Rimessione alla Corte Costituzionale in tema di avvalimento dell’avvocatura regionale da parte delle ASL e di varie aziende strumentali della regione

sentenza 21/07/11
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N. 03725/2011 REG.PROV.COLL.

N. 03383/2010 REG.RIC.           

 

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 3383 del 2010, proposto da:***

contro***

e con l’intervento di***

per l’annullamento

della Delibera di Giunta Regionale n. 603 del 27/03/2009, con la quale è stata autorizzata l’A.G.C. Avvocatura della Giunta Regionale a stipulare con gli enti strumentali la convenzioni previste dall’art. 29 della L.R. n. 1/2009; della convenzione rep. 14162 del 10/04/2009 stipulata dall’A.G.C. Avvocatura e l’A.S.L. di Salerno, avente ad oggetto l’estensione del patrocinio legale e dell’attività di consulenza dell’Avvocatura Regionale a favore di detto Ente; di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale, comunque lesivo dei diritti dei ricorrenti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania, del Ministero della Giustizia, del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli e del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Salerno;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 giugno 2011 la dott.ssa ***************************** e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale.

Con ricorso n.3383/2010 R.G – trasmesso per competenza ai sensi dell’art.32 L.1034/71 dal Tar Salerno, dove era stato proposto con n.1174/2009 R.G – i ricorrenti, tutti funzionari dell’Avvocatura regionale, hanno impugnato la delibera regionale n.603 del 27.03.2009, con la quale l’Avvocatura è stata autorizzata a stipulare con gli enti strumentali le convenzioni previste dall’art.29 della L.R. 1/2009 ed è stato elaborato lo “schema-tipo” da sottoscriversi con gli enti strumentali della Regione Campania, ai quali è data la facoltà di avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura regionale.

I ricorrenti hanno altresì impugnato, in quanto atto consequenziale, anche la successiva convenzione rep.14162, stipulata da ****** Avvocatura e A.S.L. Salerno, avente ad oggetto l’estensione del patrocinio legale e dell’attività di consulenza dell’Avvocatura regionale a favore di detto ente.

Ed invero, lo schema di convenzione approvato con la delibera n.603/09 postula, all’art.6 commi 3,4,5,6 l’attribuzione di un duplice mandato all’Avvocatura regionale che dovrà patrocinare per gli enti terzi: un mandato rilasciato dal Presidente della Giunta Regionale ed un mandato rilasciato dal legale dell’ente convenzionato per la difesa nelle liti attive e passive.

Tale convenzione-tipo affida, inoltre, il controllo dell’eventuale conflitto di interesse con gli enti convenzionati al Settore regionale competente e all’Avvocatura regionale e stabilisce che il compenso spetti all’Avvocatura solo in caso di rigetto nel merito delle domande proposte, ovvero in caso di accoglimento delle pretese fatte valere per gli enti patrocinati, sulla base di una parcella redatta dall’Avvocatura, applicando i minimi tariffari vigenti al valore di ciascuna controversia (da determinarsi secondo il c.p.c., comparando chiesto e pronunciato al fine di evidenziare l’effettiva componente favorevole per l’ente).

A seguito del commissariamento delle ASL Campane, l’AGC Avvocatura della Regione Campania, ritenendo di poter applicare anche a detti enti la L.R. n.1/09 e la delibera applicativa D.R.G.C. n.603/09, avrebbe quindi stipulato, con efficacia decorrente dal 1.05.2009, ulteriori e non meglio precisate convenzioni per il patrocinio legale delle ASL in tutte le sedi giurisdizionali (che, peraltro, divergerebbero dallo schema-tipo).

In virtù di tali convenzioni, sarebbe stato richiesto agli Avvocati regionali di istruire pratiche di consulenza legale relative a questioni che vedono parti detti enti, malgrado le ASL non possano- secondo l’assunto di parte ricorrente- essere qualificate “enti strumentali” della Regione, malgrado l’AGC non sia legittimata a stipulare per conto dei singoli Avvocati regionali e, soprattutto, malgrado il rapporto di esclusiva che vincola gli avvocati iscritti all’Elenco speciale degli ****, in considerazione del divieto contenuto nell’art.3 del R.D.L. del 27 novembre 1933, n.1578.

Per effetto di tali incarichi, i ricorrenti si vedrebbero quindi esposti al rischio di sanzioni disciplinari da parte degli Ordini di appartenenza o, qualora si rifiutassero di prestare tali attività, da parte del datore di lavoro.

Come motivi di doglianza, i ricorrenti hanno dedotto le seguenti censure:

1) Violazione degli artt.3, 24 e 117, comma 2, della Costituzione in relazione al R.D. 1578 del 1933 e alla L.R. 11/91 nonché violazione delle norme sull’affidamento di servizi del Trattato U.E., eccesso di potere e perplessità.

Si sostiene, infatti, che “anche dopo la modifica del Titolo V della Costituzione, ai sensi dell’art.117 Cost., comma 3, la disciplina delle professioni risulta comunque ricompresa tra le materie attribuite alla legislazione concorrente delle Regioni”, come più volte affermato dal Giudice delle leggi che ha ritenuto che “devono ritenersi riservate allo Stato sia l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e ordinamenti didattici, sia la disciplina dei titoli necessari per l’esercizio delle professioni, sia l’istituzione di nuovi albi” (cfr. Corte Costituzionale dell’11/6/2008 n. 222).

L’attribuzione della materia delle «professioni» alla competenza concorrente dello Stato, prevista dalla citata disposizione costituzionale – continuano i ricorrenti- “prescinde dal settore nel quale l’attività professionale si esplica e corrisponde all’esigenza di una disciplina uniforme sul piano nazionale che sia coerente anche con i principi dell’ordinamento comunitario (Cfr. Corte Cost. sent. n. 424/06, n. 153/06, n. 40/06, n.424/05, n. 355/05 e n.319/05). Di conseguenza,spetta inequivocamente a1la legislazione dello Stato fissare i principi generali necessari a garantire l’uniformità della disciplina sull’intero territorio nazionale, residuando la possibilità per le Regioni di porre in essere normative di dettaglio rispettose dei suddetti principi generali”.

In particolare, per quanto attiene ai principi generali dell’esercizio della professione forense, essi sono dettati dal R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore) che costituisce, tuttora, la normativa statale di principio, alla cui osservanza sono strettamente tenute le Regioni nell’esplicazione della propria potestà legislativa concorrente.

Per quanto riguarda il regime delle incompatibilità, l’art.3 del citato R.D.L. stabilisce che l’esercizio della professione di avvocato è incompatibile con qualunque impiego o ufficio retribuito con stipendio sul bilancio dello Stato e di qualsiasi altra amministrazione o istituzione pubblica.

L’unica possibilità di derogare a tale regime, secondo il legislatore statale, è subordinata al rispetto di due rigorose condizioni:

a) l’esclusività dell’attività professionale prestata dall’avvocato degli uffici legali, istituiti presso gli enti pubblici, per il datore di lavoro;

b) l’iscrizione degli avvocati nell’Elenco speciale annesso all’Albo ordinario che, dando atto del summenzionato rapporto di esclusività, autorizza i legali a patrocinare unicamente per l’ente di appartenenza.

Pertanto, ad avviso dei ricorrenti, l’art. 29, comma 1, della L.R. 1/09 – nell’estendere il patrocinio dell’Avvocatura regionale a favore di enti terzi- avrebbe violato il principio di legge statale che impone l’esclusività della prestazione a favore dell’ente di appartenenza.

Da ciò discenderebbe “l’assoluta inammissibilità del potere della G.R. di imporre ai ricorrenti avvocati di prestare la propria attività professionale in nome e conto di soggetti terzi, per i quali essi non sono e non possono essere abilitati al patrocinio, stante il regime preclusivo individuato dalla norma statale di principio che consente di patrocinare per il solo Ente datore di lavoro, determinandosi in caso contrario conseguenze sul piano della legittimità e permanenza in essere del diritto all’iscrizione nell’Elenco speciale dell’Albo professionale”.

La vicenda in esame – argomentano i ricorrenti- per quanto concerne il profilo della disciplina delle professioni, presenta elementi di identità con la questione affrontata dal TAR Lombardia-Milano che, con ordinanza del 7 febbraio 2008, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2 della legge della Regione Lombardia 27 dicembre 2006, n. 30, con riferimento agli artt. 117, commi e 3, e 24, commi 1 e 2, Cost., nella parte in cui dispone che gli enti pubblici indicati dalla Giunta regionale si avvalgono, di norma, del patrocinio dell’ Avvocatura regionale per la difesa di atti o attività connessi ad atti di indirizzo e di programmazione regionale; che la rappresentanza in giudizio è disposta conformemente agli ordinamenti dei singoli enti; che i rapporti tra i soggetti individuati e l’amministrazione regionale sono regolati da apposite convenzioni; e infine che la rappresentanza rimane esclusa nei casi di conflitto di interessi e per atti e attività inerenti all’ organizzazione degli enti.

Sebbene nel caso suindicato la vicenda si sia conclusa, innanzi alla Corte Costituzionale (v.ord. n. 43 del 13.2.2009), con un atto di resipiscenza della Regione Lombardia – che con L.R. n.33 del 28.12.2008 ha abrogato la norma sospettata di incostituzionalità – ad avviso dei ricorrenti “tutti i delineati profili di illegittimità costituzionale della legge lombarda sono ravvisabili anche nell’art. 29, comma 1, della L.R. Campania n.1/09”.

Più specificamente, “secondo il G.A. della Lombardia, la norma regionale censurata, incidendo sulla materia delle professioni, si poneva in contrasto con l’art.117, 3 comma, Cost., che in materia di competenza concorrente riserva allo Stato la determinazione dei principi fondamentali”.

In particolare, il TAR Milano rilevava che, in tema di ordinamento della professione di avvocato, l’art.3 del R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578 stabilisce che gli avvocati e i procuratori degli uffici lega1i, istituiti presso gli enti di cui al secondo comma della stessa disposizione, possono patrocinare esclusivamente le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale prestano la loro opera, consentendo, solo in relazione a tali ultimi affari, che gli stessi siano iscritti nell’Elenco speciale dell’Albo ordinario.

Per il G.A. lombardo, la ratio del regime delle incompatibilità con l’esercizio della professione di avvocato risiede nella tutela dell’indipendenza del professionista, oltre che degli interessi dell’ente pubblico, cui il dipendente è legato da un rapporto di esclusiva e, pertanto, le uniche eccezioni a tale regime di incompatibilità sarebbero quelle tassativamente indicate dall’art. 3, 4 comma, della L.P.F. In definitiva, poiché il predetto principio – secondo il TAR rimettente – riveste carattere di principio fondamentale della legislazione statale, la disposizione normativa della legge regionale in questione, estendendo il patrocinio dei legali interni della regione ad affari di enti terzi, contrastava con esso ed era lesiva della competenza legislativa statale. Nondimeno, la norma regionale lombarda -a giudizio del TAR. milanese- si poneva in contrasto anche con la lett. e) dell’art.117, 2 comma, Cost., che riserva allo Stato la normativa in materia di tutela della concorrenza, finendo così per incidere sul principio del libero esercizio di un’attività professionale, contrastando in tal modo anche con gli articoli 49 e 50 del Trattato 25 marzo 1957 e s.m.i. istitutive dell’Unione Europea”.

Ad avviso dei ricorrenti, in particolare, non costituirebbe profilo idoneo a minare la manifesta fondatezza della questione di legittimità costituzionale dedotta nel presente giudizio la circostanza che – come evidenziato dalla difesa dell’amministrazione resistente – la legge campana, a differenza di quella lombarda, non postuli un obbligo bensì una mera facoltà degli enti terzi di convenzionarsi con l’Avvocatura regionale. Infatti, il comma I dell’art. 29 della legge campana – abilitando l’ufficio legale interno a patrocinare per enti terzi- sarebbe “già, in astratto, di per se stesso eversivo del principio di esclusività sancito dal combinato disposto degli artt. 24 e 117, 2 comma lett. g), Cost. e dell’art. 3 del R.D.L. 1578/33”.

2) Violazione degli artt. 3, 24, 97, 111, 114, 117 e 123 Cost. – violazione del R.D.L. n.1578 del 1933, della L. 75/70, della L.R.11/91 e dello Statuto Regionale -violazione degli artt. 82,83 e 84 c.p.c. e dei principi sullo ius postulandi e sulla rappresentanza processuale.

Sostengono, infatti, i ricorrenti che l’art.29 della L.R. 1/09 inciderebbe “surrettiziamente sull’organizzazione e sull’ordinamento dei cd.enti strumentali, delle società pubbliche regionali e della stessa Regione Campania. Tale norma infatti, prevedendo una nozione di “ente strumentale” estremamente generica “onde potervi comprendere ogni entità sebbene soggettivamente ed oggettivamente distinta dalla regione e dotata di propria personalità giuridica, che realizzi anche soltanto latu sensu le funzioni ed i servizi della regione”, violerebbe l’autonomia organizzativa e l’assetto interno di ogni ente operante nel territorio regionale “con la conseguenza pratica di esautorare di fatto gli uffici legali di tali enti dei loro delicati compiti istituzionali di rappresentanza e supporto dei rispettivi vertici, nonché di limitare, così, la loro libera determinazione, in violazione del principio sancito dall’art.114 Cost.”.

Inoltre, anche a volere ritenere la materia disciplinata dalla L.R. 1/09 rientrante nella competenza residuale di cui all’art.117, comma 4, Cost., con riferimento alla organizzazione della Regione e degli Enti sub-regionali, la disposizione dell’art.29 si porrebbe, sotto tale profilo, in contrasto con l’art.123 Cost. “dovendo una simile innovazione legislativa trovare semmai luogo, non certo nella legge finanziaria, bensì nello Statuto regionale, nel quale solo, ai fini della rappresentanza esterna in tema di patrocinio legale di enti strumentali e società pubbliche, avrebbe potuto essere affermata l’autonomia soggettiva dell’AGC Avvocatura rispetto a tutti gli altri uffici regionali”. Allo stato della legislazione regionale, infatti, la rappresentanza processuale spetta al Presidente della G.R., al quale gli avvocati ex art. 15 1. 75/70 direttamente rispondono dei mandati conferiti.

L’art. 29 della LR 1/09 si contrapporrebbe, inoltre, con il principio di ragionevolezza, “sub specie del divieto di conflitto tra norme di pari grado, laddove collide in modo implicito con i preesistenti artt. 3 e 17 e con l’allegato I della L.R. 11/91, che sovraintende l’organizzazione della G.R.”, che affida all’****** Avvocatura, composta di tre Settori (il Settore Contenzioso Amministrativo, il Settore Consulenza legale e il Settore Contenzioso Civile e Penale) il “rango di ufficio legale interno della G.R. con l’esclusivo compito e potere di postulare il contenzioso della Regione”.

Di converso, la norma regionale in parola, conferendo all’****** Avvocatura una legittimazione ed una rappresentanza esterna proprie, le attribuirebbe il rango di una “agenzia di servizi legali” dotata di un proprio “ius postulandi” e di un proprio potere negoziale, spendibile per qualsivoglia ente terzo che si convenzioni, di cui non vi è presupposto né nella legge statale, né nella stessa legislazione regionale in materia di organizzazione della G.R.

La norma regionale avrebbe, in sostanza, introdotto “un’atipica figura di contratto di prestazione d’opera intellettuale avente ad oggetto le prestazioni immediate e mediate dell’ufficio legale interno della Regione a favore di altre amministrazioni, in violazione degli artt. 2230, 2231 e 2232 c.c.. nonché del principio di esclusiva ex art.3 RDL 1578/33”.

Secondo i ricorrenti, la violazione delle richiamate norme costituzionali apparirebbe di tutta evidenza, altresì, “dalla circostanza che l’Avvocatura regionale – nella stretta osservanza dello Statuto della disciplina generale di cui agli artt. 82, 83 e 84 c.p.c., dell’art.19, comma 1, della L.6 dicembre 1971 n. 1034 e dell’art. 6 del R.D. 17 agosto 1907 n. 642 – è abilitata al patrocinio in conseguenza di mandati individuali rilasciati dal Presidente al singolo avvocato e non di mandati impersonali conferiti all’ufficio legale, come avviene per l’Avvocatura di Stato. L’Avvocatura erariale, infatti, è autorizzata a costituirsi in giudizio in quanto soggetto direttamente legittimato e senza necessità del conferimento di specifico mandato personale per effetto della disciplina speciale di cui all’art.1, comma 2, R.D. 30 ottobre 1933 n.1611, richiamato dal successivo art. 45, che costituisce, nell’ambito della competenza esclusiva statale, una norma sullo “ius postulandi”, la quale, in ragione della riserva di competenza che resta in capo allo Stato per ciò che riguarda la materia della giurisdizione e delle norme processuali, si configura come del tutto compatibile con il sistema costituzionale”.

Di contro, la formulazione del comma I dell’art. 29 della L.R. 1/09, nel senso che “L’avvocatura regionale è abilitata a patrocinare”, in una al testo della convenzione- tipo (art. 6, commi 3,4, 5 e 6), nell’affermare la facoltà di patrocinio e l’assunzione impersonale del mandato (e dello “ius postulandi”) in capo all’Avvocatura regionale, si porrebbe in contrasto con le disposizioni della legge statale in materia di ordinamento processuale e civile e con la relativa riserva di legge (cfr. in materia Corte Cost., 6 febbraio 2007, n. 25). Infatti, in base alle norme speciali di cui agli artt. 82 c.p.c., 1, 7, 33 R.D.L. n. 1578/33 e 60 del R.D. n.371/34, l’esercizio della funzione di avvocato non è consentita se non ai soggetti iscritti all’albo professionale; la rappresentanza e difesa dinanzi a qualsiasi giudice speciale è consentita soltanto ai soggetti iscritti nell’albo speciale (diversamente Cass. civ., sez. un., 28 luglio 1998, n. 7399).

Ad avviso dei ricorrenti, inoltre, l’elisione del principio di esclusività minerebbe alla radice “la stessa autonomia ed indipendenza, che deve contraddistinguere l’esercizio della professione forense – levitata dall’art. 111 Cost. al rango di principio del giusto processo”, in considerazione del rischio che correrebbero gli Avvocati della regione Campania di dover “tutelare e dirimere”, nell’ambito della medesima attività difensionale, sia gli interessi della Regione Campania, sia i distinti (e non sempre coincidenti) interessi di enti soggetti al controllo regionale (l’analisi delle cui posizioni conflittuali, è lasciata alla valutazione discrezionale dell’ente controllante, anziché ad una più precisa casistica di matrice legale o paralegale, idonea a garantire le parti processuali) e si porrebbe altresì in contrasto con il canone di imparzialità e buon andamento della P.A. “col quale non si coniuga affatto l’estensione gèneralizzata del patrocinio legale e della consulenza dell’ Avvocatura regionale all’indiscriminata congerie di enti sub-regionali, che tradisce, per vero, anche sul terreno teleologico, il fine di confondere pericolosamente le sfere giuridiche -da tenersi ben distinte- dell’ente controllante con gli enti controllati”.

3) Violazione degli artt.3, 24, 97, 111, 117 e 123 Cost., del R.D.L. 1578 del 1933 e del D.Lg. 165/01 – Violazione dei principi processuali sullo “ius postulandi”- Eccesso Di Potere – Difetto di Istruttoria – Violazione del giusto procedimento e del principio di leale collaborazione.

Con tale censura i ricorrenti deducono l’illegittimità derivata, per i profili innanzi censurati, della deliberazione della G.R.C. n. 603/09 e dello schema di convenzione con essa approvato, che trovano nella citata L.R. 1/09 il proprio presupposto logico-giuridico e che, unitamente alle convenzioni vigenti dall’ 1.5.2009, attualizzerebbero la violazione delle regole che sovrintendono lo status di “legali pubblici”.

In proposito, i ricorrenti ribadiscono che “non può essere posto in dubbio che gli avvocati dipendenti da enti pubblici siano abilitati al patrocinio unicamente per le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale prestano la loro opera, e non anche di un ente diverso, non rilevando che quest’ultimo sia nato ad iniziativa o con capitale dell’ente pubblico, né il carattere pubblicistico dei suoi fini istituzionali, nè i controlli su di esso esercitati nè, infine, che ciascuno dei due enti, ovvero il solo ente pubblico preveda nel regolamento l’utilizzazione del proprio servizio legale da parte dell’altro ente, non potendo un servizio siffatto compiersi in deroga ai limiti di ordine pubblico di cui alle disposizioni di legge sovraordinate che circondano lo “ius postulandi” eccezionalmente attribuito ad avvocati dipendenti da enti pubblici dall’art. 3, comma 4, lett. b), R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578, convertito in L. 22 gennaio 1934 n. 36 (Cass. civ., 16 settembre 2004, n.18686; TAR Abruzzo Pescara, 28 luglio 2005, ti. 466; Cass.civ, S.U., 16 luglio 2008, n.19497 nonché, ancor più esplicitamente, Cass. Civ., 8 settembre 2004, n.18090)”.

Di conseguenza, il ricorso al patrocinio dell’Avvocatura regionale nelle cause che coinvolgono enti strumentali della Regione (e, nel caso in esame, le ASL) non potrebbe neppure essere ricondotto all’istituto dell’avvalimento tra enti diversi, che resterebbe escluso “dal principio secondo cui con riguardo all’attività degli avvocati dipendenti da enti pubblici, abilitati unicamente al patrocinio per le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale prestano la loro attività, il rilascio della procura ha effetto esclusivamente per la durata del sottostante rapporto di pubblico impiego e viene meno col cessare di questo, senza alcuna ultrattività: nè rileva, altresì, che i diversi enti, con forme di collaborazione istituite nell’esercizio della loro autonomia amministrativa, prevedano l’utilizzazione, da parte dell’uno, del servizio legale proprio dell’altro, non potendo un servizio siffatto compiersi in deroga ai limiti di ordine pubblico, di cui sovraordinate disposizioni di legge circondano lo “ius postulandi” (Sez. Un., 6 giugno 2000 n.418; Cons. Stato, sez IV, 20 gennaio 1998; Cass. civ., S.U., 19 giugno 2000, n. 450)”.

Inoltre, tenuto conto del particolare oggetto delle convenzioni, si evidenzia come nel caso in esame non risulterebbe neppure osservata la regola della procedura pubblica, imposta sia dagli artt.3, comma 36, e 42 del d.lg. 363/06, che dalla legge n. 241/90 in ordine all’affidamento dei servizi, che dall’art. 7 comma 6 bis del Dlg.s 165/01 sul pubblico impiego.

Infine, considerati i dirompenti effetti che tale legge comporta a carico degli interessati, in termini di legittimo esercizio delle mansioni di avvocato, i ricorrenti sostengono l’illegittimità della deliberazione n.603/09 per violazione dell’art.7 della legge n.241/90, non essendo stata data comunicazione di avvio del procedimento né agli avvocati interessati nè agli Ordini forensi (in funzione di tutela dei ricorrenti stessi).

4) Violazione del D.Lg. 502/92 come modificato dal D.Lg. 571/93 e dal D.Lg. 229/99 – Violazione della L.R 1/09 e della L.R. 16/08 – Eccesso di potere – Arbitrarieta’ e contraddittorieta’ dell’ Azione amministrativa.

Con la IV^ censura i ricorrenti deducono, sotto altri profili, l’illegittimità delle convenzioni che l‘Avvocatura della Regione Campania ha stipulato con le singole ASL (di recente commissariate), in presunta applicazione della censurata LR 1/09 e della DGRC 603/09.

In particolare, lo schema convenzionale approvato con la suddetta delibera di G.R., non avrebbe potuto estendersi alle ASL in quanto queste, erroneamente e contro legge, sono state considerate enti strumentali: infatti, l’originaria formulazione dell’art. 3, comma 1, del d.lg. 502/92, è stata eliminata dal d.lg. 57/93, che ha definito l’Azienda sanitaria quale “Azienda dotata di personalità giuridica pubblica, di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica”. L’azienda sanitaria, dunque, già dal 1993 ha perso il carattere di organo della Regione, acquisendo una propria soggettività giuridica, con propria autonomia e carattere imprenditoriale (per tutte TAR Calabria, Catanzaro, sez.II, n. 37/01; TAR Campania Napoli, sez.I, 24 aprile 2002, n. 2414; TAR Toscana, Firenze, sez.II, 17 settembre 2003 n.5101; TAR Emilia Romagna, Parma, 21 dicembre 2004, n.875; TAR Sicilia, Palermo, sez.II, 14 maggio 2004, n. 812; TAR Liguria,sez. II, 23 giugno 2005 n. 940; Cons. Stato, sez.V, 9 maggio 200l, n.2609; Cons. Stato, sez.V, n. 809/02; Cass, civ., sez.I, 18 agosto 2004, n.16069).

Di analogo avviso la giurisprudenza contabile, secondo la quale non vi sarebbe dubbio che “a seguito della riforma operata con i Decreti legislativi 30.12.1992 n.502 e 7.12.1993 n. 517 (nonché con i successivi decreti 19.6.1999 n.229 e 28.7.2000 n.254), le ASL non possano definirsi quali “enti strumentali” della Regione, sebbene ne sia stata accentuata, sotto il profilo gestionale, la natura imprenditoriale secondo modelli organizzatori di tipo aziendalistico; esse, infatti, devono essere ritenute pur sempre pubbliche amministrazioni, così come espressamente sancito dall’art.1, comma 2, del D.Lg. 30.3.2001 n.165, il cui art 59, peraltro, mantiene ferma “per i dipendenti di cui all’ari. 2, comma 2, e, dunque, anche per i dipendenti delle ASL, la “vigente disciplina in materia di responsabilità civile, amministrativa penale e contabile dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni” (Corte dei Conti, reg. Puglia, sez.giurisd., 14 luglio 2005, n. 482; Corte dei Conti, reg. Sicilia, sez. giurisd., 4 agosto 2003, n. 134)”.

Ad avviso dei ricorrenti, in conclusione, sia che si vogliano qualificare le ASL quali enti pubblici economici sia che le si vogliano qualificare come pubbliche amministrazioni, esse non sarebbero comunque sussumibili tra gli enti strumentali della Regione: “tant’è vero che la Prefettura di Napoli nel 2004 commissariò l’ASL Napoli 4 per infiltrazioni mafiose, alla stregua di quanto è consentito per i comuni, proprio in considerazione della spiccata autonomia di essa, similmente agli enti locali territoriali; ragion per cui il TAR di Napoli (v. sent. Sez.I, n.4 del 2005), nel confermare siffatta determinazione prefettizia, respinse il ricorso della Regione Campania che sosteneva la propria competenza esclusiva a commissariare le ASL”.

5) Violazione degli artt.3, 24,97,111, 117 e 123 Cost, del R.D.L. 1578 del 1933 – Violazione del D.Lg. 165/01, della L.R.11/91 e del Contratto Collettivo e Individuale – Violazione del Giusto Procedimento – Eccesso Di Potere.

I ricorrenti deducono l’incostituzionalità dell’art. 29 della LR. 1/09, e la conseguente illegittimità degli atti attuativi, in considerazione della violazione dei principi fissati dal T.U. sul pubblico impiego – ed in particolare dall’art.2 del D.lgs.n.165/01- e dalle norme contrattuali che ad esso si connettono.

Ai sensi di tali disposizioni, infatti, il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici è disciplinato dalle disposizioni del capo I del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro, in virtù delle quali “i rapporti individuali di lavoro sono regolati contrattualmente.

Al contrario, attraverso la delibera impugnata, il datore di lavoro pubblico avrebbe posto in essere una modifica unilaterale dell’oggetto del rapporto lavorativo sia in termini quantitativi che qualitativi, tale da incidere sullo status degli avvocati regionali e, oltretutto, da determinare “una cessione o locazione delle proprie prestazioni professionali ad enti dei quali i ricorrenti non sono dipendenti”.

La delibera in questione, peraltro, sarebbe violativa anche del principio di equa retribuzione ex art. 36 Cost. nonché di onnicomprensività della retribuzione del pubblico dipendente, sotteso all’art. 45 D.lg.D.Lgs.n.165/01, secondo cui il trattamento economico fondamentale ed accessorio è definito dai contratti collettivi (ad esempio, in quanto non prevede per i funzionari avvocati regionali – come meglio specificato nella successiva censura n.9 – lo straordinario per il servizio prestato a favore degli enti terzi oltre l’orario tabellare, omette di statuire in ordine alla copertura assicurativa e previdenziale nonché in merito al trattamento economico delle trasferte dei propri dipendenti nelle diverse sedi giudiziarie), specie se si considera che presso le ASL e gli altri enti strumentali tali compiti vengono svolti da avvocati dirigenti, con relativo inquadramento e trattamento economico. Il ricorso alla collaborazione dei funzionari dell’Avvocatura regionale sarebbe, nel caso in esame, illegittimo anche sotto l’ulteriore profilo della violazione dell’art.7, comma 6, del richiamato T.U., “in considerazione dell’esigenza amministrativo-contabile di previa verifica delle carenze strutturali e di organico degli enti sub-regionali”.

Tale disposizione prevede infatti che “Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria in presenza dei seguenti presupposti di legittimità: a) l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento al1’amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione conferente; b) l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilita’ oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno; c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo oggetto e compenso della collaborazione Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l’utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati e’ causa di responsabilita’ amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti”

Ad avviso dei ricorrenti, peraltro, essi stessi andrebbero esposti a responsabilità erariale in considerazione del fatto che, onde adempiere gli affari degli enti convenzionati, sarebbero costretti “a svolgere, in esecuzione della delibera e delle convenzioni, l’attività lavorativo-professionale, inerente la predisposizione di atti giudiziari, la consulenza ed il patrocinio giudiziale, durante l’orario di servizio, entro cui si svolge l’attività esclusiva di avvocato per l’Amministrazione regionale, sebbene ciò incontri il limite rappresentato dal principio, in materia di pubblico impiego, secondo cui costituisce illecito da responsabilità amministrativa l’effettuazione di prestazioni aggiuntive durante l’orario di servizio, in espressa violazione delle disposizioni dell’ordinamento che pongono il relativo divieto (Tar Emilia Romagna, 10 agosto 2006, n.921)”.

Infatti, secondo l’assunto di parte ricorrente, dalla delibera impugnata sorgerebbe l’illegittima conseguenza che gli avvocati ricorrenti sarebbero obbligati a svolgere, durante l’orario di servizio, prestazioni concorrenti per enti diversi, in violazione non solo dell’art. 3 del RDL n.1578 del 1933 ma anche del comma 5 della stessa norma del T.U., il quale dispone che “ in ogni caso, il conferimento operato direttamente dall’amministrazione, nonché l’autorizzazione all’esercizio di incarichi che provengono da amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, ovvero da società o persone fisiche che svolgano attività d’impresa o commerciale, sono disposti dai rispettivi organi competenti secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell’interesse del buon andamento della pubblica amministrazione”.

6) Violazione del RDL n.1578 del 1933 – Violazione del D.L.g.165/01, della L.R 11/91 e del Contratto Collettivo e Individuale – Eccesso di potere.

Con la VI^ censura, i ricorrenti deducono, in via derivata, l’illegittimità della impugnata DGRC 603/09 per violazione dell’art.9 D.Lgs. 165/01 e dell’art.4 del CCNL 1° aprile 1999, “in relazione all’obbligo di contrattazione separata-decentrata propedeutica alla stipula delle impugnate convenzioni o, quantomeno, in relazione all’obbligo di previa concertazione”, specie in materia di orario di lavoro, che costituisce oggetto di concertazione ai sensi dell’art.16, comma 2, del CCNL del 31.03.1999.

In particolare, “per quanto non previsto nel presente CCNL, e in attesa della sottoscrizione del testo unificato delle disposizioni contrattuali di comparto, restano confermate, ove non disapplicate, le discipline dei contratti collettivi nazionali di lavoro già stipulati dal 6.7.1995 al 5.10.2001” e pertanto, ad avviso dei ricorrenti , risulterebbe confermata anche la disciplina dell’art.17 del CCNL del 6.7.1995 sull’orario di lavoro (e sulla relativa quantificazione in 36 ore settimanali) oltre al successivo art.18 e a tutte le altre disposizioni contrattuali in materia di orario di lavoro, compreso l’art.22 del CCNL del 1.04.1999 e gli artt.22,23, 24 e 38 del CCNL del 14.09.2000.

In sostanza, l’estensione dell’attività di patrocinio e consulenza agli enti strumentali della Regione non soltanto violerebbe le regole in materia di concertazione, ma finirebbe inevitabilmente per alterare, in termini di orario di lavoro previsto dal contratto, il monte ore massimo giornaliero che ciascun avvocato, dipendente della Regione Campania, è tenuto a svolgere per quest’ultima.

7) Violazione degli artt. 3, 97 e 117 Cost., del D.Lg. 165/01 e della L.R. 16/08, violazione dello Statuto e degli art.1323, 1324, 1325, 1332; 1387 1392,1394 e 1398 cc. nonche’degli artt. 2229,2232 e 2233 cc., oltre che incompetenza.

Secondo l’argomentazione di parte ricorrente, l’art.29 della LR. 1/09 ed i conseguenti provvedimenti applicativi sarebbero ulteriormente illegittimi laddove, sul piano della prestazione individuale d’opera intellettuale dovuta da parte di ciascun avvocato a favore degli enti terzi, postulano che l’A.C.G. Avvocatura possa rappresentare, anche ai fini negoziali, i singoli professionisti dipendenti (v. artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7 della convenzione tipo approvata con la DGRC 603/09), i quali al contrario, pur non avendo mai conferito alcuna procura in tal senso al proprio datore di lavoro, né mai autorizzato il predetto a cedere le proprie prestazioni, conferite in esclusiva ad esso, si vedono destinatari degli obblighi assunti “nomine proprio” dall’AGC Avvocatura. Ciò, in violazione dell’art.40 del vigente Statuto regionale e dell’art.15 della L.75/70 – che assegnano rispettivamente la rappresentanza esterna —in tema di ius postulandi- e la titolarità dei singoli rapporti defensionali unicamente al Presidente della G.R.- nonché, sul piano dell’ordinamento civile e sul terreno strettamente negoziale, delle norme di cui agli arti 1323, 1324, 1325, 1332 1387, 1392, 1394 e 1398 c.c nonché di cui agli artt. 2229, 2232 e 2233 c.c.

Infatti, in base alle richiamate disposizioni, nè la G.R. nè la ****** Avvocatura hanno il potere di stipulare contratti con soggetti terzi che comportino obblighi per i singoli avvocati dipendenti stabilendone l’oggetto ed il corrispettivo.

Al che si aggiunge, per quanto concerne l’attività di consulenza, che la legge regionale ascrive all’Assessore la competenza in ordine alla valutazione della possibilità di utilizzare personale qualificato regionale ai fini del conferimento di specifici ed individuali incarichi aventi tale oggetto che, quindi, gli avvocati regionali potrebbero rifiutare o accettare liberamente (ciò che, a riprova della contraddittorietà dell’azione amministrativa, risulterebbe ad avviso dei ricorrenti confermato dalla nota prot. n. 342851 del 22.4.2009, con la quale il Dirigente del Settore Personale ha richiesto l’eventuale disponibilità di personale dipendente dell’Avvocatura per la realizzazione degli scopi indicati nella L.R. 16/08).

8) Violazione degli artt. 51, 97, 117, 118 E 119 Cost. e del D.Lgs. 156/91 – Eccesso di Potere – Difetto di istruttoria e di pianificazione organizzativa e contabile – Violazione del Giusto Procedimento – Incompetenza della G.R.

Con la censura in esame, parte ricorrente deduce l’illegittimità derivata dei provvedimenti impugnati in considerazione sia della mancanza, nella legge statale finanziaria, di una norma attuativa del patto di stabilità che autorizzi l’iniziativa legislativa regionale, sia di un atto di indirizzo a carattere regolamentare, con cui dare significato all’astratto principio, espresso nella L.R.1/09 dell’estensione del patrocinio dell’Avvocatura agli enti strumentali, al fine di assicurare una sufficiente disamina istruttoria anche dal punto di vista organizzativo-contabile. Ciò, al fine di giustificare la convenienza dell’istituto previsto dall’art.29 della L.R.1/09 anche sotto l’aspetto del risparmio di spesa corrente, per l’amministrazione regionale.

Argomentano, infatti, i ricorrenti che “E’ principio consolidato in giurisprudenza, alla stregua degli artt. 117, 118 e Cost. quello per cui il potere di coordinamento della finanza pubblica, in quanto fissa – in linea con gli impegni assunti dall’Italia in sede comunitaria – principi fondamentali volti a contenimento della spesa corrente, rientra nella competenza della legislazione statale (Corte Cost., 22 luglio 2004, n 260)”.

Al contrario, nella sequenza procedimentale, i ricorrenti ravvisano la “carenza di un piano economico finanziario (costi del personale, introiti, costi economici per servizi e strutture e spesa per la qualificazione del personale) da ponderare preventivamente (…) tenuto conto del peso economico a carico del bilancio regionale in considerazione dell’ingente lavoro che graverà sull’Avvocatura regionale e, soprattutto, sui funzionari Avvocati, i quali dovranno sostituire, nei sovrabbondanti compiti di patrocinio e di consulenza, i colleghi delle ASL”.

In particolare, i predetti ricorrenti hanno evidenziato la violazione del principio informatore della materia contenuto nell’art.8 del T.U. del pubblico impiego, ai sensi del quale “le amministrazioni pubbliche adottano tutte le misure affinché la spesa per il proprio personale sia evidente, certa e prevedibile nella evoluzione. Le risorse finanziarie destinate a tale spesa sono determinate in base alle compatibilità economico-finanziarie definite nei documenti di programmazione e di bilancio.

2. L’incremento del costo del lavoro negli enti pubblici economici e nelle aziende pubbliche che producono servizi di pubblica utilità, nonché negli enti di cui all’articolo 70, comma 4, è soggetto a limiti compatibili con gli obiettivi e i vincoli di finanza pubblica”.

I ricorrenti, infine, hanno evidenziato “l’inidoneità radicale della DGRC n. 603 del 27.3.2009 a costituirsi in regolamento disciplinante l‘attuazione dei rapporti convenzionali in oggetto” : infatti, ai sensi dell’art.9, comma 1, L.R. Campania n. 28 del 2003, così come emendato dalla Corte costituzionale con la sentenza n.119 del 24 marzo 2006, gli atti regolamentari non rientrano tra le competenze della G.R.. Pertanto, nonostante la modifica dell’art.121 Cost, ai sensi degli artt.19 e 20 dello Statuto vigente, la competenza in materia resterebbe devoluta al Consiglio regionale. Ed invero, la predetta norma costituzionale, nell’eliminare la riserva di competenza della potestà regolamentare all’organo consiliare, consente alla Regione una diversa scelta organizzativa la quale, tuttavia, non può che essere contenuta in una disposizione dello Statuto regionale (TA.R. Campania Napoli, sez.I, 2 ottobre 2006, n.8432).

9) Violazione degli Artt. 3, 24, 97, 117, 117 Cost., del D.Lg. 156/01, degli Artt. 2233, 2114 c.c., degli Artt.10 e ss del D.M. 124 del 2007 – Eccesso di potere – Perplessita’ – Violazione del Giusto procedimento.

Con la IX^ ed ultima censura, i ricorrenti si dolgono del fatto che “lo schema tipo della convenzione prevede che all’Avvocatura regionale spetti il compenso, in termini di diritti ed onorari, solo in caso di rigetto nel merito delle domande proposte avverso gli enti patrocinati ovvero in caso di accoglimento delle pretese da questi fatte valere sulla base di pareri redatti dall’Avvocatura, applicando i minimi tariffari vigenti al valore di ciascuna controversia, da determinarsi alla stregua del c.p.c. e comparando chiesto e pronunciato onde evidenziare l’effettiva componente favorevole per l’ente”.

Inoltre, la retribuzione prevista nello schema-tipo della convenzione si porrebbe in contrasto con l’art. 2114 c.c. in tema di assistenza e previdenza obbligatorie: infatti, nel caso in esame, gli onorari ed i diritti di procuratore, da corrispondersi a carico dell’ente convenzionato, non prevedono il rimborso per la cassa di previdenza forense né la copertura Inpdap per assistenza e previdenza obbligatorie, ancorchè non si tratti di emolumenti direttamente riferibili al rapporto di pubblico impiego con la Regione; nè si comprende quale ente (se la Regione o l’Ente convenzionato), debba pagare le spese e le indennità di missione previste dal CCNL per le trasferte nelle sedi giudiziarie fuori regione.

Inoltre, la clausola delle convenzioni che prevede il pagamento del compenso solo in caso di esito favorevole delle liti non solo comporterebbe violazione dell’art.2233,2 comma c.c., ma incontrerebbe il limite della tariffa forense in ordine alla determinazione del valore delle cause, considerato che il codice di procedura civile prevede, agli artt.10 e ss., che il valore della domanda, per le cause aventi ad oggetto una somma di danaro, si determini sulla base del pronunciato solo nei confronti del soccombente e non anche nei rapporti tra assistito e procuratore munito di mandato ancorché la determinazione dei valore della causa per le ipotesi di domande indeterminabili sia da parametrarsi sullo scaglione indeterminato minimo senza tener conto dell’eventuale pronuncia del giudice. Pertanto, il criterio di calcolo del valore della causa, imposto dalla convenzione, sarebbe erroneo.

I ricorrenti hanno, quindi, concluso per l’accoglimento del ricorso.

Con atto del 17 luglio 2009 si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia, che con memoria depositata in data 14 ottobre 2009, ha chiesto di essere estromesso dal giudizio.

Con memorie depositate in data 9.05.2011 e 19.05.2011 si è costituita in giudizio la Regione Campania, che ha eccepito l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso anche sotto il profilo dell’infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata, argomentando – in particolare – sulla differente formulazione dell’art.29 della L.R.Campania 1/2009 rispetto alla L.R.Lombardia n.30/06.

Con memorie rispettivamente depositate in data 17.06.2010 e 10.07.2010 si sono costituiti in giudizio, ad adiuvandum, i Consigli dell’Ordine degli Avvocati di Napoli e di Salerno, che hanno evidenziato il regime di incompatibilità cui è soggetta la professione legale, con le sole eccezioni previste ex lege.

Alla pubblica udienza del 9 giugno 2011, viste le memorie conclusionali depositate e uditi i difensori delle parti, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

In via preliminare, malgrado la questione non sia stata formalmente eccepita dall’amministrazione resistente, va affermata, nel caso in esame, la giurisdizione del giudice amministrativo.

La presente controversia investe, infatti, in via principale la legittimità della deliberazione del Presidente della Giunta Regionale della Campania n.603/09 (e, solo in via derivata, della convenzione n.rep.14162, stipulata dall’****** Avvocatura e A.S.L. Salerno, nei confronti della quale, peraltro, non è stata dedotta alcuna censura in via autonoma), ovvero di un atto di macro – organizzazione del pubblico impiego e della presupposta disciplina legislativa regionale n.1/09, in virtù della quale è data facoltà agli enti strumentali della Regione Campania di avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura regionale (conforme: T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 11 gennaio 2011 , n. 45; T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, 13 ottobre 2010 , n. 6464; T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 12 novembre 2009 , n. 5046; T.A.R. Abruzzo Pescara, sez. I, 23 luglio 2009 , n. 526; Consiglio Stato , sez. V, 15 ottobre 2009, n. 6327; Consiglio di Stato, sez.V., n.816 del 15 febbraio 2010 ).

Questa Sezione, del resto, si è già pronunziata nel senso che l’art. 68, d.lg. n. 29 del 1993, riprodotto con integrazioni all’art. 63, d.lg. n. 165 del 2001, deve essere interpretato nel senso che, allorquando la domanda introduttiva del giudizio si fondi sul “petitum” sostanziale riconducibile al rapporto di lavoro, sussiste la giurisdizione del G.O. anche qualora la prospettazione di parte sia rivolta avverso atti prodromici di c.d. “macro-organizzazione”, con cui si definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, si individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi, si determinano le dotazioni organiche complessive etc., di cui si contesti la legittimità per vizi peculiari ai provvedimenti amministrativi: tale evenienza, infatti, non determina nessuna “vis attractiva” verso la giurisdizione del G.A. avendo, comunque, il G.O. competente il potere di disapplicare tali atti (cfr.T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 27 ottobre 2010, n. 21817; TAR Campania Napoli, sez.III, 27 settembre 2010, n.17536).

Tuttavia, la giurisdizione del G.O presuppone, appunto, l’impugnazione di atti afferenti al rapporto di lavoro che, nel caso in esame, non sono stati impugnati.

Gli Avvocati regionali ricorrenti non contestano, infatti, specifici atti di incarico di assistenza legale loro conferiti in conformità dell’art.3 dello Schema di convenzione né sanzioni comminate dal Consiglio dell’Ordine per avere reso prestazioni di assistenza e consulenza legale alle ASL convenzionate con la Regione Campania, bensì, in via anticipata, la stessa legittimità della legislazione e degli atti di macro-organizzazione in virtù dei quali tale prestazione potrebbe esser loro richiesta.

Sempre in via preliminare, va affrontata l’eccezione di carenza di interesse dedotta dalla Regione Campania, secondo la quale dagli atti gravati non discenderebbe, per i ricorrenti, una lesione personale concreta ed attuale ma, esclusivamente, il rischio futuro ed incerto di essere cancellati. Com’è noto, nel processo amministrativo l’interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., vale a dire la prospettazione di una lesione concreta e attuale della sfera giuridica del ricorrente e l’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato, così che il ricorso deve essere considerato inammissibile per carenza di interesse in tutte le ipotesi in cui l’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non sia in grado di arrecare alcun vantaggio all’interesse sostanziale del ricorrente (Consiglio Stato , sez. V, 21 marzo 2011 , n. 1734).

L’individuazione dell’interesse all’impugnazione va effettuata, pertanto, in rapporto al bene della vita cui il ricorrente aspira, il che implica, quale inevitabile conseguenza, che l’interesse a ricorrere dev’essere, oltre che personale e diretto, anche attuale e concreto, ossia tale che, in caso di accoglimento del gravame, il soggetto consegua il vantaggio di vedere rimosso il pregiudizio effettivo ed immediato derivante dal provvedimento amministrativo (T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 11 marzo 2011, n. 399).

Orbene, nel caso in esame, l’interesse dei ricorrenti a scongiurare la comminazione di sanzioni da parte del datore del lavoro pubblico o, viceversa, da parte del Consiglio dell’Ordine, si pone effettivamente come interesse futuro ed incerto e, quindi, non meritevole di tutela in questa sede: infatti, tali sanzioni potrebbero scattare solo se e quando, in attuazione della delibera di G.P.R.C impugnata, le ASL della Regione Campania effettivamente decidessero di avvalersi, previa stipula delle relative convenzioni con l’A.G.C, delle prestazioni legali dei singoli avvocati regionali, che si troverebbero, pertanto, di fronte all’alternativa tra effettuare la prestazione, con il rischio di venire sanzionati dall’Ordine di appartenenza, e non effettuarla, subendone le relative conseguenze pregiudizievoli sul rapporto di lavoro. In tal caso, tuttavia, dovrebbe necessariamente affermarsi – in virtù dei criteri in materia di riparto già evidenziati- la giurisdizione del Giudice Ordinario.

Nel caso in esame, tuttavia, l’Amministrazione, ancor prima che nella veste di datore di lavoro, si presenta in quella di ente responsabile dell’organizzazione del servizio. A fronte degli atti di macro-organizzazione adottati, immediatamente lesivi di interessi legittimi della sfera giuridica dei ricorrenti, deve quindi ritenersi che questi possano insorgere avverso gli stessi allo scopo di conseguire una sorta di primo livello di tutela, prodromica ed anticipata, del proprio rapporto di lavoro (T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 03 agosto 2010 , n. 17216). La delibera impugnata, infatti, in attuazione della L.R.1/09, prevede “scelte programmatorie a carattere innovativo” tali da incidere sulle condizioni nelle quali i ricorrenti operano, sicchè il suo eventuale annullamento consentirebbe ai ricorrenti il vantaggio, concreto e attuale, di mantenere inalterato lo “status quo” con riferimento al proprio rapporto professionale “esclusivo” nei confronti della Regione Campania.

Sotto altro profilo, deve ritenersi meritevole di tutela immediata l’interesse dei ricorrenti a mantenere inalterato il rapporto di correttezza deontologica nei confronti dell’Ordine professionale di appartenenza, la cui modifica sarebbe tale comunque da ripercuotersi negativamente sul rapporto di lavoro. Infatti – come evidenziato dagli stessi ricorrenti nella III censura del ricorso introduttivo- “la posizione dei legali di un ente pubblico è necessariamente diversa da quella degli altri impiegati del ruolo amministrativo, cumulando la duplice qualità di impiegati e di professionisti, con la conseguenza che, per gli avvocati dipendenti da enti locali, assume rilevanza ed assorbenza la legge professionale forense ove si consideri che il potere disciplinare dell’ordine professionale è pienamente autonomo rispetto a quello, pur concorrente, della P.A. e si esprime per proprie vie, con propri organi e con effetti peculiari vincolanti per la P.A.: pertanto, l’eventuale radiazione dall‘albo professionale deliberata dall’Ordine ha un’influenza paralizzatrice del rapporto di pubblico impiego del professionista, la cui attività risulta interdetta in conseguenza di determinazioni del collegio professionale (TAR Lazio, sez. 11, 8 febbraio 1984, n.196; Cons. Stato, sez. VI, 2 dicembre 1987, n. 935)”.

In particolare, il Collegio concorda con l’affermazione di parte ricorrente secondo cui “l’avvocato non deve attendere di trovarsi in posizione di accertata incompatibilità, ma ha il dovere giuridico e deontologico di denunciare al COA e al datore di lavoro ogni circostanza che possa determinare, anche potenzialmente, causa di incompatibilità”, presupposto sussistente nel caso in esame in cui i provvedimenti gravati sono idonei a porre in essere situazioni di incompatibilità, per violazione del principio di esclusiva per i soli affari dell’ente di appartenenza dell’avvocato pubblico, rimarcato nel Regolamento dell’Elenco Speciale degli avvocati della P.A ., approvato dal C.O.A. di Napoli con delibera del 27.07.2010. Tale causa di incompatibilità, infatti, determinerebbe immediatamente per il C.d.O. il dovere di comminare la cancellazione dall’albo, ai sensi degli artt.40 e 42 L.P.F.

Sotto entrambi i profili evidenziati, in conclusione, il presente ricorso non è proposto per assicurare l’astratta corrispondenza a legalità dell’esercizio del potere pubblico, ma tende ad assicurare il risultato favorevole cui aspira parte ricorrente, cioè il bene della vita il cui mantenimento risulta pregiudicato dal provvedimento lesivo (T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 11 marzo 2011, n. 399).

Pertanto, contrariamente a quanto ritenuto dall’amministrazione resistente, deve ritenersi sussistente l’interesse concreto e attuale alla proposizione del presente gravame da parte degli Avvocati regionali indicati in epigrafe.

Venendo alla trattazione del merito, il Collegio ritiene rilevante, ai fini della decisione, e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell’art.29, comma 1, della legge della Regione Campania n.1/2009, in relazione all’art.117, comma 3, Cost, sotto il profilo della violazione, da parte del legislatore regionale, dell’obbligo di rispettare le disposizioni di principio previste dal legislatore statale in materia di incompatibilità nell’esercizio della professione forense da parte di avvocati dipendenti da enti pubblici.

In particolare, si ritiene di aderire all’istanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale avanzata da parte ricorrente con i motivi di censura proposti e ribadita, articolatamente, nella memoria depositata in data 19 maggio 2001. Il Collegio ritiene infatti irrilevante, contrariamente a quanto sostenuto dall’amministrazione resistente, che la relativa domanda sia stata formulata attraverso l’articolazione dei vari motivi di censura (e, in particolare, per quanto riguarda il profilo ritenuto rilevante e non manifestamente inammissibile da questo Giudice, attraverso il primo), senza che essa sia stata trasfusa nelle conclusioni del ricorso.

Difatti, l’art.23 della legge11 marzo 1953 n. 87, al fine della rituale presentazione dell’istanza di rimessione alla Corte Costituzionale, esige esclusivamente che siano rispettate- come risulta nel caso in esame- le condizioni di cui alle lettere a) e b) del primo comma di tale norma.

Peraltro, nei ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi, impugnati davanti al G.A., le eccezioni di illegittimità costituzionale delle norme applicate sono comunque sempre sollevabili d’ufficio, ai sensi del comma 3, e non sono sottoposte a termini di decadenza, potendo essere proposte anche “in limine litis” (T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 18 ottobre 2010 , n. 6984) cosicchè, a tal fine, sarebbero comunque sufficienti i profili di incostituzionalità evidenziati nella memoria depositata da parte resistente in data 19.05.2011.

Per quanto riguarda la rilevanza, nel presente giudizio, della questione di legittimità sollevata, in primo luogo si evidenzia – analogamente a quanto ritenuto in simile vicenda dal TAR Lombardia (cfr. ordinanza di rimessione del 7 febbraio 2008)- che l’impugnata D.P.C.R n.603/09 costituisce atto di macro-organizzazione avente natura meramente attuativa rispetto al dettato dell’art.29 della suddetta L.R. n. 1/2009 del 19/01/2009 (pubblicata sul B.U.R. 26/01/2009 n. 5), così come risulta dall’oggetto della stessa, intitolato “Attuazione art.29 legge regionale 1/2009 ed approvazione dello schema di convenzione-tipo per l’affidamento all’Avvocatura regionale dell’attività di consulenza legale e il patrocinio in giudizio degli enti strumentali della Regione e delle società regionali.

Tale norma, intitolata «Assistenza legale degli enti strumentali della Regione e delle società regionali», in particolare, stabilisce che:

“1. Nei casi in cui non ricorrono motivi di conflitto con gli interessi della Regione, l’avvocatura regionale è abilitata a svolgere attività di consulenza attraverso l’espressione di pareri e a patrocinare in giudizio gli enti strumentali della Regione e le società il cui capitale sociale è interamente sottoscritto dalla Regione.

2. Per i fini di cui al comma 1 le singole società e gli enti strumentali sottoscrivono con la Giunta regionale una convenzione che regola le modalità attraverso cui può essere richiesta l’attività dell’avvocatura regionale e che quantifica gli oneri a carico delle società e degli enti strumentali.

3. Le agenzie regionali, gli enti strumentali e le società il cui capitale è interamente o a maggioranza sottoscritto dalla Regione Campania non possono sostenere per l’acquisizione di consulenze spese superiori al sessanta per cento degli importi dalle stesse spesi nell’anno 2008”.

Pertanto, il presente giudizio non può essere definito prescindendo dalla soluzione delle questioni di legittimità costituzionale prospettate, in quanto solo l’espunzione della norma legislativa di riferimento dall’ordinamento giuridico sarebbe idonea ad assicurare ai ricorrenti il bene della vita che essi hanno inteso tutelare con il presente ricorso ( potendo – come è noto- l’amministrazione rinnovare l’esercizio del potere emanando un nuovo atto, privo dei vizi di legittimità riscontrati dal Giudice Amministrativo).

In secondo luogo, il giudizio di cui trattasi non potrebbe, comunque, essere deciso facendosi esclusivo riferimento alle censure dedotte, in via autonoma, avverso la DPGCR attuativa impugnata. Ed invero, nessuna di tali censure appare idonea a determinare, di per se, l’accoglimento del ricorso (ciò che consentirebbe di prescindere dalla questione di legittimità costituzionale sollevata).

In particolare, devono considerarsi inammissibili, per carenza di interesse attuale, i motivi di censura nn 2 (nella parte in cui si deduce che la L.R. 1/29 introduca “ un’atipica figura di contratto di prestazione d’opera intellettuale avente ad oggetto le prestazioni immediate e mediate dell’ufficio legale interno della Regione a favore di altre amministrazioni, in violazione degli artt. 2230, 2231 e 2232 c.c.. nonché del principio di esclusiva ex art.3 RDL 1578/33”), 5,6, 7 e 9 che, nella sostanza, sono rivolti a contestare, sotto vari profili, l’oggetto, la retribuzione e, a monte, la stessa esigibilità della prestazione lavorativa (che verrebbe ad essere richiesta agli avvocati regionali ricorrenti qualora, effettivamente, una o più delle ASL della Regione Campania decidessero di avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura regionale per le proprie cause, ai sensi dell’art.29 della L.R.1/29 e, conseguentemente, presentassero all’AGC specifiche richieste di assistenza legale, ai sensi dell’art.3 della convenzione-tipo). Tali questioni, come già evidenziato, oltre a non essere allo stato prospettabili in termini di concretezza e attualità, in ogni caso, in quanto prettamente inerenti al rapporto di lavoro, rientrerebbero nella giurisdizione del Giudice Ordinario.

Ugualmente inammissibili, per carenza di interesse, devono ritenersi le censure nn.7 e 3 (con cui si deduce, rispettivamente, la mancata legittimazione dell’AGC Avvocatura a stipulare con effetti vincolanti per i singoli avvocati facenti parte dell’avvocatura regionale nonché la mancata osservanza della procedura pubblica, imposta sia dagli artt.3, comma 36, e 42 del d.lgs. 363/06, che dalla legge n. 241/90 in ordine all’affidamento dei servizi, che dall’art. 7 comma 6 bis del Dlgs 165/01 sul pubblico impiego), in quanto nel presente giudizio non sono state impugnate le (presunte) convenzioni stipulate tra AGC e ASL della Regione Campania, fatta eccezione per l’impugnazione, solo formale, della convenzione stipulata con la ASL Salerno (rispetto alla quale, peraltro, nessuno dei ricorrenti ha evidenziato di avere uno specifico interesse all’impugnazione).

Né potrebbero trovare accoglimento le censure formulate con il II ed il IV motivo.

Sotto il primo profilo, infatti, non può condividersi l’assunto secondo cui l’impugnata delibera, in attuazione dell’art.29 L.R.1/09, violerebbe l’autonomia organizzativa e l’assetto interno di ogni ente operante nel territorio regionale “con la conseguenza pratica di esautorare di fatto gli uffici legali di tali enti dei loro delicati compiti istituzionali di rappresentanza e supporto dei rispettivi vertici, nonché di limitare, così, la loro libera determinazione, in violazione del principio sancito dall’art.114 Cost.”.

Difatti, la formulazione dell’art.29 della L.R. Campania n.1/09 è tale da attribuire ai propri enti strumentali la semplice facoltà, e non l’obbligo, di avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura regionale, con la conseguenza che non può ipotizzarsi alcuna limitazione della loro libera determinazione.

Pertanto, nel caso in esame non può ravvisarsi alcun contrasto della normativa regionale di riferimento né con l’art.24 Cost, in relazione alla limitazione della capacità di difesa dell’ente strumentale, né con l’art. 117 Cost., comma 2, lett.i), in relazione alla presunta lesione della capacità giuridica degli enti strumentali in merito alla scelta dei propri legali mentre, trattandosi di ricorso proposto da avvocati dipendenti dell’Avvocatura regionale e non da avvocati del libero foro, non appare neppure rilevante il dedotto contrasto con art.117 Cost. commi 1 e 2, in relazione agli artt. 49 e 50 del Trattato CEE.

Né può ritenersi che la DPGRC impugnata sarebbe inapplicabile alle ASL, secondo una corretta interpretazione dell’art.29, comma 2, della L.R.1/09, in quanto l’azienda sanitaria locale non sarebbe qualificabile come “ente strumentale”, in senso tecnico, della Regione.

In particolare, sostengono i ricorrenti che alle ASL, subentrate alle USL, ai sensi del d.lg. 30 dicembre 1992 n. 502, art. 3, modificato dal d.lg. 19 giugno 1999 n. 229 e costituite in aziende con personalità giuridica pubblica ed autonomia imprenditoriale, in coerenza con il loro carattere imprenditoriale e con la riconosciuta autonomia contabile e finanziaria rispetto alla Regione, non potrebbe attribuirsi tale qualificazione e, pertanto, le stesse non rientrerebbero tra i soggetti legittimati a stipulare convenzioni con la Regione al fine di avvalersi del patrocinio legale della sua Avvocatura.

In realtà, l’interpretazione di parte ricorrente, sebbene in passato sostenuta da talune pronunce del G.A e della Corte dei Conti, risulta superata dalla successiva giurisprudenza amministrativa e civile che, in modo univoco, malgrado l’autonomia finanziaria e contabile rispetto all’amministrazione regionale, ha optato per la natura strumentale delle ASL, evidenziando come ad esse sia affidato, in concreto, il compito di perseguire – nel campo dell’assistenza sanitaria- gli obiettivi fissati dalla Regione in attuazione del piano sanitario regionale, con i mezzi finanziari messi a disposizione dalla stessa (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 04 marzo 2010 , n. 1260; Consiglio Stato, sez. V, 19 novembre 2009, n. 7233; Cons.giust.amm. Sicilia, sez. giurisd., 26 marzo 2008, n.266; Cassazione civile , sez. I, 20 settembre 2006 , n. 20412).

D’altra parte, anche con riferimento all’azienda speciale (disciplinata dall’art. 114, d.lg. n. 267 del 2000) e alle società a partecipazione pubblica totalitaria, la giurisprudenza, malgrado l’autonomia ad esse riconosciute dal legislatore, ha ritenuto che, laddove la gestione sia finalizzata al perseguimento di finalità pubbliche, esse conservino la natura sostanziale di “enti strumentali” della P.A (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 01 febbraio 2011, n. 931; C.Conti reg. Friuli Venezia Giulia, sez. giurisd., 14 aprile 2010 ; n. 71; C.Conti reg. Friuli Venezia Giulia, sez. giurisd., 18 marzo 2010, n. 53). Pertanto, sotto tale profilo, non è possibile una lettura dell’art.29, comma 2, della L.R.1/09 tale da escludere dal suo ambito applicativo le ASL e, quindi, da rendere irrilevante la questione di legittimità costituzionale prospettata.

Infine, deve ritenersi inammissibile per genericità nonché per carenza di interesse e, comunque infondata (non essendo conferente, nella presente fattispecie, la dedotta violazione dell’art.8 del T.U sul pubblico impiego), l’VIII^ censura, con cui si deduce l’illegittimità della impugnata delibera DPCRG n.603/09 in virtù della pretesa “mancanza, nella legge statale finanziaria, di una norma attuativa del patto di stabilità che autorizzi l’iniziativa legislativa regionale” (ed invero, parte ricorrente avrebbe dovuto specificatamente evidenziare il contrasto della delibera con una specifica norma di divieto), “sia di un atto di indirizzo a carattere regolamentare, con cui dare significato all’astratto principio, espresso nella L.R.1/09 dell’estensione del patrocinio dell’Avvocatura agli enti strumentali” (censura, questa, eventualmente deducibile avverso le specifiche convenzioni applicative, non impugnate in questa sede, attraverso le quali soltanto si concretizzerebbe la prospettata lesione dei principi in materia di contenimento della spesa pubblica).

Infine, il Collegio ritiene che sia infondata anche la prospettata questione di incostituzionalità dell’art.29- evidenziata nella II censura- in relazione agli artt..3,97,24,111 e 117 comma 1, lett.g) ed l), nella parte in cui si dispone che “l’avvocatura regionale è abilitata a svolgere attività di consulenza attraverso l’espressione di pareri e a patrocinare in giudizio gli enti strumentali della Regione e le società il cui capitale sociale è interamente sottoscritto dalla Regione”.

Una lettura costituzionalmente orientata della norma, infatti, induce a interpretare tale disposizione della legge regionale nel senso che il legislatore, facendo riferimento generico all’”Avvocatura”, non abbia affatto inteso riconoscere lo ius postulandi in capo all’Avvocatura regionale (pertanto, senza necessità del conferimento di specifico mandato regionale, analogamente a quanto previsto per l’Avvocatura erariale dall’art.1, comma 2, R.D. 30.10.1933, n.1611) ma, in realtà abbia inteso utilizzare una locuzione di sintesi, senza prescindere dal rinvio alle norme speciali che, nel rispetto della riserva di legge in materia e della vigente normativa in materia di ordinamento processuale civile, regolano l’esercizio della professione degli avvocati dipendenti da enti pubblici (artt.82 cpc., 1,7,e 33 del RDL m.1578/33 e 60 del R.D. n.37/34). In tal senso, pertanto, dovranno essere intesi anche i corrispondenti riferimenti contenuti nella convenzione-tipo (ed in particolare, negli arrt.1,2 e 6).

Residua, pertanto, ai fini della decisione nel merito del ricorso, la prospettata questione di legittimità costituzionale dell’art.29 della L.R. n.1/09, in relazione all’art.117 comma 3 Cost, sotto il profilo della già evidenziata violazione dei principi fondamentali della materia relativa all’esercizio dell’attività professionale da parte degli avvocati (in particolare, dipendenti da enti pubblici) fissati nella legge statale.

La questione, sotto tale profilo, non appare manifestamente infondata.

Ed invero, l’art.117, terzo comma, della Costituzione – pur con l’ampliamento delle attribuzioni regionali conseguente alla modifica di cui alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3 – riserva tuttora alla legislazione statale esclusiva la determinazione dei principi fondamentali nelle materie indicate, ed in particolare in materia di professioni.

Sul punto, il Collegio concorda con quanto già ritenuto dal Tar Lombardia (nell’ordinanza di rimessione citata) sul fatto che la disciplina delle incompatibilità, ivi comprese le relative eccezioni, rientri tra i “principi fondamentali” della professione forense – così come si deduce dalla vigente legislazione statale di settore- la cui fissazione, pertanto, è costituzionalmente riservata al legislatore statale.

In particolare, l’ordinamento della professione di avvocato risulta disciplinato dal R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36 e modificato dalla legge 23 novembre 1939, n. 1949, il cui art.3, in materia di incompatibilità, dispone:

“ L’esercizio delle professioni di avvocato e di procuratore e’ incompatibile con qualunque impiego od ufficio retribuito con stipendio sul bilancio dello Stato, delle Province, dei Comuni, delle Istituzioni pubbliche di beneficenza, della Banca d’Italia, della Lista civile, del Gran magistero degli ordini cavallereschi, del Senato, della Camera dei Deputati ed in generale di qualsiasi altra amministrazione o istituzione pubblica soggetta a tutela o vigilanza dello Stato, delle Province e dei Comuni.

Sono eccettuati dalla disposizione del secondo comma:

a) i professori e gli assistenti delle universita’ e degli altri istituti superiori ed i professori degli istituti secondari dello Stato;

b) gli avvocati ed i procuratori degli uffici legali istituiti sotto qualsiasi denominazione ed in qualsiasi modo presso gli enti di cui allo stesso secondo comma, per quanto concerne le cause e gli

affari propri dell’ente presso il quale prestano la loro opera. Essi sono iscritti nell’elenco speciale annesso all’albo.

“La ratio del regime delle incompatibilita’ con l’esercizio della professione di avvocato, intesa come libera professione, è costituita dalla necessaria tutela dell’indipendenza del professionista, oltre che degli interessi dell’ente pubblico, cui il dipendente e’ legato da un rapporto di esclusivita’.

In considerazione della notevole rilevanza di tale ratio, le uniche eccezioni al regime di incompatibilita’ sono analiticamente e tassativamente indicate al quarto comma della stessa norma che la disciplina. Tra queste, assume notevole rilievo l’eccezione enumerata alla succitata lettera b) .

La professione di avvocato e’, dunque incompatibile con qualunque impiego pubblico, salvo che con l’attivita’ di insegnamento presso universita’ od altri istituti superiori e secondari dello Stato, nonchè con quella esplicata dagli avvocati degli uffici legali istituiti presso gli enti pubblici per quanto concerne le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale prestano la loro opera, iscritti nell’elenco speciale annesso all’albo degli avvocati.

Proprio la rilevanza del regime delle incompatibilita’ della professione di avvocato ha portato la giurisprudenza all’applicazione fortemente restrittiva dell’eccezione prevista dalla lettera b) del quarto comma della norma in questione.

In particolare, e’ stato osservato che, in tema di esercizio della professione forense, l’art. 3, R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, dopo aver stabilito che l’esercizio della professione di avvocato e’ incompatibile con qualunque impiego od ufficio retribuito, anche alle dipendenze di qualsiasi amministrazione o istituzione pubblica soggetta a tutela o vigilanza dello Stato, delle province e dei

comuni, stabilisce pero’ che, in queste ultime ipotesi, possono essere iscritti nell’elenco speciale annesso all’albo gli avvocati degli uffici legali istituiti, sotto qualsiasi denominazione ed in qualsiasi modo, presso tali enti, solo per quanto concerne le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale prestano la loro opera.

L’iscrizione all’albo speciale presuppone, pero’, che l’ufficio legale sia incardinato nella struttura dell’ente pubblico e che l’avvocato sia dipendente dello stesso (Cass. civ., S.U., 3 maggio 2005, n. 9096); l’iscrizione nell’elenco speciale (annesso all’albo) di cui all’art. 3, ultimo comma, lett. b), r.d.l. 27 novembre 1933,n. 1578, essendo prevista per gli avvocati degli uffici legali degli enti indicati nel precedente comma 2, presuppone che la destinazione del dipendente-avvocato a svolgere l’attivita’ professionale presso l’ufficio legale si realizzi mediante il suo inquadramento in detto ufficio, che non avvenga a titolo precario e non sia del tutto privo di stabilita’ (Cass. civ., S.U., 6 luglio 2005, n. 14213); ai fini dell’iscrizione nell’elenco speciale annesso all’albo degli avvocati, l’art. 3, ultimo comma, letto b), r.d.l. n. 1578/33 richiede che presso l’ente pubblico esista un ufficio legale costituente un’unita’ organica autonoma, e che coloro i quali sono ad esso addetti esercitino con liberta’ ed autonomia le loro funzioni di competenza, con sostanziale estraneita’ all’apparato amministrativo, in posizione di indipendenza da tutti i settori previsti in organico e con esclusione di ogni attivita’ di gestione (Cass. civ., S.u., 18 aprile 2002, n. 5559); al fine dell’iscrizione degli addetti agli uffici legali di enti pubblici negli elenchi speciali annessi agli albi degli avvocati e procuratori di cui agli art. 3 e 4 r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 (norme di carattere eccezionale, attesone il carattere derogatorio al principio dell’incompatibilita’ sancito dal comma 2 del citato art. 3), e’ necessario che il dipendente dell’ente pubblico risulti addetto ad un ufficio legale dotato di una sua autonomia nell’ambito della relativa struttura, e che, in virtu’ di tale sua appartenenza ed alla stregua dell’ordinamento dell’ente stesso, egli sia – in linea di principio – abilitato a svolgere, nell’interesse dell’ufficio ed in via esclusiva, attivita’ professionale, tanto giudiziaria quanto extragiudiziaria (Cass. civ.,S.U., 14 marzo 2002, n. 3733; 19 ottobre 1998, n. 10367).

Alla luce delle suesposte considerazioni, pare certa l’appartenenza del regime delle incompatibilita’ con la professione di avvocato, previsto dall’art. 3 del r.d.l. n. 1578 del 1933, tra i principi fondamentali desunti dalla normativa di settore, come del resto posto piu’ volte in evidenza anche dalla Corte di cassazione,per la quale: «Gli avvocati dipendenti da enti pubblici sono abilitati al patrocinio unicamente per le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale prestano la loro opera, e non anche di un ente diverso, non rilevando che quest’ultimo sia nato ad iniziativa o con capitale dell’ente pubblico, ne’ il carattere pubblicistico dei suoi fini istituzionali, ne’ i controlli su di esso esercitati, ne’, infine, che ciascuno dei due enti, ovvero il solo ente pubblico preveda nel regolamento l’utilizzazione del proprio servizio legale da parte dell’altro ente, non potendo un servizio siffatto compiersi in deroga ai limiti di ordine pubblico di cui disposizioni di legge sovraordinate circondano lo ius postulandi eccezionalmente attribuito ad avvocati dipendenti da enti pubblici dall’art.3, comma 4, letto b), r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito nella legge 22 gennaio 1934, n. 36» (Cass. civ., sez. trib., 16 settembre 2004, n. 18686)” (cfr. Tar Lombardia, Milano, ordinanza del 7 febbraio 2008 pronunziata sul ricorso n.1007/2007 R.G).

In siffatta lettura, la norma regionale in discussione sembra porsi al di fuori della competenza costituzionalmente riservata alle regioni né appare possibile una diversa interpretazione, costituzionalmente orientata, dell’art.29 L.R. Campania 1/09.

In particolare, non può sostenersi che la natura “strumentale”, rispetto alla Regione, degli enti legittimati ad avvalersi dell’assistenza legale dell’Avvocatura determini, nella sostanza, il venire meno delle cause di incompatibilità previste dal R.D.L.n.1578 del 1933, art.3, u.c., lett.b) si che non sussisterebbe alcuna causa di incompatibilità, per gli Avvocati regionali, con il patrocinio delle cause delle ASL (in quanto “anche gli affari delle seconde potrebbero ritenersi quali affari della prima”: cfr.memoria della Regione Campania del 19.05.2011).

Infatti, la lettera dell’art.3, comma 2, lett b), nel prevedere la deroga al regime di incompatibilità previsto, in generale, dal comma 1 della stessa norma, dispone espressamente che tale deroga si applichi agli avvocati ed ai procuratori degli uffici legali, istituiti sotto qualsiasi denominazione ed in qualsiasi modo presso gli enti di cui allo stesso secondo comma “per quanto concerne le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale prestano la loro opera”. Pertanto, trattandosi di una deroga ad un principio generale, essa non può interpretarsi analogicamente, si da ricomprendervi anche le cause e gli affari di un ente terzo, seppur strumentale, presso il quale gli avvocati non prestano la loro opera.

Oltretutto, se la portata dell’art.3, comma 2, lett.b) fosse tale da includervi, sic et simpliciter, anche le cause e gli affari di un ente strumentale rispetto all’ente datore di lavoro, il legislatore regionale non avrebbe avuto alcun bisogno di prevedere tale possibilità nella L.R.1/09 e di definirne gli aspetti esecutivi nella conseguente delibera attuativa qui impugnata.

Peraltro, il fatto che la natura strumentale dell’ente non implichi affatto una coincidenza tra le finalità della Regione e quelle dell’Ente è dimostrato dalla circostanza che la delibera attuativa della *** n.1/09 ha previsto espressamente l’ipotesi del conflitto di interessi tra ASL e Regione.

D’altra parte, nessun rilievo possono avere – al fine di supportare la suddetta interpretazione- gli esempi citati dall’amministrazione regionale resistente circa l’esistenza di deroghe normativamente previste al principio di esclusività suindicato (v. art.43 R.D. n.1161/1993 o artt.11, comma 3 bis, D.L.n.55/1983, convertito in legge n.131/83): infatti, ciò che si contesta in questa sede non è la possibilità, da parte del legislatore statale, di introdurre deroghe al principio siffatto, bensì che tale deroghe possano essere previste da una legge regionale.

In conclusione, il Collegio ritiene che il giudizio debba essere sospeso e che gli atti vadano trasmessi alla Corte costituzionale, attesa la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art.29, comma 1, della legge della Regione Campania n.1/09.

Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito ed in ordine alle spese resta riservata alla decisione definitiva.

P.Q.M.

Visto l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all’art.117, comma terzo, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art.29 della legge della Regione Campania n.1/09.

Sospende, per l’effetto, il presente giudizio sino alla definizione dell’incidente di costituzionalità di cui alla questione data.

Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

Ordina che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei ministri ed al Presidente della Giunta della Regione Campania, nonche’ comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica ed al Presidente del Consiglio della Regione Campania.

La presente ordinanza sara’ eseguita dall’amministrazione ed e’depositata presso la segreteria del Tribunale che provvedera’ a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 9 giugno 2011 con l’intervento dei magistrati:

Saverio Romano, Presidente

*****************, Consigliere

Ines ************************, Primo Referendario, Estensore

 

 

 

L’ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 12/07/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

sentenza

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