Se viene dichiarata inammissibile un’istanza proposta a norma dell’art. 35 ter, legge, 26 luglio 1975, n. 354, si può impugnare solo ricorrendo in Cassazione

Scarica PDF Stampa

La Cassazione penale, in diverse pronunce, ha affermato in modo uniforme e costante che, nel caso in cui venga dichiarato inammissibile una istanza proposta a norma dell’art. 35 ter, legge, 26 luglio 1975, n. 354, l’unico mezzo di impugnazione consentito è quello di ricorrere per Cassazione a norma dell’art. 666, co. 2, c.p.p.. Le ragioni, che hanno indotto i giudici di legittimità a pervenire a siffatta conclusione giuridica, muovono innanzitutto dal tenore testuale di questa disposizione legislativa.

E’ stato difatti rilevato, atteso che detta statuizione di legge “disciplina specificamente soltanto il procedimento per il risarcimento di competenza del giudice civile di cui al comma 3”, come “il modello procedimentale sia quello previsto per il reclamo giurisdizionale di cui all’art. 35-bis Ord. Pen., introdotto con il D.L. n. 146 del 2013, conv. con L. n. 10 del 2014”[1].

I giudici di Piazza Cavour hanno altresì fatto presente, ad ulteriore sostegno di questa tesi giuridica, come militi a favore anche “il rinvio del comma 1 della disposizione in esame all’art. 69 Ord. Pen., comma 6, lett. b),come modificato dal predetto D.L., secondo il quale il magistrato di sorveglianza applica il procedimento di cui all’art. 35-bis, per decidere sui reclami dei detenuti ed internati relativi ai pregiudizi all’esercizio di diritti che derivino dalla inosservanza da parte dell’amministrazione penitenziaria dell’ordinamento penitenziario”[2]. In effetti, l’art. 35 ter, co. 1, legge n. 354 rimanda, quale pregiudizio che può legittimare la richiesta di riduzione della pena o la possibilità di chiedere un risarcimento del danno, proprio quello previsto dall’art. 69, co. 6, lett. b), legge n. 354 del 1975.

La Corte ha evidenziato altresì che il modello giurisdizionale previsto dall’art. 35 bis o.p., “che si svolge secondo le cadenze degli artt. 666 e 678 cod. proc. pen., appare, sotto il profilo logico-sistematico, conforme alla ratio che complessivamente sottende alla introduzione del rimedio compensativo nella forma specifica della riduzione della pena da espiare, volto alla effettiva e congrua riparazione del pregiudizio per inumano trattamento detentivo in violazione dell’art. 3 della Convenzione EDU”[3] posto che tale schema procedurale si caratterizza per il fatto che esso “prende avvio con il reclamo dell’interessato che, pur non richiedendo una forma specifica, deve indicare almeno cosa si chiede (petitum) e perchè (causa petendi)”[4].

Soffermandoci per un attimo su questo specifico passaggio motivazionale, chi scrive non può non aderire rispetto a quanto enunciato in tale approdo ermeneutico stante l’evidente analogia o meglio identità strutturale che connota il procedimento previsto dall’art. 35 bis o.p. con quello in esame. Difatti, è evidente che, anche nella richiesta da proporre a norma dell’art. 35 ter o.p., è onere dell’interessato indicare i periodi di detenzione, degli istituti di pena e delle specifiche condizioni detentive in relazione ai quali l’interessato deduce un trattamento penitenziario subito in violazione dell’art. 3 Cedu[5].

Tornando a trattare quanto enunciato dalla Cassazione, gli ermellini hanno evidenziato per di più che, a fronte del chiaro tenore letterale dell’art. 35 bis, co. 1, o.p., è del pari evidente che detta previsione di legge fa espressamente salvi “i casi di manifesta inammissibilità della richiesta a norma dell’art. 666 c.p.p., comma 2”[6]. Da ciò la Cassazione è pervenuta alla conclusione secondo la quale se è vero che, tra “le peculiarità del procedimento disciplinato dall’art. 35-bis Ord. Pen., (…) vi è certamente (…) la previsione del doppio grado di giudizio di merito nel contraddittorio delle parti”[7] dato che “la decisione sul reclamo deve essere adottata dal magistrato di sorveglianza all’esito dell’udienza nel contraddittorio delle parti e al comma 4 è prevista l’impugnazione di tale decisione attraverso il reclamo al tribunale di sorveglianza (…)”[8], è altrettanto vero che la possibilità per il magistrato di sorveglianza, di emettere un provvedimento fuori dal modello partecipato, è consentita proprio alla luce di questo comma (vale a dire il comma primo) che, nel far salvi per l’appunto i casi di manifesta inammissibilità della richiesta a norma dell’art. 666, comma 2, c.p.p., impone la ricorribilità per Cassazione “nei casi in cui risulti che la richiesta è manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge ovvero costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi, il magistrato di sorveglianza potrà dichiarare con decreto de plano il reclamo inammissibile”[9]; invero, secondo quanto dedotto sempre in sede di legittimità, “la dichiarazione di inammissibilità risulta possibile solo quando facciano difetto nell’istanza i requisiti posti direttamente dalla legge che non implicano alcuna valutazione discrezionale (Sez. 1, n. 277 del 13/01/2000, rv. 215368)”[10]. Ebbene, non può non condividersi anche tale passaggio argomentativo in quanto sicuramente conforme sia al dettato normativo di queste norme giuridiche, che sotto il profilo logico sistematico (non avrebbe difatti senso, ad avviso di chi scrive, concepire due diversi regime impugnatori per casi, come appena visto, analoghi l’uno all’altro). Sotto questo secondo profilo, non può difatti non farsi presente, come peraltro già evidenziato in precedenza, che la stessa Cassazione ha rimarcato tale omogeneità strutturale evidenziando in questo senso che “il modello del reclamo giurisdizionale introdotto con l’art. 35-bis, che si svolge secondo le cadenze degli artt. 666 e 678 cod. proc. pen. appare, invero, sotto il profilo logico-sistematico conforme alla ratio che complessivamente sottende alla introduzione del rimedio compensativo nella forma specifica della riduzione della pena da espiare, volto alla effettiva e congrua riparazione del pregiudizio per inumano trattamento detentivo in violazione dell’art. 3 della convenzione EDU”[11]. Tal che ne consegue che se il modello procedurale deve considerarsi sempre lo stesso sotto un profilo logico-sistematico, va da sé che non ha senso prevedere due distinti moduli procedurali, sotto il profilo del regime impugnatorio, a seconda che il pregiudizio rilevi a norma dell’art. 35 ter o.p. o in tutti gli altri casi previsti dall’art. 69, co. 6, lett. b), o.p..

D’altronde, la Corte di Cassazione ha chiarito anche come ed in che termini una richiesta di questo tipo possa considerarsi inammissibile. In particolare, è stato affermato, sulla scorta di quella letteratura scientifica che ha avvertito il pericolo, che la ricognizione dei presupposti di ammissibilità della domanda, possa causare “una implicita valutazione del merito con la adozione di provvedimenti di sostanziale rigetto in assenza della esplicazione del regolare contraddittorio che l’art. 35-bis Ord. Pen. impone”[12], che la carenza delle condizioni di legge, da doversi rilevare ictu oculi, “non deve comportare valutazioni discrezionali, nè valutazioni negative fondate su argomentazioni complesse o rese opinabili da possibili differenti ricostruzioni della situazione di fatto posta a base della richiesta”[13] giacchè “l’anticipazione alla fase del vaglio preliminare di ammissibilità di una decisione sostanzialmente nel merito sull’istanza violerebbe il contraddittorio che nei procedimenti di esecuzione e di sorveglianza, laddove prevista, garantisce il diritto di partecipazione dell’interessato finalizzato alla possibilità di prospettare le proprie opzioni nella dialettica tra le parti”[14] (esempio: richiesta in cui non siano indicati i periodi di detenzione in cui il detenuto ha subito trattamenti carcerari in contrasto con l’art. 3 CEDU).

Argomentazione giuridica questa, anch’essa totalmente condivisibile, in quanto si evita in tal modo una eventuale lesione del diritto del detenuto di poter esporre le proprie ragioni e spiegare come ed in che termini costui abbia subito un pregiudizio in costanza di detenzione.

Del resto, ad ulteriore conferma della fondatezza della tesi giuridica favorevole al ricorribilità per Cassazione, può osservarsi come l’utilizzo del reclamo nel caso di specie sarebbe peraltro totalmente in contrasto con il principio di economia processuale stante il fatto che, anche a voler concedere per ipotesi proponibile tale mezzo di impugnazione, come dedotto sempre in sede di legittimità, ciò comporterebbe, a carico del Tribunale di sorveglianza, ai sensi dell’art. 604 c.p.p., l’obbligo di dichiarare nullo il “provvedimento di primo grado” con l’obbligo contestuale di rimettere “le parti davanti al Magistrato di sorveglianza, con inutile dispendio di tempo e di risorse”[15].

Alla stregua di tali considerazioni giuridiche, non possono dunque non condividersi i principi di diritto affermati dalla Cassazione secondo cui, da un lato, avverso “il provvedimento di inammissibilità adottato de plano dal magistrato di sorveglianza – (…) – unico mezzo di impugnazione potrà essere il ricorso per cassazione e non il reclamo al tribunale di sorveglianza nel contraddittorio delle parti”[16], dall’altro, (principio questo da intendersi come logico corollario di quello appena citato), “il ricorso per cassazione avverso il decreto di inammissibilità del reclamo proposto ai sensi degli artt. 35-bis e 35-ter Ord. Pen. emesso dal magistrato di sorveglianza ex art. 666 c.p.p., comma 2 – (…) – non può essere qualificato reclamo ai sensi dell’art. 35-bis Ord. Pen.”[17] (situazione questa la quale non potrà che comportare la trasmissione degli atti al Tribunale di sorveglianza per le dovute determinazioni decisorie da adottare).

 


[1]Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 16 LUGLIO 2015 (DEP. 26 NOVEMBRE 2015) , n. 49966, in Ilpenalista.it 2016, 15 gennaio, con nota di P. BRONZO, Ammissibilità del rimedio risarcitorio ex art. 35- ter ord. pen. in caso di detenzione inumana.

[2]Ibidem.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem.

[5]In tal senso: Cass. pen., sez. I, sentenza, ud. 16 luglio 2015 (dep. 1 dicembre 2015), in CED Cass. pen., 2016.

[6]Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 16 LUGLIO 2015 (DEP. 26 NOVEMBRE 2015) , n. 49966, in Ilpenalista.it 2016, 15 gennaio, con nota di P. BRONZO, Ammissibilità del rimedio risarcitorio ex art. 35- ter ord. pen. in caso di detenzione inumana.

[7]Ibidem.

[8]Ibidem.

[9]Ibidem.

[10]Ibidem.

[11]Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 16 luglio 2015 (dep. 26 novembre 2015), n. 46967, in CED Cass. pen., 2016.

[12]Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 16 LUGLIO 2015 (DEP. 26 NOVEMBRE 2015) , n. 49966, in Ilpenalista.it 2016, 15 gennaio, con nota di P. BRONZO, Ammissibilità del rimedio risarcitorio ex art. 35- ter ord. pen. in caso di detenzione inumana.

[13]Ibidem.

[14]Ibidem.

[15]Ibidem.

[16]Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 16 LUGLIO 2015 (DEP. 26 NOVEMBRE 2015) , n. 49966, in Ilpenalista.it 2016, 15 gennaio, con nota di P. BRONZO, Ammissibilità del rimedio risarcitorio ex art. 35- ter ord. pen. in caso di detenzione inumana.

[17]Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 16 luglio 2015 (dep. 26 novembre 2015), n. 46967, in CED Cass. pen., 2016.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento