Corte di Cassazione Penale 9/10/2006 n. 33896

Redazione 09/10/06
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MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza 11 febbraio 2005, il Tribunale di Viterbo ha ritenuto ************ e ********** responsabili del reato previsto dall’art. 59 c.1 DLvo 152/1999 (perché, quali titolari di una azienda agricola con circa 9000 bovini, effettuavano lo scarico di acque reflue industriali rappresentate dalle deiezioni degli animali e dal lavaggio delle stalle in un corso d’acqua senza la necessaria autorizzazione) ed ha condannato ciascuno alla pena di euro mille di ammenda.
Per giungere a tale conclusione, il Giudice – dopo avere accertato l’esistenza del fatto materiale per cui è processo – ha rilevato che, pur prescindendo dal rapporto tra peso vivo del bestiame ed estensione del fondo, lo scarico dei liquami zootecnici necessitava di autorizzazione; ciò in quanto non si era realizzata in concreto la fertirrigazione mediante totale utilizzo dei rifiuti come concimi ovvero attraverso l’integrale sversamento degli stessi nel fondo.
Per l’annullamento della sentenza, gli imputati ricorrono in Cassazione deducendo violazione di legge, in particolare, rilevando:
= che per le imprese agricole, in quanto considerate insediamenti civili a sensi dell’art. l quater L. 690/1976, non si deve applicare la disciplina prevista dal DLvo 152/1999 valevole per gli insediamenti industriali;
= che il Giudice ha omesso di valutare i criteri dettati dall’art. 28 c.7 del ricordato decreto per individuare la categoria delle acque assimilabili a quelle domestiche.
Le censure non sono meritevoli di accoglimento.
Sotto la vigenza della L. 319/1976, l’art. l quater uc L. 690/1976 qualificava l’impresa agricola come insediamento civile successivamente la delibera 8 maggio 1980 del Comitato interministeriale previsto dall’art. 3 della L. 319/1976 indicava alcuni parametri di riferimento (che la giurisprudenza riteneva non vincolanti) per stabilire la natura di insediamento civile, o meno, della impresa agricola e zootecnica (estensione del terreno disponibile, peso complessivo del bestiame, attività svolta et c.); in sintesi, si esulava dallo insediamento civile quando l’allevamento del bestiame perdeva il suo coordinamento funzionale con la coltivazione o lo sfruttamento del fondo e doveva considerarsi diretto allo esercizio di una autonoma impresa commerciale al cui servizio l’allevamento del bestiame era subordinato.
Il D. L.vo 152/1999, vigente alla epoca del fatto per cui è processo, non faceva più riferimento alla natura dello insediamento (civile o produttivo), ma alla tipologia dei reflui per cui l’art. 28 equiparava gli effluenti da allevamento di bestiame alle acque domestiche (fatto salvo il disposto dell’art. 38 sulla utilizzazione agronomica) a determinate condizioni ; tali requisiti, riferiti al rapporto tra peso vivo degli animali ed estensione del fondo, erano significativi della circostanza che la attività di allevamento si svolgeva in connessione con la coltivazione della terra e questa era in grado di smaltire, nell’ambito di un ciclo chiuso, il carico inquinante delle deiezioni.
La disciplina in esame è ora parzialmente modificata dall’art. 101 c. 7 D. L.vo 152/2006 che non introduce norme pro reo.
In conclusione: solo quando un allevamento, per il numero dei suoi capi e l’estensione del fondo disponibile, consente l’utilizzazione esclusiva dei residui dell’attività agricola, può, in considerazione del limitato impatto ambientale, invocarsi il regime giuridico relativo alle acque domestiche (ex plurimis sentenza 13345/1998).
La problematica sollevata dai ricorrenti, tuttavia, è ininfluente nel caso concreto nel quale i liquami degli animali non erano usati concretamente ed integralmente nel terreno come concime per il successivo ciclo produttivo, ma immessi mediante canalizzazione in un corso l’acqua pubblico; tale attività necessita di previa autorizzazione sia con riferimento alla pregressa normativa sia alla attuale.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.

Redazione