Riflessi del danno civilistico da morte sui congiunti: danno biologico e morale iure haereditario; danno non patrimoniale iure proprio

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a) danno biologico e morale da morte iure haereditario patito dal defunto congiunto
 
Premessa alle seguenti considerazioni e’ che l’evento mortale, per giurisprudenza costante, stante la sua natura di irreparabile quoddam, non puo’ essere automaticamente parametrato a rigidi criteri tabellari, predisposti in favore dei soggetti vittima di invalidità che comunque sopravvivono all’evento sinistroso (Cass. nn. 1877/2006, 25124/2006).
Sul punto, si consideri che l’unanime orientamento dei giudici di merito italiani è nel senso di adattare al c.d. danno biologico terminale, di che trattasi, le percentuali “Tabellari” in materia di danno biologico permanente al 100%.
 
Per un tale orientamento si leggano Tribunale di Venezia 13 dicembre 2004, Tribunale di Caltanissetta 4 luglio 2002, sentenza, quest’ultima di cui si trascrive un saliente stralcio: “…. I danni spettanti agli attori possono, ai valori attuali, così riassumersi e liquidarsi, tenendo in considerazione le Tabelle elaborate dal Tribunale di Milano danno biologico (avuto riguardo alla percentuale di invalidità permanente, pari al 100% riconoscibile in capo al sig. (…) nel periodo di coma conseguito immediatamente al sinistro – trattandosi di assoluta incapacità di autodeterminazione e di relazione prima temporanea e poi consolidatasi con il sopravvenuto exitus – ed avuto riguardo all’età, anni trenta, del (…) al momento del sinistro: € 485.727,713”.
 
A tale orientamento della giurisprudenza di merito fa eco, come noto, la S.C., che parametra il danno in parola su coefficienti “personalistici”, affermando che il danno medesimo non è computabile né sul danno biologico permanente, né sul danno biologico temporaneo, in considerazione del fatto che un evento sinistroso cagiona in capo alla vittima pregiudizi non quantificabili secondo il metodo Tabellare ( conf., ex plur., Cass. 28 agosto 2007, n. 18163).
 
A titolo esemplificativo dell’orientamento in parola, si consideri che Cass. n. 7632/2003 ha ritenuto equa, in seguito a morte di un ragazzo di 17 anni dopo dieci giorni di agonia, la quantificazione della diaria di € 3.150,00 pro die, oltre € 15.000,00 per il danno morale, sconfessando il giudice di merito che invece aveva parametrato il danno de quo sull’invalidità temporanea, come è noto quantificata secondo una semplice diaria giornaliera di soli € 69,13.
Sul punto, si rammenti con Cass. 23.2.06 n. 3766, che: «Quando la morte è causata dalle lesioni, dopo un apprezzabile lasso di tempo, il danneggiato acquisisce e trasmette agli eredi solo il diritto al risarcimento del danno biologico da inabilità temporanea, pregiudizio che, se pure temporaneo, è massimo nella sua intensità ed entità». (Nel caso di specie, la Cassazione ha sanzionato il computo del Giudice del merito che aveva liquidato iure hereditario per dieci giorni di coma, con esito letale, vecchie £. 267.000, come se ritrattasse di danno biologico da invalidità temporanea assoluta, mentre a titolo di danno morale patito dalla vittima ritenne di liquidare vecchie £. 5.000.000).
 
b) danno non patrimoniale iure proprio da morte del defunto congiunto
 
Anche il risarcimento di un tale danno, come pure la determinazione del relativo ammontare ha formato oggetto di dibattito giurisprudenziale, risolto nel senso di “danno presunto iuris et de iure” in capo ai congiunti, vale a dire da essi risentito esclusivamente per tale loro qualità, senza possibilità di prova contraria.
In particolare, si legga Cassazione febbraio 2005, n. 265: “Quando gli stretti congiunti agiscono jure proprio per il risarcimento del danno derivato a loro stessi dalla morte (o dalle gravi menomazioni) della vittima primaria in ragione dello stretto rapporto parentale che alla stessa li lega (va), … il limite del risarcimento non è, cumulativamente per tutti, quello previsto per una sola persona danneggiata; ma è, distintamente per ognuno di loro, quello previsto per ciascuna persona danneggiata.”
Ed ancora: Cass. 23 febbraio 2005 n. 3766: “posto che la funzione del risarcimento del danno morale è satisfattoria delle sofferenze patite, ai fini della liquidazione di tale voce di pregiudizio, occorre rispettare l’esigenza di una razionale correlazione tra l’entità oggettiva del danno e l’equivalente pecuniario, in modo che questo non rappresenti un mero simulacro di risarcimento ( nella specie, è stata confermata in parte qua la decisione di merito che nel quantificare il danno morale subito dai genitori per la perdita del figlio minore, aveva tenuto conto dell’età della vittima, del vincolo familiare, della gravità dell’illecito, delle modalità del sinistro, dell’entità del patema d’animo, nonché dell’esistenza di un’altra figlia nel nucleo familiare).” (conf. Cass. n. 15001/04, 4993/2004).
Circa la prova di tale tipo di danno, si ripete che l’orientamento di legittimità assolutamente prevalente riconosce al vincolo familiare efficacia di per se’ idonea alla risarcibilità di una tale voce di danno.
Cass. 22 luglio 2008 n. 20188, nel ribadire il suo diritto vivente, ha statuito che: «In tema di danno morale dovuto ai parenti della vittima, non è necessaria la prova specifica della sua sussistenza, siccome la prova puo’ essere desunta anche solo in base allo stretto vincolo familiare; ai fini della valutazione del danno morale, conseguente alla morte di un prossimo congiunto, quindi, l’intensità del vincolo familiare può gia’ di per se’ costituire un utile elemento presuntivo su cui basare la prova dell’esistenza del menzionato danno morale, in assenza di elementi contrari, mentre l’accertata mancanza di convivenza dei soggetti danneggiati con il congiunto deceduto puo’ rappresentare soltanto un idoneo elemento indiziario da cui desumere un piu’ ridotto danno morale (cfr. Cass. nn. 11.5.2007 n. 10823, 19.2.2007 n. 3758, 19.1.2007 n. 1203, 30.10.2007 n. 228849)
 
 
avvocato in Napoli

Vanacore Giorgio

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