Responsabilità amministrativa per danno erariale da ingiustificato ritardo avvocatura Inps nell’incasso di credito dell’ istituto ammesso al passivo fallimentare – nota a sentenza corte dei conti sez. Giur. Emilia-Romagna n. 439 del 29 maggio 2007

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La vicenda concerne le modalità di pagamento ai creditori e specificamente all’INPS da parte del curatore fallimentare di una società la Atlantic Zenith Ceramica S.p.A. con fallimento in essere presso il Tribunale di Modena – Sezione Fallimentare. Detta Società era stata già posta in Amministrazione Controllata e di poi era stata dichiarata fallita.
Il 20 novembre 2000 l’avv. G. Bi, Curatore, presentava al Giudice Delegato il progetto del secondo piano di riparto parziale dell’attivo fallimentare.
Con decreto emesso il 27 di quello stesso mese, il magistrato ordinava il deposito di tale progetto in cancelleria, disponendo affinché il Curatore fallimentare ne desse comunicazione ai creditori.
Siffatto avviso veniva inviato dall’avv. Bi. anche alla Sede provinciale dell’I.N.P.S. di Modena, mediante lettera raccomandata a/r datata 28 novembre 2000 e pervenuta il 21 del mese successivo, in relazione a crediti equivalenti ad € 4.119.601,59 ammessi con privilegio e destinati, appunto, a venir soddisfatti in occasione di quel secondo riparto.
Nessuna osservazione perveniva dalla citata Sede provinciale dell’I.N.P.S. entro il prescritto termine.
Il 23 gennaio 2001 il Giudice Delegato dichiarava l’esecutività del suddetto piano di riparto nel quale, tra l’altro, risultava confermata l’attribuzione della somma di € 4.119.601,59 in favore dell’Istituto previdenziale e contestualmente si conferiva al Curatore fallimentare mandato “….di provvedere ai pagamenti mediante assegni circolari”.
Il Curatore, con raccomandata a/r datata 31 gennaio 2001, pervenuta all’Istituto il successivo 15 febbraio, comunicava all’I.N.P.S. di Modena che, a seguito del secondo progetto di riparto parziale dell’attivo liquidato ex artt. 110 e 113 L.F. e della successiva declaratoria di esecutorietà del riparto parziale dell’attivo da parte del Giudice Delegato in data 23 gennaio 2001, con le rettifiche conseguenti all’accoglimento delle osservazioni presentate dai creditori, il Curatore medesimo era stato autorizzato ad effettuare i pagamenti in conformità al progetto di riparto rettificato e reso esecutivo, e chiedeva di indicargli “stante la peculiare posizione di codesto Istituto Previdenziale presso quale/i sede/i effettuare il pagamento nonché le modalità di accredito delle somme attribuite, posto che le insinuazioni in surroga, a fronte delle somme anticipate ai dipendenti, sono pervenute da sedi diverse del medesimo Istituto”, precisando di restare a disposizione per eventuali chiarimenti.
Neppure questa seconda lettera veniva in alcun modo riscontrata dall’Istituto.
Trascorreva così oltre un anno, durante il quale la somma spettante all’I.N.P.S. rimaneva depositata presso la filiale modenese della Banca Popolare di Novara dove giaceva la liquidità del fallimento in questione, sino a quando, nel marzo 2002, il Curatore fallimentare, con atto notificato tramite Ufficiale Giudiziario il 18 marzo 2002 “anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 1206 e segg. c.c.”, comunicava alla Sede I.N.P.S. di Modena che “data l’entità della somma da corrispondersi come ammessa allo stato passivo e liquidata” era indispensabile che l’Istituto indicasse “come già precedentemente richiesto, la procedura di accreditamento della stessa da effettuarsi per il tramite della Banca popolare di Novara, via Giardini n. 314, (41100) Modena, presso la quale Banca la somma è giacente, a disposizione dalla data di esecutività del piano di riparto” e conseguentemente dichiarava di rimarcare l’offerta di pagamento dell’intera somma “salva l’indicazione della richiesta procedura di accreditamento da comunicarsi ad opera dell’INPS all’intimante curatore fallimentare”.
A tale notificazione l’I.N.P.S. dava seguito provvedendo a fornire le proprie coordinate bancarie al Curatore, il quale – previo mandato in data 25 marzo 2002 del Giudice delegato di pagare la somma di € 4.119.601,59 da prelevarsi tramite bonifico dal conto bancario n. 1028 presso la Banca popolare di Novara, Agenzia di Modena – in data 29 marzo 2002 bonificava a favore dell’Istituto l’importo anzidetto (€ 4.119.601,59).
Con ricorso depositato il 23 aprile 2002 l’I.N.P.S., lamentando la tardività di tale pagamento, chiedeva al Giudice Delegato di ordinare al Curatore di provvedere alla corresponsione degli interessi moratori o, quanto meno, degli interessi compensativi maturati sulla predetta somma dalla data del decreto di esecutorietà del piano di riparto alla data dell’avvenuto pagamento.
L’istanza veniva respinta dal Giudice Delegato con provvedimento del 16 maggio 2002 (“…dopo attenta lettura delle disposizioni di legge e valutata la natura del (preteso) credito, non si ritiene dovuti (ed ad alcun titolo) gli interessi domandati”) avverso il quale l’Istituto proponeva reclamo al Tribunale di Modena – Sezione Fallimentare, che con decreto in data 2 luglio 2002 dichiarava l’inammissibilità del reclamo stesso rilevando che la pretesa avanzata dall’Istituto doveva, comunque, essere accertata con il procedimento di cui agli artt. 101 e segg. della legge fallimentare.
Con ricorso depositato il 26 luglio 2002 l’Istituto chiedeva, quindi, di essere ammesso al passivo del fallimento in prededuzione o, in subordine, in via privilegiata (con lo stesso grado con cui era stato ammesso al passivo il credito per la sorte) per la somma di € 161.219,72 pari agli interessi legali dovuti per il tardivo pagamento della somma di € 120.766,40 o per quella diversa che fosse stata accertata, corrispondente agli interessi bancari maturati al tasso del 2,50% sulla predetta somma per il protratto deposito della stessa, dal 24 gennaio 2001 al 27 marzo 2002, sul libretto n. 1028 intestato al Fallimento presso la Banca Popolare di Novara, Agenzia di Modena.
Della vicenda si era nelle more occupata sia la stampa che metteva in evidenza la perdita da parte dell’INPS di circa 150.000 €. che un’interrogazione parlamentare ove si evidenziavano le responsabilità degli apicali della sede INPS di Modena.
In prosieguo, il Tribunale di Modena, con sentenza in data 24/28 ottobre 2003, rigettava il ricorso presentato dall’Istituto previdenziale condannando quest’ ultimo a rifondere al Fallimento le spese di lite.
A tale decisione il Giudice perveniva rilevando, in particolare, che dovendo l’obbligazione del Curatore di pagare quanto stabilito con il decreto di esecutività del piano di riparto ritenersi querable, e cioè da adempiersi presso il Curatore stesso, e non avendo l’I.N.P.S. provveduto alla formale costituzione di mora del Fallimento, non erano dovuti gli interessi moratori ex artt. 1224 c.c. e che neppure erano dovuti gli interessi compensativi come richiesti, non potendo il credito dell’Ente (di cui al riparto parziale dichiarato esecutivo il 23 gennaio 2001) ritenersi esigibile prima dell’emissione del relativo mandato di pagamento da parte del Giudice delegato.
In costanza del giudizio di appello la Procura Regionale della Corte dei Conti, ritenendo che permanesse ancora integro per l’I.N.P.S. il pregiudizio economico derivato dal tardivo incasso del credito vantato verso il Fallimento Atlantic Zenith Ceramica S.p.A., pregiudizio da determinarsi nella misura di € 164.219,72 quale prospettata dall’Ufficio legale presso la Sede provinciale di Modena”, destinava un invito a dedurre all’avv. A Do, nella sua qualità di Coordinatore legale dell’I.N.P.S di Modena., ritenendolo responsabile del danno erariale per cui è causa, e contestualmente richiedeva (e otteneva) al presidente della Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per l’Emilia-Romagna di voler emettere provvedimento di autorizzazione all’esecuzione di sequestro conservativo ante causam in favore dell’I.N.P.S. di Modena, fino alla concorrenza dell’importo di € 164.219,72, in relazione alla quinta parte della retribuzione lorda periodicamente ed omnicomprensivamente dovuta dall’Istituto all’avv. Do.
Con ordinanza n. 3/2006/R, pronunciata il 15 dicembre 2005 in sede di giudizio di convalida del decreto di sequestro conservativo il Giudice Designato, ritenuto che fosse “emersa evidente la prospettazione nella causazione del danno erariale del concorso di altri soggetti, possibili portatori di precise responsabilità tali da configurare un’incidenza sulla suddetta causazione pari almeno a quella attribuita al Do” e che dovesse essere conseguentemente ridotto l’importo per cui era stato autorizzato il sequestro conservativo, modificava il suddetto decreto presidenziale fino alla concorrenza della somma complessiva di € 80.000, rispetto alla precedente somma di € 164.219,72, con trattenute mensili sulla quinta parte della retribuzione periodicamente ed omnicomprensivamente dovuta dall’I.N.P.S. all’avv. Do.
Il Nucleo Regionale della Guardia di Finanza delegato dalla Procura reg.le effettuava taluni accertamenti riguardanti il sistema di ricezione e smistamento della corrispondenza raccomandata in arrivo alla Sede provinciale I.N.P.S. di Modena.
Rilevava che: a) Tutte le raccomandate destinate all’I.N.P.S. di Modena erano prelevate dagli uffici postali da parte di un’apposita agenzia, l’”Agenzia Recapito Espressi” della stessa città, che provvede, poi, a recapitarle all’Ufficio Corrispondenza dell’I.N.P.S.. Questa modalità di gestione delle raccomandate faceva sì che eventuali sigle riscontrate sugli avvisi di ricevimento o di riscossione delle raccomandate a/r appartengano a dipendenti di tale Agenzia; b) all’epoca dei fatti, cioè a cavallo tra il 2000 ed il 2001, la successiva presa in carico avveniva semplicemente attraverso l’apposizione, da parte dell’impiegato dell’Ufficio Corrispondenza, di un timbro riportante: la dicitura “I.N.P.S. – N° 1” ovvero “I.N.P.S. – N° 2”; la data; l’indicazione “Sede di Modena”. Non vi era alcuna differenza tra il timbro riportante la scritta “I.N.P.S. – N° 1” e quello riportante la scritta “I.N.P.S. – N° 2”, trattandosi di due timbri in carico all’ufficio che venivano utilizzati indifferentemente uno in sostituzione dell’altro ovvero contemporaneamente.
Le due raccomandate del 28 novembre 2000 e del 31 gennaio 2001 inviate all’I.N.P.S. di Modena dal Curatore fallimentare sono state prese in carico, rispettivamente, in data 21 dicembre 2000 ed in data 15 febbraio 2001; c) Presso l’Ufficio Corrispondenza dell’I.N.P.S. di Modena non era in uso alcun registro di protocollo della posta; le raccomandate – secondo quanto dichiarato dal sig. R Fa, addetto al Settore Corrispondenza – venivano consegnate dall’Agenzia Recapiti Espressi unitamente ad una “distinta di recapito per utenti con registro personalizzato” compilata dalle “Poste Italiane Servizi Accessori-Raccomandate” riportanti il numero progressivo di registrazione, il numero della raccomandata e l’Ufficio Accettante (l’Ufficio dal quale la raccomandata è stata inviata) che veniva utilizzata per la presa in carico delle raccomandate in essa indicate.
Le due raccomandate del 28 novembre 2000 e del 31 gennaio 2001 sono state registrate, rispettivamente, al progressivo n. 59 della distinta n. 25021 datata 15 febbraio 2001 ed al progressivo n. 197 della distinta n. 31008 datata 21 dicembre 2000; d) In relazione allo smistamento della posta dall’Ufficio “Corrispondenza” ai diversi uffici destinatari all’interno dell’Istituto, sempre secondo quanto dichiarato dal sig. Fa, la posta veniva visionata dal predetto, che apponeva il timbro e poi la smistava in giornata all’ufficio competente. Tutte le raccomandate aventi quale oggetto un fallimento erano consegnate all’Ufficio legale, ove la posta veniva depositata(dallo stesso sig. Fa) in un apposito raccoglitore con sopra apposta l’etichetta “posta in arrivo” e, allo stesso tempo, era prelevata la posta in partenza da un diverso contenitore riportante l’etichetta “posta in partenza”. Solo a questo punto veniva apposto il timbro di protocollo a cura dell’Ufficio legale.
L’oggetto della raccomandata datata 28 novembre 2000 era: “A) Secondo Progetto di Riparto Parziale della disponibilità liquida all’attivo del Fallimento Atlantic Zenith Ceramica S.p.A. (Reg. Fall. n. 24/97 Tribunale di Modena). Comunicazione ai creditori ex artt. 110 e 113 L.F. B) Variazioni intervenute nello Stato Passivo alla data del 20.11.2000”. L’oggetto della raccomandata datata 31 gennaio 2001 era: “II Ripartizione parziale dell’attivo fallimentare ex artt. 110 e 113 L.F.”.
Al momento dell’accesso del personale della Guardia di Finanza presso gli uffici I.N.P.S. per lo svolgimento delle operazioni di servizio, le raccomandate oggetto dell’indagine erano custodite dall’Ufficio legale all’interno del fascicolo intestato al fallimento della Atlantic Zenith Ceramiche.
e) Quanto, infine, allo smistamento ed alla gestione della posta all’interno dell’Ufficio legale, alla stregua delle dichiarazioni rese dalla sig.ra P To, impiegata nell’Ufficio anzidetto dal 1999 fino al 2002, risultava che: l’Ufficio Corrispondenza depositava la posta destinata all’Ufficio legale “in un contenitore riportante l’etichetta posta in arrivo ubicato sulla scrivania dell’avv. Do”; “lo smistamento della posta all’interno dell’Ufficio Legale veniva curato personalmente dall’avv. Do che divideva la posta per importanza e per urgenza anche con riferimento alle procedure concorsuali, voleva anche vistare gli assegni quando arrivava un pagamento ed in generale cercava di accentrare un po’ tutto”; anche nel caso di corrispondenza comportante adempimenti di natura solo amministrativa, e quindi di competenza della sig.ra To, l’avvocato visionava la corrispondenza prima di passargliela.
Per ciò che concerne specificamente il fallimento Atlantic Zenith S.p.A., la sig.ra To precisava quanto segue: “Mi ricordo di quel fallimento. L’unica richiesta che mi è stata data di questo tipo non era una raccomandata bensì una notifica tramite l’ufficiale giudiziario. In questo caso, tramite l’avv. Ba, fornimmo immediatamente al curatore le informazioni richieste. Mai prima della notifica tramite ufficiale giudiziario mi sono state date altre richieste del curatore dello stesso tipo in quanto se ciò fosse avvenuto, vista la somma di denaro in ballo, mi sarei di certo consultata con l’avv. Do ed avrei quindi provveduto a fornire al curatore le coordinate bancarie così come è poi avvenuto”.
Da ultimo, riguardo alla prassi dei curatori di provvedere al pagamento con bonifici bancari, la sig.ra To dichiarava che “so che alcune volte hanno telefonato dei curatori (qualche volta è capitato di avere risposto io al telefono), i quali, dopo aver incassato, avendo la disponibilità dei soldi, chiedevano se preferivamo il pagamento tramite assegno o tramite bonifico bancario”.
La Guardia di Finanza delegata procedeva ad un’audizione del Curatore fallimentareche osservavain merito alla seconda sua raccomandata (datata 31.01.2001)cheil plico conteneva la comunicazione generalizzata per tutti i creditori unitamente alla comunicazione specifica per l’I.N.P.S. in cui si richiedevano istruzioni per il pagamento anche in considerazione del fatto che le istanze di ammissione erano molteplici e provenienti da sedi diverse dello stesso Istituto. Era dunque necessario sapere se si dovesse frazionare il pagamento ed indirizzarlo alle sedi distaccate,ovvero pagare in un’unica soluzione alla sede centrale dell’I.N.P.S. di Modena al fine di rispettare le esigenze e/o le competenze territoriali dell’Istituto. Con le suddette raccomandate il Curatore chiedeva all’I.N.P.S. di fornirgli le coordinate bancarie affinché potesse procedere con l’accredito dell’importo dovuto. Precisava lo stesso curatoreche, nonostante il Giudice delegato in un primo momento avesse disposto il pagamento a mezzo assegno circolare, come normalmente avviene, era sua abitudine, per importi ingenti, chiedere al Giudice delegato l’autorizzazione a procedere al pagamento mediante bonifico. Il Giudice non ebbe difficoltà a modificare il primo decreto adeguandolo alla prospettate esigenze come si evince dai mandati ritualmente sottoscritti. Tale prassi è consigliata dal timore che il plico postale possa essere smarrito per quanto raccomandato e/o assicurato unitamente al titolo di credito che poi richiederebbe una procedura di ammortamento con il sostenimento dei relativi oneri senza dire del rischio di utilizzo criminoso del titolo stesso.
Nel caso specifico dell’I.N.P.S. di Modena di istruzioni visto che, trascorso circa un anno, non era giunta risposta riteneva di formalizzare la richiesta mediante notifica a mezzo Ufficiale Giudiziario allegando la raccomandata datata 31 gennaio 2001.
La notifica a mezzo Ufficiale Giudiziario è avvenuta in data 18.03.2002. Immediatamente, questa volta, l’I.N.P.S. ha risposto in data 19.03.2002 comunicandogli le coordinate bancarie. Il giorno successivo il curatore provvedeva ad effettuare il bonifico con il placet del Giudice delegato che ha sottoscritto il mandato.
Alla domanda, postagli dal personale della Guardia di Finanza, se in altre occasioni, in sede di procedure concorsuali, avesse corrisposto all’I.N.P.S. gli importi dovuti mediante bonifici bancari, il curatore non ricordava episodi specifici.
Soggiungeva che, per quanto a sua conoscenza, “da tempo si è instaurata la prassi preferenziale di utilizzare il bonifico bancario per scongiurare il rischio di smarrimento e/o furto degli assegni circolari spediti per posta. Prova ne sia la previsione del mezzo di pagamento suddetto nel modello standard di autorizzazione al prelievo in uso presso la Sezione Fallimenti del tribunale di Modena.
Successivamente, il Direttore della Sede provinciale I.N.P.S. di Modena, dott. M Ac, con informativa datata 1° marzo 2006, faceva pervenire alla Procura Regionale varie comunicazioni di servizio a firma dell’avv. Do, con contenuto organizzativo sul recupero dei crediti dell’ente. Con ulteriore nota del 14 marzo 2006, il dott. Ac in allegato alla suddetta nota, inviava alla Procura Regionale varia corrispondenza intercorsa tra lo stesso ed il dott. Do, tra cui una nota a firma dell’avv. Do datata 8 aprile 2002 ed intestata al Direttore della Sede di Modena, con la quale il Coordinatore legale sottolineava che l’accaduto “….non pare possa ricondursi a comportamenti od a disfunzioni interne all’Ente”; relazione a firma dell’avv. Do datata 13 aprile 2002 e riguardante ai fatti oggetto di articoli di stampa, nella quale si puntualizza che “….a prescindere che non vi è traccia nel fascicolo giudiziale di richieste del curatore al Giudice di autorizzazione ad effettuare il pagamento all’I.N.P.S. delle somme inserite in riparto con modalità diverse dagli assegni circolari, non può ritenersi giustificato il ritardo nel pagamento neanche ammettendo per ipotesi avvenuta la assunta mancata risposta da parte dell’Ente alla nota del 15 febbraio 2001, con cui il Curatore fa riferimento alle dichiarazioni rilasciate alla stampae, più oltre, che “D’altra parte, pur se nella fattispecie non sussiste prova documentale che siano stati comunicati tali estremi al curatore, è da ritenere ragionevole che sia stato dato riscontro a tale richiesta, come avvenuto e come avviene di prassi in casi simili”. La Procura confermava nell’atto di citazione le responsabilità evidenziate nell’invito a dedurre contro l’Avvocato Do. dell’INPS
L’addebito concerne la colpevole omissione in cui è incorso l’avv. Do per non avere giammai riscontrato due missive a firma del Curatore fallimentare e datate rispettivamente 28 novembre 2000 e 31 gennaio 2001, ed in particolar modo la seconda, così compromettendo il tempestivo incasso della somma assegnata all’I.N.P.S. di Modena a seguito della declaratoria di esecutività del secondo piano di riparto parziale.
Il danno arrecato all’Istituto previdenziale è dunque sostanzialmente correlato a tale mancato riscontro protrattosi per oltre un anno, precisandosi che l’esistenza e la natura giuridica del pregiudizio patrimoniale subito dall’Istituto medesimo sono state acclarate in sede civile, tant’è che l’esatta quantificazione del nocumento è stata desunta dagli atti predisposti dalla difesa dell’Ente volti a recuperare l’importo maturatosi sulla sorte capitale a titolo di interessi.
La Procura aldilà della generica indicazione dell’Ufficio INPS come destinatario delle raccomandate ne riteneva naturale destinatario esclusivamente l’Ufficio legale. Evidenziava poi, in relazione alla gestione dell’Ufficio legale della Sede I.N.P.S. di Modena all’epoca dei fatti, con particolare riguardo ai rapporti che intercorrevano tra il Direttore della Sede anzidetta e l’avv. Do, che quest’ultimo, come emerge dalla documentazione in atti, aveva sostanzialmente assommato sia il ruolo professionale che quello di Responsabile amministrativo, accentrando su di sé competenze, attribuzioni e compiti, laddove del tutto residuali e prive di rilievo appaiono le disposizioni a firma del Direttore, rispetto a quelle plurime e reiterate del convenuto che con la sua condotta aveva di fatto estromesso la Direzione da incisivi poteri di controllo, di intervento e di regolamentazione dei profili gestionali, organizzativi ed amministrativi dell’Ufficio legale: dal che, secondo parte attrice, trapela un assetto gestionale alquanto personalistico e censurabile dell’Ufficio Legale I.N.P.S. di Modena con uno scollamento palese tra il Coordinatore ed il Direttore che, di converso, dovrebbero operare in sinergia nell’interesse esclusivo del buon andamento dell’Ufficio Legale.
Poca importanza viene data alle lettere di generiche lamentele scritte dall’avv. Do al direttore e alle normali carenze organizzative della PA in questione.
Non viene ritenuta condivisibile dalla Procura la tesi della responsabilità dell’avvocato INPS che aveva in precedenza la pratica. In primo luogo il danno era sorto dopo che la pratica non era più in sua gestione.
Inoltre osservava il PM che un Coordinatore legale, assumendo tale incarico nel proprio ufficio di destinazione, che lo colloca in una condizione sostanzialmente apicale, si accolla ogni responsabilità professionale conseguente alla corretta gestione delle pratiche dell’ufficio e sinanche di quelle che risultino materialmente assegnate ad altri avvocati di sede, vertendosi in ipotesi di culpa in vigilando se, a cagione di condotte omissive o commissive, da tali pratiche demandate ad altri professionisti scaturisca un danno per l’Ente.
Osservava la Procura che monitorare una pratica di procedura concorsuale in seno all’Ufficio legale I.N.P.S. spetta agli avvocati dell’Ente e non al curatore che non è un dipendente dell’Istituto, e che costituisce obbligo indeclinabile di un Legale Coordinatore di dare formale riscontro a missive di terzi che per il loro tenore debbano inderogabilmente essere oggetto di puntuale e tempestiva replica professionale, perché se non si riscontra, sono ravvisabili omissioni rilevanti sia con riferimento ad adempimenti defensionali a breve, sia con riferimento ad altre tematiche come quella che ne occupa, ossia le modalità di pagamento della somma assegnata all’I.N.P.S. in sede di secondo piano di riparto.
Il Coordinatore legale era obbligato a rispondere alla lettera del curatore e ad appalesare il proprio eventuale dissenso motivato dalla preesistenza del decreto giudiziale che imponeva il pagamento a mezzo di assegno circolare, a nulla rilevando, ai fini erariali, che l’atto di costituzione in mora notificato dal curatore occorresse o meno, o che l’obbligazione fosse querable o portable, e rivestendo, invece, importanza determinante in questa sede il fatto che l’I.N.P.S. non abbia fornito alcuna risposta così inducendo la curatela a ritenere che l’Istituto nulla avesse da eccepire, stante la consolidata prassi presso il Tribunale di Modena – Sezione Fallimentare di effettuare i pagamenti ai creditori mediante bonifico bancario, e non essendo desumibile alcun dissenso da una condotta così gravemente omissiva dell’Ente.
Si osserva inoltre che l’esistenza di un precedente bonifico bancario in favore dell’I.N.P.S. da parte del Curatore avv. Bi, attinente ad altra procedura concorsuale, depone per la conoscenza da parte del convenuto di uno specifico episodio pregresso la cui sussistenza implicava necessariamente il non poter soprassedere a formale replica alle missive del curatore. Si deduce che omettendo per più di un anno una risposta formale e sinanche informale, l’avv. Do è incorso in responsabilità per colpa grave “stante il perdurante disinteresse dimostrato, la trascuratezza e la negligenza dimostrate” rilevandosi, da un lato, come la circostanza che l’I.N.P.S., immediatamente dopo la notifica dell’atto ex art. 1206, abbia comunicato le proprie coordinate bancarie accettando il pagamento a mezzo bonifico, ha di fatto comportato una sorta di validazione dell’operato della Curatela, e, dall’altro, che la proposizione da parte dell’Istituto di ricorso avverso il provvedimento di rigetto della insinuazione ex art. 101 L.F. degli interessi maturatisi sulla somma introitata e poi di appello avverso la sentenza ad esso sfavorevole, oltreché due diffide risalenti al 22 aprile 2002 ed al 19 febbraio 2002, non ha alcuna efficacia esimente, perché solo in virtù dell’eco sulla stampa e della interrogazione parlamentare, l’Ente si è determinato ad intraprendere le doverose iniziative recuperatorie.
La Procura osservava che se è esatto sostenere che l’assegno circolare è una modalità di pagamento che evita indebito arricchimento della massa fallimentare e che per tale motivo è quella che generalmente i Giudici delegati prescrivono in sede di procedure concorsuali, è però altrettanto vero che il bonifico presenta maggiori garanzie di sicurezza nell’accreditare somme ai beneficiari inoltre riportava altri casi nello stesso fallimento in cui si era pagato dopo ordine del giudice con modalità diverse dall’assegno circolare.
Inoltre la Procura reg.le, come il curatore, osservava che sono stati sottoscritti dal giudice i mandati di pagamento sull’apposito modello concordato con gli Istituti di Credito, ove è riportata la specifica e completa indicazione di ogni creditore, disponendo espressamente il pagamento a mezzo bonifico bancario ivi incluso l’I.N.P.S
Riguardo, infine, alla quantificazione del danno arrecato all’I.N.P.S., secondo parte attrice esso va determinato in misura pari a quella richiesta dall’Ente in sede civile nei confronti della curatela del Fallimento ossia per € 164.219,72 a titolo di interessi legali dovuti per il tardivo pagamento della somma di € 4.119.601,59 e computati dal 24 gennaio 2001 al 27 marzo 2002; in subordine, in quella di € 120.766,40 a titolo di interessi bancari maturati al tasso del 2,50% dal deposito della somma di € 4.119.601,59 sul conto corrente n. 1028 presso la banca Popolare di Novara, Agenzia di Modena, dal 24 gennaio 2001 fino al 27 marzo 2002.
La Procura Regionale produceva una memoria integrativa nella quale in particolare dava atto dell’invito a dedurre notificato al curatore fallimentare, chiamato “in causa” dall’avvocato coordinatore dell’INPS e in qualche misura anche dall’ordinanza modificativa del sequestro. Dopo pervenute le controdeduzioni dello stesso curatore che era stato sentito in audizione la Procura dava atto di essere pervenuta alla archiviazione del relativo procedimento, non essendo emersi elementi tali da poter configurare alcuna responsabilità amministrativo-patrimoniale del sunnominato per carenza di colpa grave ed insussistenza dei presupposti di legge a base dell’illecito contabile esponendosi, al riguardo, le seguenti osservazioni: a) l’iter procedimentale seguito presso la Sezione Fallimentare del Tribunale di Modena con riferimento all’accredito delle somme a mezzo bonifico bancario invece di assegno circolare ha luogo allorquando, come nel caso di specie, i crediti sono di ingente ammontare, e ciò per ovvie ragioni di sicurezza nell’interesse degli stessi creditori; b) la circostanza per cui il decreto del Giudice delegato di assegnazione delle somme preveda pagamento ai creditori con assegno circolare non è ostativa a che detto pagamento possa essere poi effettuato a mezzo bonifico qualora il G.D., ancorché non provveda a formalizzare alcuna modifica preventiva del succitato decreto, comunque validi ciò mediante ratifica con effetti ora per allora; c) la prassi invalsa al Tribunale di Modena deve ritenersi legittima ed ispirata a logiche di collaborazione tra G.D. e curatela; d) il pagamento con bonifico bancario in luogo di assegno circolare non è affatto un’evenienza isolata in ipotesi di crediti di cospicuo ammontare; e) il Curatore si è sempre conformato alle direttive giudiziali tant’è che dalla documentazione versta in atti si desume che il G.D. ha condiviso ed avallato siffatta modalità procedimentale solutoria addirittura autorizzando l’intervento volontario adesivo del Fallimento nei confronti dell’avv. Bi invitato a dedurre; f) nessuno dei creditori procedenti o chi altri ha giammai lamentato alcunché in relazione a pagamenti con bonifici in luogo di assegni; g) non può essere accolta l’eccezione dell’avvocato INPS convenuto circa la necessaria conoscenza da parte della curatela delle modalità di riparto somme fra Sedi I.N.P.S. in caso di surroga che avrebbero, a suo avviso, reso del tutto inutile la richiesta dell’avv. Bi; ciò in quanto se è vero che essendo creditore procedente l’I.N.P.S. di Modena e, di conseguenza, ad esso spettanti le somme assegnate in sede fallimentare a prescindere dalla residenza anagrafica dei lavoratori e rispettiva Sede I.N.P.S. di appartenenza quale erogatrice delle somme loro dovute, è altrettanto vero che, trattandosi – nella fattispecie – di procedura concorsuale con ben 1.110 creditori, il Curatore che si è premurato di chiedere notizie all’Istituto in punto modalità di ripartizione dell’importo assegnato non è certamente incorso in omissione alcuna ma, casomai, in eccesso di zelo, né può sussumersi quale condotta esigibile in concreto che su di lui gravasse un presunto obbligo di notiziare per vie brevi i Legali dell’Ente in Tribunale in relazione alla necessità di incasso dei crediti assegnati all’I.N.P.S., visto e considerato che formalmente e tempestivamente si era adoperato affinché tale incasso avesse luogo; h) non può ritenersi che nella vicenda di causa vi sia stato alcun indebito arricchimento della massa fallimentare, né tantomeno illecita locupletazione alcuna della curatela, sia perché il compenso dell’avv. Bi è rimasto comunque invariato anche a fronte del mancato tempestivo incasso da parte dell’I.N.P.S. delle somme dovutegli, sia perché l’illecito arricchimento intanto può ravvisarsi se la tardività nella corresponsione delle somme sia dipesa da dolo od ignavia o da negligenza colpevole della curatela, ma non di certo se tale tardività è attribuibile ad un comportamento omissivo del creditore procedente.
Esponeva la Procura che l’avvocato Do. dell’ INPS che seguiva ora la nuova lite civile col fallimento, successivamente alla notifica dell’atto di citazione, ha fatto pervenire alla Procura Regionale una prima missiva datata 19 giugno 2006 insistendo perché si procedesse nei confronti dei presunti corresponsabili dell’illecito, mentre con una seconda missiva del 9 settembre 2006 ha chiesto al Requirente di valutare la revoca del sequestro conservativo atteso il pagamento da parte della curatela, in esecuzione della sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 413/2006, dell’importo di € 120.766,40.
In merito alla suddetta sentenza, si precisa che con essa la Corte d’Appello di Bologna ha accolto l’appello dell’I.N.P.S. di Modena in sede civile limitatamente alla domanda in via subordinata, così riformando la sentenza di primo grado, e che di conseguenza l’Istituto previdenziale è stato ammesso al passivo del fallimento Atlantic Zenith Ceramica S.p.A. in prededuzione e con lo stesso grado del privilegio già riconosciuto alla sorte per la somma di € 120.776,40.
Al riguardo, si rileva: a) che la pronuncia in questione accertativa del diritto dell’Istituto a ricevere gli interessi corrispettivi esclude la “mora debendi” del Fallimento e, quindi, ogni responsabilità del Curatore; b) che essa è stata sì oggetto di pagamento da parte della curatela, ma, nel contempo, anche impugnata in sede di legittimità da parte di quest’ultima, e che l’Avvocatura Centrale dell’I.N.P.S. ha già presentato controricorso con ricorso incidentale; c) che la dichiarazione di ricevuta e di quietanza liberatoria datata 17 luglio 2006 rilasciata dall’attuale Legale Coordinatore dell’I.N.P.S. di Modena – avv. O Ma – all’avvocato della curatela fallimentare contempla espressamente riserva di ripetizione dell’indebito all’esito del gravame interposto; d) che pertanto, il recupero parziale del danno arrecato all’I.N.P.S. deve intendersi non definitivo essendo ancora assoggettato a vaglio giudiziale di legittimità al cui esito potrebbe risultare riformata la sentenza di appello con obbligo di restituzione da parte dell’Ente dell’importo ricevuto alla curatela.
Si aggiunge che, essendo stato archiviato il procedimento erariale nei confronti dell’avv. Bi ed essendosi dimostrato che non sono ravvisabili corresponsabilità in capo ad altri soggetti, l’importo oggetto di sequestro nella minor misura di € 80.000 deve ritenersi congruo anche in ragione del maggior importo di danno contestato al convenuto, superiore a quello provvisoriamente recuperato ed al quale, come peraltro al minor importo, devono comunque essere aggiunti gli oneri accessori di legge.
La memoria difensiva dell’Avv. Bi dell’INPS formulava una lunga serie di eccezioni con varie subordinazioni. In via pregiudiziale o, comunque, preliminare, si eccepiva l’inammissibilità o improponibilità delle domande per carenza di giurisdizione della Corte dei Conti in ordine all’attività professionale legale rilevandosi, al riguardo, come sia incontestabile, alla stregua delle testuali affermazioni contenute nell’atto di citazione, che si imputa ad un avvocato nell’esercizio delle sue funzioni professionali una responsabilità derivante dalla ritenuta negligenza nella conduzione dell’affare.
Si osserva che l’art. 1 della legge n. 20 del 1994 non consente alla Procura della Corte dei Conti di sindacare l’attività professionale di un avvocato – ancorché facente parte di una Avvocatura pubblica – di per sé caratterizzata da specifica professionalità, salva la possibilità della parte di chiedere conto dell’espletamento del mandato a conclusione dell’affare, e comunque, se di responsabilità professionale si tratta, la stessa non potrebbe che ricadere sul legale costituito che non è l’avv. Do.
Si evidenzia, inoltre, che se nella vertenza l’INPS avesse scelto di farsi patrocinare da un avvocato del libero foro, la Procura Regionale non avrebbe avuto titolo per accertare e contestare inadempimenti di natura professionale all’avvocato incaricato, a meno che non si fosse verificata una rottura del legame funzionale intercorrente tra gli atti professionali compiuti e l’esercizio indipendente delle funzioni di avvocato, con conseguente perdita delle prerogative di insindacabilità assicurate dalla Costituzione e dalle norme in materia (artt. 24 e 33, comma quinto, Cost.).
Nel merito, si afferma, anzitutto, essere evidente la grave e documentata responsabilità del Curatore del Fallimento della S.p.A. Atlantic Zenith, poiché: a) senza alcuna ragione, egli ha violato l’ordine impartito con il decreto del Giudice delegato del Tribunale di Modena in data 23 gennaio 2001 di provvedere al pagamento con assegni circolari; b) il Curatore nel solo caso dell’I.N.P.S. non ha ottemperato al decreto in data 23 gennaio 2001 del G.D. e non ha emesso un assegno circolare a favore dell’Istituto, senza che vi fosse ragione alcuna, nonostante quanto previsto dall’art. 115 della legge fallimentare; in difformità da quanto accaduto nei confronti di tutti gli altri creditori, il medesimo non ha comunicato che “la somma spettante come attribuita nel secondo riparto parziale (….) resta a disposizione presso la Filiale di Modena della Banca Popolare di Novara, via Giardini n. 314, che è autorizzata a rilasciare al titolare, o ad un mandatario formalmente autorizzato, assegno circolare di pari importo, non trasferibile, intestato all’avente diritto (….)”; c) il Curatore ha in modo consapevole e senza alcuna ragione violato uno specifico obbligo derivante dal suo ufficio e ha chiesto all’I.N.P.S. indicazioni del tutto estranee alla sua sfera di controllo, non avendo né il potere né il diritto di intromettersi nella questione della ripartizione delle somme fra le diverse sedi dell’Istituto, mentre aveva uno specifico obbligo di pagare mediante assegno circolare; d) il Curatore non ha chiesto al G.D. di essere autorizzato a non pagare mediante assegno circolare, né alcun provvedimento di autorizzazione in tale senso è mai stato adottato; e) non vi era alcuna ragione in forza della quale non dovesse avere luogo il pagamento mediante assegno circolare, e, in particolare, il Curatore non poteva pretendere di pagare mediante bonifico bancario, posto che “il debitore che sostituisca il mezzo di pagamento pattuito costituito dall’assegno circolare con un versamento tramite bonifico bancario compie un inesatto adempimento privo, ai sensi dell’art. 1197 cod. civ., di effetto liberatorio in quanto non solo non effettua il pagamento con un mezzo non equivalente al denaro contante, ma lo effettua in un luogo diverso da quello pattuito” (v. Cass. Civ. 6 settembre 2004 n. 17961); f) per adempiere all’obbligazione inerente al suo incarico, il Curatore doveva provvedere al pagamento previsto e non aveva alcun diritto o potere di chiedere o di pretendere di pagare mediante bonifico bancario, così che il silenzio dell’I.N.P.S. imponeva di provvedere all’immediato pagamento nelle forme previste dal decreto del 23 gennaio 2001; g) a seguito della mancata risposta dell’I.N.P.S., il Curatore aveva a maggiore ragione l’obbligo di provvedere al pagamento mediante assegno circolare, in ottemperanza alle indicazioni del decreto del 23 gennaio 2001, e non ha adempiuto a quanto ordinato dal decreto stesso; il Curatore si è abbandonato ad una prolungata e colpevole inerzia, del tutto ingiustificata, senza che egli abbia agito in buona fede a tutela dell’interesse pubblico al pronto pagamento;h) il successivo atto notificato ai sensi dell’art. 1206 c.c. il 18 marzo 2002 non ha senso alcuno, poiché, nel caso di specie, non vi era, né vi poteva essere mora credendi, in quanto il Curatore non aveva bisogno di alcuna cooperazione dell’INPS per potere eseguire il pagamento, così come non aveva avuto necessità della collaborazione degli altri creditori, ai quali aveva versato quanto loro dovuto tramite assegno circolare; i) poco importa che, per mettere fine alla vicenda, l’I.N.P.S. abbia deciso di rendere note le coordinate bancarie, poiché il Fallimento non aveva diritto di effettuare il pagamento mediante bonifico bancario; l) fra i due atti del Fallimento, la nota del 31 gennaio 2001 e l’atto notificato il 18 marzo 2002, intercorre una evidente differenza, in quanto nella lettera del 31 gennaio 2001 il Curatore aveva richiesto di conoscere la suddivisione interna dei crediti tra le diverse sedi dell’I.N.P.S. e, poi, a marzo 2002 ha eseguito il pagamento senza avere tale informazione, del tutto estranea alla sfera giuridica di controllo del fallimento e che questo non aveva alcun diritto di conoscere; m) per oltre un anno, il Curatore non ha provveduto al pagamento che aveva l’obbligo di compiere; n) non si capisce perché il Curatore abbia chiesto le coordinate bancarie per eseguire un bonifico, non solo perché non ne aveva il diritto, ma perché conosceva già tali coordinate; o) il Curatore ha dichiarato con l’atto notificato il 18 marzo 2002 di volere dare applicazione all’art. 1206 c.c., ma non ne ricorrevano i presupposti, perché non era necessaria alcuna collaborazione del creditore per l’adempimento e l’I.N.P.S. non aveva mai rifiutato il pagamento, che poteva e doveva essere eseguito nelle forme previste per legge e disposte con decreto del 23 gennaio 2001.
Si adduce, pertanto, l’evidente esclusiva responsabilità del Curatore, il quale ha pagato in modo difforme dal decreto del G.D. con quattordici mesi di ritardo, ha fatto versare al Fallimento gli interessi delle somme trattenute ed ha violato gli artt. 38, 115 e 117 l. fall., e si assume, all’uopo richiamando giurisprudenza della Corte dei Conti, che i plurimi comportamenti illeciti del Curatore medesimo nella vicenda hanno interrotto ogni eventuale nesso di causalità tra il pregiudizio allegato dalla Procura Regionale ed i comportamenti dei dipendenti dell’I.N.P.S.
Si aggiunge che, ferma l’interruzione del nesso causale per l’esclusiva responsabilità del Curatore, non si può ravvisare l’esistenza di un danno finché non siano state esperite tutte le azioni possibili, compresa quella di responsabilità nei confronti del Curatore, precisandosi che secondo giurisprudenza di questa Corte può essere proposta azione di responsabilità per danno erariale nei confronti del Curatore di una procedura fallimentare (v. Sez. giur. reg. Umbria, 24 febbraio 1999 n. 147; Sez. giur. reg. Lombardia, 24 novembre 2005 n. 733).
Riguardo alla mancata risposta alla nota del Curatore in data 28 novembre 2000, si fa presente che il progetto di riparto parziale era del tutto satisfattivo per l’I.N.P.S. e che quindi non vi era nulla da controdedurre, tal che, come osservato nell’atto di citazione, il progetto anzidetto, in carenza di contestazione, ha ricevuto l’assenso tacito dell’Istituto, essendo del tutto normale che, se non vi sono contestazioni da sollevare, i creditori manifestino il loro assenso al progetto di riparto in modo tacito, come è accaduto nel caso di specie.
Quanto alla nota del 31 gennaio 2001, si afferma che essa è di difficile qualificazione dal punto di vista giuridico, salvo costituire una chiara violazione degli obblighi derivanti dalla legge e dal decreto del 23 gennaio 2001, rilevandosi come la stessa Procura regionale ammetta che il Curatore non aveva il potere di formulare le osservazioni contenute nella nota in questione ed avrebbe dovuto pagare senza indugio nelle forme previste dal decreto del G.D.
Il silenzio equivale a rifiuto di accettare un pagamento eseguito in modo diverso da quello previsto dalla legge e dal decreto del G.D. e, quindi, se non vi era obbligo alcuno dell’I.N.P.S. di rispondere, vi era uno specifico obbligo del Curatore di prendere atto delle conseguenze del silenzio e di provvedere al pagamento, laddove il Curatore si è abbandonato ad una inerzia prolungata, poiché non solo egli non ha sollecitato una risposta, ma non ha in alcun modo tratto le necessarie conseguenze dal silenzio dell’I.N.P.S.
Si sostiene che la lettera del 31 gennaio 2001 non ha alcun significato giuridico e non meritava risposta, osservandosi che “l’art. 115 l.f. prevedendo che il curatore provvede al pagamento delle somme assegnate ai creditori nel piano di ripartizione nei modi stabiliti dal giudice delegato, comporta che il giudice delegato possa disporre modi di pagamento diversi da quello in denaro contante fatto direttamente al domicilio del creditore (artt. 1182, 1277 cod. civ.) con efficacia liberatoria per il fallimento (ad esempio, rilascio di assegni circolari, consegna di libretti di banca) potendo essi servire a facilitare il compito della curatela” (v. Cass. Civ. 6 maggio 1985 n. 2827) e che ai sensi del successivo art. 117 “per i creditori che non si presentano o sono irreperibili la somma è depositata presso un istituto di credito. Il Certificato di deposito vale quietanza”, mentre nel caso di specie il Curatore ha trattenuto in modo indebito l’importo sui conti correnti del Fallimento.
L’atto notificato il 18 marzo 2002 non può considerarsi una offerta reale dell’adempimento ai sensi dell’art. 1206 c.c. poiché, nel caso di specie, mancano in toto i requisiti della norma anzidetta e, in particolare, quelli previsti dagli artt. 1208 e 1209 c.c. per la validità dell’offerta, poiché: a) ai sensi dell’art. 1209, primo comma, cod. civ., per l’offerta reale di adempimento di una obbligazione pecuniaria, il debitore deve fare l’offerta reale dell’intero importo, e certo non costituisce offerta reale una intimazione a comunicare coordinate bancarie; b) non esiste nell’ordinamento il diritto di liberarsi da una obbligazione pecuniaria mediante un bonifico bancario né il diritto alla comunicazione delle coordinate bancarie; c) ai sensi dell’art. 1208, primo comma, n. 6, cod. civ., l’offerta deve essere eseguita presso il domicilio del creditore e non ha nulla a che vedere con tale ipotesi una richiesta di coordinate bancarie; d) il pagamento doveva avere luogo mediante consegna di un assegno circolare ed in nessun altro modo il debitore si sarebbe potuto liberare.
Si contesta l’assunto di parte attrice secondo cui il Curatore aveva il potere di differire il pagamento fino alla risposta dell’I.N.P.S. e dunque aveva ragione di procedere alla costituzione in mora, deducendosi che proprio perché il Curatore non aveva tale potere è del tutto irrilevante il fatto che l’I.N.P.S. non abbia risposto, né il Curatore poteva inviare alcun atto ai sensi dell’art. 1206.
Si osserva come la giurisprudenza della Corte dei Conti ritenga in modo costante che il sorgere della responsabilità per danno erariale per un comportamento omissivo presuppone un obbligo di adempiere, e che nel caso di specie i due atti del Curatore non comportavano alcun obbligo di risposta, poiché il Curatore non aveva alcun diritto né alcun interesse a conoscere la ripartizione dell’importo complessivo fra le diverse sedi dell’I.N.P.S., e non vi era obbligo od onere di fornire una simile informazione.
Si aggiunge che il riferimento al pagamento per accredito adombrato nella lettera del 31 gennaio 2001 poteva, al più, essere considerato come una proposta di accordo (ai sensi dell’art. 1182 c.c.) sulla modificazione dei criteri legali (ribaditi dal decreto del 23 gennaio 2001) di esecuzione del pagamento, e che peraltro, a fronte di tale proposta di accordo, l’Istituto non aveva né obbligo né onere di risposta e, se l’Istituto medesimo non dichiarava di voler accettare un pagamento in forme diverse da quelle previste per legge, il Curatore ai sensi dell’art. 1326 c.c., doveva adempiere alla legge ed al decreto del 23 gennaio 2001, non occorrendo alcuna collaborazione da parte del creditore, sicché non vi erano neppure i presupposti per l’applicazione dell’art. 1206, ferma la chiara inadeguatezza a tale riguardo dell’atto notificato il 18 marzo 2002.
Si deduce che se non vi è stata mora credendi, vi è stata una chiara mora debendi, e che per quanto qui interessa, la carenza di un obbligo di facere determina l’inconfigurabilità di una omissione causativa della responsabilità per danno erariale.
Si critica la tesi della Procura regionale secondo cui esisterebbe “un obbligo indeclinabile di un Legale Coordinatore di dare formale riscontro a missive di terzi che per il loro tenore debbano inderogabilmente essere oggetto di attuale e tempestiva replica professionale”, in quanto il Curatore, il quale non esercitava alcun potere inerente al suo ufficio, ma cercava di sottrarsi all’adempimento di un obbligo derivante dalla puntuale applicazione del decreto del G.D., non aveva il potere né di imporre né di chiedere la modificazione delle modalità di pagamento determinate con il decreto del G.D. e, quindi, sebbene il contenuto della nota del 31 gennaio 2001 non fosse condivisibile, non vi era alcun obbligo di accondiscendere a tale richiesta o, comunque, di rispondere.
Si nega che esistesse una “prassi” che, in Modena, avrebbe imposto o suggerito l’esecuzione dei pagamenti per mezzo di bonifici bancari.
A tale riguardo si allegano, tra l’altro, vari assegni circolari emessi da Curatori, anche per importi ingenti, e si rileva che il Curatore del Fallimento in questione ha pagato centoventotto creditori con assegni circolari, anche per importi assai significativi, soggiungendosi che se l’importo fosse stato troppo elevato per essere versato con un solo assegno circolare, il Curatore medesimo non avrebbe avuto difficoltà a predisporre più assegni. Si osserva che se fosse esistita una prassi difforme, non si capisce perché il decreto avrebbe dovuto derogare; inoltre, se avesse voluto pagare per mezzo di bonifico bancario, il Curatore avrebbe dovuto chiedere al G.D. che il decreto autorizzasse tale forma di pagamento, mentre dopo l’emissione del decreto del 23 gennaio 2001 la prassi non avrebbe comunque avuto più nessun rilievo e, soprattutto, il Curatore non poteva imporre la forma di pagamento da lui preferita, sicché non vi è omissione (né grave né lieve) per la mancata risposta, non essendovi obbligo di rispondere alla nota del 31 gennaio 2001, né tale obbligo può essere fatto derivare da una prassi che non è mai esistita e che non avrebbe potuto comunque consentire di disapplicare il decreto del G.D.
Poi la difesa contestava le responsabilità dell’Avv. Bi all’interno della sede INPS di Modena tornando ad accusare altri funzionari o comunque a negare ogni suo coinvolgimento personale sulla questione.
La Sezione Emilia Romagna accoglieva la richiesta di condanna della Procura regionale con la seguente motivazione.
In via preliminare affrontava l’eccezione avanzata dalla difesa del difetto di giurisdizione della Corte dei conti nei confronti del convenuto in relazione all’imputata responsabilità, per cui gli addebiti contestati nel presente giudizio attengono all’esercizio, da parte del predetto, delle proprie funzioni professionali.
Al riguardo va osservato che secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai costante, come anche sottolineato dalla Corte Costituzionale (v. sentenza n. 928 del 28 luglio 1988), gli avvocati ed i procuratori dell’INPS, al pari dei legali degli altri enti pubblici, sono da considerarsi nello stesso tempo sia professionisti, sia impiegati, nel senso che nello svolgimento della loro attività professionale hanno garantita una posizione di indipendenza, mentre, per gli altri profili del rapporto di impiego, sono assoggettati ai doveri ed alle limitazioni derivanti dal rapporto stesso.
L’avvocato dell’INPS, come l’avvocato di ogni ente disciplinato dalla legge 20 marzo 1975 n. 70 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente), è dunque titolare del duplice status di dipendente dell’ente e di avvocato, e rispetto a questo secondo profilo la posizione degli appartenenti al ruolo professionale legale si caratterizza per il particolare tipo di responsabilità che gli stessi si assumono, ovvero la responsabilità di carattere personale specificamente richiamata dall’art. 15, ultimo comma, della citata legge n. 70 del 1975, ove si dispone che: “Appartengono al ruolo professionale i dipendenti i quali, nell’esercizio dell’attività svolta nell’ambito dei compiti istituzionali dell’ente cui appartengono, si assumono, a norma di legge, una personale responsabilità di natura professionale e per svolgere le loro mansioni devono essere iscritti in albi professionali. Dell’esercizio dei singoli mandati professionali i dipendenti appartenenti al ruolo professionale rispondono direttamente al legale rappresentante dell’ente”.
A tale personale responsabilità è peraltro connessa una altrettanto particolare autonomia nello svolgimento di peculiari prestazioni quali, appunto, quelle che connotano l’esercizio di mansioni legali all’interno di un ente pubblico (v. T.A.R. Emilia-Romagna Parma, 2 giugno 1998 n. 318).
Tanto osservato, il Collegio giudicante chiarisce che l’attività professionale prestata da un avvocato in favore di un ente pubblico rientra comunque nell’ambito del rapporto di pubblico impiego tra l’ente medesimo ed il professionista quando questi, come nel caso di specie, sia inquadrato nel ruolo legale (v. Cass. civ. Sez. un., 26 luglio 2004 n. 13970), sicché la pur necessaria considerazione non solo della particolare “personale responsabilità” connessa alla funzione professionale, ma anche della posizione di autonomia garantita nello svolgimento della funzione stessa, non implica che l’avvocato possa ritenersi sottratto alla osservanza dei doveri generali (di diligenza, fedeltà, lealtà …) derivanti dal rivestito status di pubblico dipendente, che rappresenta la fonte della doverosa esecuzione della attività professionale.
Ed è proprio rispetto agli obblighi connessi allo status di dipendente pubblico – nel cui ambito assume particolare rilievo, al fine che qui interessa, quello di diligenza, che obbliga qualunque pubblico dipendente, a qualunque ruolo egli appartenga, ad assicurare il più efficace rendimento nel servizio, nell’interesse dell’amministrazione e del pubblico bene – che agli appartenenti al ruolo legale sono ascrivibili fatti e comportamenti illeciti sotto il profilo della violazione degli obblighi sopra specificati, anche con riferimento all’espletamento dell’attività professionale, con la conseguente piena giurisdizione della Corte dei Conti relativamente ad ipotesi di responsabilità amministrativa di detto personale, per danno all’erario.
La quale responsabilità, peraltro, operando sul presupposto e nell’ambito della violazione degli obblighi di servizio, non si contrappone alla personale ed autonoma responsabilità di natura professionale di cui si è sopra accennato, bensì si raccorda a quest’ultima in rapporto di giustapposizione.
Va inoltre osservato che nella fattispecie in esame viene in evidenza anche lo svolgimento, da parte dell’avv. Do, della funzione di coordinamento dell’Ufficio legale della Sede INPS di Modena, funzione che si inserisce indiscutibilmente nell’ambito dell’organizzazione di detto Ufficio, mirando ad assicurarne il regolare andamento, e che, in quanto tale, in buona parte presenta i connotati dell’attività amministrativa includendo, pertanto, eventuali, ulteriori aspetti di responsabilità in relazione al corretto adempimento dei compiti propri di tale funzione.
In sostanza, rispetto alla complessa attività svolta dal convenuto presso l’Ufficio legale della Sede INPS di Modena vengono in considerazione molteplici profili di responsabilità amministrativo-contabile per quali, invero, non può ritenersi precluso l’esercizio da parte di questa Corte della propria giurisdizione; fermo, ovviamente, il limite della insindacabilità “nel merito” delle singole scelte professionali del legale, sempre che esse non siano manifestazione di macroscopica ed evidente trascuratezza nell’esercizio, da parte del medesimo, delle mansioni di sua competenza, ovvero appaiano palesemente irrazionali ed incompatibili con gli interessi dell’Istituto.
Viene poi negata la sussistenza di una mutatio libelli da parte della Procura reg.le in quanto rileva il Collegio che la fattispecie illecita dedotta a fondamento dell’azione risarcitoria, di cui all’atto di citazione del 27 marzo 2006, risulta sostanzialmente immutata rispetto a quella inizialmente contestata con l’invito a dedurre del 22 novembre 2005
Nella specie non vi è stata una sostanziale immutazione del fatto contestato sicché il contraddittorio sul contenuto dell’addebito mosso all’avv. Do non può ritenersi violato, anche perché il predetto ha avuto modo di esporre compiutamente le proprie argomentazioni difensive – sia con memoria di costituzione nel procedimento cautelare per sequestro conservativo, sia in sede di audizione personale, sia nella comparsa di costituzione nel presente giudizio.
Riguardo al merito dell’addebito va osservato per il Collegio giudicante che la funzione di coordinatore del servizio legale cui era preposto il sunnominato, pur esplicandosi prevalentemente nella attività di indirizzo e di raccordo dell’operato dei legali addetti a tale servizio, non si esaurisce in essa attività.
Quest’ultima infatti, di carattere propriamente professionale, non esclude la sussistenza di compiti ulteriori i quali, pur non traducendosi in atti professionali, sono comunque correlati all’attività di natura prettamente legale riguardando quegli aspetti di organizzazione, buona funzionalità, adeguatezza ed efficienza del servizio legale che assicurano un corretto e proficuo svolgimento, nelle sue varie fasi, dell’attività professionale in senso stretto.
Si tratta, in sostanza, di compiti di organizzazione del servizio legale i quali, essendo complementari all’attività professionale, rientrano nell’ambito della funzione di coordinamento di cui si discute e fanno capo, quindi, alla figura del Coordinatore legale che viene a porsi, ove e nei limiti in cui lo stesso svolga detti compiti, in una posizione, se non di supremazia gerarchica, certamente di sovraordinazione funzionale non solo nei confronti degli altri legali ma anche rispetto al personale amministrativo addetto all’Ufficio. Non è quindi condivisibile l’assunto difensivo secondo cui l’avv. Do, essendo un professionista, non aveva alcuna funzione amministrativa e non operava in un regime di autonomia organizzativa.
Se è vero, infatti, che la funzione di Coordinatore legale risulta caratterizzata prevalentemente da prestazioni di tipo professionale, è altrettanto vero che le ulteriori e richiamate mansioni costituiscono anch’esse il contenuto “naturale” della funzione anzidetta la quale, peraltro, è inserita organizzativamente in un ufficio (quello legale) costituente un’unità organica autonoma e distinta dagli altri settori della Sede, e viene esercitata con libertà ed autonomia.
Quanto sopra considerato trova del resto concreto riscontro nel contenuto delle comunicazioni di servizio che l’avv. Do ebbe ad indirizzare agli altri legali ed al personale amministrativo addetto ai vari settori (Contenzioso, Surroghe, Procedure Concorsuali, Recupero legale dei crediti) dell’Ufficio legale, senza però informarne (almeno formalmente) il Direttore della Sede.
Particolarmente significativa, al fine che ne occupa, appare inoltre la comunicazione di servizio del 12 giugno 2000 (destinata agli avvocati G. Ba e G. Pe nonché al personale dell’Ufficio recupero legale dei crediti) – avente come oggetto “Piano produzione 2° semestre anno 2000; organizzazione e riorganizzazione adempimenti istituzionali; direttive di comportamento; chiarimenti; interventi formativi” -, che reca dettagliate disposizioni in materia di: attivazione e riattivazione delle procedure esecutive, adempimenti statistici, archiviazione delle pratiche definite ed interessate da condono, adempimenti conseguenziali alla cessione dei crediti, restituzione all’Ufficio riscossione contributi delle pratiche con crediti non assistiti da titoli esecutivi, incassi ed imputazioni di somme, evidenze di atti e documenti e di pratiche, gestione evidenza udienze procedure esecutive, rapporti esterni con uffici giudiziari, ritiro titoli dagli ufficiali giudiziari e dalle cancellerie, procedure concorsuali (“……La sig.ra Cu, responsabile del settore cura con la collaborazione della sig.ra To, tutti gli adempimenti necessari per la realizzazione dei crediti dell’Istituto. La sig.ra To assicura la gestione delle udienze ed i relativi adempimenti e rapporti con gli Uffici giudiziari. Le insinuazioni vanno sottoposte alla firma dei legali nei seguenti termini: per lettere da A alla L agli avv. Do e Ba; per lettere da M alla Z agli avv. Do e Pe), ricezione utenza, interventi formativi, incremento delle azioni esecutive immobiliari presso terzi.
Altrettanto indicative risultano, per quanto qui interessa, la comunicazione del 23 ottobre 2000 (destinata al personale dell’Ufficio recupero legale dei crediti ed all’avv. Ba) – con la quale l’avv. Do formalizzava il piano di produzione da condurre a termine per il periodo ottobre/dicembre 2000, specificando gli adempimenti da eseguirsi a cura dei singoli operatori, e la successiva comunicazione prot. n. 14/2001 dell’11 maggio 2001 (destinata all’avv. G. Ba ed ai settori Contenzioso, Surroghe e Recupero legale dei crediti) – avente come oggetto “Distribuzione e riorganizzazione adempimenti tra i professionisti ed il personale amministrativo. programma di attività anno 2001” -, nella quale il convenuto impartiva direttive per l’attività di contenzioso precisando peraltro, con riguardo all’attività di recupero crediti, che :”L’avv. Do cura l’organizzazione, programmazione e verifica dell’attività complessiva. Tratta le pratiche relative alle ditte dalla lettera A alla lettera Q. L’avv. Ba tratta le pratiche dalla lettera R alla lettera Z”. 
Appare pertanto fuori dubbio che all’epoca dei fatti di causa l’avv. Do, nella sua veste di Coordinatore dell’Ufficio legale, svolgesse compiti ed attribuzioni che, per la loro ampiezza e per i connessi poteri di iniziativa, gli consentivano di imprimere un indirizzo a tutta l’attività dell’Ufficio anzidetto, con l’apporto di un autonomo contributo all’organizzazione funzionale dello stesso.
In altre parole, la posizione di Coordinatore legale rivestita dall’avv. Do non era affatto circoscritta all’ambito professionale legale risultando, invece, concretamente (e naturalmente) esercitata attraverso una serie, dettagliata ed articolata, di disposizioni e direttive volte a disciplinare molteplici aspetti organizzativi e funzionali del servizio legale, come ad esempio: i criteri di ripartizione delle pratiche tra le singole unità di personale non solo del ruolo legale ma anche di quello amministrativo, la specificazione dei compiti dei singoli impiegati addetti all’ufficio, la gestione dei vari adempimenti, le modalità di trattazione, unificazione ed archiviazione delle pratiche, i rapporti esterni con gli uffici giudiziari, la gestione delle evidenze (di atti, documenti, pratiche, udienze…), il monitoraggio delle pratiche, la tenuta e catalogazione delle pubblicazioni di interesse dell’ufficio, la ricezione dell’utenza.
In quest’ottica, non appare determinante la circostanza che il posto di responsabile amministrativo fosse scoperto, o che il convenuto possa aver svolto mansioni, peraltro non meglio specificate, esorbitanti dalla propria funzione di coordinamento, restando il fatto che in virtù di tale funzione e della posizione assunta nell’ambito dell’ufficio sin dall’inizio dell’incarico, l’avv. Do ha in concreto esercitato poteri di organizzazione del servizio legale i quali, peraltro, mal si concilierebbero con l’esercizio in forma surrogatoria di mansioni spettanti ad altre figure professionali.
Ed è appunto la suddetta posizione l’elemento che, di per sé, configura e caratterizza la responsabilità amministrativa ascrivibile al convenuto, sia pure nei termini e nei limiti appresso specificati.
Invero, dall’analisi delle circostanze connesse al mancato riscontro alla raccomandata del 31 gennaio 2001 emerge la carenza di disposizioni organizzative per ciò che concerne lo smistamento e la gestione della corrispondenza all’interno dell’Ufficio legale, laddove soltanto dopo il verificarsi della vicenda di causa l’avv. Do, con comunicazione dell’aprile 2002, ebbe a formalizzare disposizione di servizio circa l’istituzione della “evidenza della corrispondenza”.
Poi il Collegio contrappone le testimonianze del personale raccolte dall’accusa e dalla difesa sul percorso interno della “posta in arrivo”, ritenendo incongrua la prassi rappresentata dalla difesa, in quanto, nel demandare agli impiegati la cernita della corrispondenza in arrivo anche sotto il profilo della (maggiore o minore) rilevanza delle singole lettere, di fatto sottraeva all’esame del Coordinatore legale gli atti ritenuti non “meritevoli” di un suo intervento (o dell’intervento di un altro legale) non consentendogli, così, di acquisire tempestiva conoscenza degli stessi ed eventualmente di accertare l’importanza del loro contenuto, tanto più che la corrispondenza non era protocollata in apposito registro.
All’interno dell’Ufficio legale vi era quindi, al tempo dei fatti di causa, una situazione di disorganizzazione caratterizzata dalla mancata predisposizione di una procedura di protocollazione e smistamento della posta in arrivo, situazione che peraltro era accertabile e valutabile, anche nelle sue prevedibili conseguenze, mediante normali criteri di corretta gestione del servizio la cui organizzazione, invero, rientrava nella disponibilità dell’avv. Do – come comprovato sia dalla comunicazione del 21 marzo 2001 sopraccitata sia dalla successiva comunicazione dell’aprile 2002 – il quale, pertanto, avrebbe dovuto provvedervi mediante l’adozione di idonee disposizioni organizzative.
D’altra parte, il fatto che la raccomandata del 31 gennaio 2001 inviata dal Curatore fallimentare sia stata rinvenuta presso l’Ufficio legale, e precisamente all’interno del fascicolo relativo al Fallimento della “Atlantic Zenith Ceramica S.p.A.”, e che la stessa risulti priva del timbro di protocollo in arrivo, da un lato prova indiscutibilmente che è stata consegnata all’Ufficio competente, e dall’altro conferma quanto sopra rilevato circa la situazione di disorganizzazione del servizio di cui si discute, facendo ritenere che detta raccomandata non sia stata debitamente visionata.
Il che porta fondatamente a dedurre che l’omesso tempestivo riscontro alla raccomandata in argomento sia stato verosimilmente determinato dal mancato esame della stessa, e che ciò sia stato reso possibile per le cennate gravi carenze della gestione della corrispondenza.
Ne consegue che pur a voler accedere all’assunto difensivo nel senso che l’avv. Do non sarebbe venuto a conoscenza della raccomandata, o che comunque tale circostanza non risulterebbe adeguatamente provata, resta nondimeno che la lettera del Curatore non è stata debitamente esaminata e considerata per una disfunzione cui il convenuto ha dato causa per non avere, all’epoca, ancora provveduto a disciplinare un servizio importante e delicato come quello della corrispondenza in arrivo, demandandone di fatto la gestione al personale amministrativo. 
In conclusione osserva il Collegio su questo punto che il mancato riscontro alla lettera in questione, prima ancora che per violazione di un obbligo personale di risposta, è addebitabile all’avv. Do, sia sotto il profilo della causalità materiale sia sotto il profilo della imputabilità soggettiva, in ragione, da un lato, dell’omesso od insufficiente esercizio, da parte sua, dei poteri-doveri di organizzazione e controllo del servizio di corrispondenza che nel contesto organizzativo dell’Ufficio legale facevano indiscutibilmente capo al sunnominato, e, dall’altro, della caratterizzazione gravemente colposa di tale condotta omissiva.
A non diverse conclusioni si perverrebbe, del resto, dando per acquisita la circostanza, negata dalla difesa del Do, che quest’ultimo curasse personalmente lo smistamento della corrispondenza dopo averla visionata. Anche in tal caso infatti, ed a maggiore ragione, ferma restando la già evidenziata carenza di regolamentazione del servizio, l’omessa risposta alla raccomandata del 31 gennaio 2001 sarebbe causalmente ascrivibile alla condotta gravemente colposa del convenuto, in quanto dovuta a particolare superficialità da parte del medesimo nell’esame e nella valutazione della lettera anzidetta che – è bene sottolinearlo – riguardava il pagamento della somma di oltre quattro milioni di euro.
Venendo al valore delle raccomandate del curatore osserva la Sezione che non appare condivisibile l’ulteriore assunto difensivo che la raccomandata in argomento potesse configurarsi tutt’al più come proposta di accordo – ai sensi dell’art. 1182 c.c. – sulla modificazione dei criteri legali di esecuzione del pagamento, rispetto alla quale l’Istituto previdenziale non aveva né obbligo né onere di riscontro, e che la mancata risposta significasse, pertanto, mancata accettazione di tale proposta con la conseguenza, per il Curatore fallimentare, di dovere prendere atto del silenzio dell’Istituto ed effettuare il dovuto pagamento.
Al riguardo, va osservato che nel caso di specie si era in presenza di una situazione obbligatoria già definita, con l’obbligo, a carico del Fallimento, di versare all’Istituto previdenziale la somma di € 4.119.601,59, e ciò induce ragionevolmente a ritenere che il Curatore fallimentare, con la raccomandata in argomento, più che rivolgere un’offerta di conclusione di un accordo, evidenziasse la volontà di eseguire il pagamento della somma anzidetta previa acquisizione dei dati ritenuti necessari.
L’invio della lettera in questione e la (mancata tempestiva) risposta dell’Istituto previdenziale risultano, dunque, più propriamente riconducibili allo schema esecuzione dell’obbligazione – collaborazione del creditore, anziché allo schema proposta – accettazione tipico della contrattazione, e d’altra parte l’ente creditore, in conformità al dovere di correttezza e buona fede imposto alle parti dagli articoli 1175 e 1375 del codice civile, era tenuto a cooperare al fine di rendere possibile l’adempimento dell’obbligazione debitoria.
In altre parole, il dovere appena ricordato, che rappresenta un principio cardine della disciplina legale delle obbligazioni, faceva obbligo all’Istituto previdenziale di dare comunque riscontro alla richiesta del Curatore fallimentare, a prescindere da ogni altra valutazione in ordine al significato attribuibile a tale richiesta ed alle eventuali o supposte finalità dilatorie della stessa.
Peraltro, la supposizione di tali finalità non sembra trovare conforto negli atti di causa, ove si consideri che dal tenore letterale della raccomandata emerge palese l’intento del Curatore di procedere al pagamento della somma (di € 4.119.601,59) spettante all’Istituto previdenziale, sia pure dopo che quest’ultimo avesse comunicato i dati richiestigli, e che sia l’elevata entità della somma da pagare, sia il limite di importo di € 50.000 applicato dalla Banca Popolare di Verona e Novara per l’emissione di assegni circolari (vedi nota in data 3 maggio 2006 dell’Agenzia “N” di Modena) appaiono sufficienti a spiegare la scelta del Curatore di pagare mediante bonifico bancario e la conseguente necessità di acquisire le coordinate bancarie del conto o dei conti su cui effettuare detta operazione.
E comunque, se anche fosse vero, come ipotizzato dalla difesa del Do, che la richiesta mirava a ritardare il pagamento della somma dovuta all’Istituto previdenziale, resta il fatto che quest’ultimo avrebbe potuto (e dovuto) rispondere sollecitamente, trattandosi di mera comunicazione di dati, così da (pretendere e) conseguire il tempestivo accredito del bonifico.
In conclusione, ritiene il Collegio che l’omesso riscontro alla raccomandata del 31 gennaio 2001 del Curatore fallimentare non avesse, né abbia, alcuna plausibile giustificazione, e che esso, come già detto, sia dipeso dal fatto che detta raccomandata non sia stata debitamente esaminata a causa della situazione di grave disorganizzazione in cui, all’epoca, era gestita la corrispondenza destinata all’Ufficio legale.
Si deve tuttavia osservare che tale situazione, ancorché imputabile, nei termini dianzi precisati, alla condotta colposamente omissiva dell’odierno convenuto, si collocava in un più ampio contesto caratterizzato da disfunzioni e carenze di personale – tra cui, in particolare, la mancanza di un responsabile amministrativo – le quali, invero, erano state più volte segnalate per iscritto dallo stesso avv. Do con varie missive indirizzate al Direttore della locale Sede INPS e/o al Coordinatore Legale Regionale, e delle quali parte attrice ha dato atto in citazione.
Disfunzioni e carenze che, al di là della “efficacia” o meno con cui le stesse venissero rappresentate dall’avv. Do, involgevano competenze e responsabilità gestionali di altri organi, primo fra tutti il Direttore di Sede, e costituiscono comunque un dato di fatto cui non può negarsi rilevanza nel senso che, incidendo negativamente sul buon andamento dell’Ufficio legale, hanno in qualche modo contribuito all’insorgere ed al protrarsi della denunciata situazione di disorganizzazione in cui versava il disbrigo della corrispondenza in arrivo.
Ne consegue che l’omessa adozione di misure amministrative atte a risolvere le criticità segnalate dall’avv. Do, ed a quest’ultimo obiettivamente non addebitabili, sebbene non valga ad escludere la responsabilità dell’odierno convenuto, ha indubbiamente inciso, in modo concorrente, sul verificarsi del disservizio imputabile al medesimo.
Tale concorrente incidenza causale va determinata percentualmente in misura pari a un terzo.
Essa, inoltre, va riconosciuta a prescindere dalla contestuale definizione di eventuali responsabilità di altri soggetti per negligenze od inadempienze collegate alla mancata soluzione delle evidenziate criticità, dovendosi peraltro rilevare che l’accertamento di dette responsabilità è riservato, in prima battuta, all’organo requirente il quale, nella fattispecie, non ha sin qui ravvisato elementi sufficienti per la configurabilità delle stesse, né il Collegio trova motivo per discostarsi da tale avviso. 
Ancora in punto di accertamento della presenza di contributi causali alla determinazione dell’evento di danno di cui si discute, il Collegio esamina la posizione del Curatore fallimentare, avv. G Bi, previa considerazione che il provvedimento di archiviazione emesso nei suoi confronti dalla Procura Regionale – in disparte la questione della efficacia preclusiva o meno di tale provvedimento rispetto alla eventuale chiamata in giudizio del predetto (v. Corte dei Conti – Sez.. II, 9 ottobre 2003 n. 286/A) – non esime comunque il Collegio dal valutarne la condotta al fine di stabilire se ed in quale misura abbia concorso alla produzione del danno.
Al riguardo, occorre premettere che nella presente sede (si può e) si deve soltanto esaminare l’operato del Curatore fallimentare sotto il profilo dell’adempimento dei doveri inerenti al suo ufficio ed in particolare dei doveri di diligenza, mentre resta necessariamente affidata al Giudice civile ogni ulteriore questione attinente ai rapporti tra il Fallimento e l’Istituto previdenziale.
In proposito, il Collegio osserva che l’art. 115 della legge fallimentare (r.d. 16 marzo 1942, n. 267), prevedendo che il Curatore provvede al pagamento delle somme assegnate ai creditori nel piano di ripartizione nei modi stabiliti dal Giudice delegato, comporta che quest’ultimo possa disporre modi di pagamento diversi da quello in denaro contante fatto direttamente al domicilio del creditore (artt. 1182, 1277 c.c.) con efficacia liberatoria per il fallimento – come ad es. assegni circolari, libretti di banca – potendo essi servire a facilitare il compito della curatela (v. Cassazione civile – Sez. II, 6 maggio 1985 n. 2877). Resta inteso, tuttavia, che la determinazione delle modalità di pagamento è di esclusiva competenza del Giudice delegato, sicché il Curatore fallimentare, di regola, deve attenersi a quanto disposto dal primo.
Nel caso concreto il Giudice delegato, con decreto del 23 gennaio 2001, dichiarava esecutivo il piano di riparto parziale depositato dal Curatore – nel quale piano risultava collocato l’INPS per l’importo di lire 7.976.660.978 (pari a € 4.119.601,59) -, mandando al Curatore stesso di provvedere ai pagamenti ivi previsti mediante assegni circolari.
Il Curatore, invece, soprassedeva alla procedura di pagamento anzidetta, e con la raccomandata del 31 gennaio 2001 richiedeva all’Istituto previdenziale di indicargli “stante la peculiare posizione di codesto Istituto Previdenziale presso quale/i sede/i effettuare il pagamento nonché le modalità di accredito delle somme attribuite, posto che le insinuazioni in surroga, a fronte delle somme anticipate ai dipendenti, sono pervenute da sedi diverse del medesimo Istituto”.
Tale comportamento invero, seppure spiegabile con le ragioni sopraccennate (entità della somma da pagare e limite di importo per l’emissione di assegni circolari), non appare affatto conforme all’ordine giudiziale del 23 gennaio 2001, che non consentiva l’utilizzo di modalità di pagamento diverse da quella nello stesso espressamente indicata, né dagli atti di causa risulta che in contemporanea all’iniziativa assunta dal Curatore sia stato emesso ulteriore provvedimento giudiziale modificativo di quello precedente, laddove soltanto in data 25 marzo 2002 il Giudice delegato ebbe ad autorizzare il pagamento della somma di € 4.119.601,59 tramite bonifico bancario piuttosto che con assegni circolari.
E d’altra parte, l’avv. Bi ha lasciato trascorrere oltre un anno prima di sollecitare l’INPS – con atto notificato tramite Ufficiale Giudiziario il 18 marzo 2002 “anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 1206 e segg. c.c.” – perché gli indicasse la richiesta procedura di accreditamento della somma giacente presso l’Agenzia di Modena della Banca Popolare di Novara, laddove sarebbe stato onere del sunnominato di attivarsi con la massima sollecitudine per porre rimedio alla situazione di sostanziale inerzia dell’Istituto previdenziale nel comunicare i dati necessari per l’effettuazione del bonifico bancario.
Ad avviso del Collegio, quindi, il modo in cui il Curatore fallimentare ha proceduto all’adempimento del pagamento non risulta pienamente adeguato, in termini di diligenza, alla particolare importanza di tale adempimento avuto riguardo all’elevato importo della somma dovuta all’INPS, dovendosi peraltro considerare che la consegna di assegni circolari avrebbe estinto immediatamente l’obbligazione, mentre il versamento tramite bonifico bancario – che in ogni caso avrebbe dovuto essere previamente autorizzato con provvedimento del Giudice delegato – andava ad estinguere l’obbligazione solo nel momento in cui la somma fosse pervenuta nel conto del creditore, sicché era facilmente prevedibile l’eventualità che la ritardata (di oltre un anno) disponibilità di una somma tanto rilevante (4.119.601,59 euro), anche se da imputare principalmente alla condotta dell’Istituto previdenziale, avrebbe comunque ingenerato la richiesta di interessi da parte di quest’ultimo e la controversia che ne è seguita.
Ritiene pertanto il Collegio che in relazione alla vicenda in esame, pur dovendosi tenere conto della circostanza che per somme di rilevante importo il pagamento mediante bonifico bancario (piuttosto che con assegni circolari) rientrava in una prassi del Fallimento, siano ravvisabili nel comportamento dell’avv. Bi elementi di negligenza i quali, ancorché non assimilabili a quelli integranti “colpa grave”, hanno comunque influito sul ritardato pagamento della somma assegnata all’INPS concorrendo, pertanto, alla causazione del danno di causa in misura che il Collegio stima pari al 20%.
Fermo restando, ovviamente, che il rilievo concausale di tali elementi non impedisce di qualificare come gravemente inadempiente il comportamento dell’odierno convenuto che rimane responsabile, nei termini sopra specificati, del disservizio che è stato causa preminente del danno per cui è causa.
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L’Avvocatura di un ente pubblico e la responsabilità dei curatori fallimentari
Questa vicenda è per molti versi interessante toccando vari istituti e soggetti in relazione al danno erariale che ne è derivato.
Innanzitutto essa getta uno squarcio sulla gestione non sempre puntuale da parte degli enti pubblici dei loro crediti nei confronti di soggetti falliti e fallimenti, trattandosi di debitori spesso per cifre di tutto rispetto, come nel caso di specie, verso i predetti enti come l’INPS, l’INAIL etc. o verso lo Stato.
In questo caso c’era un attivo fallimentare ripartito e semplicemente dunque l’INPS avrebbe potuto recuperare il suo credito da incassare, ma il recupero non avviene tempestivamente per cui, giustamente la Procura reg.le per l’Emilia Romagna ha agito per il danno costituito dagli interessi maturati sul credito principale in relazione al ritardo ingiustificato, interessi che giovano al fallimento ma sono ovviamente un danno per l’INPS, tanto è vero che si instaura anche un contenzioso civile tra l’INPS e il predetto fallimento, che però non è giunto ancora a conclusione e dunque non è d’ostacolo all’azione erariale.
La vicenda vede come protagonisti principali l’avvocato dell’INPS che è stato convenuto in giudizio dalla Procura e condannato dalla Sezione Giurisdizionale Emilia-Romagna e il curatore fallimentare non citato in giudizio, ancorché invitato a dedurre dalla stessa Procura reg.le, che ne archiviava motivatamente la posizione.
Sul curatore il Collegio giudicante, pur non ravvedendo i presupposti della colpa grave individua delle negligenze evidenti tanto da imputargli la quota del 20% del danno.
La ricostruzione delle responsabilità per omesso riscontro alle due raccomandate del curatore all’interno della sede INPS di Modena pur tra le notevoli difficoltà causate da un estremo disordine, circostanza non negata da alcuno, deve ritenersi effettuata esattamente sia dalla Procura reg.le che dalla Sezione Giurisdizionale nella sentenza qui in commento.
La Sezione ritiene addebitabile il danno all’avv. Do, che non ha dato riscontro alle due raccomandate del curatore fallimentare con cui gli si chiedevano i dati per il bonifico bancario ed ha lasciato che trascorresse un anno fino alla notifica all’INPS attraverso ufficiale giudiziario di una ulteriore lettera del curatore.
Ciò sia sotto il profilo della causalità materiale sia sotto il profilo della imputabilità soggettiva, in ragione, da un lato, dell’omesso od insufficiente esercizio, da parte sua, dei poteri-doveri di organizzazione e controllo del servizio di corrispondenza, che nel contesto organizzativo dell’Ufficio legale facevano indiscutibilmente capo allo stesso avvocato, che, dall’altro, della caratterizzazione gravemente colposa di tale condotta omissiva.
A non diverse conclusioni giunge il Collegio giudicante dando per acquisita la circostanza, negata dalla difesa del Do, che quest’ultimo curasse personalmente lo smistamento della corrispondenza dopo averla visionata. Anche in tal caso infatti, ed a maggiore ragione, ferma restando la già evidenziata carenza di regolamentazione del servizio, l’omessa risposta alla raccomandata del 31 gennaio 2001 sarebbe causalmente ascrivibile alla condotta gravemente colposa del convenuto, in quanto dovuta a particolare superficialità da parte del medesimo nell’esame e nella valutazione della lettera anzidetta che riguardava il pagamento della somma di oltre quattro milioni di euro.
Un ufficio dell’INPS privo di registro protocollo, in cui l’ufficio legale non è in grado di monitorare le proprie situazioni creditorie, non raramente di ingente entità, dove non si riesce a chiedere nemmeno il pagamento di quanto viene offerto, appare un segnale non solo di inefficienza e inefficacia dell’azione amministrativa, ma di un inammissibile degrado amministrativo, allorquando la classe politica di questo Paese cerca di imporre maggiori contribuzioni e/o innalzamento dell’ età pensionabile proprio invocando le asserite oggettive difficoltà economico-finanziarie dell’INPS nell’erogare i trattamenti di quiescenza, dimenticando bellamente che le fortissime criticità del Sistema Previdenziale scaturiscono spesso non solo dalla enormità del contenzioso passivo prestazioni in danno dell’ Ente ( di sovente: temerario e pretestuoso ) ma sinanche da condotte gravemente negligenti e colpevoli dei propri apicali nel procedere all’ incasso delle somme dovute all’ Istituto. Se la situazione di siffatto degrado dell’ufficio in questione era percepibile chiaramente e tuttavia fosse stata correttamente rappresentata al direttore di sede dall’avv. Do. anche (o forse solo) il primo avrebbe dovuto considerarsi responsabile, ma dalla ricostruzione dei fatti questa sollecitazione chiara e precisa non risulta e l’avv. Do. era colui che gestiva e coordinava l’ufficio rebus sic stantibus, con le conseguenze che ne sono derivate, per cui giustamente egli è stato ritenuto l’ esclusivo responsabile del danno.
Un ulteriore aspetto su cui si intrattiene la Sezione Emilia Romagna e su cui dà una corretta e condivisibile interpretazione della normativa è quello della sussistenza della giurisdizione sull’avvocato dell’ente pubblico.
La difesa dell’avvocato prende a modello l’avvocato libero professionista che se incaricato da un ente pubblico non risponde del danno che provoca (o meglio contribuisce a provocare) e vorrebbe che questa esenzione da responsabilità (su cui per vero si dovrebbe tornare a riflettere specie quando gli incarichi ai legali privati non siano solo incarichi ad litem, ma consulenze stragiudiziali, o pareri che talora inducono a successive liti temerarie o ad atti dannosi) fosse estesa anche agli avvocati inquadrati negli enti pubblici.
Al riguardo verso questa assai poco nobile fuga dalle responsabilità non può che condividersi con il Collegio che l’attività professionale prestata da un avvocato in favore di un ente pubblico rientra comunque nell’ambito del rapporto di pubblico impiego tra l’ente medesimo ed il professionista quando questi, come nel caso di specie, sia inquadrato nel ruolo legale (v. Cass. civ. Sez. un., 26 luglio 2004 n. 13970), sicché la pur necessaria considerazione non solo della particolare “personale responsabilità” connessa alla funzione professionale, ma anche della posizione di autonomia garantita nello svolgimento della funzione stessa, non implica che l’avvocato possa ritenersi sottratto alla osservanza dei doveri generali (di diligenza, fedeltà, lealtà …) derivanti dal rivestito status di pubblico dipendente, che rappresenta la fonte della doverosa esecuzione della attività professionale.
E’ proprio lo status di dipendente pubblico dell’avvocato dell’ente pubblico, non certo di basso rango, che lo obbliga ad un rendimento efficiente ed efficace, ad una diligenza nell’interesse della P.A. che con un comportamento di silenzio o di “ignavia amministrativa” non appare rispettato minimamente nel caso concreto.
Fermo quanto sopra, sulla posizione del curatore fallimentare, che pure nella vicenda viene ritenuto in più occasioni, anche dal collegio giudicante, non rispettoso dei suoi doveri di diligenza, si osserva quanto segue..
L’art. 115 del RD 267/1942 (pagamento ai creditori) prevede: “Il curatore provvede al pagamento delle somme assegnate ai creditori nel piano di ripartizione nei modi stabiliti dal giudice delegato”.
Non in modo dissimile si esprime la norma riformata nel 2005.
La Cassazione nella sentenza n. 2827/1985, osserva che l’art. 115 della legge fallimentare, prevedendo che il curatore provvede al pagamento delle somme assegnate ai creditori nel piano di ripartizione nei modi stabiliti dal giudice delegato, comporta che il giudice delegato possa disporre modi di pagamento diversi da quello in danaro contante fatto direttamente al domicilio del creditore (art. 1182, 1277 cod. civ.) con efficacia liberatoria per il fallimento (es. Rilascio di assegni circolari, consegna di libretti di banca) potendo essi servire a facilitare il compito della curatela.
Dunque la legge, che viene prima di qualsiasi prassi amministrativa nelle fonti di diritto, assegna al giudice delegato il potere nei casi singoli di disporre modi diversi di pagamento da quello in denaro contante al domicilio del creditore, a cui viene sostanzialmente equiparato l’invio dell’assegno circolare.
Se è così, era indispensabile al curatore oltre alla lettera all’INPS, che il G.D. disponesse la possibilità con decreto di pagare con bonifico, sia pure per tutte le (anche condivisibili) ragioni che sussistessero nella fattispecie.
In realtà in questa complessa vicenda l’unico decreto del G.D. (che procede successivamente alla validazione del pagamento all’INPS) diceva il contrario, ossia che il curatore doveva pagare con assegno al domicilio dell’INPS.
Non può accedersi alla tesi della difesa dell’avvocato dell’INPS che parla delle lettere del curatore come di proposta di accordo (ai sensi dell’art. 1182 c.c.) sulla modificazione dei criteri legali di esecuzione del pagamento, di fronte a cui l’Istituto non aveva né obbligo né onere di risposta, bastando il silenzio dell’ente per farla cadere nel vuoto ed imporre al curatore semplicemente di pagare con assegno.
I casi in cui il silenzio è significativo nel senso che vorrebbe la difesa dell’avvocato dell’INPS sono previsti dalla legge.
Ma non può nemmeno accettarsi ex adverso la tesi che si versasse senz’altro nel campo della mora credendi ex art. 1206 c.c.: “Il creditore è in mora quando, senza motivo legittimo, non riceve il pagamento offertogli nei modi indicati dagli articoli seguenti o non compie quanto è necessario affinché il debitore possa adempiere all’obbligazione”.
Quella posta in essere dal curatore che per circa un anno poi si disinteressa del cospicuo pagamento dovuto all’ente pubblico non era una offerta che aveva i requisiti dell’art. 1208 c.c.
Certamente la negligenza del curatore non arriva al punto da rendere lecito il comportamento dell’avvocato dell’INPS che si serba colposamente grave.
E’ evidente, peraltro, come riscontrato puntualmente dalla sentenza della Sezione Giurisdizionale Emilia Romagna che, indisparte il richiamo all’istituto della mora credendi, la mancata tempestiva risposta dell’Istituto previdenziale alla lettera del curatore colloca l’ente creditore, in una violazione del dovere di correttezza e buona fede imposto alle parti dagli articoli 1175 e 1375 del codice civile, doveri che le parti contraenti devono comunque rispettare. Per cui l’INPS era tenuto comunque a cooperare al fine di rendere possibile l’adempimento dell’obbligazione debitoria, tanto più – si deve ribadire – che non facendolo sono stati lesi doveri di servizio verso la P.A. e il dovere di economicità dell’azione amm.va.
Vale a dire che, anche se non fossero stati violati l’art. 1206 e seguenti del c.c., l’avvocato dell’INPS con la sua inerzia del tutto ingiustificata avrebbe sicuramente leso il rapporto di servizio che lo legava alla sua Amm.ne.
Lo Stato e la P.Amm.ne chiedono di più ai suoi funzionari che a comuni creditori in un rapporto obbligatorio civile (una diligenza professionale avendo gli stessi superato dei concorsi pubblici) e dunque, se essi non rispettano questi obblighi devono rispondere dei danni davanti al giudice contabile.
Quanto alla figura del curatore fallimentare si deve ricordare l’importanza pubblicistica della sua funzione che lo fa ritenere senz’altro assoggettabile alla giurisdizione della Corte dei conti laddove si renda con i suoi comportamenti illeciti anche semplicemente erronei causa di un danno erariale.
Si ricorda il caso della Sez. Lombardia (733/2005) dove lo Stato italiano è stato condannato per effetto della c.d. legge Pinto per un ritardo eccessivo di un fallimento ritenuto imputabile al curatore e lo stesso è stato condannato a risarcire la P.A. come rivalsa.
Anche se il Curatore opera sempre sotto la direzione del Giudice Delegato, che agisce nell’ambito del potere di direzione che si estrinseca attraverso i provvedimenti autorizzativi, il suo compito è particolarmente delicato quando configura al Giudice le situazioni per le quali chiede l’autorizzazione ad intraprendere le varie azioni giudiziarie.
Infatti, da una sua errata valutazione e/o prospettazione, scaturisce un errato provvedimento del Giudice, al quale è dato conoscere approfonditamente tutte le vicende di ogni procedura, e che, quindi, è difficilmente in grado di valutare autonomamente quanto il Curatore via via gli sottopone.
Il Curatore è l’organo della procedura al quale spetta, principalmente, l’amministrazione dei beni del fallito sotto la direzione del Giudice Delegato.
La figura del Curatore fallimentare, è stata oggetto di lunghe disquisizioni dottrinali. Secondo l’orientamento oggi prevalente, il Curatore non rappresenta, nè sostituisce il fallito o i creditori, ma opera nell’interesse del pubblico (cfr. Ferrara); egli è un incaricato giudiziario che opera a fianco del Giudice Delegato nell’interesse della giustizia. La conferma di tale tesi, si può fare risalire al riconoscimento legislativo della qualifica di pubblico ufficiale, nonchè ai poteri che la legge gli riconosce per sostituire il debitore nella titolarità dei rapporti e, contemporaneamente, per tutelare gli interessi dei creditori.

L’art. 30 L.F. asserisce che: “il curatore, per quanto attiene all’esercizio delle sue funzioni, è pubblico ufficiale”.

Alberto Mingarelli

Vice Procuratore Generale presso la Procura Regionale per il Veneto della Corte dei Conti

  • qui la sentenza

 

Mingarelli Alberto

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