Servitù di uso pubblico per “dicatio ad patriam”: elementi costitutivi e prova

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La “dicatio ad patriam”, quale modalità di costituzione di una servitù di uso pubblico, deve essere provata dalla Amministrazione Pubblica che la invoca, con particolare riferimento alla protrazione ultraventennale dell’uso pubblico. Il proprietario del bene assoggettato a servitù di uso pubblico è tenuto ad un comportamento passivo, consistente nella tolleranza all’esercizio della servitù da parte della collettività e deve, pertanto, evitare di compiere atti che possano rendere impossibile o eccessivamente gravosa l’esercizio della stessa.

Con sentenza n. 2701/18 depositata il 05/12/2018, il Giudice di Pace di Catania ha affrontato la questione relativa alla costituzione di una servitù di uso pubblico per dicatio ad patriam.

Il caso

Con ricorso depositato in cancelleria il Sig. X, titolare di una caffetteria, proponeva opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione emessa dal Comune di Catania, Direzione Ragioneria Generale, con la quale si ingiungeva il pagamento di canoni e sanzioni per aver occupato suolo pubblico con un gazebo. Il ricorrente rappresentava di essere conduttore, giusto contratto di locazione regolarmente registrato, oltre che del locale bottega a destinazione commerciale, anche di parte dell’area esterna pavimentata antistante il locale. L’area scoperta antistante la bottega, per la quale il Comune di Catania chiedeva canoni e sanzioni per occupazione del suolo pubblico, non risultava essere di proprietà comunale bensì proprietà della locataria dell’immobile, che ne aveva autorizzato l’uso al ricorrente. Lamentava pertanto il ricorrente l’illegittimità dell’atto impugnato stante la natura privata dell’area.

Si costituiva in giudizio il Comune di Catania il quale, pur non contestando la natura privata dell’area esterna occupata dal ricorrente, deduceva l’esistenza di una servitù di uso pubblico sull’area in questione costituitasi per dicatio ad patriam. In particolare, gli elementi di arredo collocati dal Sig. X avrebbero occupato un’area privata soggetta ad uso pubblico, in particolare un’estensione del marciapiede su cui si affacciano diverse attività commerciali ed il cui uso è consentito ad una molteplicità indistinta di utenti: in tale fattispecie sussisterebbe “dicatio ad patriam”. E poiché ai sensi dell’art. 38 comma 3 D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 la tassa per occupazione del suolo pubblico si applica, altresì, alle occupazioni realizzate su tratti di aree private sulle quali risulta costituita, nei modi e nei termini di legge, la servitù di pubblico passaggio, l’ordinanza impugnata risulterebbe pienamente legittima.

Il Giudice di Pace di Catania accoglieva il ricorso con le seguenti motivazioni.

La cosiddetta “dicatio ad patriam” quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico su un bene privato, consiste nel comportamento del proprietario che, se pur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, che ne perfeziona l’esistenza, senza che occorra alcun atto negoziale od ablatorio, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività “uti cives”, indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità o meno e dallo spirito che lo anima (Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 12167 del 12.08.2002; Sez. II, sent. n. 7481 del 04.06.2001; Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 10574 del 10.12.1994; Cons. Stato, Sez. V – sentenza 24 maggio 2007 n. 2618).

Tuttavia, per ritenersi costituita una servitù di uso pubblico, non è sufficiente la sola utilizzazione di fatto da parte di soggetti diversi dal proprietario, essendo altresì necessario che: 1) il bene risulti posto al servizio della generalità indifferenziata dei cittadini; 2) la collettività ne faccia autonomamente uso per la circolazione; 3) infine l’uso, onde poter escludere che esso sia frutto della mera tolleranza dominicale, si sia protratto per il tempo necessario all’acquisto per usucapione (Consiglio Stato, sez. V, 21 giugno 2007, n. 3316).

Quest’ultimo aspetto risulta essere particolarmente rilevante allorché la giurisprudenza ha più volte specificato la necessità di dimostrare la protrazione dell’uso pubblico da tempo immemorabile (cfr. ex plurimis, C.d.S., Sez. V, 4 febbraio 2004, n. 373; C.d.S., Sez. V, 1 dicembre 2003, n. 7831; T.A.R. Abruzzo, Pescara, 4 marzo 2006, n. 144; T.A.R. Toscana, sez. III, 19 luglio 2004, n. 2637; T.A.R. Lazio, sez. II, 29 marzo 2004, n. 2922; TAR Campania – Napoli, Sez. VIII – sentenza 1 giugno 2007, n. 5906), almeno ultraventennale (Cons. Stato, Sez. V – sentenza 4 febbraio 2004 n. 373; Cons. Stato, Sez.. V – sentenza 4 febbraio 2004, n. 373; TAR Puglia – Lecce, Sez. I – sentenza 9 gennaio 2008 n. 48).

La costituzione della servitù di uso pubblico

Nel caso di specie non risultano provate le condizioni temporali per la costituzione della servitù di uso pubblico, specie alla luce di quell’orientamento giurisprudenziale che ritiene sussista in capo all’Amministrazione un onere probatorio di particolare rigore (T.A.R. Lombardia Brescia, 20 dicembre 2005, n. 1365; T.A.R. Lombardia Brescia, 22 marzo 2004, n. 232) in ordine alla dimostrazione dell’esistenza e del protrarsi dell’uso pubblico (T.A.R. Abruzzo Pescara, sez. I, 10 dicembre 2008, n. 955; T.A.R. Trentino Alto Adige Trento, 10 novembre 2008, n. 286; Cons. Stato, Sez. V – sentenza 24 maggio 2007 n. 2618, secondo cui l’esistenza di una servitù pubblica di passaggio, su una strada privata, non si suppone, ma va dimostrata attraverso la prova dell’uso e dell’utilità pubblica di detta strada).

Il Comune di Catania si è limitato invece a produrre una fotografia in bianco e nero, tratta da “Google Maps”, raffigurante il gazebo del ricorrente che occupa l’area prospiciente il marciapiede, area la cui titolarità privata risulta provata e non contestata.

Nessuna indicazione viene fornita circa l’utilizzo pubblico dell’area prima dell’apposizione del gazebo da parte del ricorrente né dell’eventuale protrazione nel tempo di tale utilizzo pubblico.
In definitiva, sia pure nelle forme dell’accertamento incidentale, non si possono apprezzare validi elementi per ritenere che sulle aree in questione si sia consolidata una servitù di uso pubblico per dicatio ad patriam.

La servitù di uso pubblico, inoltre, va tenuta distinta dalla servitù pubblica, per essere la prima rivolta a vantaggio della collettività e non di un singolo immobile di proprietà pubblica; in questo senso, essa costituisce, più esattamente, una limitazione della proprietà privata a favore di una collettività che si serve del bene privato per la propria utilità. Il proprietario del bene assoggettato a servitù di uso pubblico è tenuto quindi ad un comportamento passivo, consistente nella tolleranza all’esercizio della servitù da parte della collettività e deve, pertanto, evitare di compiere atti che possano rendere impossibile o eccessivamente gravosa l’esercizio della stessa.

La parificazione operata da parte degli art. 38 e 39 del d.lg. n. 507 del 1993 (nonché dalla L.R. 18/1995 e dal correlato regolamento comunale) delle aree private soggette a servitù di pubblico passaggio a quelle del demanio o del patrimonio indisponibile, agli effetti dell’applicazione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, trova quindi la sua giustificazione nella circostanza che l’occupazione limita il godimento della servitù da parte della collettività e, dunque, può importare un corrispettivo (Cass. Sez. Unite, 18 marzo 1999, n. 158).

Nel caso di specie, proprio dalla fotografia allegata dal Comune di Catania, si evince che nessuna limitazione al transito dei pedoni è derivata dall’apposizione del gazebo del bar, essendo presente un ampio marciapiede comunale, appositamente destinato al transito.

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Avv. Di Mariano Sergio

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