1. L’articolo 40 c.p.
L’articolo 40 c.p. stabilisce, al primo comma, che nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.
L’articolo 40 c.p. statuisce al secondo comma, che non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.
La norma fornisce delucidazioni in merito alla struttura del reato, individua il fatto tipico (considerato l’elemento oggettivo del reato dalla dottrina tradizionale) e lo suddivide in tre elementi: la condotta (l’azione o l’omissione), l’evento inteso in senso naturalistico (ove necessario per la consumazione del reato) e il nesso di causalità, che lega l’evento alla condotta.
La nozione di evento è diversamente interpretata dalla dottrina: secondo la concezione naturalistica, non tutti i reati prevedono, per il loro perfezionamento, l’esistenza dell’evento naturale come conseguenza della condotta in quanto sussisterebbero i reati di pura condotta [1]; secondo la concezione giuridica, invece, l’evento avrebbe natura giuridica in quanto sarebbe da intendersi come la lesione o la messa in pericolo del bene protetto dalla norma penale con la conseguenza che esso è indefettibile in tutti i reati, sia nei reati d’evento sia in quelli di pura condotta [2].
Con riferimento all’evento, possono distinguersi, secondo la dottrina, i reati di danno e i reati di pericolo: i primi consistono in una lesione immediata dell’interesse protetto dalla norma penale (ad esempio, la malattia nel corpo, nel delitto di lesioni); i secondi, invece, si concretizzano in una mera messa in pericolo del bene giuridico (ad esempio, il danneggiamento con pericolo di incendio di cui all’articolo 424 comma 1 c.p.).
Tale pericolo può essere concreto e quindi, essendo in tali casi, elemento costitutivo della fattispecie criminosa, il giudice deve, di volta in volta, accertarne la sussistenza [3].
In altri casi, invece, il pericolo è presunto in base ad una regola di esperienza, la condotta è, quindi, considerata pericolosa in sé, ma non è necessario dimostrare la concreta messa in pericolo del bene protetto dalla norma.
Essendo una presunzione iuris et de iure, non è ammessa prova contraria dell’assenza del verificarsi del pericolo [4].
Una fattispecie di reato richiede necessariamente che un determinato evento sia collegato da un nesso di causalità all’azione o all’omissione del soggetto [5].
Dato che il codice non delinea una descrizione specifica del nesso di causalità, varie sono state le teorie utilizzate dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
La più nota è la teoria della “conditio sine qua non” (o teoria della equivalenza delle cause), secondo cui è causa dell’evento ogni singola condizione senza la quale l’evento non si sarebbe verificato.
Per la sussistenza del rapporto di causalità è sufficiente che l’agente abbia realizzato una condizione qualsiasi dell’evento.
Proprio l’eccessiva estensione del concetto di causa è il punto debole della teoria, fortemente criticato dal resto della dottrina, in quanto tale concezione può portare a conseguenze assurde.
Per mitigare tale rigore è stata elaborata la teoria della causalità adeguata in base alla quale si ritiene necessario che l’agente abbia determinato l’evento con un’azione adeguata ovvero idonea a determinare l’evento in base a criteri di normalità valutati sulla base dell’id quod plerumque accidit (sulla base della comune esperienza).
Non si ritengono causati dall’uomo gli effetti che, al momento dell’azione, si presentavano improbabili, cioè gli effetti straordinari o atipici dell’azione medesima.
Tale approccio, a sua volta, è stato sottoposto a critica perché limita eccessivamente il campo della responsabilità penale, escludendo la riconducibilità alla condotta dell’uomo degli eventi improbabili, anche se non eccezionali.
A correzione di tale impostazione, è stata pensata la teoria della causalità umana, la quale ritiene che possano considerarsi causati dall’uomo soltanto gli eventi che l’uomo può dominare in virtù dei suoi poteri volitivi e conoscitivi e pertanto restano esclusi da tale ambito gli eventi eccezionali, ovvero quelli che avevano minime probabilità di verificarsi.
A conclusione, si ricordi la teoria della causalità scientifica, che individua il criterio di identificazione del nesso causale nella sussunzione sotto leggi scientifiche.
Il nesso causale va indagato secondo un’analisi contro fattuale in grado di condurre ad un’alta probabilità logica ed una credibilità razionale e scientifica del fatto.
I reati omissivi, infine, si suddividono in propri ed impropri. Si ha reato omissivo proprio quando il colpevole omette di compiere l’azione prescritta dalla norma di comando, e viene punito senza che alla sua condotta consegua un evento naturalistico [6]. Se, invece, dalla mancata realizzazione di un’azione che poteva essere legittimamente pretesa dal soggetto-garante deriva un evento penalmente rilevante, si parla di reato omissivo improprio, anche detto reato commissivo mediante omissione. Tale condotta acquisisce rilevanza causale solo in riferimento a quei soggetti che rivestono una posizione di garanzia, ovvero hanno l’obbligo di evitare il verificarsi del fatto giuridico, in virtù della particolare relazione che li lega al bene giuridico. Solo qualora l’agente abbia un obbligo giuridico di impedire l’evento, si ha una corrispondenza tra il non impedire e il cagionare l’evento [7].
Tali obblighi giuridici, che fanno sorgere in capo ai soggetti delle posizioni di garanzia, possono trovare la loro fonte in contratti, leggi, ordini di autorità o regolamenti.
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2. La posizione di garanzia
La posizione di garanzia è necessaria, ai sensi dell’articolo 40 comma 2 c.p., perché possa muoversi all’imputato un rimprovero per non aver impedito l’evento [8].
L’equivalenza tra il cagionare e il non impedire l’evento del reato opera solo in presenza di un obbligo di carattere giuridico.
Con riferimento al primo dei suddetti profili problematici, relativo alla fonte dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, occorre dare atto delle diverse posizioni assunte dalla dottrina sul punto, che oscillano tra un’impostazione restrittiva che si fonda sul principio di riserva di legge in materia penale e un orientamento che, al contrario, estende le possibili fonti della posizione di garanzia ad atti normativi secondari e finanche ad atti di autonomia privata.
Un primo necessario requisito della posizione di garanzia perché acquisti rilevanza ai fini della responsabilità penale è da ravvisarsi nella sua fonte legislativa, diretta, nel caso del garante originario, o indiretta, con riferimento al garante derivato. È dibattuto se il garante derivato possa trasferire a propria volta ad un terzo la posizione di garanzia, con effetti sulla responsabilità penale di quest’ultimo; secondo un primo orientamento, quando la posizione di garanzia trasferita derivi comunque dal garante originario, chi l’assume dal garante derivato risponderà al pari di quest’ultimo dell’evento che è tenuto ad impedire, purché sia consapevole dell’origine legislativa dell’obbligo di impedirlo; secondo un diverso orientamento, invece, non sarebbe ammissibile un ulteriore trasferimento della posizione di garanzia, con effetti sulla responsabilità penale, poiché altrimenti si rischierebbe di rendere eccessivamente difficile l’accertamento della fonte dell’obbligo di impedire l’evento, con conseguente incertezza da parte degli operatori giuridici in merito alle conseguenze finanche penali dell’inadempimento. Rispetto alla necessità di una fonte legislativa dell’obbligo di impedire l’evento sono di diverso avviso i sostenitori della teoria funzionale della posizione di garanzia, che non ritengono necessaria una base legislativa dell’obbligo di impedire l’evento, assegnando rilevanza penale ad ogni situazione in cui un soggetto sia in condizioni di intervenire per impedirlo anche in presenza di un obbligo giuridico formale in tal senso.
La teoria funzionale si scontra con il principio di riserva di legge nonché con la lettera dell’articolo 40 comma 2 c.p. che richiede espressamente la sussistenza di un obbligo giuridico in capo ad esso.
Prendendo spunto dalla teoria funzionale e facendo tesoro delle critiche avanzate dai sostenitori della teoria formale, la giurisprudenza e la dottrina maggioritarie hanno aderito alla teoria mista o eclettica, che non pone i due approcci formale e sostanziale in alternativa tra loro ma ne richiede cumulativamente i relativi presupposti. Secondo tale impostazione una posizione di garanzia penalmente rilevante potrà configurarsi solo in presenza di un obbligo giuridico con base legale, diretta o indiretta, purché alla titolarità formale dell’obbligo di impedire l’evento corrisponda la materiale disponibilità di idonei poteri di intervento. L’obbligo di impedire l’evento dovrà risultare specifico e non vago o generico, al pari dei suoi destinatari titolari della posizione di garanzia e dei suoi beneficiari.
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Note bibliografiche
[1] Si pensi all’omissione di referto (art. 365 c.p.), in cui nessun evento naturalistico deve sopravvenire per la consumazione del reato.
[2] La differenza con la condotta si coglie, quindi, soltanto sotto il profilo logico, ma non sotto quello temporale.
[3] Ne sono esempi i reati strage (articolo 422 c.p.) o d’incendio di cosa propria (articolo 423 c.p.).
[4] Si ricordano come esempi l’associazione per delinquere (articolo 416 c.p.) e l’avvelenamento di acque e sostanze alimentari (articolo 439 c.p.).
[5] La prima si configura in ogni comportamento attivo ed operoso che si evidenzia in un movimento fisico, anche limitato ad una sola parola, mossa, gesto o cenno. Mentre l’omissione è un comportamento passivo, inattivo che si evidenzia nella mancanza di azione o reazione. Si parlerà di reato commissivo nel primo caso, di reato omissivo nel secondo.
[6] Si pensi al delitto di omissione di referto (articolo 365 c.p.).
[7] Si pensi alla madre che non somministra il cibo al suo neonato, cagionandone il decesso. La donna risponderà di omicidio, dal momento che aveva l’obbligo giuridico di evitare l’evento, in virtù del dovere di assistenza connesso alla qualità di madre.
[8] A. Salerno, F. Caringella, Manuale ragionato di diritto penale, Dike Giuridica Editrice, Roma, 2021, p. 585.
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