Responsabilità Patrimoniale nel diritto di famiglia

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La dottrina concorda nell’escludere l’espropriabilità dell’intera quota sulla comunione di ciascun coniuge, vedasi per tutti Busnelli (19) ed Oppo (20), non altrettanto può dirsi per l’interpretazione dell’espressione “fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato”.

Difatti pacifico che l’art. 189 consenta al creditore particolare di agire esclusivamente solo su singoli beni della comunione, nasce la questione se l’esecuzione possa avvenire su interi beni della comunione o solo sulla quota che su ciascuno di essi spetti al coniuge.

            La tesi che sembra prevalere con varie argomentazioni è la seconda. Busnelli (21) vede la conferma di questa deduzione dall’obbligo imposto a ciascun coniuge, al momento dello scioglimento della comunione, di “rimborsare il valore dei beni di cui all’art. 189” (art. 192) e dal fatto che nessuna delle tre forme di espropriazione previste nell’art. 600 cpc si concilia con l’art. 189, comma 2°.

Anche Schelinger ritiene inaccettabile la prima ipotesi, ossia l’esecuzione sull’intero bene della comunione, “sia perché comporterebbe il rischio continuo di dovere sospendere l’esecuzione in attesa di una stima dell’intera massa comune (che per di più è continuamente variabile), sia perché accorderebbe al creditore il potere di allargare i limiti oggettivi della responsabilità patrimoniale del debitore, ricomprendendovi pure (pro quota) beni di terzi” (22). Infine Frazzini, con particolare riferimento ai beni aziendali, e i Finocchiaro, sebbene senza alcuna specifica (23) (24).

Avevamo detto prevalente non unanime, ed ecco che una prima opinione contraria sembra potersi desumere dalle parole di Oppo (25), ma è solo con Attardi che si ha una critica  sistematica della interpretazione sostenuta da così tanti Autori (26).

Innanzi tutto viene presa in considerazione l’affermazione di Busnelli per cui nessuna delle tre ipotesi di espropriazione previste dall’art. 600 cpc si concilia con l’art. 189, comma 2°, e in particolare  modo la forma della espropriazione di beni indivisibili.

Non vi sono ragioni valide per escludere che l’espropriazione su beni comuni debba svolgersi nella forma della espropriazione di beni indivisi o che, comunque, la normativa possa trovare solo parziale applicazione.

E’ chiaro che la vendita della quota indivisa di un bene in comunione tra coniugi determinerebbe il subentrare di un terzo acquirente al coniuge debitore e il costituirsi di una comunione con l’altro coniuge, ma è altrettanto chiaro che il bene dovrà uscire dalla comunione, in quanto è inammissibile che un terzo possa entrare nella comunione legale.

            D’altronde questo è il risultato che discende dal fatto di interpretare l’art. 189 come prevedente l’espropriazione per quota del singolo bene comune. La parte del bene non espropriata, uscendo dalla comunione, si aggiungerà agli altri beni personali del coniuge non debitore.

Ma il risultato è dubbio per una serie di ragioni   che escludono una tale soluzione:

  1. si verrebbe ad estendere la categoria dei beni personali prevista nell’art. 179 in contrasto, oltre che con la sua tassatività, anche con qualsiasi tentativo fattibile di interpretazione estensiva della norma medesima;
  2. i beni oggetto della comunione garantiscono, in via primaria, le obbligazioni della comunione;
  3. l’interesse della famiglia al mantenimento della consistenza del patrimonio comune. Considerazioni che per Attardi trovano “un puntuale riflesso nell’art. 192, comma 2°” (27), in palese contrasto con quanto deduce Busnelli dalla medesima norma (28).

E’ stato da noi affermato che il bene non potrà restare nella comunione dovendo entrare in essa, a seguito dell’esecuzione, un terzo estraneo. Ammettiamo per pura ipotesi il contrario, si avranno due possibilità: una che il bene permanga in proprietà esclusiva del coniuge non obbligato, l’altra che si riformi su di essa la comunione tra coniugi.

Il primo caso è chiaramente in contrasto con lo stesso regime della comunione non potendo essere uno stesso bene contemporaneamente oggetto di comunione e di proprietà personale.

Il secondo caso a sua volta può dare luogo a due possibilità, che sul bene possano soddisfarsi per l’intero solo i creditori particolari del coniuge non esecutato; oppure si possa applicare la normale disciplina prevista dall’art. 189, con la conseguenza di rispondere per metà delle obbligazioni particolari di ciascun coniuge, magari dello stesso che già precedentemente aveva subito l’espropriazione.

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Nella prima ipotesi si verrebbe in contrasto con la stessa interpretazione dell’art. 189 da cui si è partiti, infatti il creditore del singolo coniuge potrebbe aggredire mediante espropriazione anche la quota di bene dell’altro coniuge.

Nella seconda ipotesi i creditori particolari del coniuge con una successiva serie di espropriazioni, permesse dal rigenerarsi della comunione sulla parte di bene, volta a volta, non espropriata, potranno appropriarsi di tutto il bene in contrasto con l’interpretazione data dall’art. 189.

Ritiene l’Autore di avere dimostrato che l’inciso: “fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato”, debba interpretarsi come non riferito al singolo bene, ma al patrimonio della comunione nel suo complesso.

Occorre stabilire se nel patrimonio della comunione rientrino solo i beni oppure anche i passivi dovuti alle obbligazioni assunte dalla comunione verso i terzi.

Attardi (29) propende per la prima soluzione non essendosi manifestata da parte del legislatore alcuna attenzione particolare, almeno durante la vita della comunicazione, per le obbligazioni della medesima, se si fa eccezione per l’accenno nella ultima parte del comma 2° dell’art. 189.

Tuttavia proprio questo può spingere all’osservazione che il legislatore mostra preferenza per i creditori della comunione, rispetto ai creditori personali chirografari del coniuge.

Da questo può dedursi che, se i creditori personali sono semplici creditori chirografari, dal patrimonio della comunione potranno dedursi gli obblighi comunitari prima di determinare le quote del singolo coniuge.

Altra motivazione addotta da Attardi è che i creditori della comunione hanno la possibilità di intervenire nell’esecuzione intrapresa dal creditore particolare, ma non si considera che i beni comunitari sono posti primariamente a tutela dei creditori della comunione, che non dovranno avere l’onere di un intervento incidentale.

Per quanto riguarda l’ultima prova portata dall’Autore non può dirsi che è una vera e propria prova, in quanto fidarsi sulla volontà e sull’interesse dell’altro coniuge di provocare l’intervento dei creditori della comunione perché si soddisfino sui beni comuni, evitando così la responsabilità sussidiaria sui beni personali di ciascun coniuge, ai sensi dell’art. 190, è da evitarsi finché possibile. Non potendo mai essere sicuri della condotta dei coniugi e del loro specifico interesse.

Si dovrà inoltre, e qui si concorda pienamente con Attardi (30), tenere conto nella determinazione dell’ammontare del patrimonio comunitario degli obblighi di rimborso gravanti ai sensi dell’articolo 192, comma 2°, sul coniuge espropriato dal suo creditore particolare, con conseguente riduzione del’area di aggredibilità dei beni della comunione. Ma non solo dell’art. 192, comma 2° dovrà tenersi conto, bensì anche dei casi previsti nell’art. 192, comma 1° e nell’art. 184, comma 2°.

Sebbene cronologicamente precedenti, abbiano inserito gli artt. 187 e 188 successivamente all’analisi dell’art. 189 in quanto svuotati da significato dalla riforma operata dal Senato su quest’ultima norma.

Il testo approvato dalla Camera non conteneva il secondo comma dell’art. 189, così che gli artt. 187 e 188 avevano una funzione integratrice del disposto dell’art. 189, ma pur essendo disciplinati i crediti del singolo coniuge per causa anteriore al matrimonio nulla dicevano per i crediti personali successivi alle nozze.

Il Senato giustamente ritenne opportuno intervenire inserendo al riguardo un secondo comma nell’art. 189, ma inspiegabilmente non soppresse gli articoli in questione preferendo inserire un inciso di collegamento.

Tuttavia deve osservarsi che in effetti tale collegamento non si è realizzato negando il secondo comma quanto affermato nell’art. 187 e nel successivo art. 188. Volendo dare un significato a queste due norme può accogliersi quanto detto da Schlesinger, che con esse “appare per la prima volta, nel testo del codice riformato, l’idea di una limitazione di responsabilità dei beni comuni per i debiti particolari dei coniugi” (31).

A completamento della responsabilità interviene l’art. 190 che si pone simmetricamente all’art. 189, permettendo ai creditori della comunione di agire “nella misura della metà del credito” sui beni personali di ciascun coniuge, ma solo “in via sussidiaria”.

La ratio della norma, con specifico riferimento agli incisi qui riportati, è da Sclesinger individuata “nella volontà di salvaguardare, finché ciò sia possibile senza danno per il creditore […], l’eguaglianza delle posizioni dei coniugi” e nel “principio che mira a fare corrispondere la misura della responsabilità (sussidiaria) personale alla misura del diritto su quei beni comuni” (32) costituenti l’oggetto principale della responsabilità.

Analogamente a quanto detto per l’art. 189, nel silenzio della norma sul tipo di sussidiarietà da applicare, il creditore non avrà l’onere di una preventiva escussione del patrimonio comune, ma il coniuge aggredito avrà la facoltà di indicare i beni comuni su cui il creditore potrà effettuare la soddisfazione del proprio credito. Anche una volta iniziata l’esecuzione sui beni personali il coniuge potrà sempre dimostrare che il creditore era a conoscenza della esistenza di beni della comunione atti allo scopo.

Si pone il problema Schlesinger (33) se abbia senso conservare la funzione dell’art. 190 solo per le altre ipotesi previste nell’art. 186, visto che per l’Autore la norma in questione è inapplicabile al caso previsto dalla lettera d) dell’art. 186 che è poi l’ipotesi più importante di obbligazione della comunione..

Ma è proprio l’inapplicabilità dell’art. 190 alle obbligazioni contratte congiuntamente dai coniugi (art. 186, lett. d) che è in questione e viene contestato da Attardi (34).

Per Schlesinger, come del resto per Oppo (35), “poiché, […], qualunque obbligazione,[…], va qualificata come gravante sulla comunione sol che sia stata ‘contratta congiuntamente dai coniugi’, non si vede perché mai il creditore, […], non dovrebbe poter fare affidamento sulla responsabilità solidale degli obbligati, secondo le regole generali, quando i debitori siano coniugi in regime di comunione legale” (36).

Pertanto, se l’obbligazione è contratta congiuntamente dai coniugi, il creditore potrà agire in via principale e per l’intero sia sul patrimonio comune sia sul patrimonio personale di ciascun coniuge, con la conseguenza logica che l’art. 190 non sarà applicabile.

Contesta una tale impostazione Attardi che sottolinea la preferenza mostrata dal legislatore per i creditori della comunione tanto nell’art. 189 che nell’art. 190, non potendosi quindi identificare le obbligazioni della comunione con quelle personali.

Tuttavia il contrasto più palese fra queste due interpretazioni risiede nel significato da darsi alla non subordinazione all’interesse familiare delle obbligazioni contratte congiuntamente dai coniugi perché gravino sulla comunione.

Mentre per Schlesinger (37) è una chiara dimostrazione della mancata volontà del legislatore di derogare ai principi generali sulle obbligazioni per tutelare la comunione.

Per Attardi (38) è una mancanza di volontà del legislatore di ridurre i casi di obbligazioni contratte congiuntamente dai coniugi e gravanti in via principale sulla comunione alle sole obbligazioni contratte nell’interesse della famiglia.

In verità quest’ultima ipotesi permetterebbe di superare quel contrasto di disciplina che si verrebbe altrimenti a creare fra le varie ipotesi previste nell’art. 186  e rilevato da Schlesinger.

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NOTE

  •        Bessone – G. Alpa – A. D’Angelo e Ferrando, La famiglia nel nuovo diritto – Bologna, pag. 101
  •      Oppo Responsabilità patrimoniale e nuovo diritto di famiglia (Riv. Dir. Civ. 1976, I, 105), pag. 108
  •      Oppo, citato, pag. 115
  •      Oppo, citato, pag. 116
  •      Schlesinger Commentario alla riforma del diritto di famiglia, Padova, pag. 429
  •      Schlesinger, citato, pag. 430
  •        Oppo, citato, pag. 117
  •      Schlesinger, citato, pag. 437
  •      Attardi,  Profili processuali della comunione legale dei beni (Riv. Dir. Civ. 1978, I), pag. 42
  • Schlesinger, citato, pag. 430
  • Cian e Villani, Nuovissimo digesto italiano (Appendice di aggiornamento), pag. 171
  • Schlesinger, citato, pag. 430, 431; Oppo, citato, pag. 117
  • Cian e Villani, citato, pag. 171
  • Schlesinger, citato, pag. 433
  • Attardi, citato, pag. 28 nota 3
  • Oppo, citato, pag. 116,117
  • Schlesinger, citato, pag. 434
  • Finocchiaro e M. Finocchiaro, Riforma del diritto di famiglia, Milano, pag. 567 Vol. I
  • Busnelli, La comunione legale nel diritto di famiglia riformato (Riv. del Not. 1976, I, 42), pag. 42
  • Oppo, citato, pag. 111
  • Busnelli, citato, pag. 43
  • Schlesinger, citato, pag. 435
  • Finocchiaro e M. Finocchiaro, citato, pag. 435 Vol. I
  • Frazzini, Luci ed ombre sui rapporti patrimoniali tra coniugi (Dir. Fam. e Per. 1975), pag. 1568
  • Oppo, citato, pag. 111
  • Attardi, citato, pag. 29 e segg.
  • Attardi, citato, pag. 31
  • Busnelli, citato, pag. 43
  • Attardi, citato, pag. 35
  • Attardi, citato, pag. 36
  • Schlesinger, citato, pag. 432
  • Schlesinger, citato, pag. 436
  • Schlesinger, citato, pag. 437
  • Attardi, citato, pag. 42
  • Oppo, citato, pag. 117
  • Schlesinger, citato, pag. 437
  • Schlesinger, citato, pag. 437
  • Attardi, citato, pag. 42

 

 

         

 

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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