di Chiara Cracolici e Alessandro Curletti Avvocati
La questione relativa all’esperibilità del rimedio del ricorso straordinario per cassazione, ex art. 111, co. 7, Cost., contro i provvedimenti che riguardano le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento di cui alla legge n. 3/2012 s.m.i., è stata affrontata dalla giurisprudenza di legittimità con un orientamento che risulta oramai in stato di avanzato consolidamento.
Il presente lavoro esamina gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sviluppatisi in materia.
Prendendo come punto di riferimento i principi espressi dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 27073 del 28 dicembre 2016, la Suprema Corte di Cassazione, in particolare, distingue due ipotesi.
L’una, relativa ai provvedimenti che concernono la fase di ammissione alla procedura, relativamente ai quali la Corte esclude la possibilità di impugnativa con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, co. 7, Cost., non essendo dotati dei necessari requisiti di decisorietà e definitività.
L’altra, relativa ai provvedimenti, di accoglimento ovvero di rigetto, che concernono la fase di omologa della procedura, relativamente ai quali l’orientamento maggioritario sembrerebbe riconoscere la possibilità di ulteriore impugnazione in cassazione, esperita la fase di reclamo.
Conclude il presente lavoro una breve riflessione in ordine all’eventuale opportunità di ricomprendere, tra i provvedimenti impugnabili con il ricorso di cui all’art. 111, settimo comma, Cost., anche quelli concernenti la fase di ammissione alla procedura, al fine di non correre il rischio di minare la funzione nomofilattica della Suprema Corte in ordine all’istituto dell’inammissibilità delle procedure.
Sommario
1. La struttura processuale delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.
2. Brevi cenni sull’esperibilità del rimedio del ricorso straordinario per cassazione
3. Ricorso straordinario per cassazione e procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.
4. Conclusioni.
1. La struttura processuale delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.
Al fine di comprendere la portata della problematica in questione, appare preliminarmente utile fornire un breve inquadramento sistematico del tema[1].
Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento sono, allo stato, disciplinate dalla legge, 27 gennaio 2012, n. 3 e succ. mod. integr.
Essendo nostra intenzione concentrare l’attenzione sui profili strettamente processuali delle diverse procedure e non su quelli sostanziali, ci limitiamo a ricordare che il debitore, che intenda far ricorso, ove ne ricorrano i presupposti, ad una delle tre procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, deve necessariamente avvalersi dell’ausilio di un organismo di composizione della crisi, laddove costituito sul territorio, o, in alternativa, di un professionista che faccia funzioni di organismo di composizione della crisi e che venga nominato, ai sensi del nono comma dell’art. 15 L. n. 3 del 2012, dietro istanza del debitore, dal Presidente del Tribunale o dal giudice da lui delegato.
Una volta ottenuta la nomina del gestore della crisi da parte del Referente dell’organismo ovvero la nomina del professionista facente funzioni di organismo stesso da parte del Presidente del Tribunale o dal giudice da lui delegato, il debitore dovrà prendere contatti con il gestore o con il professionista nominato, al fine di presentargli la propria proposta di accordo di composizione della crisi, di piano del consumatore ovvero la domanda di liquidazione del patrimonio e fornirgli tutti gli elementi che gli consentano di svolgere i compiti e le funzioni che al medesimo competono in forza della legge n. 3 del 2012 (ad esempio e a seconda della tipologia di procedura scelta, redigere l’attestazione di fattibilità ovvero la relazione particolareggiata).
Può sovente verificarsi l’ipotesi in cui il debitore, pur avendo ottenuto la nomina del gestore/professionista, rimanga inerte e si astenga dal prendere contatti con il gestore ovvero, pure contravvenendo al disposto di cui alla lettera d) del secondo comma dell’art. 7 L. n. 3/2012, dal fornire al medesimo la documentazione che consenta di ricostruire compiutamente la situazione economica e patrimoniale, o infine dal presentare una proposta di accordo o di piano o una domanda di liquidazione.
In tale ipotesi, non infrequenti sono stati i casi in cui il Tribunale adito, dietro segnalazione del gestore della crisi o del professionista incaricato, ha dichiarato la chiusura o, comunque, l’archiviazione della procedura di composizione della crisi[2].
Si consideri, ora, l’ipotesi contraria, in cui il debitore, avvalendosi dell’ausilio del gestore della crisi ovvero del professionista, presenti, presso il Tribunale territorialmente competente, una proposta di accordo o di piano del consumatore o una domanda di liquidazione.
Con riferimento alla procedura di accordo di composizione della crisi e di piano del consumatore, la L. n. 3 del 2012 e succ. mod. integr. e, in particolare, gli artt. 7, 8, 9, 10, 11, 12, 12 bis e 12 ter , contemplano un articolato procedimento caratterizzato da due fasi, l’una c.d. “preliminare”, l’altra c.d. “di omologa”.
Nell’ambito della fase preliminare, il giudice del sovraindebitamento, a seguito di deposito della proposta di accordo di composizione della crisi o di piano del consumatore, verifica la sussistenza dei requisiti di cui agli artt. 7, 8 e 9 della L. n. 3 del 2012. Trattasi di una verifica generalmente svolta in camera di consiglio, pur potendo il giudice delegato, invocando l’art. 9, comma 3 ter , assegnare al ricorrente un termine perentorio, sino a quindici giorni, per il deposito di integrazioni ed ulteriori documenti. In assenza dei requisiti previsti dalle suddette disposizioni normative, il giudice pronuncia decreto con il quale non ammette il debitore alle fasi di omologa delle procedure di accordo di composizione della crisi o di piano del consumatore. Avverso tale decreto è ammesso reclamo, a norma degli artt. 737 ss. c.p.c., con la specificazione che del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.
Al contrario, qualora il giudice del sovraindebitamento verificasse la presenza dei requisiti previsti dagli artt. 7, 8 e 9 , ammetterebbe il ricorrente sovraindebitato alla successiva fase c.d. di omologa delle procedure di accordo o di piano, pronunciando i decreti di cui agli artt. 10 (per la procedura di accordo di composizione della crisi) ovvero 12 bis, commi 1 e 2 (per la procedura di piano del consumatore). Trattasi, nella specie, di provvedimenti con i quali il giudice della procedura fissa l’udienza di comparizione delle parti, instaurando così il contraddittorio tra il debitore ed i suoi creditori, disponendo anche, quanto alla procedura di accordo di composizione, la sospensione d’ufficio di tutte le procedure esecutive avviate, pendenti nei confronti del debitore, quanto invece alla procedura di piano del consumatore, la sospensione di determinate procedure esecutive pendenti che, dietro istanza di parte e successivo accertamento giudiziale, possano pregiudicare la fattibilità del piano. Prescrive il sesto comma dell’art. 10 L. n. 3/2012 per la procedura di accordo, ma ad avviso di chi scrive, stante l’identità di ratio, valevole anche per la procedura di piano del consumatore, che si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 737 e seguenti del codice di procedura civile e che il reclamo si propone al tribunale e che del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.
Con la fissazione dell’udienza di comparizione, si apre la fase “di omologa”, la quale presenta caratteristiche differenti a seconda che la procedura prescelta sia quella di accordo di composizione della crisi o di piano del consumatore.
Con riferimento alla procedura di accordo di composizione della crisi, la L. n. 3 del 2012 contempla due sotto-fasi. La prima sotto-fase è rappresentata dal voto della proposta di accordo e prevede che i creditori, cui la proposta di accordo ed il decreto di fissazione udienza sia notificato, esprimano il proprio voto sulla proposta, nella forma di consenso espresso, dissenso espresso o di silenzio assenso. Nell’ipotesi in cui non si raggiunga la prescritta maggioranza dei consensi di cui all’art. 11, secondo comma, L. n. 3/2012, il giudice pronuncerà l’improcedibilità della procedura di accordo di composizione. Nel caso contrario, l’accordo tra il debitore ricorrente ed i creditori potrà dirsi concluso ed il giudice delegato, tramite rimessione degli atti in camera di consiglio, introdurrà la seconda sotto-fase, caratterizzata dal giudizio di omologa.
Tale seconda sotto-fase prevede che il giudice delegato verifichi l’idoneità e la convenienza della proposta di accordo rispetto al dettato normativo di cui all’art. 12, secondo comma, L. n. 3/2012. Due sono i possibili esiti: in caso negativo, il giudice pronuncerà decreto di rigetto dell’omologazione della proposta di accordo; in caso positivo, il giudice emetterà decreto di omologazione della proposta di accordo. Avverso il decreto del giudice può essere presentato reclamo, a mente degli artt. 737 ss. c.p.c., e del collegio non può far parte il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato.
Con riferimento alla procedura di piano del consumatore, la legge contempla al contempo due sotto-fasi. La prima è caratterizzata dalla discussione della proposta di piano e prevede che le parti, in contraddittorio tra di loro, discutano in ordine alla proposta di piano del consumatore presentata dal debitore. A seguito della discussione della proposta di piano del consumatore, il giudice rimette gli atti in camera di consiglio, così introducendo la seconda fase, caratterizzata dal giudizio di omologa e consistente nella verifica, da parte del giudice, dell’idoneità, fattibilità, convenienza e meritevolezza della proposta, come prescritto dal terzo comma dell’art. 12 bis L. in argomento. Anche in questo caso, due sono i possibili esiti: in caso negativo, il giudice pronuncerà provvedimento di rigetto dell’omologazione della proposta di piano; in caso positivo, il giudice emetterà decreto di omologazione della proposta di piano del consumatore.
Anche in questo caso, pur la disposizione non contenendo un espresso richiamo, si ritengono applicabili, in quanto compatibili, gli artt. 737 c.p.c., con la conseguenza che l’eventuale reclamo si propone al tribunale in composizione collegiale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.
Sia dell’accordo di composizione della crisi sia del piano del consumatore, entrambi omologati, può essere rispettivamente pronunciato l’annullamento o la risoluzione nelle ipotesi previste dall’art. 14 (quanto alla procedura di accordo) o la revoca e la cessazione degli effetti del piano del consumatore nelle ipotesi di cui all’art. 14 bis L. 3 del 2012. In entrambe le ipotesi, contro il provvedimento giudiziale può essere proposto un reclamo avanti al tribunale in composizione collegiale, a norma degli artt. 737 c.p.c., e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.
Quanto alla procedura di liquidazione del patrimonio ex artt. 14 ter ss., la L. n. 3 del 2012 contempla una procedura meno articolata, che si articola in due fasi, quella di apertura e di chiusura della procedura.
Anche nella fase di apertura, decretata dal giudice ove ricorrano i presupposti di ammissibilità di cui all’art. 14 ter , si applica in quanto compatibile la disciplina camerale.
[1] Per un interessante approfondimento sistematico, cfr. Trib. La Spezia, 13 giugno 2018, in www.ilcaso.it;
[2] Ex multis, cfr. Cass. , 1 giugno 2018, n. 14076, in www.cortedicassazione.it; id., 12 marzo 2018, n. 5997, ibidem; id., 23 febbraio 2018, n. 4500, ibid.; id., 21 febbraio 2018, n. 4276, ibid.; id., 3 novembre 2017, n. 26201, ibid.;
2. Brevi cenni sull’esperibilità del rimedio del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, co. 7, Cost.
Orbene, preso atto della pacifica applicabilità della disciplina processuale camerale, pur secondo i canoni di compatibilità, alle procedure di composizione della crisi e preso altresì atto del fatto che i provvedimenti che riguardano tali procedure non assumono la forma della sentenza ma quella del decreto, il tema che il presente lavoro si pone l’obiettivo di affrontare concerne la specifica questione dell’esperibilità o meno del rimedio del ricorso straordinario per cassazione ai sensi e per gli effetti dell’art. 111, settimo comma, Cost. contro i provvedimenti che riguardano le procedure in argomento.
In linea generale, lo storico e consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione, peraltro ripreso anche in tema di procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, non preclude la possibilità di impugnare, con un ricorso straordinario per cassazione ex comma 7 dell’art. 111 Cost., provvedimenti resi all’esito di un procedimento camerale e, più in generale, i provvedimenti che assumano la forma di decreto (come nelle procedure in esame) o di ordinanza, quindi una forma diversa dalla sentenza, purché dotati dei necessari caratteri di decisorietà e contestuale definitività.
Il riferimento giurisprudenziale, per tutti, va alla recente sentenza n. 27073 delle Sezioni Unite pronunciata in data 28 dicembre 2016[3], che, con riferimento al concordato preventivo, ha ritenuto che il provvedimento relativo alla fase di ammissibilità della proposta non sia ricorribile per cassazione essendo privo dei requisiti di decisorietà e definitività; requisiti, invece, presenti nei provvedimenti, di accoglimento o rigetto, relativi alla successiva fase di omologazione.
Sui suddetti principi, si è registrata una sostanziale continuità giurisprudenziale, attestata anche, oltre che dalla citata sentenza, da un ulteriore precedente giurisprudenziale delle Sezioni Unite (la sentenza n. 1914 del 2 febbraio 2016), in cui si ribadisce che un provvedimento, anche se emesso in forma di decreto ovvero di ordinanza, può essere impugnato con ricorso straordinario, purché avente carattere decisorio, carattere questo sussistente allorquando incida con efficacia di giudicato su diritti soggettivi, e definitivo, carattere questo sussistente allorquando non sia altrimenti modificabile[4].
In dottrina, si sono registrate diverse opinioni contrastanti. In particolare, con riferimento alla questione sulla ricorribilità per cassazione dei provvedimenti concernenti la fase di ammissione della procedura di concordato preventivo, si sono sviluppate due impostazioni di pensiero, l’una propendente per la soluzione negativa, in ragione della riproponibilità della domanda[5]; l’altra, per la soluzione affermativa[6]. Si è invece generalmente registrata un’opinione favorevole circa l’impugnabilità con il ricorso straordinario per cassazione dei provvedimenti emessi all’esito del reclamo ex art. 183 L. fallimentare[7].
[3] Cfr. Cass., 28 dicembre 2016, n. 27073, in www.cortedicassazione.it, con nota di Fabiani, La tutela giurisdizionale di legittimità nelle soluzioni concordate della crisi, Foro It., I, 1338; Pagni, Decisorietà e definitività dei provvedimenti in materia di concordato e accordi nella prospettiva delle Sezioni Unite, Fall., 2017, 537 e Palladino, l dictum delle S.U. sull’impugnabilità dei provvedimenti emessi nella procedura di concordato, Il fallimentarista.it, fasc. 4.9.2017, 1 ss.; conf., Cass. , 12 aprile 2018, n. 9087, ibid., con nota di Trentini, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono una procedura concorsuale: la Cassazione completa il percorso, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 2018, 8-9, 894; Cass., SSUU, 10 aprile 2017, n. 9146, ibid., con nota di Sacchettini, Assorbita dal reclamo l’intera controversia sulla crisi aziendale, Guida al diritto, 2017, 21, 58; relativamente all’impugnazione di provvedimenti camerali cfr., Cass. , 28 settembre 2017, n. 22693, ibid.; Id., 22 giugno 2017, n. 15548, ibid.; Id., 21 novembre 2016, n. 23633, ibid., con nota di Turroni, And she opened and went in: la Cassazione apre alle misure de potestate, Giur. It., 2017, 6, 1343 e Nascosi, Ricorribilità per cassazione dei provvedimenti de potestate, La nuova giurisprudenza civile commentata, 2017, 4, 1, 560 e Pirruccio, Un decreto che incide su diritti personalissimi, Guida al diritto, 2017, 7, 51; Id., 16 settembre 2015, n. 18194, ibid.; Id., 10 maggio 2013, n. 11218, ibid.;
[4] Cass., SSUU, 2 febbraio 2016, n. 1914, ibid., con nota di Carratta, Le Sezioni Unite e i limiti di ricorribilità in cassazione dell’ordinanza sul “filtro” in appello, Giur. It., 2016, 6, 1371; Tiscini, Impugnabilità dell’ordinanza filtro per vizi propri. L’apertura delle Sezioni Unite al ricorso straordinario, Il Corriere Giuridico, 2016, 8-9, 1125; Ludovici, Appello civile, mancanza di una ragionevole probabilità di accoglimento, ordinanza, ricorso straordinario per cassazione, Foro it., 2016, 7-8, 1, 2478;
[5] Pajardi, Paluchowsky, Manuale di diritto fallimentare, Milano 2008, 883; Guglielmucci, Diritto fallimentare , Torino, 2013, 330;
[6] Marelli, L’impugnazione del decreto di inammissibilità e la reiterazione della proposta di concordato preventivo, in Fall. , 2011, 322; Bonfatti, Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2011, 442 ss.; Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, 548;
[7] AAVV., Codice commentato del fallimento, diretto da Lo Cascio, 2256 ss., e Pica, Fallimento e concordati, a cura di Celentano e Forgillo;
3. Ricorso straordinario per cassazione e procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.
Posta la definizione generale, non rimane che verificare se ed in che termini i provvedimenti resi in materia di procedure di composizione possano dirsi decisori e definitivi e, conseguentemente, possano considerarsi ricorribili per cassazione secondo i principi dalle Sezioni Unite della Suprema Corte.
La questione della ricorribilità in Cassazione ex art. 111 Cost. dei provvedimenti resi in materia di procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento ai sensi della L., 27 gennaio 2012, n. 3, smi, è stata, a più riprese, affrontata dalla Suprema Corte, in seno alla quale è andato via via consolidandosi un orientamento, quanto meno in parte, in senso negativo.
Le ordinanze del supremo consesso sembrerebbero aver recepito i principi già espressi dalle Sezioni Unite in tema di concordato preventivo, mutuandoli alle procedure concorsuali “minori”.
Le pronunce della Corte, che nel prosieguo verranno esaminate, possono essere suddivise in due gruppi: il primo, rappresentato da una serie di pronunce concernenti la fase iniziale ovvero momenti intermedi delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, la fase, propriamente detta, di “ammissione” alla procedura; il secondo, rappresentato, invece, da una serie di ordinanze concernenti la fase finale delle menzionate procedure, nella specie la fase inerente all’omologa della proposta di accordo di composizione della crisi ovvero di un piano del consumatore o alla declaratoria di apertura della richiesta liquidazione del patrimonio.
Nel primo caso, la Corte ritiene che, trattandosi di provvedimenti privi del requisito della decisorietà e della definitività e ben potendo il ricorrente far ricorso ad una ulteriore procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento benché entro i limiti temporali fissati dalla legge (ove applicabili), non sia ammissibile il ricorso per cassazione, con lo strumento del ricorso straordinario ex art. 111, co. 7, Cost.[8].
Sottolinea la Suprema Corte come la natura “non decisoria” di tale tipologia di provvedimenti si evinca dalla logica circostanza di non aver deciso nel “[…] contraddittorio tra le parti su diritti soggettivi” e non essendo, dunque, idonei al giudicato[9].
Nel secondo caso, la Suprema Corte, pur registrando un unico isolato e criticato indirizzo in senso negativo, sembrerebbe essersi attestata, quanto meno relativamente alla procedura di accordo di composizione della crisi, sulla possibilità di impugnare, con un ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., i provvedimenti, siano di accoglimento ovvero di rigetto, dei reclami concernenti i decreti di omologazione o di rigetto dell’omologa di una proposta di accordo di composizione della crisi, essendo dotati dei necessari requisiti della decisorietà e definitività[10].
Con riferimento al requisito della definitività, la Suprema Corte afferma che, senza ombra di dubbio, il provvedimento de quo non è altrimenti impugnabile.
Con riferimento poi al requisito della decisorietà, l’orientamento in questione ritiene preliminarmente che, ai fini dell’individuazione dei contorni di tale nozione, non possa che farsi riferimento ai principi enunciati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 27073 del 28 dicembre 2016, in materia di concordato preventivo.
In forza di tale nota pronuncia, il requisito della decisorietà si compone di due differenti, pur intimamente collegati, profili: il primo, caratterizzato dal carattere contenzioso del procedimento che in concreto venga considerato; il secondo, caratterizzato dall’idoneità del provvedimento, che conclude il procedimento, ad incidere su diritti soggettivi, secondo quanto è effetto tipico della giurisdizione contenziosa, di quella invero che si esprime su una controversia.
Entrambi i profili risultano essere presenti nel provvedimento che decide sull’omologa di una proposta di accordo di composizione della crisi: in primo luogo, il carattere contenzioso del procedimento lo si può evincere dal disposto di cui all’art. 12 bis (rectius, art. 10 ), laddove prescrive che il giudice nel decreto con cui fissa l’udienza disponga che la proposta ed il decreto vengano comunicati, entro un certo termine, a tutti i creditori; in secondo luogo, il requisito dell’idoneità del provvedimento conclusivo della procedura a statuire su diritti soggettivi risulta soddisfatto dal disposto di cui all’art. 12 ter , il quale, nel disciplinare la fase di esecuzione dell’accordo, prevede il blocco di tutte le azioni esecutive individuali e l’obbligatorietà del piano omologato per i creditori.
Dunque, trattandosi di provvedimento definitivo e decisorio può essere impugnato ex art. 111 Cost.
Quanto alla procedura di piano del consumatore, allo stato, si rinviene un’unica ordinanza interlocutoria, che, pur non dichiarando tout court inammissibile il ricorso, ritiene opportuna una trattazione in pubblica udienza[11].
La citata ordinanza, dopo aver puntualmente ripercorso l’excursus dell’orientamento giurisprudenziale in suo seno formatosi in ordine alla ricorribilità o meno dei provvedimenti in argomento, ha giustificato, alla luce della “non perfetta sovrapponibilità” della struttura tra le due procedure (l’una, quella di accordo, che passa attraverso una fase di voto della proposta, di “raggiungimento dell’accordo”, fase assente nell’altra, quella di piano del consumatore), l’impossibilità di ravvisare evidenze decisorie tali da consentire di definire il ricorso presso la sezione filtro.
Se tale è la posizione della giurisprudenza, in dottrina si sono sviluppati tre diversi orientamenti.
Alcuni autori ritengono che, sia i provvedimenti concernenti la fase di ammissione sia quelli riguardanti la successiva fase di omologa, non sarebbero impugnabili con ricorso straordinario per cassazione, sulla base della considerazione per cui gli stessi risulterebbero privi dei necessari requisiti di decisorietà e definitività e sulla base dell’ulteriore considerazione relativa alla riproponibilità della o delle procedure pur entro i limiti temporali, ove applicabili, di cui all’art. 7, co. 2 [12].
Altri autori, per contro, propendono per la soluzione affermativa in entrambi i casi[13].
Altri autori propendono per una soluzione intermedia. Distinguono, in particolare, tra i provvedimenti che concernono la fase di ammissione da quelli che concernono la fase di omologa della proposta di accordo o di piano, riconoscendo de facto solo per questi ultimi l’esperibilità del rimedio del ricorso straordinario per cassazione, essendo dotati dei detti requisiti di decisorietà e definitività[14].
Una questione rimasta irrisolta nella giurisprudenza di legittimità, ma affrontata dalla dottrina, riguarda la possibilità o meno di impugnare con un ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., il provvedimento che decide del reclamo avverso il decreto di accoglimento ovvero di rigetto della domanda di annullamento o di risoluzione dell’accordo di composizione della crisi proposta ai sensi dell’art. 14 della L. n. 3 del 2012 (o di revoca e di cessazione degli effetti del piano del consumatore ai sensi dell’art. 14 bis della medesima legge).
Sul punto, si sono sviluppati due orientamenti; l’uno, in senso affermativo, che ha messo in luce il carattere decisorio del provvedimento atto a statuire in via definitiva su contrapposte situazioni soggettive di natura sostanziale, facenti capo al debitore, al creditore ricorrente e agli altri creditori[15]; l’altro, che, con risposta in senso intermedio, ha ritenuto che sarebbe impugnabile con ricorso per cassazione il solo provvedimento di accoglimento, poiché connotato dei requisiti di decisorietà e definitività; per contro, esclusa tale possibilità risulterebbe con riferimento al provvedimento di rigetto, potendo il ricorrente riproporre la domanda, fatta salva l’ipotesi in cui il termine di decadenza annuale concesso per l’esercizio dell’azione di risoluzione non fosse nelle more decorso[16].
[8] Cass., 1 febbraio 2016, n. 1869, in www.cortedicassazione.it, che ha espressamente rilevato che “il decreto reiettivo del reclamo avverso il provvedimento di rigetto dell’ammissibilità del piano del consumatore di cui agli artt. 6, 7, comma 1 bis , e 8 legge n. 3/2012, non precludendo a quest’ultimo – benché nei limiti temporali previsti dall’art. 7, comma 2, lett. b, medesima legge – di presentare un altro e diverso piano di ristrutturazione dei suoi debiti, è privo dei caratteri della decisorietà e della definitività, sicché non è ricorribile per cassazione“; conf. id., 14 marzo 2017, n. 6516, ibid. (ove viene preso in veniva preso in considerazione il caso di un’impugnativa in cassazione di un decreto reiettivo del reclamo avverso una pronuncia di inammissibilità di una proposta di accordo di composizione della crisi); id., 8 agosto 2017, n. 19470, ibid.; id., 7 settembre 2017, n. 20917, ibid., id., 7 novembre 2017, n. 26201, ibid.; id., 21 febbraio 2018, n. 4276, ibid.; id., 23 febbraio 2018, n. 4500, ibid.; id., 1 marzo 2018, n. 4786, ibid.; id., 12 marzo 2018, n. 5997, ibid.; id., 1 giugno 2018, n. 14076, ibid.; id., 26 settembre 2018, n. 23158, ibid.; id., 26 ottobre 2018, n. 27287, ibid.; id., 13 novembre 2018, n. 29014, ibid.; in giurisprudenza, con riferimento alla procedura pre-fallimentare, cfr. Id., 2 aprile 2015, n. 6683, ibid. Per approfondimenti in dottrina, v. Alecci, Il sovraindebitamento del consumatore in prospettiva rimediale: p>in Europa e Diritto Privato, 1, 2017, 369; Per ulteriori approfondimenti in dottrina, v. nota di Carmelino, Foro It., 2016, 5, 1, 1804; Capoccetti, La nozione di consumatore nella disciplina della crisi da sovraindebitamento, Giur. It., 2016, 4, 817; Pasquariello, La Cassazione delinea il profilo del consumatore sovraindebitato, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 2016, 6, 665; Trubiani, Gli angusti orizzonti della nozione di consumatore nella disciplina della crisi da sovraindebitamento, La nuova giurisprudenza civile commentata, 2016, 7-8, 1, 989; Sacchettini, Escluso il salvataggio per debiti legati all’attività svolta, Guida al dir., 2016, 9, 38;
[9] Cass., 14 marzo 2017, n. 6516, ibid.;
[10] Nel senso di ritenere ammissibile il ricorso straordinario per cassazione, cfr. Cass. , 20 dicembre 2016, n. 26238, ibid.; in senso conf., id., 23 febbraio 2018, n. 4451; in senso diff., id., 1 agosto 2017, n. 19117, ibid., la quale ha posto il rilievo che, ai sensi dell’art. 12, co. 2, L. n. 3/2012, il procedimento di omologazione è soggetto alle norme generali dei procedimenti in camera di consiglio e dunque anche alla disposizione di cui all’art. 742 c.p.c., a mente della quale i decreti emessi a seguito dei procedimenti in camera di consiglio possono essere in ogni tempo modificati o revocati, salvi i diritti acquistati dai terzi di buona fede in forza di convenzioni anteriori alla modifica o alla revoca, con la conseguenza che non sono ricorribili per cassazione. Per approfondimenti in dottrina, Per un approfondimento in dottrina, v. Picardi, Decreto di rigetto dell’omologa del piano del consumatore emesso in sede di reclamo: è ricorribile in Cassazione?, Ilprocessocivile.it, fasc. 28 dicembre 2017, 1 ss.; Crivelli, Profili applicativi delle procedure di accordo e di piano del consumatore, Dir. Fall., 2017, 2, 526; Picardi, Codice di Procedura Civile, Giuffrè, 2015, II, 4159 ss.
[11] Cass. , 11 maggio 2018, n. 11877, in www.cortedicassazione.it;
[12] Durello, Profili processuali del procedimento per la composizione della crisi da sovraindebitamento, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, fasc. 2, 2014, 651; Locatelli, Contro i provvedimenti lo strumento del reclamo, in Guida dir., 2012, 58; Filocamo, L’ammissione e l’anticipazione degli effetti protettivi, in AAVV, Sovraindebitamento e usura, a cura di Ferro, Milano, Ipsoa, 2012, 149;
[13] Fabiani, La gestione del sovraindebitamento del debitore « non fallibile » (D.L. 212/2011), in Ilcaso.it, 12; Guiotto, La nuova procedura per l’insolvenza del soggetto non fallibile osservazioni in itinere, in Fall., 2012, 27, nota 33; D’Amora-Minutoli, L’omologazione dell’accordo, in Sovraindebitamento e usura, (a cura) di M. ferro, Milano, 2012, 201; Bersani, La composizione della crisi da sovraindebitamento per le imprese non fallibili nella L. n. 3/2012 , in Fisco, 2012, 10; Tiscini, I procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio, in Riv. dir. proc., 2013, 668, il quale precisa come la natura decisoria del provvedimento, nel senso di incidere su diritti soggettivi, potrebbe emergere dall’interesse che gli stessi creditori potrebbero avere interesse all’apertura della procedura; Pagni, Procedimento e provvedimenti cautelari ed esecutivi, in Fall., 2012, 1063, secondo la quale il provvedimento di diniego dell’ammissione può essere reclamato ai sensi dell’art. 739 c.p.c., avanti il tribunale in composizione collegiale, sia per mancanza dei requisiti soggettivi ed oggettivi, sia per mancanza della documentazione prevista dall’art. 9 , sennonché solo nella prima ipotesi deve ritenersi che il provvedimento sia suscettibile di ricorso straordinario per cassazione, in quanto decisorio e definitivo, mentre nell’altra ipotesi la domanda potrebbe essere sempre riproposta, debitamente integrata negli allegati, e il provvedimento del giudice modificato e revocato ex art. 742 c.p.c.; Trisorio Liuzzi, I procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento del debitore civile e del consumatore dopo il d.l. 18 ottobre 2012 n. 179 , in Giusto proc., 2013, 387; Id., Il procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento (l. 27 gennaio 2012 n. 3), ivi, 2012, 663 ss.; Costa, Profili problematici della disciplina della composizione delle crisi da sovraindebitamento, in Dir. fall., 2014, 663; Giavarrini, La procedura di liquidazione del patrimonio nella legge n. 3/2012 , in Giurisprudenza Commerciale, fasc. 5, 2016, 712;
[14] Donzelli, Prime riflessioni sui profili processuali delle nuove procedure concorsuali in materia di sovraindebitamento, in Dir. fall., 2013, 72;
[15] Balestra, Annullamento e risoluzione dell’accordo nella composizione delle crisi da sovraindebitamento, in Riv. trim. dir. proc. civ., fasc. 2, 2013, 593; Giordano, Impugnazione e risoluzione dell’accordo, in Composizione della crisi da sovraindebitamento, a cura di Di Marzio-Macario-Terranova, Milano, 2012, 73; Celentano, La caducazione degli effetti dell’accordo omologato, in Il fallimento, 2012, 1095;
[16] Filocamo-Vella, L’annullamento e la risoluzione dell’accordo, in Sovraindebitamento e usura, a cura di Ferro, Milano, 2012, 226;
4. Conclusioni.
In conclusione, in seno alla Suprema Corte è andato consolidandosi un orientamento che, sulla scorta dei principi enunciati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 27073/2016 in materia di concordato preventivo, risolve la questione della ricorribilità o meno per cassazione dei provvedimenti che riguardano le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, distinguendo due ipotesi.
L’una, relativa al caso dei provvedimenti riguardanti la fase di ammissione alla procedura; l’altra, relativa al caso dei provvedimenti, di accoglimento o di rigetto, riguardanti la successiva fase di omologazione della proposta di accordo di composizione della crisi o di piano del consumatore.
Nel primo caso, la Corte, con un orientamento consolidato, ha negato la possibilità di presentare ricorso straordinario, stante la natura non decisoria né tanto meno definitiva dei provvedimenti impugnati e stante la possibilità per il ricorrente benché entro i limiti temporali fissati dalla legge (ove applicabili) di far ricorso ad un’ulteriore procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento. Nel secondo caso, per contro, la Corte, salvo che in un unico ed isolato caso, ha ammesso la possibilità di ricorrere ex art. 111, co. 7, Cost., avendo riconosciuto la natura sia decisoria che definitiva dei provvedimenti impugnati.
Pur condividendo l’orientamento della Corte di Cassazione, appare, ad avviso di chi scrive, utile formulare una breve riflessione conclusiva, in ordine alla questione relativa all’inammissibilità dei ricorsi straordinari per cassazione ex art. 111, co. 7 contro i provvedimenti riguardanti la fase di ammissione alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento.
La Suprema Corte di Cassazione, come espressamente enunciato in tutte le ordinanze sin ad ora esaminate, ha ritenuto di poter applicare i principi espressi dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 27073/2016, in materia di concordato preventivo.
In tale sentenza, in particolare, si è ritenuto, come già ampiamente esposto, che i decreti di inammissibilità delle proposte di concordato preventivo non possano essere impugnati con un ricorso straordinario per cassazione, poiché non dotati dei necessari requisiti di decisorietà e definitività.
La Suprema Corte, nelle proprie motivazioni, esclude, peraltro, che ci possa essere il rischio che la funzione nomofilattica venga lesa o minata in ordine agli istituti di inammissibilità del concordato preventivo, sulla base della considerazione per cui la funzione nomofilattica verrebbe comunque esercitata, nel caso in cui, “come avviene normalmente“, alla declaratoria di inammissibilità consegua la sentenza dichiarativa del fallimento, come tale impugnabile con un ricorso per cassazione, ove ben potrebbero essere inseriti motivi di censura relativi alla decisione di inammissibilità presupposta.
Ciò considerato, la Suprema Corte, nelle proprie successive ordinanze in materia di sovraindebitamento, sembrerebbe aver integralmente trasposto tutti i principi validi in tema di concordato preventivo all’interno delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, quasi a voler ritenere “sovrapponibili” le due procedure e le due fattispecie.
Orbene, ad avviso di chi scrive, esiste il rischio che la struttura processuale delle procedure di composizione della crisi non sia tale da garantire un’esclusione della lesione della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, in ordine agli istituti dell’inammissibilità delle proposte di accordo di composizione della crisi o di piano del consumatore.
Ed infatti, a differenza della proposta di concordato preventivo inammissibile alla quale “[…] come avviene normalmente […]” “[…] consegue la sentenza dichiarativa del fallimento del debitore, impugnabile, come si è visto, anche per motivi di censura relativi a quelle decisioni presupposte, con rimedi culminanti appunto con ricorso per cassazione“, nelle proposte di accordo di composizione della crisi e nelle proposte di piano del consumatore inammissibili non consegue alcuna sentenza impugnabile con ricorso per cassazione.
Ecco quindi paventarsi il rischio che determinate decisioni di inammissibilità contenenti importanti principi su cui sarebbe opportuno l’esercizio di una funzione nomofilattica della Corte di Cassazione restino escluse da tale possibilità.
Se, come ben indicato anche nella parte motiva della sentenza delle Sezioni Unite, la garanzia costituzionale di cui al settimo comma dell’art. 111 Cost., “mira a contrastare il pericolo di applicazioni non uniformi della legge con provvedimenti suscettibili di passare in giudicato, cioè con provvedimenti tipici ed esclusivi della giurisdizione contenziosa“, tale pericolo, quello di un’applicazione non uniforme della legge (nella specie, la legge n. 3 del 2012 s.m.i.), potrebbe in concreto verificarsi, laddove non si consenta di esperire un rimedio giudiziale, che possa essere, alternativamente, o un ricorso per cassazione ordinario (non conseguendo al decreto di inammissibilità alcuna sentenza dichiarativa di fallimento autonomamente impugnabile), o un ricorso per cassazione straordinario a norma del settimo comma della disposizione costituzionale citata.
Al fine di escludere la possibilità che si verifichi tale rischio, in assenza di un mutamento di orientamento, la soluzione percorribile potrebbe essere quella, già proposta dalla dottrina con riferimento al concordato preventivo e richiamata in questa sede con riferimento alle procedure in argomento, di considerare, in simili ipotesi, una deroga al principio di inammissibilità del ricorso come implicita nel dictum delle Sezioni Unite[17].
[17] Palladino, l dictum delle S.U. sull’impugnabilità dei provvedimenti emessi nella procedura di concordato, op. cit., 1 ss., secondo cui “si rileva infine che, anche a seguito dell’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, permane un margine di incertezza interpretativa in relazione a quelle ipotesi, cui si è fatto cenno supra , in cui il decreto di inammissibilità della proposta di concordato si fondi su ragioni che escludono la possibilità di una successiva dichiarazione di fallimento , risultando così idoneo a incidere in modo irretrattabile su un diritto soggettivo del proponente (e assumendo dunque, sotto tale profilo, un’indubbia natura “decisoria”). Ebbene, sulla base di un’interpretazione letterale del principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite – che non sembra contemplare alcuna deroga espressa – anche in tali particolari fattispecie l’impugnazione del decreto in questione con il ricorso straordinario per cassazione dovrebbe ritenersi esclusa; sennonché, una soluzione del genere parrebbe contrastare non solo con l’orientamento costantemente espresso dalla Suprema Corte nelle precedenti pronunce in materia (di cui si dà conto nella stessa motivazione della sentenza in commento), ma anche con ineludibili ragioni di tutela dei diritti del debitore concordatario, che si vedrebbe, di fatto, privato di tutela impugnatoria a fronte di eventuali profili di illegittimità del decreto di inammissibilità/rigetto della domanda di concordato pronunciato nei suoi confronti, sicché appare forse preferibile ritenere che, in simili casi, la deroga al principio dell’inammissibilità del ricorso ex art. 111 Cost. debba considerarsi implicita nel dictum delle Sezioni Unite”.
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