Riforma forense: come cambiano le regole sul tirocinio professionale

Redazione 04/01/13
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Anna Costagliola

La pratica forense costituisce un momento essenziale del percorso formativo dell’avvocato ed assolve alla indispensabile funzione di consentire al laureato in giurisprudenza di apprendere come il diritto vivente venga elaborato negli studi professionali e nelle aule di giustizia. L’attività formativa di base e il training professionale post-laurea sono considerati gli elementi che più di ogni altro determinano il successo nella professione.

Il tirocinio professionale forense è definito dalla normativa nazionale come l’addestramento teorico-pratico dell’aspirante avvocato volto:

a) al conseguimento delle capacità necessarie all’esercizio della professione e alla gestione di uno studio legale;

b) all’apprendimento e al rispetto dei princìpi etici e delle regole deontologiche.

Alla luce della normativa finora vigente, essere «praticanti avvocati» in uno studio legale nel nostro Paese è sempre stato un compito abbastanza arduo, ciò in considerazione di numerosi aspetti patologici del rapporto tra «dominus» e praticanti. A questi, ad esempio, nella quasi totalità dei casi, non è mai stato riconosciuto alcun compenso per le prestazioni professionali poste in essere; le condizioni dei giovani praticanti non sono state quasi mai incentrate su meccanismi incentivanti e premiali; l’assenza, in molti casi, di deontologia professionale, da un lato, e il previsto sistema di accesso alla professione, dall’altro, hanno finora consentito anche a praticanti assolutamente digiuni di studi legali e di aule di giustizia di svolgere l’esame di Stato.

Alla luce della evidenziata situazione di grave disagio della popolazione dei «praticanti avvocati» è emersa la necessità improrogabile di rimodulare tempi e tecniche in favore di un sistema più equo. Invero, a partire dal D.L. 138/2011 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), che ha imposto la riforma degli ordini professionali sulla base di una serie di direttive ispirate ai principi della libera concorrenza, la materia del tirocinio per l’accesso alla professione è stata in parte rilegificata per effetto di molteplici interventi normativi. Dapprima l’art. 33, co. 2, del D.L. 201/2011 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), che ha ridotto da 3 anni a 18 mesi la durata massima del tirocinio professionale; successivamente l’art. 9, co. 6, del D.L. 1/2012 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), che ha ribadito, con norma immediatamente precettiva, la durata massima del tirocinio per l’accesso alle professioni e ha stabilito la possibilità che, per i primi 6 mesi, il tirocinio possa essere svolto in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della laurea. Ancora, l’art. 6 del D.P.R. 137/2012 (Riforma degli ordinamenti professionali in attuazione dell’art. 3, comma 5, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148) disciplina le modalità di esplicazione del tirocinio formativo per accedere alle professioni, mentre il successivo art. 10 dello stesso provvedimento reca talune disposizioni speciali sul tirocinio per l’accesso alla professione forense. 

La legge di riforma della professione forense approvata in via definitiva lo scorso 21 dicembre ed ora in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale si pone in una linea di continuità con le previsioni di cui al citato D.P.R. 137/2012 nelle previsioni relative alla materia del tirocinio che, per la loro specialità e per la loro separata collocazione rispetto al corpus del regolamento, sembrano, tra le disposizioni da questo dettate, le sole dirette agli avvocati.

Alla luce della recentissima riforma (art. 41) viene, pertanto, confermata la riduzione da 24 a 18 mesi del periodo obbligatorio di svolgimento continuativo del tirocinio, nell’ottica di facilitare e rendere più veloce l’accesso all’esercizio della professione. A garanzia della continuità del periodo di formazione, la norma prevede poi che l’interruzione ingiustificata per oltre 6 mesi comporta la cancellazione dal registro dei praticanti, salva la facoltà di chiedere nuovamente l’iscrizione, che può essere deliberata previa nuova verifica da parte del consiglio dell’ordine della sussistenza dei requisiti all’uopo richiesti.

Così come previsto dal D.P.R. di riforma degli ordinamenti professionali (D.P.R. 137/2012), anche i tirocinanti forensi potranno iscriversi al registro negli ultimi sei mesi di studio universitario. Sono poi specificate le diverse modalità, con riferimento alle sedi e alla durata, con cui il tirocinio può essere validamente svolto (art. 41, co. 6); in ogni caso, almeno 6 mesi dell’intero tirocinio devono essere svolti presso un avvocato iscritto all’ordine ovvero presso l’Avvocatura dello Stato. Si ammette, inoltre, che il tirocinio possa essere svolto anche presso due avvocati contemporaneamente, quando può legittimamente presumersi che la mole di lavoro presso uno solo di questi non è tale da consentire al praticante di svolgere una formazione adeguata.

La riforma precisa ancora la piena compatibilità del tirocinio con lo svolgimento contestuale di attività di lavoro subordinato, non solo privato ma anche pubblico, purché con modalità e orari idonei a consentirne l’effettivo e puntuale svolgimento e in assenza di specifiche ragioni di conflitto di interesse. Inoltre il tirocinante avrà l’opportunità di svolgere assistenza legale decorso un semestre dall’inizio dall’iscrizione al registro dei praticanti.

Aspetto di notevole rilevanza è quello relativo alla previsione per cui, se il periodo di tirocinio non può essere configurato alla stregua di un rapporto di lavoro subordinato, anche di natura occasionale, tuttavia il dominus deve riconoscere al praticante avvocato un rimborso spese che vada a coprire tutti i costi sostenuti per conto dello studio presso il quale svolge il tirocinio. Inoltre, decorso il primo semestre, al praticante possono essere riconosciuti con apposito contratto un’indennità o un compenso (dunque non più «rimborso») per l’attività svolta per conto dello studio, commisurati all’effettivo apporto professionale. Questa disposizione non si applica al tirocinio svolto presso enti pubblici o l’Avvocatura dello Stato, i quali sono tenuti invece a riconoscere al praticante avvocato un rimborso per l’attività svolta, ove previsto dai rispettivi ordinamenti, e comunque nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente. Invero, in sede di primi commenti alla riforma è stato ravvisato in tale previsione un profilo di illegittimità costituzionale nella parte in cui sembra porre un vero e proprio divieto di retribuzione dei praticanti nei primi 6 mesi di tirocinio, in violazione evidente dell’art. 35 Cost. nonché dell’art. 3 della Carta fondamentale, dato il diverso trattamento riservato ai praticanti negli enti pubblici o presso l’Avvocatura dello Stato, i quali neppure decorso il primo semestre di pratica potrebbero vedersi riconosciuto con apposito contratto un’indennità o un compenso per l’attività svolta (così Perelli).

È infine rimessa ad un decreto del Ministro della giustizia la disciplina delle:

a) modalità di svolgimento del tirocinio e le relative procedure di controllo da parte del competente consiglio dell’ordine;

b) ipotesi che giustificano l’interruzione del tirocinio, tenuto conto di situazioni riferibili all’età, alla salute, alla maternità e paternità del praticante avvocato, e le relative procedure di accertamento;

c) condizioni e modalità di svolgimento del tirocinio in altro Paese dell’Unione europea.

Redazione

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