Reato di Stalking: innovazioni giurisprudenziali.

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Il decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11 (c.d. “Decreto sicurezza”), convertito con la legge 24 aprile 2009 n. 38, ha introdotto nel nostro ordinamento il reato di “Atti persecutori”, disciplinato dall’art. 612-bis c.p., meglio noto negli altri ordinamenti col termine di “stalking”.

Con l’introduzione di detta disposizione il legislatore ha inteso arginare un fenomeno sempre più diffuso che colpisce ogni anno un elevato numero di vittime in caso di liti domestiche, soprattutto donne.

A norma dell’art. 612-bis c.p., dunque, soggiace alla pena prevista per il reato di atti persecutori (reclusione da sei mesi a cinque anni) “colui che con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da ingenerare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

La pena prevista è poi aumentata qualora il fatto sia commesso nell’ambito familiare (art. 612-bis, comma 2) o qualora sia commesso in danno di particolari soggetti c.d. deboli, quali i minori, le donne in stato di gravidanza o i disabili (art. 612-bis, comma 3).

La disposizione in esame, dunque, consente oggi di sanzionare condotte reiterate di minaccia o molestia prima riconducibili esclusivamente al meno grave delitto di minaccia (art. 612 c.p.) o alla contravvenzione di molestie (art. 660 c.p.), fattispecie queste ultime dimostratesi di fatto inidonee a fornire un’adeguata tutela in favore delle vittime.

Finalità perseguita dal legislatore con l’introduzione della norma incriminatrice in esame, come recentemente affermato dai giudici della S.C. di Cassazione, è quella di tutelare il singolo “da comportamenti che ne condizionino pesantemente la vita e la tranquillità personale, procurando ansie, preoccupazioni e paure, con il fine di garantire alla personalità dell’individuo l’isolamento da influenze perturbatrici”. (Cass. pen. Sez. III, 20 marzo 2013 n. 25889).

Elemento costitutivo della fattispecie è quindi la reiterata commissione di condotte persecutorie che determinano nella vittima, alternativamente, un perdurante e grave stato di ansia, un fondato timore per la propria incolumità o comunque per quella di persone ad essa affettivamente legate, la costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita, non permettendogli di far fronte in maniera serena alle liti ingenerate.

Il reato di stalking rientra dunque nella categoria dei reati abituali ed, in particolare, è qualificabile come reato abituale c.d. proprio (Cass. pen. Sez. V, 27 novembre 2012 n. 20993), per la cui configurabilità è sufficiente la commissione di “anche due sole condotte di minaccia o molestia” purché di fatto sufficienti ad ingenerare nella vittima il fondato timore di subire un’offesa alla propria integrità fisica o morale (da ultimo, Cass. pen. Sez. III, 14 novembre 2013 n. 45648). Quanto al contenuto di predette condotte, a mero titolo esemplificativo, si osserva come la giurisprudenza ha ritenuto “atti persecutori” configuranti il delitto di stalking nelle liti, ripetute telefonate, l’invio di buste, s.m.s., e-mail e messaggi tramite internet, nonché la pubblicazione di messaggio o video a contenuto ingiurioso o sessuale su social network.

Per quanto attiene il rapporto con altre fattispecie penalmente rilevanti, si osserva brevemente come restano assorbite nel più grave reato di cui all’art. 612-bis le condotte di minaccia e molestia singolarmente sanzionate dagli artt. 612 e 660 c.p., mentre è ipotesi speciale rispetto a tale reato il delitto di violenza privata (art. 610 c.p.), essendo necessaria per la sua consumazione non solo l’induzione del predetto stato d’ansia e timore, ma anche la finalità di costringere altri a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà, impedendone la libera determinazione.

Quanto alle conseguenze scaturenti dalle condotte persecutorie ed, in particolare, al “perdurante e grave stato di ansia” sofferto dalla vittima, la giurisprudenza di merito e di legittimità ha più volte ritenuto che, al fine della sussistenza del reato di cui all’art. 612-bis, non è necessario che detto turbamento emotivo determini nella persona offesa uno stato patologico, essendo sufficiente che gli atti persecutori abbiano avuto un effetto destabilizzante dell’equilibrio psicologico della vittima.

Quanto poi all’elemento soggettivo richiesto dalla norma in esame, la giurisprudenza è concorde nel ritenere sufficiente, ai fini della sussistenza del delitto di atti persecutori, il dolo generico, il quale è integrato dalla “volontà di porre in essere le condotte di minaccia o di molestia, con la consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente necessari per l’integrazione della fattispecie legale”. Non è invece richiesta la rappresentazione anticipata del risultato finale, ma, piuttosto, “la costante consapevolezza dei precedenti attacchi e dell’apporto che ciascuno di essi arreca all’interesse protetto, insita nella perdurante aggressione da parte dell’agente della sfera privata della persona offesa” (Cass. pen. Sez. V, 27 novembre 2012 n. 20993).

Così delineati gli elementi oggettivi e soggettivi configuranti il delitto di stalking, è interessante soffermarsi ora sulla peculiare figura del c.d. stalking condominiale, così come delineato dalla giurisprudenza della S.C. di Cassazione.

Con il termine “stalking condominiale” si intende definire le serie di condotte reiterate e sistematiche di minaccia e molestia poste in essere dall’agente nel contesto condominiale.

Detta fattispecie, di origine giurisprudenziale, è stata per la prima volta tipizzata dai giudici della Cassazione nella sentenza 25 maggio 2011, n. 20895 con cui la Suprema Corte ha rigettato il ricorso promosso da un condomino avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino in cui veniva condannato per il reato di cui all’art. 612-bis c.p. per aver posto in essere ripetute condotte di minaccia e molestia indistintamente a danno di soggetti di sesso femminile facenti parte di un condominio, provocando agli stessi uno stato di ansia.

La Corte, nel motivare il rigetto del ricorso, ha rilevato come sia indubbio che la condotta persecutoria rivolta indistintamente nei confronti di alcune donne – tutte residenti nel medesimo stabile – per il semplice fatto di appartenere al genere femminile, possa riflettersi negativamente su tutte le donne ivi residenti, per il solo fatto di rappresentare “potenziali vittime” dell’agente.

In particolare, i giudici di legittimità hanno osservato che “è evidente che l’offesa arrecata ad una persona per la sua appartenenza ad un genere turbi di per sé ogni altra che faccia parte dello stesso genere. E se la condotta è reiterata indiscriminatamente contro tal altra, perché vive nello stesso luogo privato, sì da esserne per questa ragione occasionale destinataria come la precedente persona minacciata o molestata, il fatto genera all’evidenza il turbamento di entrambe”.

Partendo da detto assunto, i giudici di legittimità hanno, quindi, confermato la sentenza di appello che condannava il condomino – affetto da forte sindrome maniacale – per il delitto di stalking ai danni di tutti i soggetti di sesso femminile residenti nel condominio, benché gli atti persecutori fossero stati rivolti direttamente solo ad alcune donne, in quanto la condotta tenuta dall’agente – per il suo carattere sistematico e persecutorio – aveva di fatto ingenerato nelle altre donne uno stato di paura ed ansia costringendole a modificare sensibilmente le proprie abitudini di vita.

Con la sentenza in esame, dunque, la Cassazione ha fornito un’interpretazione estensiva della norma contenuta nell’art. 612-bis c.p. di fatto riconoscendo uno strumento di tutela in favore delle vittime c.d. indirette del reato di stalking, le quali, pur non subendo in prima persona le condotte offensive, ne patiscono tuttavia gli effetti negativi.

Lombardo Danilo

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