Rilevabilità d’ufficio delle condizioni dell’azione e dies a quo per l’impugnazione delle clausole non immediatamente escludenti

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Deve trovare continuità l’orientamento giurisprudenziale classico secondo cui:

a) sussiste il potere del Giudice di appello di rilevare ex officio la esistenza dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del ricorso di primo grado (con particolare riguardo alla condizione rappresentata dalla tempestività del ricorso medesimo), non potendo ritenersi che sul punto si possa formare un giudicato implicito, preclusivo alla deduzione officiosa della questione;

b) le clausole del bando di gara che non rivestano portata escludente devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere impugnate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura.

La giurisprudenza amministrativa formatasi nel previgente quadro normativo aveva sempre e costantemente ritenuto che il giudice d’appello potesse svolgere anche d’ufficio un vaglio in ordine alla sussistenza dei presupposti processuali – intesi come il complesso delle condizioni attinenti alla regolare costituzione del processo – ovvero delle condizioni dell’azione -, intese, queste ultime, come il complesso delle circostanze che consentono al giudice di entrare nel merito della domanda (tra le tante, si veda Consiglio di Stato, sez. VI, 24 aprile 2009, n. 2555 VI Sez. n. 4326 del 10 settembre 2008 Cons. Stato, Sez. VI, sent. 2 novembre 1999, n. 1662; id., Sez. IV, sent. 4 settembre 1995, n. 687).

Per effetto della entrata in vigore del c.p.a. (D. Lgs n. 104 del 2010), la giurisprudenza si è interrogata in ordine alla permanente attualità – o meno – dell’orientamento pregresso, e a tale interrogativo ha reso – pressoché senza eccezioni – risposta positiva.

Ancora di recente, infatti, è stato fatto rilevare che nel processo amministrativo non può essere precluso al giudice di appello di rilevare ex officio la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del ricorso di primo grado né può ritenersi che, sul punto, si possa formare un giudicato implicito, preclusivo alla deduzione officiosa della questione; in sostanza il giudice amministrativo, in qualsiasi stato e grado, ha il potere e il dovere di verificare se ricorrono le condizioni cui la legge subordina la possibilità che egli si pronunci nel merito, né l’eventuale inerzia di una delle parti in causa, nel rilevare una questione rilevabile d’ufficio, lo priva dei relativi poteri-doveri officiosi, atteso che la legge non prevede che la mancata presentazione di parte di un’eccezione processuale degradi la sua rilevabilità d’ufficio in irrilevabilità, che equivarrebbe a privarlo dell’autonomo dovere di verifica dei presupposti processuali e delle condizioni dell’azione (Consiglio di Stato, sez. V, 6 settembre 2017, n. 4215, ma si veda anche Consiglio di Stato, sez. VI, 21 luglio 2016, n. 3303 Consiglio di Stato, sez. IV, 8 settembre 2015, n. 4157 Consiglio di Stato Sez. VI, 22 febbraio 2013, n. 1094; Consiglio di Stato Sez. VI, 5 settembre 2017, n. 4196).

Nel vigente quadro normativo, tenuto conto del tenore letterale degli articoli 35 e 9 del c.p.a. la questione sembrerebbe agevolmente risolvibile nel senso fatto proprio dalla suindicata giurisprudenza. Per un verso, infatti, l’articolo 35 affida al potere officioso del giudice il rilievo dei presupposti processuali e delle condizioni dell’azione e, posto che tale prescrizione è collocata nel libro primo del codice, e riguarda il processo amministrativo in generale, non sussistono ragioni per le quali escludere che la medesima si applichi anche al giudizio di appello. Per altro verso, l’articolo 9 del c.p.a. ha limitato il principio del giudicato implicito, che preclude il rilievo officioso in appello alle sole questioni che riguardano la tematica della giurisdizione.

A quanto sinora rilevato, può soggiungersi che l’art. 104 del c.p.a. (al pari della previsione, nel processo civile, dell’art. 345 comma II c.p.c.) legittima la libera prospettazione, nel processo di secondo grado, di “eccezioni rilevabili d’ufficio” e tale è sempre stata, per quanto prima chiarito, la disamina della originaria ammissibilità del ricorso di primo grado. La corretta esegesi del diritto positivo delinea la corretta ricostruzione di un sistema fondato sulla regola generale della rilevabilità ex officio di tutte le questioni (condizioni dell’azione e presupposti processuali) che condizionano la possibilità di pervenire ad una pronuncia di merito, e su di una espressa eccezione a tale criterio generale, rappresentata dal formarsi di un c.d. “giudicato implicito” sulla problematica relativa alla spettanza della giurisdizione al giudice adito.

Considerato l’univoco tenore letterale degli artt. 9, 35 e 104 del c.p.a. prima citati, ritiene l’Adunanza plenaria che debba fornirsi risposta positiva al quesito concernente la permanente possibilità per il giudice di appello di rilevare ex officio la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del ricorso di primo grado in carenza di pronuncia del giudice di primo grado, sul punto.

Va ribadito il consolidato orientamento secondo il quale l’operatore del settore che non abbia presentato domanda di partecipazione alla gara non è legittimato a contestare le clausole di un bando di gara che non rivestano nei suoi confronti portata escludente, precludendogli con certezza la possibilità di partecipazione: ciò, sia con riferimento alla previgente legislazione nazionale in materia di contratti pubblici, sia nell’attuale quadro normativo.

Non vi sono ragioni per mutare orientamento, tenuto conto che:

a) la presentazione di una domanda di partecipazione alla gara non sembra imporre all’operatore del settore alcuno spropositato sacrificio;

b) in alcun modo la detta domanda di partecipazione può pregiudicare sul piano processuale il medesimo, tenuto conto della granitica giurisprudenza secondo cui (si veda ancora di recente Consiglio di Stato, sez. III, 10 giugno 2016, n. 2507 Consiglio di Stato, sez. V, 22 novembre 2017, n. 5438) “nelle gare pubbliche l’accettazione delle regole di partecipazione non comporta l’inoppugnabilità di clausole del bando regolanti la procedura che fossero, in ipotesi, ritenute illegittime, in quanto una stazione appaltante non può mai opporre ad una concorrente un’acquiescenza implicita alle clausole del procedimento, che si tradurrebbe in una palese ed inammissibile violazione dei principi fissati dagli artt. 24, comma 1, e 113 comma 1, Cost., ovvero nella esclusione della possibilità di tutela giurisdizionale”;

c) la situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo, è riconducibile unicamente alla partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione: la procedura cui non si sia partecipato è res inter alios actae non legittima l’operatore economico ad insorgere avverso la medesima (Adunanza plenaria 7 aprile 2011, n. 4, Adunanza plenaria 25 febbraio 2014, n. 9).

Non sussistono ragioni per ritenere che il soggetto che non abbia presentato la domanda di partecipazione alla gara sia legittimato ad impugnare clausole del bando che non siano “escludenti”, dovendosi con tale predicato intendersi quelle che con assoluta certezza gli precludano l’utile partecipazione. Si osserva in proposito, che:

a) nel ribadire che tale consolidata impostazione è stata seguita puntualmente dalle sezioni del Consiglio di Stato (cfr. da ultimo, Sez. IV, 11 ottobre 2016, n. 4180; Sez. IV, 25 agosto 2016, n. 3688; Sez. III, 10 giugno 2016, n. 2507; Sez. IV, 20 aprile 2016, n. 1560; Sez. V, 30 dicembre 2015, n. 5862; Sez. V, 12 novembre 2015, n. 5181) va segnalato che essa ha ricevuto l’autorevole avallo della Corte costituzionale (Corte cost., 22 novembre 2016 n. 245 che ha ritenuto inammissibile – per difetto di rilevanza- una questione di legittimità costituzionale promossa dal T.a.r. per la Liguria, nell’ambito di un giudizio in materia di appalti pubblici originato dal ricorso proposto da un’impresa che non aveva partecipato alla gara: secondo la Corte, infatti, la verifica di legittimità costituzionale della disciplina sostanziale indicata dal T.a.r. non potrebbe influire sull’esito della lite, destinata a concludersi con una pronuncia di inammissibilità del ricorso);

b) tale opzione ermeneutica muove dalla condivisibile considerazione secondo cui l’operatore del settore che non ha partecipato alla gara al più potrebbe essere portatore di un interesse di mero fatto alla caducazione dell’intera selezione (ciò, in tesi, al fine di poter presentare la propria offerta in ipotesi di riedizione della nuova gara), ma tale preteso interesse “strumentale” avrebbe consistenza meramente affermata, ed ipotetica: il predetto, infatti, non avrebbe provato e neppure dimostrato quell’ “interesse” differenziato che ne avrebbe radicato la legittimazione, essendosi astenuto dal presentare la domanda, pur non trovandosi al cospetto di alcuna clausola “escludente” (nel senso ampliativo fatto proprio dalla giurisprudenza e prima illustrato); ed anzi, tale preteso interesse avrebbe già trovato smentita nella condotta omissiva tenuta dall’operatore del settore, in quanto questi, pur potendo presentare l’offerta si è astenuto dal farlo;

c) anche se si volesse accedere ad una nozione allargata di legittimazione individuando un interesse dell’operatore economico a competere secondo i criteri predefiniti dal legislatore, ugualmente resterebbe insuperabile la considerazione che esso non sarebbe né attuale né “certo”, ma meramente ipotetico.

Anche nell’ordinamento europeo non si rinviene alcun riferimento che militi nel senso dell’estensione della legittimazione ad impugnare clausole non escludenti contenute nei bandi di gara agli operatori del settore che si siano astenuti dal partecipare alla gara medesima. In particolare:

a) la Corte di Giustizia, Sez. VI, 12 febbraio 2004, in causa C-230/02 ha stabilito che l’operatore economico il quale si ritenga leso da una clausola della legge di gara la quale impedisca la sua partecipazione ha la possibilità (rectius: l’onere) di impugnare in modo diretto tale clausola (affermazione questa, certamente in linea con quella della giurisprudenza nazionale prima citata a partire dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 1 del 2003), ma non ha esteso la legittimazione del non partecipante alla gara all’ impugnazione di clausole non certamente preclusive della propria partecipazione;

b) più di recente la Corte di Giustizia (CGUE, Sez. 21 dicembre 2016 in causa C-355/15 –Bietergemeinschaft Technische GebäudebetreuungGsmbH) ha espresso il principio secondo cui “l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665 dev’essere interpretato nel senso che esso non osta a che a un offerente escluso da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico con una decisione dell’amministrazione aggiudicatrice divenuta definitiva sia negato l’accesso ad un ricorso avverso la decisione di aggiudicazione dell’appalto pubblico di cui trattasi e la conclusione del contratto, allorché a presentare offerte siano stati unicamente l’offerente escluso e l’aggiudicatario e detto offerente sostenga che anche l’offerta dell’aggiudicatario avrebbe dovuto essere esclusa”;

c) se, quindi, seppur a particolari condizioni, può non essere riconosciuta la legittimazione all’impugnazione in capo ad un soggetto, pur partecipante alla gara ma che ne sia stato definitivamente escluso, a fortiori non si vede perché essa dovrebbe essere riconosciuta al soggetto che, pur potendo partecipare alla gara (in quanto il bando non recava clausole escludenti, discriminatorie, etc), si sia astenuto dal presentare un’offerta: va semmai rilevato che la posizione dell’impresa che non abbia partecipato ab imis alla procedura appare ancor meno meritevole di considerazione, sul piano dell’interesse, rispetto a quella dell’impresa che pur abbia manifestato in concreto la volontà di partecipare alla procedura, rimanendo però esclusa.

Non vi sono ragioni per le quali ipotizzare un revirement, e infatti:

a) la presentazione di una domanda di partecipazione alla gara non sembra imporre all’operatore del settore alcuno spropositato sacrificio;

b) in alcun modo la detta domanda di partecipazione può pregiudicare sul piano processuale il medesimo, tenuto conto della granitica giurisprudenza secondo cui (si veda ancora di recente Consiglio di Stato, sez. III, 10 giugno 2016, n. 2507 Consiglio di Stato, sez. V, 22 novembre 2017, n. 5438) “nelle gare pubbliche l’accettazione delle regole di partecipazione non comporta l’inoppugnabilità di clausole del bando regolanti la procedura che fossero, in ipotesi, ritenute illegittime, in quanto una stazione appaltante non può mai opporre ad una concorrente un’acquiescenza implicita alle clausole del procedimento, che si tradurrebbe in una palese ed inammissibile violazione dei principi fissati dagli artt. 24, comma 1, e 113 comma 1, Cost., ovvero nella esclusione della possibilità di tutela giurisdizionale”;

c) la situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo, è riconducibile unicamente alla partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione: la procedura cui non si sia partecipato è res inter alios actae non legittima l’operatore economico ad insorgere avverso la medesima (Adunanza plenaria 7 aprile 2011, n. 4, Adunanza plenaria 25 febbraio 2014, n. 9).

Avuto riguardo al dies a quo per l’impugnazione della clausola non immediatamente lesiva:

a) merita integrale condivisione la tesi in ragione della quale “non è praticabile l’opzione ermeneutica, astrattamente prospettabile, secondo la quale le esigenze di ampliare la tutela giurisdizionale in coerenza del canone di effettività della tutela imposto dal diritto dell’Unione europea, implicherebbero che l’operatore economico potrebbe scegliere se impugnare immediatamente il bando o attendere l’esito della procedura. Al contrario, deve porsi una chiara delimitazione delle ipotesi in cui un atto è lesivo, generando l’onere di tempestiva e autonoma impugnazione.”. La giurisprudenza, peraltro, ha in passato avuto modo di esaminare tale tematica (si veda Cons. Stato, Sez. Quarta n. 1243 del 13 marzo 2014) ed ha chiarito che “la parte che si assume lesa deve avere il dovere, e non soltanto la “facoltà” di proporre impugnazione, altrimenti la richiesta concretezza ed attualità dell’interesse scolorano nel concetto di “precauzione” e “cautelatività” , facendo presente che la tesi contraria comporterebbe “inammissibili conseguenze sotto il profilo processuale conducendo ad una –facilmente preconizzabile– evenienza che si pone in contrasto con tutta la sistematica del codice improntata ad un evidente favor per il simultaneus processus “.

b) L’esigenza di una trattazione unitaria e concentrata nelle controversie in materia di appalti trova conforto nell’art. 120 comma 7 del c.p.a. che eccezionalmente, per le sole controversie disciplinate dal c.d. rito appalti, impone il ricorso ai motivi aggiunti c.d. impropri allorquando si debbano impugnare nuovi provvedimenti attinenti alla medesima procedura di gara (mentre sul piano generale l’art.104, co. 3 circoscrive rigorosamente la proposizione dei motivi aggiunti in appello esclusivamente nei confronti del medesimo atto -o dei medesimi atti- che hanno costituito l’oggetto delle domande proposte in primo grado: si veda sul punto Consiglio di Stato Ad. plen. n. 5 del 17 aprile 2015, capo 6.1.2.).

Non può trovare adesione una revisione dell’orientamento “tradizionale”, in ragione di un incontrovertibile dato normativo. Infatti, l’art. 120 comma 5 del c.p.a. ha conferito rango legislativo all’impostazione della decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 29 gennaio 2003 n. 1 prevedendo l’onere di immediata impugnazione del bando o dell’avviso di gara solo “in quanto autonomamente lesivo”. L’anzidetta previsione normativa soggiace a una univoca interpretazione: che tale eventualità sia ravvisabile soltanto nell’ipotesi in cui il bando presenti clausole escludenti (nel senso pur ampliativo delineato dalla giurisprudenza a più riprese citata).

In conclusione:

a) sussiste il potere del Giudice di appello di rilevare ex officiola esistenza dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del ricorso di primo grado (con particolare riguardo alla condizione rappresentata dalla tempestività del ricorso medesimo), non potendo ritenersi che sul punto si possa formare un giudicato implicito, preclusivo alla deduzione officiosa della questione;

b) le clausole del bando di gara che non rivestano portata escludente devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere impugnate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura.

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