Separazione personale dei coniugi: reclamabilità dei provvedimenti ex. art. 710 comma 3 c.p.c.

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SOMMARIO: L’ambito di applicazione dell’art. 710 c.p.c. e la competenza a conoscere del relativo procedimento – Cenni sul processo: ricorso, istruttoria e trattazione – I provvedimenti ex art. 710 comma 3 c.p.c. e il confronto con i provvedimenti ex artt. 708 comma 3 e 709bis c.p.c. – La dottrina e la giurisprudenza di legittimità sulla reclamabilità dei provvedimenti ex art. 710 comma 3 c.p.c.

A cura del p. Avv. Gianluigi Capaccio e dell’Avv. Angelo Capaccio*

Premessa.

Il presente studio nasce dalle annose domande che, inevitabilmente e puntualmente, un operatore del diritto si pone a seguito dell’emissione di un provvedimento provvisorio ex art. 710 comma 3 c.p.c. da parte del Giudice Istruttore nell’ambito di un giudizio di modifica dei provvedimenti relativi alla separazione personale dei coniugi.

Orbene la norma in questione pecca di un silenzio assordante circa la reclamabilità di tale provvedimento, soprattutto laddove la si confronti, invece, con l’espressa previsione della impugnabilità dei provvedimenti presidenziali ex art.708 comma 3 c.p.c e dei provvedimenti del giudice istruttore ex art 709bis c.p.c, la cui natura è pressoché equiparabile.

La domanda che ci si pone è se, dunque, i provvedimenti provvisori ex art. 710 co. 3 c.p.c. siano equiparabili o meno, anche e soprattutto in tema di impugnabilità degli stessi, ai provvedimenti ex artt. 708 e 709bis c.p.c.

L’ambito di applicazione dell’art. 710 c.p.c. e la competenza a conoscere del relativo procedimento.

Il procedimento di modifica dei provvedimenti relativi alla separazione dei coniugi è disciplinato dall’articolo 710 c.p.c. che ha la caratteristica principale di svolgersi secondo il rito camerale (artt. 737 e ss. c.p.c.), fatte salve le deroghe previste dallo stesso articolo 710 c.p.c. in materia istruttoria (comma 2) e di assunzione di provvedimenti provvisori nel caso in cui il giudizio non possa essere immediatamente definito (comma 3), di cui si parlerà più avanti.

L’ambito oggettivo di applicazione della norma in questione comprende sia i provvedimenti che riguardano i coniugi e la prole contenuti nella sentenza di separazione giudiziale, sia quelli contenuti nel verbale omologato della separazione consensuale (articolo 711 c.p.c.).

In dottrina si ritiene che il procedimento de quo possa riguardare senz’altro i capi della separazione aventi per oggetto l’affidamento dei figli, il loro mantenimento e i rapporti patrimoniali tra i coniugi; al contrario, si esclude che lo strumento processuale previsto dall’articolo 710 c.p.c. possa essere utilizzato per ottenere la revisione di provvedimenti conseguenti a domande che, pur avendo titolo in diritti oggetto della sentenza di separazione, sono con quest’ultima in rapporto di connessione meramente occasionale[1].

La modifica dei provvedimenti relativi alla separazione può essere richiesta nel caso in cui sopraggiungano nuove circostanze di fatto o di diritto rispetto a quelle esistenti al momento in cui vengono pattuiti dalle parti, in caso di separazione consensuale, o imposti dal giudice in caso di separazione giudiziale, ovvero nel caso in cui sussistano delle circostanze già esistenti ma che non sono state considerate dal giudice in sede di emanazione della sentenza.

La competenza per materia a conoscere del procedimento di modifica delle condizioni di separazione spetta al Tribunale come del resto conferma l’esplicito richiamo a tale organo che si legge nel comma due della norma in oggetto.

Per quanto concerne la competenza territoriale, premesso che l’articolo 710 c.p.c. nulla dice al riguardo, la giurisprudenza ha affermato, rispetto alla domanda di modifica relativa alle obbligazioni di natura economica, che la competenza per territorio spetta al giudice del luogo da individuare secondo le regole del foro generale (art. 18 c.p.c.) o, elettivamente, secondo quelle del foro facoltativo delle obbligazioni (art. 20 c.p.c.); in particolare, quanto al luogo dove è sorta obbligazione, bisognerebbe avere riguardo non a quello dove è stato concluso il matrimonio ma al luogo in cui è stata pronunciata la separazione giudiziale ovvero è avvenuta l’omologazione di quella consensuale[2].

Se, invece, la domanda di modifica ha per oggetto le disposizioni relative al diritto di visita e di permanenza con la prole del genitore non affidatario, la competenza per territorio va determinata ai sensi del solo art. 18 c.p.c.

Infine, qualora l’istanza di revisione concerni una controversia insorta tra i genitori in ordine “all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell’affidamento” è da ritenere che si abbia l’attrazione dell’intera causa nella competenza del tribunale del luogo di residenza del minore, così come dispone il comma 1 dell’articolo 709ter c.p.c.

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Cenni sul processo: ricorso, istruttoria e trattazione.

La forma dell’atto introduttivo del giudizio è quella del ricorso, che deve essere prima depositato nella cancelleria del tribunale competente e poi notificato alla controparte, unitamente al successivo decreto presidenziale di fissazione dell’udienza in camera di consiglio, nel termine perentorio stabilito in quest’ultimo provvedimento.

Invero una volta ricevuto il ricorso, il presidente nomina il giudice relatore che riferisce in camera di consiglio (disponendo la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero laddove la modificazione delle condizioni riguardi anche la prole[3]) ed onera, come detto, il ricorrente della notificazione alla controparte.

In ordine alla fase di trattazione della causa l’articolo 710 c.p.c. prevede l’audizione obbligatoria delle parti.

A tal proposito si rileva che tale adempimento ha lo scopo di assicurare l’instaurazione del contraddittorio, evitando la pronuncia dei provvedimenti inaudita altera parte, garantendo altresì una migliore puntualizzazione della posizione delle parti in vista dell’eventuale assunzione di mezzi istruttori[4].

Inoltre, in ordine ai poteri delle parti nel corso della trattazione, la giurisprudenza è granitica nel ritenere che la natura camerale del rito previsto per il procedimento ex articolo 710 c.p.c. comporta una minore rigidità della scansione delle fasi processuali e consente l’ampliamento del thema decidendum nel corso del giudizio, sempre che sia consentita la piena esplicazione del contraddittorio su tutte le domande comunque introdotte[5].

Con riguardo all’attività istruttoria, si è chiarito che essa sfugge ai canoni deformalizzati del rito camerale per essere assoggettata, ex art. 710 comma 2 c.p.c., alla disciplina dell’attività probatoria nell’ordinario giudizio di cognizione, anche se tale soluzione è stata ampiamente criticata in dottrina, osservandosi che l’eventuale ammissione di mezzi di prova (che dovrebbe avvenire nel rispetto delle regole formali previste dal codice di rito) mal si concili “con le esigenze di celerità che spesso sono connesse all’istanza di revisione del coniuge cosiddetto debole e alla situazione in cui essa si radica”.[6]

Il giudizio di revisione delle condizioni di separazione si conclude con un provvedimento che ha la forma di decreto motivato.

Tale provvedimento è soggetto alla regola ordinaria prevista dall’art. 741 c.p.c. e, dunque, la sua efficacia è condizionata al decorso del termine per il reclamo; peraltro il tribunale può disporre per motivi d’urgenza che il decreto abbia efficacia immediata, alla stregua di quanto disposto dal comma 2 dello stesso art. 741 c.p.c.

I provvedimenti ex art. 710 comma 3 c.p.c. e il confronto con i provvedimenti ex artt. 708 comma 3 e 709bis c.p.c.

Come abbiamo già detto nel precedente paragrafo, i provvedimenti relativi ai coniugi e alla prole, che sono stati adottati in sede di separazione, possono essere modificati in ogni tempo, in quanto si tratta di provvedimenti dipendenti dalle circostanze esistenti al momento della loro pattuizione o emanazione.

Sull’impugnabilità del decreto definitivo e conclusivo del procedimento di revisione ex art. 710 c.p.c., nulla questio: la giurisprudenza sul punto è unanime nel prevedere espressamente la sua reclamabilità dinnanzi alla Corte di Appello, da proporsi con ricorso nel termine perentorio di 10 giorni dalla notificazione del provvedimento stesso eseguita su istanza di parte e non dal cancelliere[7].

Tuttavia, il comma 3 del medesimo articolo stabilisce che in alcuni casi il Tribunale non decide immediatamente sul ricorso di modifica dei patti, emettendo invece un provvedimento provvisorio, in attesa del decreto conclusivo del giudizio e nelle more della fase istruttoria della causa.

Nonostante le poche indicazioni sistematiche offerte dallo scarno dettato normativo, la dottrina prevalente attribuisce a tale istituto la natura di provvedimento sommario non cautelare, anticipatorio della soddisfazione del diritto, provvisorio e immediatamente esecutivo[8]; la negazione della natura cautelare (in senso proprio), è solitamente argomentata sulla constatazione che la pronuncia del provvedimento de quo non è subordinata alla sussistenza dei presupposti del periculum in mora (specifico o generico) e del fumus boni iuris[9].

Per quel che concerne il procedimento di assunzione delle misure di cui all’art. 710 comma 3 c.p.c. ormai la dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ritenere sempre necessaria l’attivazione del contradditorio tra le parti.

Con riferimento, invece, al contenuto di tali misure, esso rientra nell’ambito dei provvedimenti finali di cui rappresenta anticipazione e, quindi, può riguardare sia i coniugi che la prole.

Infine, quanto alla stabilità del provvedimento de quo, nulla è previsto con riguardo alla reclamabilità degli stessi.

Siamo giunti al nocciolo della questione, oggetto del presente studio: mettiamo il caso in cui venga emanato il descritto provvedimento provvisorio ex art. 710 comma 3 c.p.c. a temporanea modifica del provvedimento di separazione, in ragione delle mutate circostanze di fatto o di diritto: la parte (uno dei due separandi) potrà impugnare tramite reclamo il suddetto provvedimento (alla stregua del provvedimento definitivo ex art 710 c.p.c.) o lo stesso è da considerarsi inoppugnabile e la parte dovrà, inevitabilmente, aspettare l’esito del giudizio e quindi il provvedimento definitivo?

La risposta non è scontata né tantomeno dottrina e giurisprudenza si sono pronunciate espressamente sul tema.

Procedendo per gradi e partendo da un’analisi dei provvedimenti adottabili nel corso del giudizio di separazione giova effettuare un confronto.

I provvedimenti ex art. 708 comma 3 c.p.c. sono i provvedimenti presidenziali temporanei ed urgenti che vengono emessi nell’interesse della prole o dei coniugi.

Tali provvedimenti, tuttavia, a differenza di quelli di cui all’art. 710 comma 3 c.p.c., oggetto di analisi, sono inquadrati nella categoria dei provvedimenti cautelari in virtù di corpose ragioni di ordine sistematico e di diritto positivo, in quanto  la stessa lettera dell’articolo fa riferimento al carattere “urgente” di tale ordinanza, suggerendo, con l’uso di questa espressione, il possibile incombere di un pregiudizio che si vuole prevenire o al quale si intende porre rimedio.

La descritta differenza tra i provvedimenti ex art. 710 comma 3 c.p.c. e i provvedimenti presidenziali ex art. 708 comma 3 c.p.c. si riscontra, quindi, anche in relazione alla reclamabilità: i provvedimenti presidenziali sono espressamente reclamabili con ricorso alla Corte di Appello, tanto è vero che è lo stesso art. 708 comma 4 a definirne il procedimento in camera di consiglio e i termini di proposizione dell’impugnazione.

La medesima situazione si riscontra per il provvedimento adottato dal Giudice Istruttore, quindi nella fase cd. contenziosa, disciplinato dall’art. 709bis c.p.c.

Infatti, tale articolo prevede la possibilità di dichiarare la separazione con sentenza non definitiva, laddove sia necessario proseguire l’istruttoria della causa per questioni economiche o relative all’addebito o all’affidamento dei figli.

Avverso tale sentenza, pur non essendo ammessa la riserva di impugnazione ex art. 340 c.p.c., è comunque ammesso l’appello immediato che, dovendo essere deciso in camera di consiglio, va introdotto con ricorso.

Orbene, alla luce delle suddette considerazioni, è dunque possibile ritenere che anche i provvedimenti di cui all’art. 710 comma 3 c.p.c. siano reclamabili con ricorso alla Corte di Appello equiparandoli, di fatto, ai provvedimenti ex art. 708 comma 3 e 709bis c.p.c.? Oppure bisognerà considerare tali provvedimenti inoppugnabili e, dunque, attendere necessariamente il provvedimento definitivo ex art. 710 c.p.c. (esso si ormai pacificamente reclamabile dinanzi alla Corte di Appello)?

La giurisprudenza di legittimità sulla reclamabilità dei provvedimenti ex art. 710 comma 3 c.p.c.

Ferma restando, nella pratica, la possibilità di proporre, in corso di causa, un’istanza al Giudice al fine di modificare e/o revocare il provvedimento provvisorio ex art. 710 comma 3 c.p.c., adducendo le proprie ragioni a fondamento della richiesta, si sottolinea che quanto al reclamo non è pacifico se lo stesso sia o meno ammesso.

La dottrina e la giurisprudenza, nel silenzio della norma processuale, non si sono espresse specificamente sulla reclamabilità del suddetto provvedimento né tantomeno è possibile ritrovare un’unità di vedute.

Piuttosto si potrebbe cercare di effettuare un confronto rispetto ai provvedimenti presidenziali, di cui si è detto prima, o a quelli emessi ex art. 709 ter c.p.c. su cui, tuttavia, nemmeno c’è una linea concorde.

Attualmente le tesi sul punto sono le seguenti:

  • La tesi estrema che esclude ogni impugnazione dei provvedimenti provvisori ex art. 710 comma 3 c.p.c. (appunto per la loro natura provvisoria ed in quanto volti ad essere sostituiti dai necessari e successivi provvedimenti definitivi) rimandando il tutto al reclamo avverso il provvedimento definitivo e/o direttamente all’appello avverso il provvedimento di separazione o divorzio[10];
  • La tesi favorevole che, invece, ritiene tali provvedimenti provvisori autonomamente impugnabili mediante reclamo ex artt. 669terdecies e 739 c.p.c. in quanto equiparabili ai provvedimenti ex art. 708 co. 3 c.p.c., anche per la natura cautelare[11].

Tuttavia, recentemente la Suprema Corte di Cassazione Civile, Sez. I, è intervenuta, implicitamente, sulla reclamabilità dei provvedimenti ex art. 710 comma 3 c.p.c. con la sentenza n. 21336 del 18.09.2013 che si passa qui ad esaminare.

Con ricorso al Tribunale di Lecce depositato il 13 ottobre 2004 la Dott.ssa I.C. chiese che, a modifica delle condizioni di separazione concordate con suo marito Dott. P.A. e omologate dal Tribunale, le loro due figlie minori, già affidate congiuntamente a entrambi i genitori, fossero affidate in via esclusiva a lei. Dedusse che le due ragazze, già residenti prevalentemente presso di lei con obbligo del padre di versarle un contributo per il loro mantenimento di complessivi € 878,00 mensili, erano poi andate ad abitare con il padre, che aveva esercitato su di esse un’influenza negativa condizionandole in tale scelta.

Il Dott. P.A. resistette e chiese, in via riconvenzionale, l’affidamento esclusivo delle minori a sé stesso, con condanna dell’attrice al pagamento di un assegno di mantenimento con decorrenza dal giugno 2004, epoca in cui le figlie si erano trasferite presso di lui.

Con provvedimento provvisorio ed urgente del 10 aprile 2006 ex art. 710 comma 3 c.p.c. il Tribunale affidò le minori in via esclusiva al padre, ponendo a carico della madre un contributo per il mantenimento di € 800,00 mensili.

Sul reclamo della soccombente avverso tale provvedimento la Corte di Appello di Lecce, con decreto del 26 luglio 2006, dichiarò cessata la materia del contendere essendo stato introdotto, nelle more, giudizio di divorzio tra le parti, nell’ambito del quale era stato pronunciato, sull’affidamento della prole, provvedimento interinale sostitutivo di quello assunto nell’ambito delle condizioni di separazione.

Anche il Tribunale, con decreto 7 maggio 2007 conclusivo del procedimento introdotto con l’originario ricorso del 13 ottobre 2004 ex art. 706 c.p.c., dichiarò, per la stessa ragione, cessata la materia del contendere.

Avverso tale decreto il Dott. P.A. propose reclamo, che la Corte di Appello ha accolto.

Ritenuta insussistente la cessazione della materia del contendere con riguardo alla domanda del reclamante di contributo al mantenimento delle figlie per il periodo in cui si erano di fatto trasferite presso di lui, la Corte ha condannato la Dott.ssa I.C. al pagamento di € 13.600,00, pari alla somma di € 800,00 mensili – ritenuta congrua e di poco inferiore a quella concordata dagli stessi coniugi in sede di separazione – per il periodo intercorrente fra la data della relativa domanda, proposta dal P.A. con la comparsa di costituzione davanti al Tribunale (5 novembre 2004), e quella del provvedimento urgente di affidamento esclusivo delle figlie al padre (10 aprile 2006).

La Dott.ssa I. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di Appello con tre motivi, di cui il primo è utile ai fini del presente studio.

Invero con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione degli artt. 306 e 324 c.p.c.: la ricorrente sostiene che il provvedimento impugnato ha violato il giudicato di cessazione della materia del contendere formatosi per effetto della mancata impugnazione del decreto pronunciato il 26 luglio 2006 dalla medesima Corte di Appello sul reclamo avverso il provvedimento provvisorio ex art. 710 comma 3 c.p.c. pronunciato dal Tribunale il 10 aprile 2006.

La Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo infondato perchè il Decreto 26 luglio 2006, pronunciato in sede di reclamo avverso il provvedimento provvisorio emesso ai sensi dell’art. 710 comma 3 c.p.c., aveva la medesima natura del provvedimento reclamato.

Quindi, da tale motivazione, deriva e si evince che il provvedimento provvisorio ex art 710 comma 3 c.p.c. è reclamabile al pari del provvedimento ex art. 708 comma 3 c.p.c. mediante ricorso alla Corte di Appello da proporre nel termine perentorio di 10 giorni.

Da tale conclusione ne deriva il seguente principio di diritto: “Il decreto pronunciato in sede di reclamo avverso un provvedimento provvisorio reso ai sensi dell’art. 710, terzo comma, cod. proc. civ. ha la stessa natura del provvedimento reclamato e non è, quindi, suscettibile di acquistate autorità di giudicato, essendo destinato a perdere efficacia a seguito dell’emissione del provvedimento definitivo”.

Pertanto, alla luce delle suddette considerazioni e in virtù dell’analisi della richiamata sentenza (che rappresenta un unicum nella storia recente della giurisprudenza di legittimità) si può concludere affermando la RECLAMABILITÀ del provvedimento provvisorio emesso ai sensi dell’art. 710 comma 3 c.p.c. in Corte di Appello (in analogia e con le medesime tempistiche e modalità del reclamo avverso i provvedimenti ex art. 708 comma 3 c.p.c.) da proporre mediante ricorso nel termine perentorio di 10 giorni dalla notificazione del provvedimento da impugnare.

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*Il presente saggio è il frutto di uno studio congiunto di entrambi gli autori. Tuttavia, ai fini della ripartizione dei paragrafi, si precisa che i paragrafi 1, 2 e 3 vanno attribuiti a Gianluigi Capaccio, mentre il paragrafo 4 ad Angelo Capaccio

Note

[1] Cfr. CIAN-OPPO-TRABUCCHI, “Commentario al diritto italiano della famiglia”, Cedam, VI, 1, Padova 1993.

[2] Cfr., tra le altre, Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 6297 del 19 marzo 2014; Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 22394 del 5 settembre 2008; Cassazione civile sentenza n. 4099 del 22 marzo 2001.

[3] Con la sentenza del 9-11-1992, n. 416, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 710 c.p.c. «nella parte in cui non prevede la partecipazione del pubblico ministero per la modifica dei provvedimenti riguardanti la prole».

[4] Cfr. B. CAPPONI, “Il novellato art. 710 del codice di procedura civile” in il Foro Italiano, 1988, pp. 513 e ss.; A. CARRATA, “La riforma dell’art. 710 c.p.c.”, in Dir. fam e pers., 1990, pag. 207 e ss.

[5] Cfr., tra le ultime, Cassazione civile, sez. I, 14 settembre 2020, n. 19020.

[6] F. CARPI – A. GRAZIOSI “Procedimenti in tema di famiglia”, in Dig., Disc. Priv., Sez. civ., Torino, 1996, p. 523 e ss.

[7] Cfr. Cass. 30 luglio 2010, n. 17903: “I provvedimenti adottati con il procedimento in camera di consiglio per la modifica delle condizioni di separazione personale sono reclamabili e ricorribili in Cassazione”. Nello stesso senso Cass. 16 aprile 2003, n. 6011: “Nelle procedure camerali le quali si concludano con un provvedimento di natura decisoria su contrapposte posizioni di diritto soggettivo e quindi suscettibile di acquistare autorità di giudicato (e tale è senz’altro la pronuncia che, in sede di procedura ex art. 710 c.p.c., disponga la revoca dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge), trovano piena applicazione i principi del processo di cognizione relativi all’onere dell’impugnazione ed alla conseguente delimitazione dell’ambito del riesame da parte del giudice di II grado, alle questione a lui devolute con i motivi di gravame”.

[8] C. DI IASI – E. PICARONI, “Procedimenti di separazione e di divorzio, in Famiglia e matrimonio”, a cura di G. Ferrando, M. Fortino e F. Ruscello, in Tratt. dir. fam. Zatti, II ed., I, 2, Milano, 2011, pp. 1389 e ss.

[9] VULLO “Sull’inammissibilità del reclamo cautelare contro i provvedimenti provvisori assunti nel giudizio di modificazione delle condizioni di separazione ai sensi dell’art. 710, ult.comma c.p.c.”, in Riv.Trim.Dir. e Proc.Civ., 1998, 301 ss.

[10] Cfr. C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, III, XXVII ed., Torino, 2019, 105, nt.75.

[11] Cfr. M. LUPOI, Aspetti processuali della normativa sull’affidamento condiviso, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, p. 110; F. DANOVI, Le misure sanzionatorie a tutela dell’affidamento (art. 709 ter cod. proc. civ.), in Riv. dir. proc., 2008, pp. 620 e ss..; A. CARRATTA, Sub art. 709 ter c.p.c ., in Le recenti riforme del processo civile, commentario diretto da Chiarloni, II, Bologna, 2007, p. 1579). Cfr. C. M. CEA, L’affidamento condiviso: II. – Profili processuali, in Foro it., 2006, V, p. 102; B. DE FILIPPIS, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, Padova, 2007, p. 233; M. GIORGETTI, Sono reclamabili i provvedimenti del giudice istruttore, ex art. 709, comma 4, c.p.c., o di modifica o di revoca di quelli presidenziali? in Fam. e Dir., 2015, p. 241; R. DONZELLI, Sulla reclamabilità dei provvedimenti ex art. 709 ter c.p.c. emessi in via provvisoria dal giudice istruttore, Torino 2018, p.1129 s.).

 

Angelo Capaccio

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