Responsabilità contrattuale dell’ente ospedaliero: onus probandi, presunzione di colpa e deduzione di responsabilità aquiliana

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La responsabilità dell’ente ospedaliero (e o dell’operatore sanitario, se evocato in giudizio)  si atteggia, oramai per “diritto vivente”, come contrattuale di tipo professionale, ciò in quanto l’accettazione del degente nella struttura medica ai fini del ricovero, dà luogo alla conclusione di un contratto atipico, meritevole di tutela dall’ordinamento (cd. contratto di spedalità, secondo autorevole dottrina; per la natura contrattuale della responsabilità vedansi Cass. 21 dicembre 1978 n. 6141, ed, in epoca recente, idd., 27 maggio 1993, n. 5939, 11 aprile 1995, n. 4152, 27 luglio 1998, n. 7336, 2 dicembre 1998 n. 12233, 22 gennaio 1999, n. 598, 1 settembre 1999, n. 9198, 11 marzo 2002, n. 3492, 14 luglio 2003, n. 11001, 21 luglio 2003, n. 11316, 4 marzo 2004 n. 4400, 28 maggio 2004 n. 10297, 2 febbraio 2005, n. 2042).
Discende da quanto appena detto, una presunzione legale di colpa ex art. 1218 c.c., e ciò giusta l’orientamento inaugurato da Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533, di cui si riporta la massima:
“In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento” (conf., Cass., sez. un., 10 gennaio 2006, n. 141; in termini, Cass. 10 maggio 2002, n. 6735, idd., 21 giugno 2004, n. 11488, 28 maggio 2004, n. 10297, 4 marzo 2004, n. 4400; tra la giurisprudenza di merito, Trib. Venezia 20 settembre 2005, Trib. Foggia, 7 aprile 2003).
A mente dell’orientamento in parola, in sostanza, chi agisce per l’inadempimento deve solo limitarsi ad allegarlo in giudizio, dovendo invece il convenuto dimostrare, positivamente e concretamente, di aver adempiuto.
A riprova, si leggano i recenti pronunciati della S.C., che adattano alla materia della responsabilità della struttura sanitaria l’orientamento di Cass., s.u. 13533/2001:
“In base al principio di riferibilità o vicinanza della prova compete al medico, che è in possesso degli elementi utili per paralizzare la pretesa del creditore, provare l’incolpevolezza dell’inadempimento (ossia della impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore) e la diligenza dell’adempimento” … (Cass. civ. sentenza 11488/2004);
“In applicazione del principio di vicinanza della prova l’ente ospedaliero, che risponde contrattualmente dei fatti illeciti e dolosi dei propri dipendenti, ai sensi dell’art. 1228 c.c., è tenuto a fornire la prova dell’assenza di colpa nell’operato del medico, intesa questa non come ‘prova negativa’, bensì come dimostrazione del fatto che la prestazione è stata eseguita in maniera diligente in conformità delle regole dell’arte” (Cass. sent. 10297/2004).
A tutto quanto sopra detto, si aggiunga che la responsabilità dell’Ente sanitario, che in queste righe si è assunta contrattuale, può concorrere con quella di natura extracontrattuale.
Infatti, secondo l’art. 2049 c.c., la responsabilità extracontrattuale, essendo fondata sul presupposto della sussistenza di un rapporto di subordinazione tra l’autore dell’illecito ed il proprio datore di lavoro e sul collegamento dell’illecito stesso con le mansioni svolte dal dipendente, prescinde del tutto da una culpa in vigilando del datore di lavoro, ed è quindi insensibile all’eventuale dimostrazione dell’assenza di colpa, con la conseguenza che l’accertamento della non colpevolezza del datore di lavoro non vale ad escluderla (Cass. Civ. 20.06.2001 n. 8381; in particolare, sulla responsabilità medica si vedano C. App. Perugia, 18.3.89; Trib. Latina 4 dicembre 1990; Trib. Genova 12.04.1996,Trib. Spoleto 18.03.1999; Trib. Milano 20.10.1997).
A tale ultimo proposito, è noto, infatti, che per la dottrina e giurisprudenza costanti, è certamente ammissibile il concorso di pretese, e cioè la deduzione di un fatto che integri al contempo un’ipotesi di responsabilità contrattuale ed aquiliana; ben può, quindi, il Giudice ritenere la responsabilità del convenuto sotto entrambi i profili (Cass. Civ. n. 9705/1997; n. 418/1996).
 Ancora di recente, sulla possibilità del concorso, la S.C., nella sentenza 21-06-1999, n. 6233:
 “È del tutto legittima, rientrando nel potere dispositivo della parte, la proposizione cumulativa dell’azione contrattuale e di quella extracontrattuale, qualora si assuma che, con un unico comportamento, sono stati violati sia gli obblighi derivanti dal contratto, sia il generale dovere del neminem laedere”.
Concludendo, è stato autorevolmente affermato che nel nostro ordinamento è configurabile il concorso tra la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale proprio nei casi, come quello che ci occupa, di un comportamento colposo che importi lesione non soltanto di diritti derivanti da un contratto, ma anche di quelli assoluti o primari quali il diritto alla vita, alla integrità ed incolumità personale (Cass. Civ. 05.02.1999 n. 1158).
Giorgio Vanacore
Avvocato del Foro di Napoli
giorgiovanacoreavv@libero.it
 

Vanacore Giorgio

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