Sentenza Tar Catania , IV sez., Pres. est. Leotta, 5 maggio 2007 n. 768: Esecuzione del giudicato – Art. 119, comma 6, costituzione – Divieto del ricorso all’indebitamento – Non operatività per i commissari ad acta nominati per l’esecuzione del giudicato

sentenza 17/05/07
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Sentenza 5 maggio 2007 n. 768
Esecuzione del giudicato – Art. 119, comma 6, costituzione – Divieto del ricorso all’indebitamento – Non operatività per i commissari ad acta nominati per l’esecuzione del giudicato
Le prescrizioni di cui all’art. 119, comma 6, Cost., che non consentono ai Comuni, alle Province ed alle Regioni di ricorrere all’indebitamento per fare fronte a spese non d’investimento maturate dopo l’8 novembre 2001, non si applicano ai commissari ad acta nominati dal giudice amministrativo in sede di giudizio di ottemperanza ex art. 27 n. 4 del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, in quanto:
– sotto il profilo soggettivo, i commissari ad acta non si identificano con l’Amministrazione che non ha ottemperato al giudicato, trattandosi viceversa di un organo ausiliare del giudice amministrativo;
– per i commissari ad acta non esiste una norma di legge che esclude la loro capacità di ottemperare al giudicato anche mediante il ricorso all’indebitamento;
– il principio di effettività della tutela giurisdizionale, di cui i commissari ad acta garantiscono la concreta applicazione, è uno degli elementi fondanti della Stato di diritto, ha dignità costituzionale (Cfr. artt. 24, 101, 103, 111 e 113 Costituzione) e deve considerarsi prevalente rispetto al principio di parità di bilancio, cui è ispirato l’art. 119, comma 6, Costituzione;
– in presenza di situazioni finanziarie degli enti locali altamente deficitarie, ove il divieto del ricorso all’indebitamento fosse esteso anche all’attività dei commissari ad acta nominati dal giudice amministrativo, questi ultimi si troverebbero nell’impossibilità di eseguire in via sostitutiva le sentenze passate in giudicato, venendosi così a creare per gli enti debitori una situazione di sostanziale esonero da ogni responsabilità, con conseguente esposizione dello Stato Italiano ad azioni risarcitorie avanti la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, per violazione dell’art. 6.1 del Trattato del 4 novembre 1950.
 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania – Sezione Quarta, composto dai ******************:
Dott. *************                        Presidente relatore estensore
Dott. ********************            Consigliere
Dott. Dauno Trebastoni                 Referendario
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso n. 3392/2005 R.G. proposto dal Prof. R.C. e dalla Prof.ssa R.V., rappresentati e difesi dall’Avv. *************, presso il cui studio, sito in Catania, Via Firenze n. 118, sono elettivamente domiciliati;
contro
il Comune di Catania, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito;
per ottenere
l’esecuzione del decreto ingiuntivo n. 894/98 del 26 maggio 1998 del Pretore di Catania, divenuto definitivamente esecutivo a seguito del rigetto dell’opposizione, disposto con sentenza n. 141/02 del 16 gennaio 2002 del Tribunale di Catania – Sezione Prima civile, non appellata, passata in giudicato.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla Camera di consiglio del 28 marzo 2007 il Consigliere Dott. *************;
Udito l’Avvocato dei ricorrenti come da verbale di causa;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
Fatto
Con atto del 22 novembre 1989 il Comune di Catania occupava in via d’urgenza un immobile sito in Catania, censito al N.C.T. alla partita 4211 foglio 20, part.lla 258.
Successivamente, con atto dell’8 maggio 1992 i proprietari prestavano il consenso alla cessione dell’immobile ed accettavano l’indennità offerta dal Comune di Lire 115.615.000, di cui L. 97.360.000 a titolo di indennità di esproprio e L. 18.255.000 a titolo di indennità per l’occupazione di urgenza. In tale atto veniva convenuto che il pagamento delle indennità avrebbe dovuto essere effettuato entro sei mesi dalla sottoscrizione e che, in caso di ritardo, avrebbero dovuto essere corrisposti  gli interessi legali dalla data dell’occupazione fino alla data del pagamento.
Con delibera del 30 dicembre 1994 la Giunta Municipale di Catania approvava l’atto di cui sopra e disponeva il pagamento di L. 92.492.000, effettuato il 20 luglio 1995, al netto della ritenuta d’acconto, pari a Lire 18.498.000.
Un ulteriore pagamento di Lire 18.518.560 era compiuto dall’Ente il 29 novembre 1996, a seguito dell’atto pubblico di trasferimento.
I proprietari sollecitavano il pagamento delle somme residue, senza alcun esito.
Con decreto ingiuntivo n. 894/98 del 26 maggio 1998, dichiarato provvisoriamente esecutivo, il Pretore di Catania ingiungeva al Comune di pagare al Prof. C.R. ed alla Prof.ssa V.R. la somma di Lire 41.914.288, oltre interessi dalla data del 29 novembre 1996.
Con lo stesso decreto ingiuntivo le spese del procedimento erano liquidate in Lire 949.000 (di cui Lire 134.000 per spese, Lire 465.000 per competenze, Lire 350.000 per onorari), oltre *** e C.P.A. come per legge.
Avverso il predetto decreto ingiuntivo il Comune di Catania proponeva opposizione, rigettata dal Tribunale di Catania – Prima Sezione civile – con sentenza n. 141/02 del 16 gennaio 2002, non appellata, passata in giudicato, come da attestazione del 28 marzo 2007 della competente Cancelleria.
Con atto di precetto del 21 ottobre 2004, unitamente al quale erano notificati il decreto ingiuntivo e la sentenza prima indicati, gli interessati chiedevano il pagamento delle somme dovute, senza alcun esito.
Con atto di costituzione in mora, ritualmente notificato ai sensi dell’art. 90, comma 2, del R.D. 17 agosto 1907 n. 642, i ********** intimavano all’Amministrazione di ottemperare al giudicato, non ottenendo alcun riscontro.
Perdurando l’inadempienza del Comune di Catania, i predetti hanno adito questo Tribunale, chiedendo che venga accertato l’obbligo dell’Amministrazione di conformarsi al giudicato e di darvi integrale esecuzione e che, in caso di ulteriore inadempienza, venga disposta la nomina di un commissario ad acta per l’adozione degli atti sostitutivi necessari.
Il ricorso è stato notificato all’Amministrazione intimata e, ai sensi dell’art. 91 del R.D. n. 642 del 1907, è stato ritualmente comunicato all’organo preposto alla vigilanza, che non ha fatto pervenire osservazioni.
Alla Camera di. consiglio del 28 marzo 2007 la causa è passata in decisione.
Diritto
1) Per costante giurisprudenza, il decreto ingiuntivo non opposto o il decreto ingiuntivo confermato con sentenza passata in giudicato acquista, al pari di un’ordinaria sentenza di condanna, autorità ed efficacia di cosa giudicata, in relazione al diritto in esso consacrato, come si evince dagli artt. 647 e segg. c.p.c..
In base all’art. 4, comma 2, della Legge n. 2248/1865 Allegato E, la Pubblica Amministrazione ha un vero e proprio obbligo giuridico di conformarsi al giudicato dei Tribunali.
Dall’esame degli atti della causa risulta che, nonostante siano stati notificati ritualmente il decreto ingiuntivo, la sentenza di rigetto dell’opposizione ed un regolare atto di diffida, l’Amministrazione intimata non ha ottemperato a quanto disposto dal Giudice ordinario.
Pertanto la domanda proposta in questa sede è pienamente ammissibile.
Inoltre il ricorso “de quo” è stato comunicato dalla Segreteria giurisdizionale all’Assessorato Regionale della famiglia, delle Politiche Sociali e delle Autonomie Locali, ai sensi dell’art. 91 del R.D. 17 agosto 1907 n. 642, per le eventuali osservazioni.
Una volta accertato che il decreto ingiuntivo in epigrafe è divenuto definitivamente esecutivo, in dipendenza del rigetto dell’opposizione, che sussiste l’inottemperanza da parte dell’Autorità intimata e che, per l’esecuzione, sono necessari ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione, la stessa domanda risulta fondata e va accolta.
Alla luce delle predette considerazioni va affermata la persistenza dell’obbligo da parte dell’Amministrazione di ottemperare al giudicato.
La sussistenza dell’obbligo di eseguire il giudicato va affermata, ad avviso del Collegio, sia per quanto riguarda la sorte capitale che per gli interessi ed oneri accessori.
In particolare, va ribadito che in sede di giudizio di ottemperanza va riconosciuto l’obbligo di corrispondere alla parte ricorrente gli interessi sulle somme liquidate in sentenza e su quelle relative alle spese accessorie (Cfr. Consiglio di Stato, IV, 26 settembre 1980 n. 958).
Sono dovute in questa sede le spese relative ad atti accessori del decreto ingiuntivo non opposto, quali le spese di registrazione (ex art. 37 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131), di esame, di copia e di notificazione, nonché le spese ed i diritti di procuratore relativi all’atto di diffida, in quanto egualmente hanno titolo nello stesso provvedimento giudiziale.
Viceversa devono considerarsi inammissibili le eventuali domande volte ad ottenere il rimborso delle spese sostenute per procedimenti esecutivi ordinari (Cfr. T.A.R. Abruzzo 6 ottobre 1984 n. 493), trattandosi di pretese che hanno un titolo diverso rispetto alle sentenze passate in giudicato.
L’Amministrazione dovrà quindi porre in essere i necessari atti adempitivi nel termine indicato in dispositivo.
Decorso infruttuosamente tale termine, ai medesimi adempimenti provvederà sostitutivamente il Commissario “ad acta” nominato da questo Tribunale, anche mediante variazioni di bilancio e quant’altro necessario per l’assolvimento del mandato, in deroga a qualsiasi normativa di settore, ma con l’osservanza, in ogni caso, delle disposizioni di cui all’art. 159 del Decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, essendo l’Amministrazione intimata un ente locale.
2) Nell’individuazione dei poteri d’intervento dei Commissari ad acta nominati dal Giudice amministrativo per l’esecuzione del giudicato a carico di enti locali, il Collegio deve farsi carico di affrontare una particolare questione, sorta a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 119 Costituzione, nel testo sostituito dall’art. 5 della L. Cost. 18 ottobre 2001 n. 3.
A – L’art. 55, comma 1, della L. 8 giugno 1990, n. 142 ha statuito che “l’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali è riservato alla legge dello Stato”.
In virtù di tale disposizione e del recepimento che ne è stato fatto con L.R. 11 dicembre 1991, n. 48, il Legislatore regionale siciliano ha effettuato un vero e proprio rinvio dinamico alla normativa statale, la quale, nella parte relativa all’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, trova diretta applicazione nell’Isola.
Da ciò consegue che il nuovo ordinamento degli enti locali di cui al Decreto Leg.vo 18 agosto 2000, n. 267 (che ha sostituito la L. n. 142/1990), ancorché non espressamente recepito con legge regionale, va applicato anche in Sicilia, limitatamente alla Parte seconda, che concerne l’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali (artt. 149 – 269), ferme restando le competenze e le procedure diversamente disciplinate in sede regionale (Cfr. Assessorato regionale E.E.L.L. circolare 13 aprile 2001 n. 2).
Orbene, con il predetto ************** n. 267/2000 il Legislatore statale ha previsto una serie di regole finalizzate a garantire l’equilibrio di bilancio degli enti locali, consentendo tuttavia (art. 194, comma 3) la possibilità di ricorrere all’indebitamento per fronteggiare talune particolari spese non d’investimento ivi previste (per sentenze esecutive, copertura di disavanzi di consorzi, aziende speciali ed istituzioni, ricapitalizzazione di società di capitali, procedure espropriative o di occupazione d’urgenza per opere di pubblica utilità, acquisizione di beni e servizi entro certi limiti), previo il loro riconoscimento quali debiti fuori bilancio (art. 194, comma 1).
A tale originario impianto normativo si è tuttavia sovrapposto l’art. 119, comma 6, Costituzione, nel testo sostituito dall’art. 5 della Legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 (entrato in vigore l’8 novembre 2001), in base al quale “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni (…) possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento”.
In tal modo si è inteso dare dignità di precetto costituzionale al principio in virtù del quale gli enti territoriali devono salvaguardare gli equilibri di bilancio, principio retto a sua volta dalla regola basilare secondo cui alla copertura delle spese correnti deve provvedersi soltanto con entrate correnti (Cfr. Corte Conti, Reg. Lazio, Sez. Giurisd. 20 dicembre 2005 n. 3001).
Nonostante l’art. 14, comma 1, lettera o) dello Statuto abbia riservato alla competenza legislativa esclusiva della Regione siciliana la materia del “regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative”, la prescrizione di cui all’art. 119, comma 6, Costituzione è divenuta immediatamente operante anche nell’Isola, sia perché trattasi di disposizione di carattere generale, riguardante l’unità economica della Repubblica e finalizzata al coordinamento della finanza pubblica (Cfr. Corte dei conti, Sez. giurisdiz. Sicilia, 7 novembre 2006 n. 3198),   sia per effetto del rinvio dinamico alla normativa statale in materia di ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, compiuto dal Legislatore regionale sicilianocon .
Con l’art. 41, della L. 28 dicembre 2001 n. 448 (Legge finanziaria per l’anno 2002) il Legislatore statale ha introdotto nuovi strumenti di gestione del debito pubblico, affidando funzioni di coordinamento al Ministero dell’Economia e delle finanze (commi 1, 2 e 3) e, nel contempo, si è adeguato immediatamente al dettato costituzionale (comma 4), riconoscendo la legittimità dei mutui accesi per finanziare le spese di parte corrente, contemplati dall’art. 194, comma 3, del Decreto Leg.vo 18 agosto 2000, n. 267, purché riguardanti “la copertura dei debiti fuori bilancio maturati anteriormente alla data di entrata in vigore della Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”, così ribadendo il divieto di stipulare mutui destinati a coprire debiti maturati dopo l’8 novembre 2001.
Successivamente il Legislatore statale è intervenuto con l’art. 30, comma 15, della L. 27 dicembre 2002 n. 289 (legge finanziaria per l’anno 2003), con il quale è stato prescritto che, “Qualora gli enti territoriali ricorrano all’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, in violazione dell’articolo 119 della Costituzione, i relativi atti e contratti sono nulli. Le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti possono irrogare agli amministratori, che hanno assunto la relativa delibera, la condanna ad una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte l’indennità di carica percepita al momento di commissione della violazione”.
Un ulteriore intervento del Legislatore statale si è avuto con la L. 24 dicembre 2003, n. 350 e successive modificazioni, che, all’art. 3, dopo aver reiterato – al comma 16 – il divieto di indebitamento, ai commi 17 – 21 ter ha dettato delle norme attuative del precetto costituzionale, individuando in concreto le varie forme d’indebitamento e d’investimento ed estendendo tali disposizioni alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano, “ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica e nel quadro del coordinamento della finanza pubblica di cui agli articoli 119 e 120 della Costituzione”.
Dopo l’entrata in vigore della legge finanziaria 2004, nella Gazz. Uff. 4 febbraio 2004, n. 28 è stato pubblicato D.M. Economia e Finanze 1 dicembre 2003, n. 389, contenete il regolamento sull’accesso al mercato dei capitali da parte delle province, dei comuni, delle città metropolitane, delle comunità montane e delle comunità isolane, nonché dei consorzi tra enti territoriali e delle regioni, ai sensi dell’art. 41, comma 1, della L. 28 dicembre 2001, n. 448.
In conclusione, in base a tale quadro normativo, che ha superato l’originaria prescrizione di cui all’art. 194 del Decreto Leg.vo n. 267/2000, i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni non possono ricorrere all’indebitamento per fare fronte a spese non d’investimento, maturate dopo l’8 novembre 2001, tra le quali sono ricomprese quelle derivanti dall’ottemperanza a sentenze esecutive.
B – Ci si chiede, a questo punto, se le limitazioni introdotte dall’art. 119, comma 6, Cost. si applichino anche ai commissari ad acta nominati dal giudice amministrativo in sede di giudizio di ottemperanza ex art. 27 n. 4 del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054.
Per definire tale questione, occorre individuare anzitutto la natura giuridica del commissario ad acta.
Con sentenza 22 marzo 1993 n. 114 il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha affermato che “il commissario ad acta è organo straordinario dell’amministrazione solo in senso oggettivo, e cioè come strumento di imputazione all’Amministrazione sostituita di determinate fattispecie, non anche in senso soggettivo, e cioè come soggetto che formuli la reale volontà dell’Amministrazione stessa; e – più esattamente – va configurato da un punto di vista strutturale come un centro di competenze esterno all’Amministrazione il quale esprime una volontà che soggettivamente non promana dall’amministrazione anche se ad essa è imputabile, e dal punto di vista funzionale come ufficio ausiliare del giudice dell’ottemperanza (Cons. Stato, A.P. 26 agosto 1991 n. 5; C.G.A. 1 agosto 1991 n. 343; 29 giugno 1989 n. 238; 25 aprile 1985 n. 54)".
Tale orientamento è stato seguito dalla giurisprudenza successiva (Cfr. Tar Genova, Sezione I, 24 febbraio 2004 n. 186; Cons. Stato, V, 9 ottobre 2006 n. 5952).
In quanto centro di competenze esterno all’Amministrazione, il Commissario ad acta non si identifica con questa, essendo la sua funzione esclusiva quella di dare concreta attuazione al giudicato del quale è stata chiesta l’esecuzione, in applicazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale anche nei confronti della Pubblica amministrazione, principio che, come precisato dalla Corte costituzionale con sentenza 15 settembre 1995 n. 435, trova fondamento negli artt. 24, 101, 103 e 113 Costituzione. 
In particolare, con la citata sentenza n. 435/1995 la Corte costituzionale ha precisato che:
“ … proprio in base al (…) principio di effettività della tutela deve ritenersi connotato intrinseco della stessa funzione giurisdizionale, nonché dell’imprescindibile esigenza di credibilità collegata al suo esercizio, il potere di imporre, anche coattivamente in caso di necessità, il rispetto della statuizione contenuta nel giudicato e, quindi, in definitiva, il rispetto della legge stessa. Una decisione di giustizia che non possa essere portata ad effettiva esecuzione (eccettuati i casi di impossibilità dell’esecuzione in forma specifica) altro non sarebbe che un’inutile enunciazione di principi, con conseguente violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, i quali garantiscono il soddisfacimento effettivo dei diritti e degli interessi accertati in giudizio nei confronti di qualsiasi soggetto: e quindi anche nei confronti di qualsiasi atto della pubblica autorità, senza distinzioni di sorta…
… l’esercizio di poteri autoritativi al fine della effettiva realizzazione della tutela garantita dalla Costituzione è una fase (pur se eventuale) intrinsecamente complementare e necessaria all’esercizio della giurisdizione … … come questa Corte ha avuto occasione di affermare fin dalla sentenza n. 75 del 1977, l’attività commissariale, pur essendo, praticamente, la medesima che avrebbe dovuto essere prestata dall’amministrazione, ne differisce tuttavia giuridicamente perché si fonda sull’ordine contenuto nella decisione del giudice amministrativo, alla quale è legata da uno stretto nesso di strumentalità. In breve, poiché i provvedimenti del commissario ad acta risultano disposti dal giudice e specificamente predeterminati nel contenuto, sono da ritenersi meramente esecutivi ed a questi direttamente riferibili”.
In conclusione, l’attività del commissario ad acta costituisce un momento necessario nell’attuazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale ed è riferibile al giudice dell’esecuzione, del quale il commissario costituisce la “longa manus”.
Ciò comporta che, come chiarito da questo Tribunale con recente sentenza 16 aprile 2007, n. 634, il commissario deve essere ritenuto titolare del potere di emanare i necessari provvedimenti amministrativi anche in deroga alle norme che disciplinano la competenza alla loro emanazione (cfr. Cons. Stato, IV, 18 settembre 1991 n. 720; Cons. Stato, IV, 3 maggio 1986 n. 323) e la stessa attività sostanziale, salvi i casi in cui una norma di legge vincoli espressamente il suo operato, come nel caso del comma 5 dell’art. 159 del D.Lgs. 267/2000, ai sensi del quale (anche) “i provvedimenti adottati dai commissari nominati a seguito dell’esperimento delle procedure di cui all’articolo 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, devono essere muniti dell’attestazione di copertura finanziaria, e di cui all’articolo 27, comma 1, numero 4, del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, emanato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054”.
C – Tutto ciò premesso, il Tribunale ritiene che le prescrizioni di cui all’art. 119, comma 6, Cost., che non consentono ai Comuni, alle Province ed alle Regioni di ricorrere all’indebitamento per fare fronte a spese non d’investimento maturate dopo l’8 novembre 2001, non si applicano ai commissari ad acta nominati dal giudice amministrativo in sede di giudizio di ottemperanza ex art. 27 n. 4 del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, in quanto:
– sotto il profilo soggettivo, i commissari ad acta non si identificano con l’Amministrazione che non ha ottemperato al giudicato, trattandosi viceversa di un organo ausiliare del giudice amministrativo;
– per i commissari ad acta non esiste una norma di legge che esclude la loro capacità di ottemperare al giudicato anche mediante il ricorso all’indebitamento;
– il principio di effettività della tutela giurisdizionale, di cui i commissari ad acta garantiscono la concreta applicazione, è uno degli elementi fondanti della Stato di diritto, ha dignità costituzionale (Cfr. artt. 24, 101, 103, 111 e 113 Costituzione) e deve considerarsi prevalente rispetto al principio di parità di bilancio, cui è ispirato l’art. 119, comma 6, Costituzione;
– in presenza di situazioni finanziarie degli enti locali altamente deficitarie, ove il divieto del ricorso all’indebitamento fosse esteso anche all’attività dei commissari ad acta nominati dal giudice amministrativo, questi ultimi si troverebbero nell’impossibilità di eseguire in via sostitutiva le sentenze passate in giudicato, venendosi così a creare per gli enti debitori una situazione di sostanziale esonero da ogni responsabilità, con conseguente esposizione dello Stato Italiano ad azioni risarcitorie avanti la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, per violazione dell’art. 6.1 del Trattato del 4 novembre 1950.
In conclusione, i commissari ad acta possono intraprendere tutte le iniziative necessarie per ottemperare al giudicato, ivi compreso il ricorso all’indebitamento, ove questo sia indispensabile per garantire la copertura finanziaria ai loro provvedimenti.
3) Conseguentemente, nell’espletamento dell’incarico, il Commissario ad acta nominato in questa sede dovrà attenersi ai principi di diritto individuati al superiore punto 2). 
Una volta emessi i provvedimenti di liquidazione, il Commissario potrà emettere anche i mandati di pagamento e trasmetterli direttamente all’istituto cassiere.
I provvedimenti di liquidazione ed i conseguenti mandati di pagamento dovranno trovare esecuzione con priorità rispetto a tutti gli altri provvedimenti del Comune.
Una volta espletate tutte le operazioni – a conclusione delle quali, nel caso in cui non sia stato già emesso dagli uffici competenti, potrà emettere egli stesso il provvedimento di liquidazione relativo alle proprie competenze, e trasmetterlo direttamente all’Istituto tesoriere – il Commissario ad acta invierà a questa Sezione una dettagliata relazione sugli adempimenti realizzati e sull’assolvimento del mandato ricevuto.
Il compenso per il commissario ad acta, liquidato in dispositivo, viene determinato dal Collegio ai sensi dell’art. 57 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (che rinvia alla disciplina degli ausiliari del magistrato), tenendo conto del valore della controversia e dell’attività necessaria per reperire le somme dovute. Sul predetto compenso dovrà essere effettuata la ritenuta d’acconto nella misura e nei modi di legge.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione staccata di Catania – Sezione Quarta dichiara l’obbligo del Comune di Catania di adottare le determinazioni amministrative e contabili necessarie per dare esecuzione al giudicato nascente dal decreto ingiuntivo indicato in epigrafe.
All’uopo assegna all’Ente predetto il termine di giorni trenta (30) dalla comunicazione o dalla notificazione anche a cura di parte, della presente sentenza, per ottemperare al giudicato.
Per il caso di inadempienza ulteriore, nomina Commissario “ad acta” il **********, ************* in servizio presso la Prefettura – Ufficio Territoriale di Governo di Siracusa, perché provveda entro gli ulteriori centottanta (180) giorni dalla scadenza del termine predetto a dare esecuzione al giudicato, a spese dell’Ente intimato.
Condanna ilComune di Catania al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese e degli onorari del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.100,00 (mille), di cui Euro 100,00 per contributo unificato ed Euro 1.000,00 per onorari ed i diritti di avvocato, oltre *** e C.P.A. come per legge ed il rimborso spese generali nella misura del 12,50%.
Liquida il compenso del Commissario “ad acta” in Euro 1.800,00 (milleottocento) e pone l’onere della relativa spesa a carico del Ente intimato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa
Così deciso in Catania, nella Camera di Consiglio del 28 marzo 2007.
Il Presidente relatore estensore
(*******************)
 
 
   Depositata in Segreteria il
        Il Direttore di Segreteria della Sezione

sentenza

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