentazioni svolte dall’appellante a sostegno della scelta operata in favore dell’aggiudicataria risultano irrilevanti, perché assumono come presupposto l’acquisizione da parte delle due concorrenti di un identico punteggio. Ma tale circostanza è stata il frutto di una illegittima attribuzione dei punteggi, secondo quanto appena considerato, con conseguente illegittimità della determinazione di aggiudicazione.
 
L’appello si conclude con la contestazione del capo di sentenza    recante la condanna al risarcimento del danno per equivalente, nella misura dell’utile ricavabile per effetto della convenzione conclusa con l’aggiudicataria.
 
Appare non sorretta dal necessario presupposto di fatto la tesi che la condanna avrebbe dovuto assumere la forma del risarcimento in forma specifica. L’aggiudicazione è avvenuta il 18 giugno 2003 per la durata di un solo anno, e al momento della decisione del ricorso nel luglio 2005 il provvedimento aveva esaurito i suoi effetti, con conseguente impossibilità per la ricorrente di essere immessa nello svolgimento del servizio.
 
Si afferma inoltre che la misura del risarcimento accordato non poteva eccedere il 10%, sia perché tale era la richiesta della ricorrente, sia perché tale percentuale è quella solitamente accordata dalla giurisprudenza sulla base di quanto previsto dall’art. 345 della legge n. 2248 del 1865 all. F.
 
In merito al primo punto si osserva che la ricorrente ha rimesso al giudice la individuazione della misura del risarcimento dovuto, nell’esercizio del potere conferito dall’art. 35 del d.lgs. n. 80 del 1998 e successive modificazioni.
 
A questo riguardo è noto come la giurisprudenza, in sede di risarcimento del danno da mancata aggiudicazione di un pubblico appalto, sia solita assumere la percentuale del 10% dell’importo dell’offerta come criterio indicativo e forfetario, da utilizzare quando non sia possibile stabilire con certezza l’entità del pregiudizio economico subito dal danneggiato (Cons. St. Sez. V, 11 maggio 2004 n. 2962, 7 aprile 2004 n. 1980; 8 aprile 2003 n. 1865).
 
Il criterio suindicato, peraltro, non ha portata vincolante, ben potendo il giudice, nell’esercizio del potere conferito dall’art. 35 del d.lgs n. 80 di stabilire i criteri per la quantificazione del danno, dettare modalità di commisurazione più rispondenti alla specifica fattispecie, specie se sia possibile disporre di elementi sufficientemente adeguati di individuazione della perdita economica subita.
 
La fattispecie, come è noto, concerne l’appalto del servizio di brokeraggio assicurativo, che è sprovvisto di un importo predeterminato come base di asta, poiché il compenso del broker, a norma dell’art. 2 del bando, viene corrisposto dalle compagnie assicuratrici con le quali verranno stipulati i diversi contratti.
 
Appare dunque condivisibile il criterio adottato dai primi giudici, che sono pervenuti alla individuazione dell’entità del risarcimento nell’utile ricavato dalla stipulazione delle polizze conseguenti alla attribuzione del servizio in questione.
 
In conclusione l’appello deve essere rigettato.
 
La soccombenza dell’appellante e la mancata partecipazione al giudizio delle parti evocate esonera dal pronunciare la condanna sulle spese.
 
P.Q.M.
 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta,   rigetta l’appello in epigrafe;
 
nulla per le spese;
 
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
 
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 maggio 2006
DEPOSITATA IN SEGRETERIA – 14 dicembre 2006

Lazzini Sonia

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento