Revocazione per errore di fatto e termine di impugnazione semestrale alla luce delle modifiche apportate dal D.L. n. 168/2016. L’ordinanza interlocutoria Cass. civ. 21 marzo 2019 n. 8717 e il contrasto in seno alla sesta Sezione della Corte di Cassazione

Redazione 24/06/19
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di Francesco Martire

Sommario

1. Cass. civ., Sez. 6, 21 marzo 2019 n. 8717

2. Vicenda e contenuto della decisione

3. Questioni poste in luce dal provvedimento

4. Il dibattito giurisprudenziale

5. Riflessioni conclusive

1. Cass. civ., Sez. 6, 21 marzo 2019 n. 8717

La Sezione 6 della Corte di Cassazione ha richiesto al Primo Presidente, ai sensi dell’art. 374, comma 2 c.p.c., di valutare la rimessione alle Sezioni Unite della questione processuale di massima importanza concernente la disciplina del termine per proporre la revocazione delle sentenze di cui all’art. 391 bis c.p.c. così come modificato dall’art. 1 bis, comma 1, lett. l) n. 1 d.l. 168/2016 conv. l. 197/2016.

2. Vicenda e contenuto della decisione

Il ricorrente ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello che ha dichiarato l’inammissibilità del gravame per violazione del combinato disposto degli artt. 342 e 345 c.p.c., avendo prestato l’appellante acquiescenza all’ammissione del giuramento suppletorio sulla base del quale il Giudice di prime cure aveva accolto la domanda dell’attore, proposta ai sensi dell’art. 2932 c.c. e volta al trasferimento della proprietà di beni immobili oggetto di un precedente contratto preliminare stipulato tra le parti.

La Suprema Corte nel luglio 2016 ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso in quanto il ricorrente non aveva depositato, ai sensi dell’art. 369, comma 2 n. 2 c.p.c., copia autentica della sentenza impugnata con la relazione di notificazione.

L’erede dell’originario ricorrente, nel frattempo deceduto, ha proposto ricorso ai sensi dell’art. 395, comma 1 n. 4 c.p.c. per il tramite di un unico ed articolato motivo: la Corte non avrebbe potuto dichiarare l’improcedibilità, essendo sotto tale profilo incorsa in un errore di fatto, in quanto dalla penultima pagina della copia della sentenza prodotta unitamente al ricorso si evincerebbe sia l’attestazione di conformità della copia all’originale che la relata di notifica.

Il Collegio, preso atto della richiesta di revocazione, ha dovuto previamente affrontare la questione pregiudiziale concernente la tardività della richiesta medesima. In particolare, la proposta del relatore si è sostanziata nella dichiarazione di inammissibilità del ricorso in quanto proposto nel giugno 2017 e dunque oltre il termine semestrale, decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza, per come individuato dall’art. 391 bis, comma 1 c.p.c., interpolato dall’art. 1 bis, comma 1, lett. l) n. 1 d.l. 168/2016.

La Corte, constatata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine all’ambito di applicazione della disciplina in oggetto, anche in relazione alla norma di diritto intertemporale di cui all’art. 1 bis, comma 2 d.l. 168/2016, ha ritenuto opportuno rimettere al Primo Presidente la valutazione circa l’opportunità di rimessione alle Sezioni Unite, trattandosi di questione processuale di massima importanza, trasversale a tutte le Sezioni e bisognosa di una soluzione uniformemente applicabile a tutti i procedimenti di revocazione instaurati ed instaurabili ai sensi dell’art. 395, comma 1 n. 4 c.p.c.

3. Questioni poste in luce dal provvedimento

L’art. 1 bis, comma 1, lett. l) n. 1 d.l. 168/2016 è intervenuto sull’art. 391 bis comma 1 c.p.c. rimodulando la disciplina del termine per proporre l’istanza di revocazione per errore di fatto avverso le sentenze della Suprema Corte, prevista in via generale dall’art. 395, comma 1 n. 4 c.p.c. Tale disposizione, infatti, attualmente prevede un termine perentorio breve di sessanta giorni, decorrente dalla notificazione della sentenza della Cassazione, ed uno semestrale – non più annuale – decorrente dalla pubblicazione della decisione medesima, applicabile nei casi di in cui non vi sia alcuna notifica.

L’interpolazione in esame è presa in considerazione dall’art. 1 bis, comma 2 d.l. 168/2016, il quale stabilisce che il termine ridotto si applica «ai ricorsi depositati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto – cioè il giorno successivo alla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale avvenuta in data 29.10.2016 – nonché a quelli depositati alla medesima data per i quali non è stata fissata udienza o adunanza in camera di consiglio».

Le disposizioni in commento, dunque, completano la riforma iniziata a partire dalla entrata in vigore della l. 69/2009, la quale aveva disposto la riduzione a 6 mesi del termine c.d. «lungo» per tutte le impugnazioni ad eccezione dell’ipotesi di richiesta di revocazione c.d. «ordinaria» delle sentenze della Cassazione. La non uniformità della disciplina, infatti, dipendeva dal fatto che l’art. 46, comma 17 della predetta legge era intervenuto unicamente sul disposto dell’art. 327, comma 1 c.p.c. ma non anche su quello dell’art. 391 bis, comma 1 c.p.c., il quale, fino alla Novella del 2016, ha continuato a prevedere un termine di durata annuale e non semestrale.

La norma di diritto intertemporale rappresenta uno degli aspetti peculiari dell’intervento operato nel 2016 sul processo civile. Nell’ottica di snellire e soprattutto accelerare i tempi processuali, il legislatore ha ridotto il termine lungo per proporre l’istanza di revocazione risolvendo ex ante le problematiche inerenti alla successione delle leggi nel tempo in base non alla data di pubblicazione della sentenza, ma a quella di deposito del ricorso.

Sul punto la dottrina ha osservato che tale soluzione è idonea a produrre conseguenze potenzialmente negative sul piano della consumazione «sopravvenuta» del potere di impugnazione di cui agli artt. 395 e ss. c.p.c. A fronte di una sentenza già pubblicata alla data di entrata in vigore della Novella ma di un deposito successivo del ricorso, il termine di impugnazione ex art. 391 bis c.p.c. si trasformerebbe da annuale a semestrale e potrebbe comportare la perdita per il ricorrente del potere di impugnare anche nell’ipotesi di notifica del ricorso antecedente alla data di entrata in vigore della legge di conversione, ma per il quale non sia stata fissata ancora udienza pubblica o camerale. Infatti, sotto tale ultimo profilo, rilevando il suddetto momento di deposito del ricorso, anche fronte di una notifica dello stesso in un momento precedente a quello di entrata in vigore, dovrebbe ritenersi comunque necessitata una dichiarazione di inammissibilità per tardività, una volta constatato il decorso del termine semestrale decorrente dalla data di pubblicazione sentenza[1].

La rilevanza della questione, essendo la riduzione o il decorso del termine imputabile esclusivamente ad una scelta legislativa in punto di modulazione dell’efficacia nel tempo della nuova norma processuale, ha spinto la dottrina all’individuazione degli strumenti giuridici di cui l’istante potrebbe avvalersi per prevenire una indebita ed irreparabile compromissione del proprio diritto di difesa.

In particolare, fermo restando che potrebbe rendersi necessario un intervento ablativo della Corte costituzionale, nel caso in cui la disposizione di diritto transitorio non potesse essere interpretata in senso conforme a Costituzione, è stato affermato che sussisterebbero i presupposti per la rimessione in termini di cui all’art. 153, comma 2 c.p.c., dal momento che la parte è incorsa in una decadenza per una causa ad essa non imputabile. Ciononostante, si sottolinea che il rimedio più efficace consisterebbe evidentemente in un intervento ermeneutico erga omnes che, tentando di realizzare un’interpretazione costituzionalmente orientata, limiti l’efficacia della disposizione ai ricorsi avverso i provvedimenti della Suprema Corte che siano stati pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione[2].

È proprio in tale ultimo senso che è intervenuta l’ordinanza interlocutoria in commento, avendo la Sesta Sezione Civile reputato necessaria la composizione in via definitiva del problema ad opera delle Sezioni Unite

[1] Licci, La disciplina transitoria del termine lungo semestrale per la revocazione delle decisioni della Corte di cassazione, 2019.

[2] Cossignani, L’art. 391 bis c.p.c. di riforma in riforma, 2018.

4. Il dibattito giurisprudenziale

La giurisprudenza di legittimità, dunque, non è tutt’ora pervenuta ad una soluzione univoca in merito alle problematiche di cui si è detto.

Un primo orientamento[3] applica rigorosamente il disposto dell’art. 1 bis, comma 2 d.l. 168/2016, alla luce della considerazione implicita in base alla quale tale disposizione costituirebbe disciplina transitoria speciale idonea a regolare in modo autonomo e compiuto il termine lungo entro cui avanzare la richiesta di revocazione per errore di fatto. Per tale motivo, stante la pubblicazione della sentenza precedentemente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto n. 168/2016, nel caso in cui il ricorso sia depositato successivamente rispetto a tale data, la decadenza è soggetta al termine semestrale e non annuale ai sensi della nuova versione dell’art. 391 bis c.p.c., a prescindere dal momento in cui è avvenuta la notifica del ricorso medesimo.

Altro orientamento[4], a dire il vero confortato da plurime pronunce, pone l’accento sul dato testuale, sottolineando che l’art. 1 bis, comma 2, riferendosi ai «ricorsi depositati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nonché a quelli già depositati alla medesima data per i quali non è stata fissata udienza o adunanza in camera di consiglio », avrebbe ad oggetto solo le norme relative alla trattazione dei ricorsi e non anche quelle che si riferiscono al deposito degli stessi. Corollario di questa impostazione è che la disposizione di cui si discute non potrebbe considerarsi quale disciplina transitoria di riferimento, dovendosi applicare, in assenza di diritto intertemporale speciale, la regola generale di cui all’art. 12 delle Preleggi.

Per tali ragioni le pronunce in esame, in coerenza con gli approdi interpretativi della dottrina, hanno elaborato il seguente principio di diritto: «La riduzione del termine per la proposizione del ricorso per la correzione degli errori materiali o per la revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, disposta – in sede di conversione del d.l. 31 agosto 2016, n. 168 – dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 29 ottobre 2016), si applica solamente ai provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore della legge di riforma (30 ottobre 2016), in applicazione del principio generale posto dall’art. 12 delle Preleggi, non potendosi ravvisare una specifica disciplina transitoria nell’art. 1-bis, comma 2, del citato d.l. n. 168 del 2016. Quest’ultima disposizione, infatti, nella parte in cui prevede che le novità legislative “si applicano ai ricorsi … per i quali non è stata fissata udienza o adunanza in camera di consiglio”, intende riferirsi alle sole norme dettate per la trattazione dei ricorsi e non anche al termine per il deposito degli stessi ».

Su tale dibattito è infine intervenuta Cass. civ., Sez. 6, 21.03.2019 n. 8717 che, con ordinanza interlocutoria, rilevando la sussistenza del contrasto esaminato, ha optato per la richiesta di rimessione alle Sezioni Unite, previa delibazione del Primo Presidente. La questione, in effetti, sembra essere bisognosa di composizione ad opera dell’Organo della Nomofilachia, trattandosi, come correttamente rilevato, di una questione processuale trasversale idonea ad emergere in tutti i procedimenti instaurati ai sensi dell’art. 395, comma 1 n. 4 c.p.c.

[3] Cass. civ., Sez. 6, 4.04.2018 n. 13358.

[4] Cass. civ., Sez. 6, 3.05.2018 n. 21280; Cass. civ., Sez. 6, 25.10.2018 n. 2302.

5. Riflessioni conclusive

Il dibattito giurisprudenziale fin qui esposto, sulla scorta delle criticità evidenziate dalla dottrina, sembra essersi polarizzato su due opposti indirizzi ermeneutici, i quali presentano profili di reciproca incompatibilità sotto il profilo della qualificazione da attribuire alla norma di diritto intertemporale illustrata. In particolare, rilievo centrale assume la circostanza della sua idoneità a costituire disposizione di diritto speciale in relazione alle questioni concernenti la rilevanza del momento di deposito del ricorso, rispetto all’efficacia nel tempo della modifica concernente la riduzione del termine di impugnazione della sentenza suscettibile di revocazione per errore di fatto.

Il problema non è di poco conto, dovendosi considerare che l’adozione della ricostruzione più rigorosa espone il ricorrente al rischio di consumazione del potere di impugnazione a prescindere dal suo comportamento processuale e per il solo effetto della successione delle leggi nel tempo, potendo conseguentemente pregiudicare i suoi diritti difensivi costituzionalmente garantiti.

Al contrario, l’opzione ermeneutica che fa leva sull’applicazione della disciplina generale, non riconoscendo la natura speciale dell’art. 1 bis, comma 2 d.l. 168/2016, adotta una soluzione di certo più garantista, in quanto volta a prevenire i casi di decadenza dal termine impugnatorio non dipendenti da una scelta processuale della parte.

Pertanto, in attesa di un’eventuale pronuncia delle Sezioni Unite in materia, appare preferibile il secondo approccio interpretativo poiché esso risulta maggiormente conforme al dettato costituzionale ed in particolare sembra essere più idoneo a tutelare il diritto fondamentale di difesa sancito dall’art. 24 Cost.

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