Rapporti tra opposizione a precetto, opposizione all’esecuzione e poteri sospensivi dei giudici (a proposito di Cass. civ., Sez. unite, 23 luglio 2019, n. 19889; Cass. civ., Sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26285)

Redazione 07/01/20
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di Carlo Vellani*

* Associato dell’Università di Modena e Reggio Emilia

Sommario

1. Indicazione sintetica delle questioni trattate

2. Opposizione a precetto e opposizione all’esecuzione. Alcuni spunti generali

3. L’opposizione a precetto e l’opposizione all’esecuzione successivamente proposta avverso il medesimo titolo esecutivo

4. Rapporto tra i poteri sospensivi del giudice dell’opposizione a precetto e quelli del giudice dell’esecuzione

5. Riflessioni conclusive

1. Indicazione sintetica delle questioni trattate

Il contributo si occupa, nell’àmbito del processo esecutivo, della problematica relativa ai rapporti tra opposizione a precetto e opposizione all’esecuzione. Si tratta di due giudizi che possono essere proposti avverso il medesimo titolo esecutivo e fondati su identici fatti costitutivi, con i relativi problemi di identità delle azioni. Oltre ai rapporti tra i due giudizi, tema centrale è quello del rapporto tra i poteri sospensivi del giudice dell’opposizione a precetto e quelli del giudice dell’esecuzione. Il lavoro si incentra sugli artt. 615, 623 e 624 c.p.c., anche alla luce delle recenti Cass. civ., sez. un., 23 luglio 2019, n. 19889 e Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26285, che si sono diffusamente occupate del tema.

2. Opposizione a precetto e opposizione all’esecuzione. Alcuni spunti generali

L’art. 615 c.p.c. si fa carico del fatto che il processo esecutivo sia retto da un titolo esecutivo che consente di procedere alla soddisfazione del creditore senza accertamenti di cognizione. Per evitare che si proceda esecutivamente in assenza del diritto di farlo la norma disciplina sotto varie forme l’opposizione all’esecuzione, strumento attraverso il quale può riemergere il diritto sostanziale[1]. L’art. 615 c.p.c. ammette la possibilità di un’opposizione a precetto, chiamata anche «preventiva», che si caratterizza per il fatto di essere proposta prima dell’inizio dell’esecuzione, nascendo come reazione alla notifica dell’atto di precetto che preannuncia l’azione esecutiva. Si ha poi l’opposizione all’esecuzione in quanto tale, definita semplicemente opposizione o opposizione «successiva», proposta quando l’esecuzione sia già iniziata[2].

L’aspetto da sottolineare è che l’oggetto di entrambe queste forme di opposizione è lo stesso, ossia il diritto di procedere ad esecuzione forzata[3]. Sono opposizioni che si distinguono per il profilo temporale[4], in quanto l’opposizione a precetto, o preventiva, prescinde dall’avvio dell’esecuzione, ne basta la minaccia, mentre l’opposizione successiva si svolge dopo il pignoramento e quindi dopo l’avvio dell’esecuzione[5].

Le due opposizioni sono distinte, e la norma non pone alcun esplicito divieto al debitore di utilizzare entrambi gli strumenti ora descritti, ossia di agire in opposizione sia prima che dopo il pignoramento. Non è difficile argomentare in ordine all’opportunità che il debitore possa introdurre entrambe le opposizioni, perché si può così assicurare l’effettività della tutela della sua posizione. Bisogna por mente al fatto che un rilevante profilo pratico di tutela della posizione del debitore è legato alla sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo e/o del processo esecutivo; in assenza di sospensione il processo esecutivo prosegue legittimamente e il debitore deve subire gli atti esecutivi e i loro effetti anche materiali. Sviluppando ed esemplificando questi profili, si può ipotizzare che a seguito dell’opposizione a precetto il giudice, exart. 615, comma 1, c.p.c., abbia sospeso, su istanza di parte, l’efficacia esecutiva del titolo[6]. Il creditore non può allora procedere al pignoramento, mancando il titolo esecutivo, ossia la condizione necessaria per agire. Può però accadere che il creditore proceda ugualmente, e effettui il pignoramento. In questo caso è utile per il debitore poter proporre opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615, comma 2, c.p.c., motivandola appunto con la mancanza del titolo esecutivo. Oltre questa prima ipotesi, può accadere che il creditore dia corso all’esecuzione, procedendo al pignoramento, mentre si è ancora nell’attesa della pronuncia dell’inibitoria exart. 615, comma 1, c.p.c., ossia nonostante la proposizione dell’opposizione preventiva. In tale caso il titolo esecutivo è pienamente efficace e l’opponente potrebbe proporre l’opposizione exart. 615, comma 2, c.p.c. fondandola sugli stessi motivi dell’opposizione a precetto[8].

[1] Non nel senso che si possano far valere fatti anteriori alla formazione di un titolo esecutivo giudiziale, deducibili esclusivamente con i mezzi di impugnazione. Ci si potrà opporre unicamente in relazione a fatti posteriori alla definitività del titolo esecutivo, l’opposizione non si configura come un’impugnazione del titolo esecutivo per un suo vizio che lo rende invalido. Nel caso di opposizione su un titolo stragiudiziale il debitore può invece eccepire anche l’invalidità del titolo (es. assegno con firma falsa), data l’origine privata del titolo.

[2] L’art. 615, comma 2, c.p.c. prevede anche l’opposizione che riguarda la pignorabilità dei beni, dove non si contesta l’azione esecutiva, ma appunto l’impignorabilità dei cespiti in concreto aggrediti esecutivamente. Questa forma di opposizione non sarà oggetto del presente contributo.

[3] Lo si ricava dallo stesso testo dei due commi dell’art. 615 c.p.c. che fonda entrambe le opposizioni sul fatto che «si contesta il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata».

[4] Onniboni, Opposizione a precetto e opposizione a pignoramento: relazioni strutturali, in Riv. trim. dir e proc. civ., 2002, pag. 455.

[5] Da qui le differenze dell’atto introduttivo, che nell’opposizione a precetto è una citazione davanti al giudice competente per materia o valore e per territorio a norma dell’articolo 27 c.p.c., mentre nell’opposizione successiva è un ricorso al giudice dell’esecuzione in essere.

[6] Il tema della effettiva tutela del debitore è in realtà più complesso. Si pone il problema di una tutela ante causam, ossia che preceda il giudizio di opposizione preventiva, infatti la lettera dell’art. 615, comma 1, c.p.c. presuppone la pendenza del giudizio e l’istanza del debitore di ottenere la sospensione dal giudice davanti al quale appunto il creditore procedente è citato a comparire. La dottrina da tempo ipotizza azioni, che però sfuggono alla presente trattazione, come la possibilità di proporre una normale azione di accertamento negativo dopo la sola notificazione del titolo, Furno, Disegno sistematico delle opposizioni nel processo esecutivo, Firenze, 1942, pagg. 252 ss.; Mandrioli, voce Opposizione (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXX, Milano, 1980, pag. 438, che specifica come la notificazione del titolo esecutivo non faccia sorgere in capo al debitore l’interesse ad agile in opposizione ma consenta un’azione di accertamento. Più recentemente ne dubita Onniboni, op. cit., pagg. 456 ss., ove altri riferimenti alle p>La sospensione dell’esecuzione, II, Torino, 2017, pagg. 57 ss. Contra Longo, Contributo allo studio della sospensione nel processo esecutivo, I, Ospedaletto, 2018, pagg. 590 s.In argomento Cass. civ., sez. III, 4 agosto 2016, n. 16281, in Banca dati De Jure. Prima della novella del 2005-2006, che ha riconosciuto al giudice dell’opposizione a precetto questo potere sospensivo, l’interpretazione letterale degli artt. 615 e 623 c.p.c. aveva portato, soprattutto la giurisprudenza della Suprema corte, a negare che tale giudice avesse un qualche potere sospensivo, situazione che era giustamente denunciata dalla dottrina come fonte di ingiustizia, particolarmente evidente laddove si procedesse ad esecuzione sulla base di un titolo stragiudiziale, perché in tali casi non poteva entrare in gioco neppure il potere di inibitoria, ovviamente limitato all’impugnazione di un titolo giudiziale, possibilità peraltro non più attiva dopo il giudicato. Una visione più generale del fenomeno, legata alla tutela di chi, asserendo l’infondatezza dell’esecuzione, volesse evitare di subire il primo atto esecutivo, portò dottrina e giurisprudenza ad utilizzare per tale scopo lo strumento dell’art. 700 c.p.c. L’attuale disposto dell’art. 615, comma 1, c.p.c. risolve più coerentemente il problema, ma come sopra ricordato, il provvedimento previsto dall’ultimo inciso dell’art. 615 c.p.c., comma 1, c.p.c., presuppone l’instaurazione del giudizio di opposizione. L’art. 615 c.p.c., comma 1, c.p.c. è stato poi modificato dal d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 6 agosto 2015, n. 132, che si è però limitato ad aggiungere l’inciso che ammette la possibilità di sospendere anche solo parzialmente l’efficacia esecutiva del titolo. L’ultimo intervento legislativo sull’art. 615 c.p.c. è venuto con il d.l. 3 maggio 2016, n. 59, convertito con modificazioni dalla l. 30 giugno 2016, n. 119, che ha posto un termine di decadenza alla possibilità di proporre l’opposizione successiva del comma 2.

[7] Vedi Consolo in Nota a Trib. Vicenza, 5 aprile 2010 , in Riv. esec. forz., 2010, pag. 729 e mi permetto di rinviare nuovamente al mio, La sospensione dell’esecuzione, II, cit., pagg. 69 ss. Ne dubita Longo, Contributo allo studio della sospensione nel processo esecutivo, cit., pagg. 564 ss.

3. L’opposizione a precetto e l’opposizione all’esecuzione successivamente proposta avverso il medesimo titolo esecutivo

Interessa l’esempio da ultimo proposto in conclusione del precedente paragrafo, laddove l’opponente fonda la seconda opposizione sugli stessi motivi dell’opposizione a precetto. All’atto pratico cercherà di ottenere dal giudice dell’opposizione successiva la sospensione dell’esecuzione, non essendosi ancora pronunciato sull’inibitoria il giudice dell’opposizione a precetto. Dal punto di vista processuale l’opponente introduce un giudizio che riproduce quello instaurato davanti al giudice dell’opposizione a precetto e questo solleva problemi per la possibile identità delle azioni. In realtà i provvedimenti ottenibili sono diversi, nell’opposizione a precetto il giudice, exart. 615, comma 1, c.p.c., «concorrendo gravi motivi, sospende su istanza di parte l’efficacia esecutiva del titolo», mentre, quando è iniziata l’esecuzione, l’opposizione dell’art. 615, comma 2, c.p.c., exart. 624, comma 1, c.p.c., prevede un potere solo sospensivo, per arrestare la specifica procedura in attesa della decisione sull’incidente cognitivo. Chi scrive, dalla necessità di rendere più coerente la tutela offerta all’esecutato, ritiene corretta la soluzione di quella dottrina propensa ad ammettere che alla sospensione dell’esecuzione debba accompagnarsi una vera e propria privazione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, impostazione che dovrebbe essere sistematizzata nel senso che le norme del codice di rito che parlano di mera sospensione dell’esecuzione dovrebbero interpretarsi in senso favorevole alla sospensione dell’esecutività[8]. Non è però vero il contrario, ossia il potere di sospendere l’esecuzione spetta unicamente al giudice dell’esecuzione stessa e il giudice dell’opposizione a precetto, anche quando sia iniziata l’esecuzione, non può sospenderla.

La Suprema corte, nelle decisioni indicate nel primo paragrafo, si spinge oltre quanto ora esposto. Ragionando in ordine alla coincidenza tra il petiutm e la causa petendi la Corte la identifica nella domanda principale volta ad accertare l’insussistenza del diritto del creditore a procedere esecutivamente, riferendosi al merito delle due opposizioni, ma aggiunge che una diversità di petitum non è ravvisabile neppure sul piano dei provvedimenti sospensivi, in quanto entrambi producono, in ogni caso, una paralisi dell’azione espropriativa[9].

Vi sarebbe dunque litispendenza tra l’opposizione a precetto e la successiva opposizione all’esecuzione, proposte, innanzi a giudici diversi, avverso il medesimo titolo esecutivo, laddove le due azioni siano fondate su identici fatti costitutivi, concernenti l’inesistenza del diritto di procedere all’esecuzione forzata. Nel caso invece in cui le due opposizioni risultino pendenti innanzi al medesimo ufficio giudiziario, dovrà esserne disposta la riunione ai sensi dell’art. 273 c.p.c. Qualora ciò non sia possibile per impedimenti di carattere processuale, la seconda causa dovrà essere sospesa pregiudizialmente ai sensi dell’art. 295 c.p.c. Quindi, secondo la Corte, l’opposizione all’esecuzione proposta sulla base degli stessi motivi dell’opposizione a precetto è superflua e se i giudizi pendono davanti a giudici diversi l’opposizione all’esecuzione dovrà essere definita in rito, mediante la declaratoria di litispendenza e la cancellazione dal ruolo, mentre se pendono innanzi al medesimo ufficio giudiziario, il giudice dovrà trattare solo la prima delle due opposizioni[10]. Questa impostazione conduce quindi la Corte ad enunciare un ulteriore principio di diritto secondo cui la proposizione al giudice dell’opposizione a precetto dell’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo exart. 615, comma 1, c.p.c., preclude all’opponente di domandare al giudice dell’esecuzione, per le medesime ragioni, la sospensione della procedura esecutiva exart. 624 c.p.c., ancorchè il giudice dell’opposizione a precetto non si sia ancora pronunciato, per consumazione del potere processuale[11].

La ricostruzione offerta non convince, in particolare l’ultima affermazione secondo cui l’avere già chiesto, e neppure ottenuto, dal giudice dell’opposizione a precetto la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo comporta la consumazione del potere di chiedere la sospensione dell’esecuzione al giudice della stessa. Non vi è alcun riscontro di diritto positivo e questa limitazione dell’efficacia di tutela del debitore è immotivata anche sul piano generale. I due provvedimenti, inibitorio e sospensivo, sono inoltre diversi ed è molto controverso il concetto di continenza o litispendenza cautelare. Non pare che l’art. 39 c.p.c. possa escludere la contemporanea pendenza di opposizione a precetto e opposizione all’esecuzione, data anche la presenza dell’art. 616 c.p.c., di cui la Suprema corte fornisce una lettura assai particolare [12].

La soluzione preferibile è quella che ammette l’introduzione anche del secondo giudizio di opposizione, consentendo l’esercizio dei due diversi poteri dell’opposizione pre-esecutiva e dell’opposizione esecutiva, poi, di fronte alla contemporanea pendenza dei due giudizi di opposizione, la soluzione pratica sarà quella di riservare al giudice dell’esecuzione la pronuncia sulla sospensione del processo esecutivo, quindi, se ne ricorrono le condizioni, riunire i due processi. Si potrebbe anche prospettare la possibilità che il debitore si rivolga direttamente al giudice dell’esecuzione per ottenere il provvedimento sospensivo, senza introdurre l’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615, comma 2, c.p.c. Questo non pare in contrasto con l’art. 623 c.p.c., dove il potere sospensivo del giudice dell’esecuzione è discrezionale e ha come limiti l’istanza di parte e la sussistenza di gravi motivi[13].

[8] Mi permetto di rinviare al mio, La sospensione dell’esecuzione, I, Milano, 2012, pagg. 44 s., e i rinvii alla dottrina, spec. nota 121. Si può individuare nell’art. 283 c.p.c. il modello di riferimento per la tutela del debitore, con i poteri appunto inibitorio e sospensivo.

[9] Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26285, prendendo le mosse da Cass. civ., sez. un., 23 luglio 2019, n. 19889 (di cui riprende i punti 29 ss.), rileva come l’opposizione a precetto, ex art. 615, comma 1, c.p.c., sia volta a contestare, al pari dell’opposizione all’esecuzione già iniziata, il diritto del creditore ad agire in executivis, il petitum dell’opposizione pre-esecutiva, pertanto, coincide con quello dell’opposizione all’esecuzione già iniziata, in quanto in entrambi i casi la domanda principale è volta ad accertare l’insussistenza, in tutto o in parte, del diritto del creditore a procedere esecutivamente (vedi punto 5.2). Una diversità di petitum non si dovrebbe cogliere neppure sul piano “cautelare”, ossia della tutela che l’opponente può conseguire con il provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, disposta ai sensi dell’art. 615, comma 1, c.p.c., ovvero mediante la sospensione del processo esecutivo ex art. 624 c.p.c. Ciò in quanto i provvedimenti sospensivi producono, in ogni caso, una paralisi dell’azione espropriativa. La diversa “ampiezza” delle due tutele non dipende da una sostanziale divergenza del petitum, bensì costituisce effetto naturale della maggiore tempestività dell’opposizione proposta a precetto, rispetto all’opposizione all’esecuzione (vedi punto 5.3). Per quanto invece concerne la causa petendi, le ragioni poste a fondamento dell’opposizione pre-esecutiva e dell’opposizione all’esecuzione sono potenzialmente coincidenti e quindi sovrapponibili (vedi punto 5.4). A conclusione del ragionamento vengono enunciati due principi di diritto: «Sussiste litispendenza fra l’opposizione a precetto e l’opposizione all’esecuzione successivamente proposta avverso il medesimo titolo esecutivo, quando le due azioni sono fondate su fatti costitutivi identici, concernenti l’inesistenza del diritto di procedere all’esecuzione forzata, e semprechè le cause pendano innanzi a giudici diversi. Invece, nell’ipotesi – più probabile – in cui le due opposizioni, riassunta la seconda nel merito, risultino pendenti innanzi al medesimo ufficio giudiziario, delle stesse se ne dovrà disporre la riunione, ai sensi dell’art. 273 c.p.c.; ovvero, qualora ciò non sia possibile per impedimenti di carattere processuale, bisognerà sospendere pregiudizialmente la seconda causa, ai sensi dell’art. 295 c.p.c.». E «L’opposizione a precetto e l’opposizione all’esecuzione successivamente proposta avverso il medesimo titolo esecutivo, fondate su identici fatti costitutivi e pendenti, nel merito, innanzi al medesimo ufficio giudiziario, vanno riunite d’ufficio, ai sensi dell’art. 273 c.p.c., ferme restando le decadenze già maturate nella causa iniziata per prima» (vedi punto 7).

[10] Vedi Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26285, punto 8.

[11] Vedi Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26285, punto 10.

[12] Così su questi punti Capponi, Inibitorie e sospensioni nell’esecuzione forzata: istruzioni per l’uso nell’interesse della legge, cit.

[13] Sembra che questa sia l’unica soluzione possibile per Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26285, cit., punto 9.1 «Il debitore che deduca innanzi al giudice dell’esecuzione l’intervenuta sospensione esterna del processo esecutivo, non introduce una nuova causa di opposizione all’esecuzione. Il giudice dell’esecuzione non deve adottare un provvedimento di sospensione ex art. 624 c.p.c., ma limitarsi a prendere atto di quanto già disposto dal giudice innanzi al quale è stato impugnato il titolo esecutivo. Conseguentemente, in caso di sospensione esterna, il debitore non deve proporre un ricorso ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, per contestare la proseguibilità dell’azione esecutiva e il giudice dell’esecuzione, dopo aver dichiarato la sospensione dell’espropriazione ai sensi dell’art. 623 c.p.c., non deve fissare un termine per l’introduzione del giudizio nel merito ex art. 616 c.p.c.».

4. Rapporto tra i poteri sospensivi del giudice dell’opposizione a precetto e quelli del giudice dell’esecuzione

Il tema è già stato parzialmente toccato, in quanto, come sopra ricordato, un rilevante profilo pratico di tutela della posizione del debitore è legato all’istituto della sospensione, che si intreccia con quello dei rapporti tra opposizione a precetto e opposizione all’esecuzione. In merito alcuni punti fermi paiono ormai acquisiti. In primo luogo l’avvio dell’esecuzione non fa venire meno, nel giudice dell’opposizione a precetto, il potere di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo. In secondo luogo, la pronuncia dell’ordinanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo da parte del giudice dell’opposizione a precetto comporta la totale nullità del pignoramento compiuto dopo tale decisione[14].

A parere di chi scrive la pronuncia dell’ordinanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo da parte del giudice dell’opposizione a precetto priverà appunto di efficacia il titolo esecutivo e il giudice dell’esecuzione dovrà prendere atto di tale decisione, recependola con una pronuncia di sospensione esterna exart. 623 c.p.c., in quanto il giudice dell’opposizione a precetto non può sospendere l’esecuzione.

La Suprema corte pare invece oggi orientata a negare la necessità di un provvedimento sospensivo da parte del giudice dell’esecuzione, pur se meramente ricognitivo, perché: «il provvedimento di sospensione disposto ex art. 615, primo comma, c.p.c. comprende in sé anche gli effetti della sospensione che il giudice dell’esecuzione potrebbe pronunciare ex art. 624 c.p.c.» [15]. La Suprema corte aggiunge, nel caso in cui si ravvisi la litispendenza, come sopra delineata, tra la causa di opposizione a precetto e quella di opposizione all’esecuzione già iniziata, che il giudice dell’esecuzione, all’esito della fase sommaria, ai sensi dell’art. 616 c.p.c., non deve assegnare alle parti un termine per introdurre il giudizio nel merito, giacché il giudizio che le parti hanno l’onere di proseguire è la sola opposizione a precetto. Pertanto, nel caso in cui il giudice dell’esecuzione la sospenda per gli stessi motivi dell’opposizione a precetto, e fissi il termine di cui all’art. 616 c.p.c., le parti non sono tenute ad introdurre il giudizio di merito e questo non produce gli effetti estintivi dell’art. 624, comma 3, c.p.c. Se le parti volessero contestare il sussistere della litispendenza dovranno introdurre il giudizio di merito, nel termine di cui all’art. 289 c.p.c.[16].

Stabilito che l’avvio dell’esecuzione non fa venire meno il potere sospensivo del giudice dell’opposizione a precetto, potere che egli esercita sul titolo esecutivo, non si può essere d’accordo con una ricostruzione che estende tale potere alla sospensione dell’esecuzione in essere, manca il dato testuale, anzi l’art. 623 c.p.c., normando le fonti della sospensione dell’esecuzione, prevede che siano tali la legge, il giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo e infine il giudice dell’esecuzione. Non pare legittimo svuotare di potere il giudice dell’esecuzione, anche qualora dovesse compiere attività ricognitiva. In effetti le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno recentemente ricostruito in maniera simile il fenomeno, ma senza giungere a tali estremi[17].

[14] Nuovamente Capponi, Inibitorie e sospensioni nell’esecuzione forzata: istruzioni per l’uso nell’interesse della legge, cit.; il mio, La sospensione dell’esecuzione, II, cit., pagg. 68 ss.; Longo, Contributo allo studio della sospensione nel processo esecutivo, cit., pagg. 565 e 577 s.; Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26285, cit., punto 10.

[15] Cfr. Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26285, cit., punto 9.1, riportato supra a nota 14, e quanto affermato al punto 9.3 «Qualora, invece, la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo sia stata disposta, dal giudice dell’opposizione a precetto, anteriormente all’attuazione del pignoramento, questo è colpito da radicale invalidità in quanto compiuto in difetto di titolo esecutivo. Tale invalidità deve essere rilevata d’ufficio dal giudice dell’esecuzione, dando luogo ad un caso di “estinzione atipica”. Consegue che la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo avrà un effetto protettivo dall’azione esecutiva per i beni dell’opponente non ancora aggrediti dal creditore, ma relativamente a quelli già pignorati i suoi effetti non differiranno, nella sostanza, dalla sospensione ex art. 624 c.p.c.: i beni staggiti resteranno soggetti al vincolo di indisponibilità, ma non potranno compiersi ulteriori atti esecutivi». Il concetto è poi ribadito al punto 9.4: «il provvedimento di sospensione disposto ex art. 615, primo comma, c.p.c. comprende in sé anche gli effetti della sospensione che il giudice dell’esecuzione potrebbe pronunciare ex art. 624 c.p.c.: ed allora, l’opponente che abbia già richiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo al giudice dell’opposizione pre-esecutiva non può rivolgersi per le medesime ragioni anche al giudice dell’esecuzione». Come sopra detto si afferma la consumazione del potere processuale e si richiamano anche i principi del “giusto processo” e della “ragionevole durata”.

[16] Riporto ulteriori tre princìpi di diritto enunciati da Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26285, cit., al punto 10 della sentenza: “Qualora sussista litispendenza fra la causa di opposizione a precetto (c.d. opposizione pre-esecutiva) e la causa di opposizione all’esecuzione già iniziata, il giudice dell’esecuzione, all’esito della fase sommaria, non deve assegnare alle parti, ai sensi dell’art. 616 c.p.c., un termine per introdurre il giudizio nel merito, giacchè un simile giudizio sarebbe immediatamente cancellato dal ruolo ai sensi dell’art. 39 c.p.c., comma 1. Il giudizio che le parti hanno l’onere di proseguire si identifica, infatti, con la causa iscritta a ruolo per prima, ossia l’opposizione a precetto”. “Qualora, pendendo una causa di opposizione a precetto, il giudice dell’esecuzione – o il collegio adito in sede di reclamo ex art. 624 c.p.c., comma 2 e art. 669-terdecies c.p.c. – sospenda l’esecuzione per i medesimi motivi prospettati nell’opposizione pre-esecutiva, le parti non sono tenute ad introdurre il giudizio di merito nel termine di cui all’art. 616 c.p.c. che sia stato loro eventualmente assegnato, senza che tale omissione determini il prodursi degli effetti estintivi del processo esecutivo previsti dall’art. 624 c.p.c., comma 3, in quanto l’unico giudizio che le parti sono tenute a coltivare è quello, già introdotto, di opposizione a precetto, rispetto al quale una nuova causa si porrebbe in relazione di litispendenza”. “Qualora il giudice dell’esecuzione, ravvisando identità di petitum e la causa petendi fra l’opposizione a precetto e l’opposizione all’esecuzione innanzi a lui pendente, dopo aver provveduto sulla richiesta di sospensiva, non assegni alle parti il termine di cui all’art. 616 c.p.c. per l’introduzione nel merito della seconda causa, la parte interessata a sostenere che le domande svolte nelle due opposizioni non siano del tutto coincidenti, dovrà introdurre egualmente il giudizio di merito, nel termine di cui art. 289 c.p.c., chiedendo che in quella sede sia accertata l’insussistenza della litispendenza o, comunque, un rapporto di mera continenza. Infatti, avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione, avente natura meramente ordinatoria, non possono essere esperiti nè l’opposizione agli atti esecutivi, nè il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7, nè il regolamento di competenza”.

[17] Vedi Cass. civ., sez. un., 23 luglio 2019, n. 19889, cit., al punto 52: «la sospensione pre-esecutiva concorre e coesiste con quella dell’esecuzione una volta che questa sia iniziata, ma restando i relativi analoghi poteri, purchè le causae petendi delle due azioni siano identiche, mutuamente esclusivi in forza delle regole sulla litispendenza: così, fino all’inizio dell’esecuzione il potere di sospensione spetta al giudice dell’opposizione pre-esecutiva e, dopo, al giudice dell’esecuzione, il quale pure deve dare atto, ai sensi dell’art. 623 c.p.c., dell’eventuale sospensione esterna disposta dall’altro». Le conclusioni cui giunge la sentenza, ossia che il provvedimento con il quale il giudice dell’opposizione a precetto, ai sensi dell’art. 615, comma 1, c.p.c., decide sull’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo è impugnabile col rimedio del reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c., sono condivisibili (il mio, La sospensione dell’esecuzione, II, cit., pag. 99), ma la ricostruzione del fenomeno non convince, vedi Cirulli, L’ircocervo, in www.judicium.it, 31 luglio 2019. Contrario anche nelle conclusioni Capponi, Per le Sezioni Unite la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, pronunciata dal giudice dell’opposizione a precetto, è reclamabile … perché così pensano le Sezioni Unite, in www.judicium.it, 26 luglio 2019.

5. Riflessioni conclusive

In conclusione mi si consenta di non avere la pretesa di dare risposte definitive ai temi trattati, controversi e controvertibili, ma di limitarmi alle riflessioni sopra esposte.

Dato il tenore delle sentenze esaminate, piuttosto sembra opportuno cogliere l’occasione per segnalare che in dottrina si è avviato un dibattito sul ruolo istituzionale della Suprema corte e sulla sua funzione nomofilattica, dove si esprimono dubbi in ordine all’attuale modalità di esercizio delle sue funzioni. Le sentenze citate fanno riferimento a quanto previsto dall’art. 363 c.p.c., non quindi a giudizi di cassazione in senso proprio, ma a provvedimenti resi per un interesse più generale, nell’esercizio della nomofilachìa[18]. La certezza del diritto e la prevedibilità delle decisioni giudiziarie sono un valore, ma nella dottrina, non solo processualcivilistica, si prende atto con preoccupazione di un attivismo che porta la Corte di cassazione a dare nelle sue pronunce soluzioni generali ed astratte piuttosto che orientate alla soluzione dei casi portati al suo giudizio, più di matrice dottrinale che giurisprudenziale[19]. Non è questa la sede per ragionare su quale sia o debba essere la funzione principale della Corte di cassazione. Nel nostro sistema la rilettura giurisprudenziale del diritto è meno agevole rispetto alle spinte europee, non foss’altro per l’enorme numero di provvedimenti resi annualmente dalla Suprema corte, che allo stato rendono di fatto poco autorevoli e spesso disattesi i princìpi o le ricostruzioni contenuti nelle pronunce. Rischia di diventare arduo individuare che cosa si debba intendere e quale possa essere il ruolo del principio di diritto, della massima e del precedente.

[18] Cass. civ., sez. un., 23 luglio 2019, n. 19889, ha enunciato un principio di diritto, relativo alla reclamabilità del provvedimento sospensivo del giudice dell’opposizione a precetto ai sensi dell’art. 615, comma 1, c.p.c., su richiesta del Procuratore generale ex art. 363, comma 1, c.p.c. La ancora più articolata Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26285, invece, nel dichiarare inammissibile il ricorso presentato, ha affermato, nell’interesse della legge, ex art. 363, comma 3, c.p.c. otto principi di diritto: nel punto 7 due princìpi sulla contemporanea pendenza delle opposizioni a precetto e all’esecuzione e al punto 10 altri sei princìpi sui rapporti tra l’inibitoria pronunciata dal giudice dell’opposizione a precetto e la sospensione pronunciata dal giudice dell’esecuzione. Sull’art. 363 c.p.c., recentemente Salvaneschi, L’iniziativa nomofilattica del Procuratore generale della Corte di cassazione nell’interesse della legge, in Riv. dir. proc., 2019, pagg. 65 ss.

[19] Si deve ricordare Sassani, La deriva della Cassazione e il silenzio dei chierici, in Riv. dir. proc., 2019, pagg. 43 ss., e in www.judicium.it, 3 giugno 2019, che ricostrusce l’evoluzione dell’esperienza della Corte e per l’attuale situazione, al par. 8, lamenta «una sorta di deriva “dottrinalistica”» e la «tecnica delle sentenze-trattato, lunghe ed elaborate sentenze per cui il caso da decidere è più l’occasione per fare “scienza” che per ricavare dal caso sottoposto il principio di diritto che esso caso impone. … Fiorisce così una “dottrina giudiziaria” che, formandosi in sede impropria e senza le costrizioni proprie della letteratura scientifica, dà luogo ad una “paradottrina” tendenzialmente creatrice non di un precedente di giudizio ma di un precedente di sistema latore spesso di esiti negativi per la razionale organizzazione degli istituti e, in definitiva, per la certezza del diritto (che dovrebbe invece essere l’obiettivo perseguito)». In relazione a Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26285, recentemente Capponi, Inibitorie e sospensioni nell’esecuzione forzata: istruzioni per l’uso nell’interesse della legge, in www.judicium.it, 24 ottobre 2019 e Id., Postilla, ivi, 5 novembre 2019, dove lamenta che oggi ci si trovi di fronte ad una «Corte … assai poco interessata al processo e alle ragioni delle parti … molto più interessata, invece, all’affermazione di princìpi astratti, ricostruzioni dogmatiche di istituti specie processuali, terze e impreviste soluzioni di casi discussi, regole di comportamento indirizzate ai pratici, norme che integrano o addirittura si sostituiscono alla disciplina del codice di procedura». Sull’attivismo della stessa III sezione civile della Cassazione Comandé, Sulla responsabilità la Cassazione lancia il guanto di sfida, in Giuda dir., 2019, fasc. 49-50, pagg. 10 ss., che si riferisce a un «diluvio, evidentemente programmato,» di sentenze depositate simultaneamente l’11 novembre 2019 con cui la Corte riscrive regole, pone accenti e scandisce obiettivi in campo di colpa medica e di risarcimento del danno, annunciando tra le righe un’agenda per gli anni a venire.

Redazione

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