Reato di apologia di delitti con finalità di terrorismo: banco di prova per la tenuta dei principi fondamentali dell’ordinamento penale

Scarica PDF Stampa
Con sentenza n 41628, del 15 aprile 2019, la prima sezione penale della corte di Cassazione è tornata a riflettere sui requisiti necessari per la configurazione del reato di istigazione a delinquere, di cui all’art 414 cp., comma 1 e 3, in relazione al reato di associazione con finalità di terrorismo, ex art 270 bis cp, e sui relativi criteri di accertamento. La pronuncia si è resa necessaria al fine di perimetrare le condotte penalmente rilevanti e discriminarle da quelle, non solo inoffensive, ma costituzionalmente tutelate ex art 21 Cost.. Il problema si pone per tutti quei messaggi che solo indirettamente istigano alla commissione “di atti disumani e cruenti, contro civili inermi’, sostanziandosi in attività di proselitismo e propaganda, e che formalmente esprimono la mera adesione ad un‘ideologia o una manifestazione di pensiero.  Il confine appare tuttora incerto, determinando un serio pericolo per la tenuta dei principi fondamentali su cui si fonda il nostro sistema penale.

Il problema non è nuovo, e riguarda tutti i reati di opinione.

Volume

Reati di opinione

Si tratta di reati che si sostanziano nella manifestazione di un’opinione aggressiva dell’altrui sfera morale, o di valori sociali, religiosi e politici super individuali, perché non rispettosa dei parametri costituzionali previsti in tema di libertà di pensiero. Sono per lo più contenuti nel titolo relativo ai delitti contro la personalità dello Stato, inteso come insieme di interessi di cui lo stato rivendica l’appartenenza ovvero, in un’ottica costituzionalmente orientata, come gli interessi correlati alla vita e funzionalità dello stato nell’ottica di una pacifica convivenza sociale. Tra questi il reato di vilipendio della repubblica e delle istituzioni costituzionali, e in più generale, quelli che istigano a commettere taluno dei delitti commessi in danno della personalità dello stato, ex art. 302 cp. si tratta di una species del delitto previsto ex art 414 cp, posto, invece, a tutela dell’ordine pubblico. Lo stesso punisce l’istigazione a delinquere e il reato di apologia. Il primo incrimina la condotta di chi determina in altri il proposito delittuoso, ovvero lo rafforza, il secondo di chi lo fa indirettamente, o attraverso l’elogio, la celebrazione di un delitto -ma non di una contravvenzione- mettendo in pericolo la pace sociale.

Compatibilità costituzionale

Attesa la fisionomia dei reati in questione, – si sostanziano in messaggi, opinioni, punibili in virtù di meri effetti psicologici, di difficile accertamento- gli stessi pongono seri problemi in riferimento alla tenuta di principi fondamentali dell’ordinamento: il principio di materialità e di offensività della legge penale. Rispettivamente consacrati ex art 25 cost e 3, 13, 27 della Costituzione, rappresentano la fonte di legittimazione del potere punitivo dello stato. Lo stesso, infatti, deve rivolgersi contro un fatto materiale, ovvero un comportamento esterno in cui si materializzi la volontà criminosa, offensivo di un bene giuridico costituzionalmente rilevante e prevalente rispetto alla libertà personale. Solo in ragione di ciò è infatti possibile attendersi una funzione rieducativa della sanzione, avvertita come giusta dalla collettività e dal reo.

Principi, peraltro, facilmente eludibili con l’incriminazione dei reati di opinione.  Per vero, il principio di offensività è garantito dall’interpretazione ortopedica fatta dalla giurisprudenza, che tende a riconoscere la necessità di indagare la concreta capacità lesiva della condotta ( vd infra).  Più problematico appare, invece, il rapporto con il principio di materialità, atteso il serio rischio di punire mere idee e non fatti.  La questione risulta ancor più delicata se si considera che l’incriminazione in questione costituisce un limite alla libertà fondamentale riconosciuta ex art 21 della Costituzione. Che non si tratti di un diritto incondizionatamente tutelato, lo dimostra l’assenza di una rigida gerarchia di valori, in ambito costituzionale, e la consequenziale necessità di operare un costante bilanciamento degli stessi in caso di conflitto. Operazione fatta dalla giurisprudenza soprattutto in relazione all’attività giornalistica, lì dove ha provveduto a dettare i limiti al diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, a tutela dell’onore o della reputazione altrui. Libertà che pertanto non può non trovare ostacolo nella necessità di assicurare il più generale interesse alla integrità della personalità dello stato e all’ordine pubblico, anche internazionale. A tal proposito la scelta di incriminare, anche anticipatamente, talune condotte a rilevanza transnazionale, attualmente risulta obbligata ex art 11, 117 Cost. Diverse convenzioni internazionali e decisioni quadro assunte nell’ambito dell’Ue, allo scopo di armonizzare le legislazioni penali, hanno imposto agli stati l’obbligo di adottare misure efficaci e idonee, anche penali, atte a reprimere  forme di criminalità con finalità di terrorismo ( da vedere il novellato art 83 TFUE che riconosce competenza “quasi diretta” della Unione Europea in materia di reati terroristici)

Reato di pericolo, presunto o concreto?

Ad acuire il problema è la scelta del legislatore di anticipare la soglia di punibilità, incriminando il vilipendio, l’esaltazione, l’istigazione, la propaganda a prescindere dal fatto che la stessa venga accolta o che il delitto venga commesso, in deroga al principio cogitationis poenam nemo patitur, espressa ex art 115 c.p. Si tratta di reati di pericolo, in cui l’offesa del bene giuridico non si sostanzia nella sostanziale compromissione o lesione dello stesso, andando a costituire mera circostanza aggravante secondo il modello del reato aggravato dall’evento. Orientamento consolidato lo qualifica come reato di pericolo presunto. Secondo questa tecnica di incriminazione, il legislatore penalizza una condotta, desumendo la sua pericolosità da massime generali di esperienza – reato di pericolo astratto-, sempreché sussistano talune condizioni- pericolo presunto-, per la fattispecie in esame il requisito della pubblicità del messaggio istigatore o apologetico, ovvero della sua concreta diffusività. Non è invece richiesto di indagare se, tenuto conto di tutte le circostanze presenti al momento del fatto, secondo il modello della prognosi postuma, vi sia un’elevata probabilità che il danno si verifichi – pericolo concreto-. Per vero, la giurisprudenza pur attestandosi sulla impostazione tradizionale, in merito al reato ex art 414 cp, ritiene necessario che venga accertata in concreto l’idoneità del messaggio a istigare alla commissione di crimini analoghi a quelli esaltati, in base a un giudizio del giudice di merito che non è sindacabile in sede di legittimità.

Soluzione della Corte

Orbene, se a livello teorico appare chiaro che la mera manifestazione del pensiero non possa considerarsi di per sé penalmente rilevante, nondimeno, appare difficile distinguere le ipotesi in cui questa sia concretamente idonea a mettere in pericolo il bene tutelato dalla legge penale.

Emblematico delle difficoltà applicative che i reati in questione pongono è la fattispecie in esame, sottoposta alla corte di Cassazione. Riguarda il caso di un soggetto che aveva diffuso sulla piattaforma Facebook dei messaggi di adesione alla ideologia islamica estrema, non espressamente riconducibile all’associazione terroristica Isis. Veniva ad esempio pubblicato un post sullo Stato di Israele,e sui soprusi da questo perpetrati a danno delle popolazioni ed in specie bambini palestinesi, con la frase “we are coming” (“stiamo arrivando”); un altro inneggiava la bandiera dell’unione, simbolo dello stato islamico, ma non univocamente riconducile allo stesso o alla “jihad”. L’imputato, pertanto, veniva assolto in primo grado, e successivamente condannato, dalla corte d’appello d’assise, per istigazione ed apologia del delitto di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico ex art 270 bis.

Nel dichiarare infondato il ricorso, la Cassazione definisce i criteri di accertamento che l’interprete deve congiuntamente utilizzare al fine di valutare la sussistenza del reato. Lo fa contestando l’approccio del giudice di prime cure che aveva ancorato il suo giudizio di proscioglimento esclusivamente al contenuto intrinseco del messaggio pubblicato. Questo, infatti, potrebbe essere oggettivamente ambiguo, soprattutto per i reati di apologia, dove l’istigazione è solo un effetto indiretto dell’opinione. A parere della corte, è, infatti, necessario valutare anche le condizioni soggettive dell’autore e le circostanze di tempo e di luogo in cui il messaggio viene diffuso. Sotto il primo profilo potrebbe rilevare Il mantenimento, da parte dell’imputato, di contatti con soggetti coinvolti in fatti di terrorismo; l’assunzione della funzione di guida spirituale, a prescindere dalla conoscenza effettiva di elementi di teologia islamica; il licenziamento e le dismissioni di ogni altra attività svolta, senza che ciò trovi nessun’altra valida motivazione se non nell’impegno profuso in via esclusiva nella creazione di una platea virtuale dì corrispondenti. Sotto il secondo profilo assume rilevanza la pubblicazione su pagine facebook accessibili a tutti o a pochi iscritti, non invece sia oggetto di comunicazione privata, dotata, pertanto, di ampia capacità diffusiva. Altresì, incidente sul giudizio di responsabilità penale è la commissione di atti preparatori e funzionali a garantire l’efficacia persuasiva dei messaggi divulgati, (la costituzione di gruppi di soggetti interessati alle tematiche di carattere islamico radicale per diffondere documenti, impiego di un sistema informatico di criptazione personalizzata dei dati, resi volutamente non ostensibili, o di contatti diversi con nomi convenzionali).

Conclusioni

La giurisprudenza, sensibile alle tematiche su esposte, focalizza l’attenzione sull’offensività del messaggio e su una serie di elementi da cui poter desumere che lo stesso abbia un contenuto effettivamente apologetico, che trascende una mera critica al sistema attuale o la legittima adesione ad un’ideologia, quand’anche sovversiva. Nondimeno, non si può mancare di sottolineare che, tra gli indici utilizzati dalla corte, le condizioni personali del reo offrano spunto per un giudizio di responsabilità fondato sul tipo di autore del reato, in aperto contrasto col principio di materialità ei più elementari fondamenti del diritto penale moderno.

In assenza, di criteri positivamente definiti, il rischio di giudizi non sereni e imparziali si acuisce, inoltre, a causa del crescente interesse che le istituzioni e l’opinione pubblica hanno dimostrato per la repressione dei nuovi casi di terrorismo, fenomeno che si nutre dell’evoluzione tecnologica e dell’incontrollata espansione dello spazio, quello virtuale, si caratterizzano per l’apertura e flessibilità, oltre che per la capacità offensiva transnazionale.

Allo stato, il reato di istigazione a delinquere e di apologia ex art 414 c.p., costituiscono un serio banco di prova per il legislatore e l’interprete, ai fini della tenuta dei fondamentali principi su cui si fonda l’ordinamento penale, di cui necessariamente bisogna tener conto, non in ultimo, ai fini della determinatezza e prevedibilità del precetto penale.

Volume consigliato

Note

Fiandaca/Musco, Diritto Penale Parte generale, Zanichelli Editore;

Sez. 1, n. 41628, del 15/ 04/2019;

Sez. 1 n. 41635 2019;

Sez. 1 n. 25833 del 23/4/2012;

Sez. 1, n. 8779 del 05/05/1999;

Sez. 1, n. 11578 del 17/11/1997.

 

 

 

 

 

 

Tirocinante presso gli uffici giudiziari ex art 73 l. 98/2013 Giulia Bonora

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento