riferimenti normativi: artt. 1123 c.c.
precedenti giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. II, Sentenza n. 2888 del 25/03/1987
La vicenda
Un condomino, titolare di un’unità immobiliare con lastrico in uso esclusivo, citava a comparire davanti al Giudice di Pace il condominio, richiedendo l’annullamento di una delibera assembleare; in particolare lamentava che con tale decisione l’assemblea a maggioranza aveva disposto la ripartizione delle spese di manutenzione straordinaria della predetta copertura secondo il criterio dell’art. 1126 c.c. anziché in conformità al criterio, su base millesimale, previsto dal regolamento condominiale predisposto dall’originario costruttore – venditore dell’edificio e richiamato negli atti di acquisto di ciascun condomino.
Secondo il condominio l’attore aveva impugnato la delibera dopo il termine di trenta giorni di cui all’art. 1137 c.c e, quindi, richiedeva il rigetto della domanda.
Il Giudice di Pace aderiva alla tesi del condominio e rigettava la domanda del singolo condomino in quanto il termine per impugnare era già decorso.
Il Tribunale rigettava l’appello e condannava il condomino a a pagare le spese del grado.
Secondo il tribunale la decisione di utilizzare il criterio di riparto stabilito dall’art. 1126 c.c. risaliva ad un’altra delibera mai impugnata; in ogni caso notava che modificare un criterio di riparto vuole dire, in concreto, fissare una regola valevole non solo per quella spesa, ma anche per il futuro, il che non era avvenuto nel caso della delibera impugnata.
Il singolo condomino con uso esclusivo del lastrico ricorreva in cassazione osservando come l’impugnata delibera avesse invece disposto, in assenza dell’unanime consenso di tutti condomini, in via definitiva, valevole anche per il futuro, la ripartizione delle spese di manutenzione straordinaria del lastrico solare secondo un criterio difforme da quello di cui all’art. 7 del regolamento secondo cui le spese erano da ripartire secondo la tabella millesimale delle spese generali allegata al medesimo regolamento.
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La questione
Se una clausola del regolamento lo consente l’assemblea può stabilire un nuovo criterio di ripartizione delle spese comuni a maggioranza anzichè all’unanimità?
La soluzione
La Cassazione ha dato ragione al condominio.
In particolare i giudici supremi, tra l’altro, hanno notano che tutti i condomini si erano vincolati tanto personalmente, quanto per i propri eredi, successori ed aventi causa, ed inquilini, ad osservare il regolamento secondo cui le eventuali revisioni, aggiunte o modifiche, proposte dall’amministratore o dai comproprietari, potevano essere approvate dall’assemblea ai sensi dell’articolo 1138 c.c.
Questa clausola di natura contrattuale quindi consentiva a maggioranza di modificare i criteri di ripartizione delle spese previste dalla legge o dal regolamento.
In particolare – come hanno osservato i giudici supremi – il riferimento all’art. 1138 c.c. ha indicato chiaramente la maggioranza necessaria per le modifiche ai criteri di spesa e, cioè la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.
Le riflessioni conclusive
Nell’ambito dei regolamenti condominiali predisposti dall’originario proprietario dell’edificio condominiale ed allegati ai contratti di acquisto delle singole unità immobiliari, nonchè dei regolamenti condominiali formati con il consenso unanime di tutti i condomini, si devono distinguere le clausole contrattuali da quelle regolamentari.
In particolare sono di natura contrattuale soltanto quelle clausole il cui obiettivo è limitare i diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni ovvero attribuire ad alcuni condomini maggiori diritti rispetto agli altri o ripartire le spese con criteri diversi da quelli previsti dalla legge.
Sono invece regolamentari quelle clausole che si limitano a disciplinare l’uso dei beni comuni. Le clausole di natura contrattuale possono essere modificate soltanto dall’unanimità dei condomini e non da una deliberazione assembleare maggioritaria, avendo la modifica la medesima natura contrattuale, mentre le clausole di natura regolamentare sono modificabili anche da una deliberazione adottata con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, comma 2, c.c.
Alla luce di quanto sopra in linea generale non è possibile a maggioranza introdurre un criterio di ripartizione delle spese diverso da quello previsto dalla legge o dal regolamento.
La situazione però cambia qualora una clausola, sempre di natura contrattuale, stabilisca che eventuali revisioni, aggiunte o modifiche, proposte dall’amministratore o dai comproprietari, possono essere approvate dall’assemblea ai sensi dell’articolo 1138 c.c.
Questa clausola autorizza l’assemblea a cambiare i criteri di spesa previsti dal regolamento o dalla legge a maggioranza (maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio) anziché all’unanimità.
Del resto la Cassazione aveva già precisato che quando una clausola di natura contrattuale del regolamento stabilisce, senza distinzioni, che le norme contenute nel medesimo sono revocabili e suscettibili di modifiche ed aggiunte, purché queste risultino approvate dall’assemblea con le maggioranze necessarie per legge, il giudice del merito, chiamato ad accertare se sia legittima una delibera assembleare maggioritaria con la quale le spese di portierato siano state poste anche a carico dei condomini proprietari dei locali esterni e interrati dell’edificio che una norma di detto regolamento esonerava invece dal concorrere a tali spese, non può risolvere il problema, nel senso della illegittimità, esclusivamente sulla base del principio generale secondo cui le norme condominiali sorte per contratto possono essere modificate solo col consenso di tutti i contraenti; il giudice invece deve indagare se la predetta clausola non deroghi a questo principio, avvalendosi, a tal fine, degli strumenti interpretativi offerti dal codice civile e, in particolare, dall’art. 1367 che impone, nel dubbio, di interpretare le singole clausole nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; inoltre si deve valutare il comportamento complessivo delle parti (art. 1362, 2° comma c. c.) in relazione al pregresso pagamento di quelle spese da parte dei condomini originariamente esclusi (Cass. civ., sez. II, 25/03/1987, n. 2888).
Del resto è possibile che in un regolamento sia inserita una clausola di natura contrattuale (perché è costitutiva di diritto soggettivo e non attinente alla mera amministrazione della cosa comune) in cui viene stabilito l’esonero totale o parziale di un condomino dalle spese.
L’art. 1123 c.c., infatti, non ha sottoposto ad alcun limite la deroga convenzionale del criterio di ripartizione delle spese da esso stesso fissato (“Le spese … sono sostenute dai condomini … salvo diversa convenzione”), con la conseguenza che deve ritenersi legittima non solo una distribuzione delle spese tra condomini diversa da quella legale, ma anche la deroga convenzionale che preveda l’esclusione di uno o più condomini, proprietari di determinate unità immobiliari, dalla partecipazione totale o parziale nelle spese.
Tale clausole, di norma, si devono ritenere operanti nei confronti dei successori dei condomini originari stipulanti, con la conseguenza che il diritto all’esonero si trasferisce agli aventi causa a titolo particolare (acquirenti) o universale (eredi) dell’unità immobiliare a cui favore esso sia stato previsto.
Queste considerazioni non valgono, però, se dalla clausola risulta l’inequivoca volontà di concedere l’esenzione solo a colui che, in un determinato momento, abbia il diritto sul bene, se cioè emerge con chiarezza che l’esenzione riguarda un soggetto, anziché l’unità immobiliare fruente dell’esenzione dalle spese.
In caso di dubbio, l’accertamento sarà operato dal giudice che, con apprezzamento, di fatto dovrà verificare se l’esonero previsto dalla clausola in questione si riferisce, ad esempio, all’appartamento al piano terreno in sé, al negozio o alla persona del suo primo acquirente.
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