Sulla legittimità del licenziamento in seguito al reiterato rifiuto al trasferimento del dipendente (Cass. n. 15860/2012)

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Massima

E’ legittimo il licenziamento basato su continue assenze del lavoratore ritenute ingiustificate a prescindere dalla legittimità o meno del trasferimento, che aveva subito lo stesso lavoratore. 

 

 

1. Premessa

Nella decisione in commento del 20 settembre 2012, n. 15860 i giudici della Corte, hanno precisato che all’interno del rapporto di lavoro subordinato è illegittimo il rifiuto del dipendente alla esecuzione della prestazione lavorativa nei termini e modi precisati dal datore in forza del potere direttivo a causa di un ritenuto illegittimo trasferimento.

Ciò soprattutto quando, come da giurisprudenza precedente sul tema (1) il datore di lavoro adempia agli obblighi derivanti dal contratto, quali, ad esempio, il pagamento della retribuzione, alla copertura previdenziale e quella assicurativa, essendo giustificato il rifiuto di adempiere alla prestazione lavorativa solo nel caso in cui l’altra parte sia totalmente inadempiente e non se vi sia “semplicemente” una potenziale controversia su una non condivisa scelta aziendale (2)

Nella decisione in commento, il datore di lavoro aveva deciso di trasferire un dipendente da una azienda ad un’altra del gruppo, situata in altra sede lavorativa rispetto all’originario luogo di lavoro.

Il dipendente rifiutava in modo ostinato di rispondere all’ordine del datore, continuando a presentarsi nel “vecchio e originario posto di lavoro” pretendendo, così, di rendere in tale sede la propria attività lavorativa.

Secondo quanto precisato dalla Corte nella sentenza del 20 settembre 2012 n. 15860 il licenziamento intimato dal datore di lavoro è legittimo, a causa della reiterata insubordinazione del dipendente.

Nella citata decisione si precisa, ancora, che il lavoratore nella fattispecie concreta ha posto in essere una inammissibile forma di autotutela, tradotta in una grave inadempienza al preciso ordine del datore cui il dipendente ha (e aveva) il dovere di rispondere.  

 

 

2. Rassegna giurisprudenziale

Insubordinazione del dipendente e legittimità del licenziamento

Non costituisce comportamento integrante “insubordinazione”, e dunque fatto di tale gravità da comportare l’adozione di una sanzione così grave come quella del recesso per giusta causa, l’uso di espressioni offensive nei confronti del datore di lavoro quando appare come una reazione, anche se eccessiva ed abnorme (ma anche istintiva), rispetto a promesse di parte datoriale non mantenute. (Nel caso di specie, la Corte territoriale osservava che la gravità dei fatti doveva essere ridimensionata alla luce di quattro considerazioni: in primo luogo alla lavoratrice era stato promesso che non sarebbe stata trasferita, il che invece non era accaduto, la frase quindi costituiva una reazione abnorme ed ingiustificata, ma rifletteva dal punto di vista soggettivo la convinzione di aver subito un torto e quindi un senso di spontaneo risentimento; la lavoratrice aveva lealmente ammesso l’accaduto ed aveva evidenziato la propria particolare condizione psicologica; la frase contestata esprimeva più un senso di delusione, sia pure espresso in forma offensiva, per la gestione della datrice di lavoro che un vero e proprio dissenso; infine la ricorrente era una dipendente di vecchia data e non sussistevano precedenti disciplinari di sorta. Pertanto la sanzione irrogata appariva sproporzionata rispetto alla gravità dei fatti contestati.) Cass. civ. sez. lav., 2 ottobre 2012 n. 16752, in Altalex.com

 

Il comportamento reiteratamente inadempiente posto in essere dal lavoratore, come l’abbandono per un’ora e mezzo del posto di lavoro, l’uscita dal lavoro in anticipo e la mancata osservanza delle disposizioni datoriali e delle prerogative gerarchiche, è contraddistinto da un costante e generale atteggiamento di sfida e di disprezzo nei confronti dei vari superiori gerarchici e della disciplina aziendale tale da far venir meno il permanere dell’indispensabile elemento fiduciario. Cass. civ. 30 marzo 2012 n. 5115

 

Per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare”.

Il lavoratore era stato licenziamento per asserita giusta causa consistente nell’essersi presentato al lavoro sebbene in ferie e di essersi rifiutato di uscire dallo stabilimento nonostante i ripetuti inviti in tal senso da parte dei superiori. Cass. civ. 14 febbraio 2011 n. 3596

 

Per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare da un lato la gravita’ dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensita’ dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalita’ fra tali fatti e la sanzione inflitta…”.

Quindi, nel caso concreto, si ha che l’esternazione di espressioni verbali irriguardose, o poco educate, con l’aggiunta di parole volgari, rese dal lavoratore al proprio superiore nonché datore di lavoro non può configurare direttamente una giusta causa di licenziamento se non si analizzano, preventivamente,  le cause e le circostanze che hanno potuto generare una fattispecie simile; in più, vi è da dire che, nel caso in cui al medesimo lavoratore siano state inflitte, in periodi precedenti, sanzioni disciplinari, non sempre, queste, possono costituire un valido deterrente per poter procedere al licenziamento, infatti la Suprema Corte, ha precisato, a tall’uopo, che“…in base alla Legge n. 300 del 1970, articolo 7, u.c., non poteva tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari in precedenza irrogate una volta decorsi due anni dalla loro applicazione e, con cio’, omettendo qualsiasi valutazione, sia pure quali circostanze confermative della significativita’ e gravita’ degli addebiti contestati, in ordine ai precedenti disciplinari allegati dalla parte datoriale…”.

Cass. civ. sez. lav., 18 marzo 2009, n. 6569

 

I continui episodi di insubordinazione da parte del lavoratore, consistenti nel rifiuto reiterato di svolgere le proprie mansioni e nell’uso di espressioni ingiuriose e minacciose nei confronti dei superiori gerarchici, in quanto suscettibili di ledere il vincolo fiduciario tra il datore e il dipendente giustificano l’intimazione del licenziamento per giusta causa. Cass. civ. sez. II, 1 dicembre 2004, n. 22532

 

Rifiuto al trasferimento e  licenziamento

 

No al licenziamento dell’operaio che rifiuta il trasferimento in altro reparto senza l’adeguata formazione. E’  ingiustificata e non proporzionata la reazione della ditta È illegittimo il licenziamento dell’operaio che rifiuta il trasferimento in un altro reparto senza la dovuta formazione e la specifica informazione circa i rischi legati alla nuova attività. Cass. civ. 31 gennaio 2012 n. 1401

 

Per la validità ed efficacia del trasferimento, non è necessario che il datore di lavoro contestualmente indichi le ragioni tecniche, organizzative e produttive che determinano il provvedimento.

L’art. 2103 c.c., infatti, richiede solo che tali ragioni, ove contestate, risultino effettive e siano dimostrate, con onere probatorio a carico dal datore di lavoro. Il controllo sulla legittimità del trasferimento – che il giudice può operare – deve limitarsi all’accertamento della sussistenza delle ragioni di cui sopra (e, a tal fine, è sufficiente che ricorra anche una sola delle ragioni addotte), restando insindacabile la scelta imprenditoriale tra le soluzioni organizzative, ivi compresa quella del lavoratore da trasferire, e senza alcuna necessità che il datore di lavoro dimostri l’inevitabilità del provvedimento di trasferimento. Cass. civ. sez. lav., 14 luglio 2006, n. 16015

 

Se il trasferimento è legittimo il lavoratore non può rifiutarlo. In caso di rifiuto non motivato da ragioni valide il datore di lavoro può disporre il licenziamento per giustificato motivo soggettivo. Cass. civ.  16 maggio 1997 n. 4389 

 

 

Manuela Rinaldi   
Avvocato foro Avezzano Aq – Dottoranda in Diritto dell’Economia e dell’Impresa Università La Sapienza, Roma, Proff. Maresca – Santoro Passarelli; Tutor di Diritto del Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. A. Maresca; Docente in corsi di Alta Formazione Professionale e Master; già docente a contratto a.a. 2009/2010 Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Univ. Teramo, facoltà Giurisprudenza, corso Laurea Magistrale ciclo unico, c/o sede distaccata di Avezzano, Aq; Docente in Master e corsi di Alta Formazione per aziende e professionisti.

 

 

___________ 

(1) Sul punto cfr. Cass. civ. 23 dicembre 2003 n. 19689.

(2) Scelta sull’organizzazione aziendale che non può essere sindacata dal prestatore di lavoro ove non vada ad incidere sulle sue immediate esigenze vitali.

Sentenza collegata

37814-1.pdf 115kB

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