Revoca del fallimento ed effetti sul decorso del termine di prescrizione dei crediti insinuati

Paolo Celli 20/05/19
Scarica PDF Stampa
 

(Ricorso rigettato – orientamento confermato)

Il fatto

Con sentenza del 27 maggio 2013, la Corte d’Appello di Ancona aveva rigettato il gravame proposto dal ricorrente avverso la sentenza del Tribunale di Ancona, con la quale era stata solo parzialmente accolta l’opposizione a intimazione di pagamento notificata nei confronti del ricorrente.

In particolare, l’intimazione di pagamento in oggetto era stata notificata al ricorrente (tornato in bonis) da un creditore precedentemente insinuato al passivo del fallimento instaurato nei confronti di quest’ultimo, e successivamente revocato.

Ciò che viene, dunque, in rilievo nella sentenza in parola è – in estrema sintesi – la natura e gli effetti da attribuire al provvedimento di revoca della sentenza dichiarativa di fallimento, per determinarne le conseguenze ai sensi e per gli effetti dell’art. 2945 c.c.

Volume consigliato

Il nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14), attuativo della Legge n. 155/2017, è stato dal Legislatore proposto in un testo di ampio respiro, che abbraccia aspetti interdisciplinari, composto da ben 391 articoli – esattamente 150 in più della “vecchia” Legge Fallimentare – ed ha il dichiarato scopo di prevenire che imprese che non sono né in crisi né insolventi lo diventino in futuro.Le numerose novità introdotte con cui gli operatori del settore dovranno prendere confidenza – prime fra tutte le modifiche al Codice civile in vigore dal 14 marzo e dal 14 dicembre di quest’anno – sono illustrate in quest’opera di primo commento, volta a far emergere la ratio della nuova disciplina, senza perdere di vista gli impatti che la stessa avrà sull’attività quotidiana dei professionisti, che saranno chiamati ad applicarla e servirsene.STUDIO VERNA SOCIETÀ PROFESSIONALELo studio verna società professionale, costituitasi nel 1973, è la più antica società semplice professionale ed offre consulenza ed assistenza economico-giuridica a Milano, con studi anche a Busto Arsizio e Reggio Emilia. Persegue una politica di qualità fondata su etica, competenza e specializzazione. I suoi soci hanno pubblicato oltre un centinaio di libri ed articoli in materia contabile, societaria, concorsuale e tributaria, oltre un manuale di gestione della qualità per studi professionali.La collana dedicata al Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza prende in esame le novità della riforma attuata dal D.lgs n.14/2019 ed è diretta a tutti i Professionisti che agiscono nel settore delle procedure concorsuali: le opere che ne fanno parte trattano la tematica nel suo complesso, con uno sguardo d’insieme su ciò che cambia e un’analisi dettagliata e approfondita delle singole fattispecie. I volumi proposti rappresentano uno strumento di apprendimento rapido, concreto ed efficace: l’ideale per padroneggiare gli istituti appena emanati e farsi trovare preparati all’appuntamento con la loro pratica applicazione, sia in sede stragiudiziale che processuale.

Studio Verna Società Professionale | 2019 Maggioli Editore

24.00 €  22.80 €

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Il ricorrente ha impugnato la sentenza di secondo grado parzialmente favorevole in Cassazione eccependo, ai fini che qui interessano, (i) la violazione o falsa applicazione dell’art. 21 legge fall., nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D. Lgs. 5/2006, e (ii) la conseguente falsa applicazione dell’art. 94, co.1, legge fall., per non avere la Corte d’Appello ritenuto che la revoca della dichiarazione di fallimento caducasse ogni effetto riconnesso agli atti di parte posti in essere in occasione della procedura, determinando quindi la perdita di ogni effetto sulla prescrizione delle domande di ammissione al passivo. In buona sostanza, il ricorrente ha attribuito alla revoca del fallimento portata estintiva, ritenendo che la prescrizione – secondo il ricorrente – dovesse decorrere dalla data deposito della domanda di ammissione al passivo ai sensi dell’art. 2945, comma 3, c.c. e non dalla revoca ai sensi dell’art. 2945, comma 2, c.c.

Con la sentenza in commento, nel solco già tracciato dalla sentenza n. 19125/2006, nel rigettare il ricorso in parola, la Suprema Corte (i) ha stabilito (in maniera chiara e inequivoca) che la revoca della dichiarazione di fallimento non può ricondursi ad una pronuncia di estinzione; (ii) ha ribadito che l’istanza di insinuazione al passivo ha portata interruttiva ex art. 2493 c.c.

La giurisprudenza e la dottrina in materia

Quanto al primo punto, secondo la sopra richiamata Cass. 6 settembre 2006 n. 19125/2006, la revoca del fallimento – ancorché disposta per vizi processuali o per incompetenza del giudice – lascia salvi gli effetti prodotti dalle domande di ammissione al passivo sul decorso del termine di prescrizione dei relativi crediti.

La revoca del fallimento, cioè, non è assimilabile ad un provvedimento estintivo del giudizio, ma – ai sensi dell’art. 2495, comma 2, c.c. – ad una pronuncia che lo definisce (il giudizio).

Per mero scrupolo, giova rappresentare che la stessa pronuncia chiarisce, inoltre, che – sul punto – non rileva il disposto dell’art. 21 legge fall. – abrogato, con effetto dal 16 luglio 2006, dall’art. 18 del D. Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, pubb. in Gazz. Uff. n. 12 del 16 gennaio 2006 -, che si riferiva agli atti degli organi della procedura, e non invece a quelli compiuti nei confronti di essa.

Quanto al secondo punto, invece, preme richiamare il consolidato principio secondo cui l’istanza di insinuazione al passivo ha portata interruttiva della prescrizione, con effetti permanenti fino alla chiusura del procedimento concorsuale (da ultimo, Cass. n. 17995/2018).

In merito, giova esaminare brevemente lo scopo e la funzione dell’art 2493 c.c., nonché la giurisprudenza in materia.

Lo scopo dichiarato dell’articolo in oggetto, infatti, è quello di garantire che la prescrizione non operi qualora sopraggiunga una causa che faccia venire meno l’inerzia del titolare, venendo a mancare pertanto il presupposto stesso dell’istituto.

Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, gli atti che possono interrompere il decorso prescrizionale sono tassativamente elencati e consistono in atti che importano l’esercizio del legittimo diritto da parte del titolare.

In particolare, tali atti non richiedono alcuna tipicità o formalità, trattandosi di atti liberi nella forma, purché nel mezzo e nel contenuto esprimano in modo inequivocabile la volontà di far valere il diritto nei confronti del debitore (Cass. n. 24656/2010).

Ebbene, se, secondo la dottrina, la domanda giudiziale idonea a produrre l’interruzione del termine prescrizionale è quella con cui inizia un giudizio di cognizione, conservativo o esecutivo, o anche la domanda proposta nel corso di un giudizio già instaurato (Auricchio, Appunti sulla prescrizione, Napoli, 1971, 95); secondo la giurisprudenza di legittimità e con specifico riferimento alla disciplina fallimentare, ai sensi dell’art. 94 legge fall., la domanda di ammissione al passivo produce gli stessi effetti della domanda giudiziale anche relativamente all’interruzione del decorso della prescrizione (per prima, Cass. lav., n. 195/1986).

La Suprema Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso in quanto:

  1. con riferimento all’effetto interruttivo della domanda di insinuazione al passivo, conformemente alla precedente (e richiamata) giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto di dover dare rilevanza alla volontà della parte di esercitare il (e di voler avvalersi del) proprio diritto attraverso il deposito della domanda di ammissione al passivo;
  2. quanto agli effetti della revoca della dichiarazione di fallimento, invece, ha stabilito che tale atto non può ricondursi ad una pronuncia di estinzione (ma, semmai, al rigetto di merito della pretesa esecutiva in forma concorsuale oppure alla chiusura di un procedimento che ha comunque prodotto effetti); con la conseguenza che – in questi casi – deve trovare applicazione l’art. 2495, comma 2 c.c., e non anche l’art. 2945, comma 3, c.c. e che, quindi, la prescrizione dovrà correre (per usare la terminologia codicistica) dalla data di revocazione del fallimento, e non dalla data di deposito della domanda di ammissione al passivo.

 

 

Sentenza collegata

69475-1.pdf 223kB

Iscriviti alla newsletter per poter scaricare gli allegati

Grazie per esserti iscritto alla newsletter. Ora puoi scaricare il tuo contenuto.

Paolo Celli

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento