L´articolo intende problematizzare sul recente intervento di modifica alla procedibilità operato dalla c.d. ”riforma Cartabia” riguardo una serie di reati c.d. bagatellari contro la persona e contro il patrimonio. L´intervento, dichiaratamente mirato alla riduzione del contenzioso penale, fondamentale per l´accesso ai fondi del PNRR, lascia aperte questioni che interrogano il senso di sicurezza dei consociati e la ”privatizzazione” di fatto perseguita non può essere la via. Patrimonio e persona sono beni la cui difesa non può essere soltanto un fatto privato. Il senso di sicurezza è bene comune la cui tutela spetta al Sovrano per patto antico. Le radici del problema, però, chiamano in causa la mancata riedificazione del sistema penale, le cui toppe sono ormai peggio dei buchi.
Volume consigliato per l’approfondimento: Procedimento ed esecuzione penale dopo la Riforma Cartabia
Indice
1. Dei ricordi
Vorrei condividere con chi vorrà leggere queste poche righe alcune considerazioni a caldo sull’introduzione delle novità della c.d. “riforma Cartabia”, Dlsgs 150/22, in tema di procedibilità di una serie di reati c.d. minori. Certo, tanto si è già letto, ma quel che ho da raccontare è la visione di un appartenente a quella particolare categoria che ogni giorno presta la faccia all’idea di Stato che i cittadini hanno: la polizia giudiziaria.
Da giovanissimo Ufficiale di p.g. innamorato del mio lavoro, mi è capitato di comandare in sostituzione del titolare, un ufficio di p.g. di una nota località turistica. Già nella prima settimana notai come, durante il mercato settimanale, vi era un incremento sostanzioso di denunce di turisti borseggiati, italiani e stranieri. La settimana successiva, quindi, predisposi un servizio in borghese per individuare questi borseggiatori che stavano facendo “affari d’oro”. Durante l’azione, notai personalmente tre uomini che, con fare artatamente distratto, accerchiarono un’anziana turista anglofona. Isolatala, uno dei tre fece scivolare la mano nella borsa. Il tutto sotto i miei occhi. La donna avvedutasi del gesto urlò “Help me!… My poket!”. I tre, con nonchalance invidiabile, si allontanarono dalla bancarella tentando di disperdersi tra la folla. Io, da solo, non potei far altro che seguirli senza essere individuato, possibilmente. A poche decine di metri, avuti i rinforzi, li arrestammo. Operazione di polizia da manuale. Gli accertamenti successivi permisero di individuare una quantità impressionante di refurtiva. L’arresto venne convalidato; il giudizio direttissimo si concluse con applicazione pena, nel giro di pochissime udienze. Giustizia era stata fatta. Il problema di polizia risolto, il mercato settimanale sgombrato – almeno per qualche tempo – dalla presenza fastidiosa di quell’attività predatoria. Il tutto senza che la turista inglese fosse stata identificata. È il bello di uno Stato che si prende carico del problema, perché il senso di tranquillità nel godimento dei propri diritti è un bene di per sé degno di tutela, ancor prima che il diritto violato in capo al singolo.
Continuando l’amarcord del giovane Ufficiale di p.g., vorrei condividere un secondo ricordo. In una località poco distante da quella dell’aneddoto precedente, durante un turno di pattuglia notturno, un cittadino segnalò il furto in atto di una roulotte custodita all’interno di una fabbrica. Riuscimmo ad intercettare la vettura dei ladri con la roulotte agganciata poco distante dal luogo segnalato e, costrettili a fermarsi, costatato l’avvenuto scasso delle serrature del cancello della fabbrica, li arrestammo. Il giudizio direttissimo conseguente li vide chiedere il patteggiamento. Il proprietario della roulotte, un tedesco amico dell’imprenditore presso la cui fabbrica era ricoverata per l’inverno, raggiunto telefonicamente, fu molto soddisfatto; qualche mese dopo, in Italia per le vacanze, volle donare una cifra importante ai figli dei caduti in servizio con la mia uniforme addosso, prima di tornare a godersi la sua roulotte. Anche in questo caso, il senso di sicurezza dei cittadini prescindeva dalla volontà di persecuzione dell’illecito da parte della vittima che, tra l’altro, non aveva nessuna intenzione di venire in Italia per querelarsi contro quei ladri.
2. Il tradimento del Sovrano: la privatizzazione della questione penale
Ora, chi come me si occupa nel quotidiano della coltivazione di tale sentimento di sicurezza, attività già di per sé ontologicamente complessa senza star qui a raccontarci dei mali cronici di cui è affetto “questo nostro Stato che sembra un po’ sfasciato” – per dirla con le parole rese immortali dall’arte – , non può non riflettere sul fatto che in quel sentimento risiede il seme primo della vigenza stessa dell’Ordinamento. Non è la norma scritta che rende effettivo l’Ordinamento, ma il fatto che nei consociati vi sia l’intima convinzione dell’obbligatorietà della norma e della certa reazione in caso di violazione accertata[1].
In casi come quelli prospettati, come il lettore già saprà il D. Lgs. 150/22 è intervenuto modificando la procedibilità, riscontrando un certo favore anche da autorevole dottrina[2]. Ove non vi sia la querela dell’avente diritto, la polizia giudiziaria non può nulla. E questo nonostante che gli aneddoti afferiscano a situazioni di massima percezione di allarme sociale per i caratteri atavici che caratterizzano il tipo di offesa[3]. L’aver mutato la procedibilità demandando al singolo la responsabilità di attivare la risposta punitiva dell’ordinamento e costringendolo a mostrare attivamente il perdurare di tale volontà sino al processo[4] – e chi ha un minimo di familiarità con le aule di giustizia sa bene che significhi in termini di sacrificio destreggiarsi tra rinvii, scioperi, indisposizioni delle parti –, pur in presenza di condotte altamente lesive del senso di sicurezza collettivo, è un’evidente restrizione del perimetro entro cui lo Stato coltiverà quel senso di sicurezza. E’ una “modifica unilaterale” al “contratto sociale” da parte del Sovrano. E’ una sorta di “privatizzazione” della questione penale afferente a quei reati.
E’ un brutto segnale.
Non ne faccio una critica di opportunità, legata alla pur sacrosanta osservazione già fatta da commentatori pregiatissimi circa l’evidente difficoltà ad opporsi in prima persona con una richiesta di punizione verso criminali appartenenti a consorterie titolate[5]; né è questione qui di opporsi alla presunta responsabilizzazione della vittima, circostanza che – specie di fronte ad alcuni reati già procedibili a querela prima della novella – andrebbe seriamente meditata, trovando meccanismi che disincentivino fortemente dall’avviare la macchina, salvo poi arrestarla a proprio piacimento, magari poco prima dell’ottenimento del risultato di Giustizia, avendo soddisfatto i propri privati interessi al risarcimento.
Le mie perplessità nascono dal fatto che per raggiungere un risultato imprescindibile come la riduzione del contenzioso, uno degli obiettivi principali per ottenere i fondi del PNRR, in luogo di velocizzare il procedimento – magari rendendo sconveniente il walzer tra i vari procedimenti speciali alla ricerca del minimo del minimo possibile, della sanzione “virtuale”[6] –, si è optato per rendere meno appetibile alla vittima la richiesta di giustizia per una determinata fascia di reati, costringendola ad agire in prima persona. Reati che, pur statisticamente numerosi e di minore offensività – probabilmente la vittima di turno avrebbe da ridire su tale classificazione, ma si sa la vittima è troppo esposta all’emotività – sono paradossalmente in grado di mettere in discussione l’affidamento del singolo nel fatto che il Sovrano presterà la propria azione per la tutela di quello che, nei secoli, ha preso diverse denominazioni: pax regni[7], groziana; utilitas reipubblicae[8], puffendorfiana; la mutua libertà di tutti i cittadini, feuerbachiana[9]; la difesa sociale[10], beccariana. Solo per citarne alcuni, non a caso tutti nel filone di quelle dottrine sintetizzate dal brocardo latino “ne peccetur”, tutte sostenitrici della necessità che la pena sia d’esempio per distogliere altri dalla devianza, tutte ormai ritenute – a torto? – desuete dal nuovo che avanza e tutto fagocita: il recupero del condannato. Ora, è pacifico che il « senso di sicurezza » molto in voga nell’espressione masmediatica della nostra società, assuma contorni mutevoli in base alle epoche: Ugo Grozio – ad esempio – non sarebbe, probabilmente convinto che la sua pax regni sia sovrapponibile al moderno concetto di libero godimento dei propri diritti. Ed il diritto penale non può non tenere conto di tale evoluzione dell’umano sentire. Purtuttavia, ritengo, vi siano situazioni che afferiscono alla più ancestrale natura del fatto illecito – quelle dirette contro l’incolumità personale ed il patrimonio dell’individuo – la cui persecuzione non può essere lasciata all’esclusiva iniziativa del singolo, senza ledere anche il senso comune di sicurezza. Il monopolio della forza, hobesianamente pensato, deve farsene carico perché è in esso che fonda la propria stessa ragion d’essere[11]; su di esso si basa la rinuncia alla quota forza individuale dei “sudditi” contraenti il “patto”.
2.1 Il “totem”
In studi recentemente riproposti in un interessante volume sui caratteri vendicatori del DNA della pena, ho potuto apprezzare come, già nei gruppi più elementari dell’aggregazione umana, si punivano finanche le cose ritenute responsabili di un danno ad un appartenente al gruppo. La coesione sociale sembra fondarsi atavicamente sulla solidarietà espressa attraverso l’intervento del gruppo a difesa del singolo[12]. Un sistema penale evoluto che ignori tale necessità, penso, sia destinato a logorare incessantemente la vigenza delle proprie norme e, in uno, la coesione dei cittadini. È la violenza al “totem” che rileva, prima ancora della lesione al diritto del singolo. È il gruppo, depositario del “totem” che deve agire per ristabilirne la sacralità e, in uno, il senso d’appartenenza della vittima e del gruppo tutto. Altrimenti la blutrache dell’offesa del singolo al singolo ricade sul corpo sociale che non si dimostra in grado di lavarla[13].
Ora, per eliminare l’onta di un sistema non in grado di fornire giustizia alla vittima a causa del contenzioso abnorme rispetto alle risorse date, in luogo di intervenire sulle risorse (ad esempio aumentando gli organici delle varie agenzie che intervengono nel procedimento, esclusi gli avvocati che son già troppi!) oppure sulla messa a punto del sistema, la scelta del legislatore delegato, sotto la nobile motivazione di responsabilizzare la vittima, ha mirato anche – soprattutto? – ad ottenere l’effetto distorsivo di disincentivare le vittime dall’attivare la macchina, per rifuggire le noie del procedimento ed evitare di essere esposte personalmente alla vendetta – decisamente più certa della pena – da parte del deviante.
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3. Quando le norme diventano vita vissuta
Quale sarà il risultato di tale scelta? La cronaca non ha tardato nel fornire testimonianze concrete e sgradevoli dell’esito di tale “privatizzazione” della questione penale, nel perimetro di quei reati ritenuti bagatellari: sostanziale impunità dei responsabili e frustrazione concreta della Polizia giudiziaria. Per gli effetti deflattivi sul contenzioso, invece, bisognerà attendere e sperare[14]. Non si ridurrà il numero dei reati perpetrati, si badi bene. Si ridurrà – nelle speranze di chi il provvedimento ha adottato – il numero dei procedimenti penali. Questo perché esiste, purtroppo, un‘area di criminalità diffusa, non per forza eclatante – e forse in questo sta la sua pericolosità più profonda, essendo non allarmante e tollerata – i cui responsabili hanno effettuato una scelta di vita meditata ed economicamente vantaggiosa. A costoro viene inviato il messaggio che rubare è vietato dalla legge, ma se, una volta scoperti, si trovasse il modo di accomodarsi con la vittima, tutto sommato siamo disposti a tollerarlo. Se la vittima viene opportunamente scelta, magari turista straniera, o semplicemente residente altrove rispetto a dove si “esercita la professione di ladro”, tutto sommato il rischio di essere chiamato a rispondere delle proprie azioni è trascurabile. La vigenza della norma riceve, così, l’ennesimo colpo. Altro colpo, forse più duro ancora, arriva dal fatto che i responsabili trovati in flagranza di reato, mancando la querela per qualsiasi motivo, non vengono trattati da criminali, venendo rilasciati e non perseguiti dalla Polizia giudiziaria intervenuta, contravvenendo a quella necessità individuata anche da certa dottrina che il criminale venga “anche trattato da criminale, in modo tale da avanzare verso l’idea, verso la realizzazione del concetto e mantenere la forza dell’orientamento del diritto, la sua vigenza”[15].
3.1. La pezza peggio del buco
La “pezza” che, nella migliore tradizione italica intervenendo sull’onda dell’emotività dell’opinione pubblica indignata per i mancati arresti denunciati dalla stampa – che, poi, da anni agli arresti non seguano quasi mai misure cautelari custodiali e celeri esecuzioni di condanne, questo, è altro discorso che affatica l’esercizio del pensiero critico della massa –, il Legislatore sta proponendo, rischia di essere peggio del buco. Mi riferisco al DdL del Governo intitolato “Norme in materia di procedibilità d’ufficio e di arresto obbligatorio in flagranza”, di cui è stata resa edotta l’opinione pubblica con Comunicato Stampa del Consiglio dei Ministri nr. 17 del 19.1.2023[16]. Il provvedimento costa di soli tre articoli, il quarto è la tipica clausola d’invarianza finanziaria. Oltre all’intenzione di rendere sempre procedibili d’ufficio tutti i reati qualora commessi con finalità di associazione mafiosa o terroristica, prevedendo altresì l’inserimento delle lesioni personali nel novero dei reati previsto dall’art. 71 del Dlgs 159/2011 per i quali si procede sempre d’ufficio stante la pericolosità sociale titolata dell’agente, il provvedimento intende “mitigare” l’effetto immediatamente percepibile all’homo eiusdem condictionis ac professionis: la “privatizzazione” della questione che ci occupa. Mi riferisco all’impossibilità per la Polizia Giudiziaria di procedere all’arresto in flagranza per i reati che prevedano l’arresto obbligatorio e che siano perseguibili a querela, ove questa non sia validamente prestata nell’immediatezza dell’intervento di polizia. Si cerca, in breve, di restituire “l’abito” di criminale all’arrestato – le manette ai polsi, per render colorita l’immagine – ben prima che possa intervenire la condizione di procedibilità, prevedendo l’obbligo in capo agli Ufficiali ed Agenti di Polizia Giudiziaria che hanno compiuto l’arresto di effettuare tempestive ricerche della persona offesa nelle 48 ore successive, pena l’immediata liberazione[17].
La previsione di costituzionalità fatta dal Governo nella relazione di accompagnamento del disegno di legge in argomento suscita qualche dubbio. La disciplina de quo, infatti, appare a chi scrive in possibile contrasto con le previsioni dell’art. 13 della Cost. ed il richiamo della relazione d’accompagnamento all’art. 68 Cost. come analoga previsione già prevista per altra condizione di procedibilità non appare convincente. Proverò ad argomentare.
La misura precautelare dell’arresto in flagranza, normalmente assunta dalla Polizia giudiziaria – espressione del potere Esecutivo anche se al servizio dell’Ordine Giudiziario – è eccezionalmente consentita dalla Costituzione, sotto la spada di Damocle del controllo giurisdizionale immediato, controllo che ristabilisca l’equilibrio costituzionale in tema di potere di lesione della libertà personale. Senza l’intervento di “motivati” provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria – finalizzati all’esercizio dell’azione penale obbligatoria – non si può restringere la libertà di nessuno sul territorio della Repubblica. La ratio principale dell’eccezionale anticipazione di tale privazione della libertà ex artt. 380 e 381 cpp, risiede nella necessità che, prima del materiale intervento dell’Autorità Giudiziaria, si possa giungere ad una certa individuazione dei responsabili, ad una pronta assunzione delle misure cautelari necessarie, ad una rapida definizione del procedimento. Il tutto consentito dalla regola costituzionale in tutti quei casi ove la flagranza scema grandemente la possibilità che possano avanzarsi dubbi circa la penale responsabilità dell’arrestato o la sussistenza dei fatti[18]. La convalida del provvedimento precautelare, come già anticipato, ristabilisce l’ordine costituzionale di responsabilità permettendo la tempestività dell’esercizio dell’azione penale. Non si tratta, quindi, di uno stigma sociale da imporre al reo perché lo si riconosca tale, né soltanto di un provvedimento di sicurezza pubblica, atteso anche che tale effetto negli anni è decisamente scemato in maniera direttamente proporzionale alla progressiva riduzione a residualità delle misure cautelari custodiali.
In caso di membri del Parlamento colti in flagranza di reato – per venire all’eccezione prospettata dalla relazione d’accompagnamento al DdL per giustificare in analogia la possibilità di arresto anche in assenza di querela – la messa a disposizione del P.M. dell’arrestato è indispensabile anche per permettere a quest’ultimo di avanzare la richiesta di autorizzazione a procedere alla camera d’appartenenza dell’arrestato, ex art. 344 cpp. In tali casi, ex art. 343 cpp, proprio in forza della flagranza, tutta una serie di atti d’indagine sono permessi, quando si procede per reati di gravità maggiore, previsti ai commi 1 e 2 dell’art. 380 cpp. E’ chiaro, quindi, come l’autorizzazione richiesta alla Camera d’appartenenza non infici l’esercizio dell’azione penale e come essa, lungi dall’essere “garanzia di impunità di ceto”, sia istituto che assolve il solo scopo di evitare la persecuzione strumentale dei rappresentanti del Popolo, a tutela dell’esercizio delle loro funzioni.
Nel caso di mancanza di querela, invece, è in dubbio la stessa possibilità di esercizio dell’azione penale. Il lettore pensi al caso in cui l’arrestato venisse posto a disposizione dell’A.G. entro 24 ore, ex art. 385 cpp; mentre gli ufficiali ed agenti di P.G. che hanno proceduto all’arresto fossero ancora intenti nel reperire l’avente diritto che avrà quarantotto ore per proporla o, magari, rifiutarsi di proporla. Il P.M., per parte sua, cosa dovrà fare? Chiedere la convalida, senza esercizio dell’azione penale? Attenderà la condizione di procedibilità, che potrebbe arrivare in extremis, lasciando l’atto della Polizia Giudiziaria efficace senza pronuncia dell’Autorità giudiziaria, nonostante l’arrestato sia stato messo a sua disposizione? Disporre l’immediata liberazione ex art 121 disp. att. cpp nei casi in cui non ritenga di richiedere misure cautelari? E quando la querela non arriverà, la restrizione della libertà personale subita dall’arrestato sarà compatibile con l’attuale previsione costituzionale? Non sembrano convincenti le argomentazioni di alcuna dottrina che, pur criticando qualche aspetto della soluzione proposta, indica come giusta la via intrapresa[19]. E tutto questo, senza parlare dei continui ostacoli posti nella course contre la montre rappresentata dalla procedura di arresto vista dall’Ufficiale di P.G. operante. Tra i molteplici incombenti in capo alla Polizia giudiziaria – segnatamente in capo a chi ha effettuato l’arresto e che magari non dorme da diverse ore –, infatti, viene aggiunto quello di ricercare l’avente diritto alla querela, compito non sempre di facile assolvimento. Il tutto a quale fine? Restituire l’abito del criminale a chi è colto in flagranza per placare l’opinione pubblica? Ed, infine, quanto sin qui ha occupato me ed il lettore è circoscritto ai casi di arresto obbligatorio e per tutti quei reati per i quali l’arresto è facoltativo? Il D.d.L non fornisce alcuna risposta. Non mi sembra una soluzione di grande respiro. La pezza peggio del buco.
4. Concludendo
In chiusura, non si può non rilevare come la dottrina abbia comunque preso atto che il problema reso acuto dall’intervento della “riforma Cartabia” ha radici più profonde[20]. Le criticità, che ciclicamente si ripropongono nelle vesti diverse dell’istituto giuridico dell’occasione, risiedono, a mio modestissimo parere, nel continuo tentativo di adattare una legislazione criminale, innovativa all’adozione, ma ormai vecchia per concezione ed appartenente ad un mondo, quello degli anni ‘30 del secolo scorso, relegato in un altro millennio. La dottrina ha presto sottolineato come proprio i caratteri di grande innovazione di quella legislazione[21] permisero la sopravvivenza della normativa all’esplosione del vecchio mondo ed alla rinascita della democrazia che la Costituzione suggellava come punto di non ritorno[22]. E di questo possiamo essere grati a chi la edificò. Purtuttavia il tempo passa, le società cambiano, cambia il sentire comune e la riflessione penalistica non può non tenerne conto. Oggi, ci si ostina a trapiantare in una legislazione nata per altri scopi istituti d’avanguardia ispirati alla c.d. restorative justice, ad esempio, lasciando disorientati i cittadini comuni e facendo versare fiumi d’inchiostro agli addetti ai lavori. La via maestra per evitare questo continuo lavorio per tentare di risolvere le contraddizioni emergenti passa, a mio avviso, per la necessità di una stagione riformatrice che prenda in carico il complesso normativo del diritto penale sostanziale, di quello processuale e dell’esecuzione penitenziaria, così da restituire un quadro normativo complessivo coerente, armonico e funzionale, spogliato dalla visione carcerocentrica, ma in cui il carcere è garanzia ultima del funzionamento del sistema e custode della sicurezza dei cittadini. In tale ottica, anche le misure precautelari andrebbero previste per quelle situazioni in cui si ritiene necessario che il procedimento sia più spedito, o che si ritenga necessario adottare misure cautelari di una certa consistenza, per cui rimettere in libertà l’arrestato senza aver preso la misura possa esporre la società ad un pericolo. Negli altri casi, quale giovamento potremmo mai trarne?
Certo, a guardarsi indietro, una tale ambizione di riforma organica ha trovato compimento nella nostra breve storia patria soltanto ad opera d’un regime dittatoriale[23]; chissà che, passato il millennio, anche la Democrazia non si riveli capace di tanto ardire.
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Con attenzione alla novità, normativa e giurisprudenziale, e semplicità espositiva, i principali argomenti trattati sono: la prescrizione; l’improcedibilità; la messa alla prova; la sospensione del procedimento per speciale tenuità del fatto; l’estinzione del reato per condotte riparatorie; il patteggiamento e il giudizio abbreviato; la commisurazione della pena (discrezionalità, circostanze del reato, circostanze attenuanti generiche, recidiva, reato continuato); le pene detentive brevi (sanzioni sostitutive e doppi benefici di legge); le misure alternative, i reati ostativi e le preclusioni; le misure di sicurezza e le misure di prevenzione.
Procedimento ed esecuzione penale dopo la Riforma Cartabia
Aggiornato al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (Riforma Cartabia) e alla L. 30 dicembre 2022, n. 199, di conv. con mod. del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162 (Decreto Nordio), il presente volume è un’analisi operativa degli istituti del nostro sistema sanzionatorio penale, condotta seguendo l’iter delle diverse fasi processuali. Anche attraverso numerosi schemi e tabelle e puntuali rassegne giurisprudenziali poste in coda a ciascun capitolo, gli istituti e i relativi modi di operare trovano nel volume un’organica sistemazione al fine di assicurare al professionista un sussidio di immediata utilità per approntare la migliore strategia processuale possibile nel caso di specie. Numerosi sono stati gli interventi normativi degli ultimi anni orientati nel senso della differenziazione della pena detentiva: le successive modifiche del codice penale, del codice di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario, la depenalizzazione di alcuni reati; l’introduzione dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto; la previsione della sospensione del processo con messa alla prova operata; le stratificate modifiche dell’ordinamento penitenziario. Con attenzione alla novità, normativa e giurisprudenziale, e semplicità espositiva, i principali argomenti trattati sono: la prescrizione; l’improcedibilità; la messa alla prova; la sospensione del procedimento per speciale tenuità del fatto; l’estinzione del reato per condotte riparatorie; il patteggiamento e il giudizio abbreviato; la commisurazione della pena (discrezionalità, circostanze del reato, circostanze attenuanti generiche, recidiva, reato continuato); le pene detentive brevi (sanzioni sostitutive e doppi benefici di legge); le misure alternative, i reati ostativi e le preclusioni; le misure di sicurezza e le misure di prevenzione. Cristina MarzagalliMagistrato attualmente in servizio presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea come Esperto Nazionale Distaccato. Ha maturato una competenza specifica nell’ambito del diritto penale e dell’esecuzione penale rivestendo i ruoli di GIP, giudice del dibattimento, magistrato di sorveglianza, componente della Corte d’Assise e del Tribunale del Riesame reale. E’ stata formatore della Scuola Superiore della Magistratura per il distretto di Milano.
Cristina Marzagalli | Maggioli Editore 2023
34.20 €
- [1]
Concetto espresso in maniera cristallina in JAKOBS G., La pena statale. Significato e finalità, traduzione ad opera di VALITUTTI D., Nola (NA), Editoriale Scientifica, 2019, pag. 87.
- [2]
Cfr. a riguardo il recente GATTA G.L., L’estensione del regime di procedibilità a querela nella riforma Cartabia e la disciplina transitoria dopo la L 199/22, pubblicato in www.sistemapenale.it , fasc. 1/2023.
- [3]
Da sempre, dopo le aggressioni all’integrità della persona, le più sentite come odiose e degne di intervento punitivo, vi sono quelle al patrimonio. Se guardiamo all’esperienza antica più importante per la nostra civiltà, il Diritto Romano, il passaggio dalla vendetta privata all’intervento della comunità e successiva istituzionalizzazione del rapporto giuridico, passa per la necessità di garantire la pax deorum, onde evitare che il danno di tale turbamento potesse avere ripercussioni sulla civitas. Cfr. TALAMANCA M., Lineamenti di storia del diritto romano, Milano, Giuffrè, 1988, Pag. 35 e ss.
- [4]
L’assenza in udienza senza giustificato motivo è presunzione ex lege di rinuncia tacita alla querela, ex art. 152 cp. In verità, in materia la riforma “Cartabia” non ha fatto altro che normare un indirizzo già presente in giurisprudenza: ex pluris, cfr. sentenza nr. 29209 Cass. Pen., sez. V, 12.7.2016; Cass. SS.UU. nr. 31668/2016.
- [5]
Per tutti, la posizione del dott. GRATTERI N., Procuratore di Catanzaro. Notorie le sue denunce delle criticità della riforma, inascoltate dal legislativo.
- [6]
Lapidariamente così definita già da tempo da autorevole dottrina: «siamo di fronte a fenomeni di “insania collettiva di fondo” che porta ad una contrapposizione alla delinquenza reale di una pena virtuale». Cfr. MANTOVANI F., Criminalità sommergente e cecità politico criminale, in Riv. It., 1999, pag. 1201 e ss. – citata in ANTOLISEI F., Manuale di Diritto Penale – Parte generale sedicesima edizione, cit., pag. 8-9
- [7]
Cfr. FORZATI F., Il diritto penale dell’obbedienza fra fondamento etico-religioso dell’offesa e funzione potestativa della pena, pubblicato in www.archiviopenale.it, 2017, nr. 3, pag.37. Sul punto cfr. anche JAKOBS G., La pena statale. Significato e finalità, traduzione ad opera di VALITUTTI D., Nola (NA), Editoriale Scientifica, 2019, pag. 52.
- [8]
Cfr. FORZATI F., Il diritto penale dell’obbedienza fra fondamento etico-religioso dell’offesa e funzione potestativa della pena, pubblicato in www.archiviopenale.it, 2017, nr. 3, pag.45.
- [9]
Cfr. FEUERBACH P.J.A., Kritik des natürlichen Rechts als Propädeutik zu einer Wissenschaft der natürlichen Rechte , 1796, citato in JAKOBS G., La pena statale. Significato e finalità, traduzione ad opera di VALITUTTI D., Nola (NA), Editoriale Scientifica, 2019, pag.72 e 73.
- [10]
Cfr. BECCARIA C., Dei delitti e delle pene, edizione OM Band D.E., Torrazza Piemonte (TO), per Amazon, 1764. Pag. 52.
- [11]
Cfr. PEDRAZZA GORLERO M., Il Potere ed il Diritto, Padova, CEDAM, 1999, pag. 74 e 75. Ancora cfr. Cfr. FORZATI F., Il diritto penale dell’obbedienza fra fondamento etico-religioso dell’offesa e funzione potestativa della pena, pubblicato in www.archiviopenale.it, 2017, nr. 3, pag.34.
- [12]
Cfr. WESTERMARCK E., L’essenza della vevdetta, ed in quello di WENDELL HOLMES O.jr, Desiderio di vendetta e forme primitive di responsabilità, entrambi in DI LUCIA P. e MANCINI L. a cura di, La giustizia vendicatoria, Pisa, Edizioni ETS, 2015.
- [13]
Cfr. PALIERO C.E., Il sogno di Clitennestra: mitologia della pena, in PALIERO C., VIGANO’ F., BASILE F., e GATTA G.L. a cura di, La pena, ancora: fra attualità e tradizione. Studi in onore di Emilio Dolcini, Varese, Giuffrè, 2018, pagg. 123 e ss.
- [14]
Autorevole dottrina reputa tali effetti come certi e coraggiosa la scelta di perseguirli in tale maniera, bollando come allarmistici i toni della stampa. Cfr. GATTA G.L., L’estensione del regime di procedibilità a querela nella riforma Cartabia e la disciplina transitoria dopo la L 199/22, pubblicato in www.sistemapenale.it , fasc. 1/2023.
- [15]
JAKOBS G., La pena statale. Significato e finalità, traduzione ad opera di VALITUTTI D., Nola (NA), Editoriale Scientifica, 2019, pag. 91.
- [16]
DdL nr. 831 su proposta del Ministro Nordio, approvato con procedura d’urgenza dal Consiglio dei Ministri. Il DdL risulta, al momento in cui scrivo, trasmesso al Senato a seguito dell’approvazione della Camera.
- [17]
Art. 3 DdL nr. 831. Testo reperito su www.camera.it compresa relazione di presentazione.
- [18]
Appare appena il caso di ricordare che l’art. 121 disp. att. c.p.p. impone al P.M. di liberare immediatamente l’arrestato qualora non debbano essere richieste misure cautelari che, ex post, sostanzino di senso pratico la misura precautelare.
- [19]
Mi riferisco a GATTA G. L. , Procedibilità a querela e arresto in flagranza: considerazioni sul disegno di legge Nordio, pubblicato in www.sistemapenale.it , fasc. 2/2023.
- [20]
Cfr. GATTA G. L. , Procedibilità a querela e arresto in flagranza: considerazioni sul disegno di legge Nordio, pubblicato in www.sistemapenale.it , fasc. 2/2023.
- [21]
Cfr. MUSIO S., La vicenda del codice Rocco nell’Italia repubblicana, in l’altro diritto, 1999, rivista on-line raggiungibile al sito www.adir.unifi.it, cap. I pag. da 1 a 9.
- [22]
AA.VV., a cura di VASSALLI G., Diritto penale e giurisprudenza costituzionale, ESI, Napoli, 2006.
- [23]
Nota attenta dottrina come “forse soltanto un regime dittatoriale poteva realizzare in tanto breve tempo e con tale simultaneità” un intervento tanto esteso. Cfr. VASSALLI G. Codice Penale, in Enciclopedia del Diritto, vol. III, Giuffrè, Milano, 1995 p. 2.
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